Letteratura/Accontentarsi/Capitolo 1: differenze tra le versioni
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Il testo: “Non lo dico perché io mi trovi in bisogno, poiché ho imparato a essere contento nello stato in cui mi trovo” (Filippesi 4:11). | |||
Queste parole vengono introdotte tramite una prolessi [1] per anticipare e prevenire un'obiezione. L’apostolo aveva già esposto precedentemente molte esortazioni gravi e celesti: tra le altre: “Non siate in ansia per cosa alcuna” (4:6). Questo non esclude 1. La nostra provvidenza: “Se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede ed è peggiore dell'incredulo” (1 Timoteo 5:8). Né, 2. la diligenza spirituale; poiché dobbiamo “impegnarci sempre di più a rendere sicura la nostra vocazione ed elezione” (2 Pietro 1:10). Ma, 3. dobbiamo escludere ogni preoccupazione ansiosa per le questioni e gli eventi della vita: “Non siate ansiosi per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete” (Matteo 6:25). | |||
In questo senso dovrebbe essere cura del cristiano ad “attendere a”, dedicarsi, applicarsi, badare come ai campi, alla casa, alle proprie faccende [2]. La parola “attenzione” in greco significa “fare a pezzi il cuore”, un cura che divide l'anima; “impegnatevi in questo con attenzione”. Ci viene chiesto: “Rimetti la tua sorte nell'Eterno; confida in lui ed egli opererà” (Salmi 37:5). La parola ebraica è letteralmente “srotola la tua strada davanti al Signore”. Il nostro compito è “gettare su di lui ogni nostra preoccupazione” (1 Pietro 5:7) ed è opera di Dio prendersi cura di noi. | |||
Con la nostra smoderatezza, l’eccesso di impegno, però, gli togliamo di mano la sua opera [come se volessimo prendere noi in mano le cose “ visto che di esse lui non se ne occupa”]. La cura eccessiva, quando è eccentrica, o diffidente o distraente, è molto disonorevole agli occhi di Dio; gli toglie la provvidenza, come se egli sedesse in cielo e non si preoccupasse di ciò che accade nelle cose quaggiù; come un uomo che fabbrica un orologio e poi lo lascia andare da solo senza ricaricarlo. La cura eccessiva distoglie il cuore dalle cose migliori; e di solito, mentre pensiamo a come fare per vivere, dimentichiamo come morire. La cura eccessiva è un cancro spirituale che devasta e scoraggia; con le nostre cure eccessive potremmo aggiungere più presto un passo al nostro dolore che un cubito al nostro conforto. Dio lo minaccia come una maledizione: “Mangeranno il loro pane con ansietà” (Ezechiele 12:19). Meglio digiunare che mangiare di quel pane. "Non siate in ansia per cosa alcuna" (Filippesi 4:6). | |||
Ora, perché nessuno dica: sì, Paolo, tu ci predichi ciò che tu stesso hai appena imparato; hai imparato a non stare attento? L'apostolo sembrava rispondere tacitamente, con le parole del testo; “Ho imparato, in qualunque stato mi trovo, ad accontentarmi”: un discorso degno di essere inciso nei nostri cuori e di essere scritto in lettere d'oro sulle corone e sui diademi dei principi. | |||
Il testo si ramifica in queste due parti generali. I. Lo studente Paolo; "Ho imparato." II. La lezione; “in ogni stato essere contento”. | |||
Il capitolo secondo tratterà del primo ramo del testo, quello dello studente, con la prima proposizione. | |||
== Note == | |||
(1) Prolessi: al lat. tardo prolepsis, gr. πρόληψις «anticipazione», der. di προλαμβάνω «anticipare, prendere prima». Figura retorica consistente nel prevenire, confutandola, una possibile obiezione. | |||
2] “io devo attendere a’ miei interessi” (Manzoni). | |||
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Versione attuale delle 20:28, 15 feb 2024
Capitolo 1: L'introduzione al testo
Il testo: “Non lo dico perché io mi trovi in bisogno, poiché ho imparato a essere contento nello stato in cui mi trovo” (Filippesi 4:11).
Queste parole vengono introdotte tramite una prolessi [1] per anticipare e prevenire un'obiezione. L’apostolo aveva già esposto precedentemente molte esortazioni gravi e celesti: tra le altre: “Non siate in ansia per cosa alcuna” (4:6). Questo non esclude 1. La nostra provvidenza: “Se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede ed è peggiore dell'incredulo” (1 Timoteo 5:8). Né, 2. la diligenza spirituale; poiché dobbiamo “impegnarci sempre di più a rendere sicura la nostra vocazione ed elezione” (2 Pietro 1:10). Ma, 3. dobbiamo escludere ogni preoccupazione ansiosa per le questioni e gli eventi della vita: “Non siate ansiosi per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete” (Matteo 6:25).
In questo senso dovrebbe essere cura del cristiano ad “attendere a”, dedicarsi, applicarsi, badare come ai campi, alla casa, alle proprie faccende [2]. La parola “attenzione” in greco significa “fare a pezzi il cuore”, un cura che divide l'anima; “impegnatevi in questo con attenzione”. Ci viene chiesto: “Rimetti la tua sorte nell'Eterno; confida in lui ed egli opererà” (Salmi 37:5). La parola ebraica è letteralmente “srotola la tua strada davanti al Signore”. Il nostro compito è “gettare su di lui ogni nostra preoccupazione” (1 Pietro 5:7) ed è opera di Dio prendersi cura di noi.
Con la nostra smoderatezza, l’eccesso di impegno, però, gli togliamo di mano la sua opera [come se volessimo prendere noi in mano le cose “ visto che di esse lui non se ne occupa”]. La cura eccessiva, quando è eccentrica, o diffidente o distraente, è molto disonorevole agli occhi di Dio; gli toglie la provvidenza, come se egli sedesse in cielo e non si preoccupasse di ciò che accade nelle cose quaggiù; come un uomo che fabbrica un orologio e poi lo lascia andare da solo senza ricaricarlo. La cura eccessiva distoglie il cuore dalle cose migliori; e di solito, mentre pensiamo a come fare per vivere, dimentichiamo come morire. La cura eccessiva è un cancro spirituale che devasta e scoraggia; con le nostre cure eccessive potremmo aggiungere più presto un passo al nostro dolore che un cubito al nostro conforto. Dio lo minaccia come una maledizione: “Mangeranno il loro pane con ansietà” (Ezechiele 12:19). Meglio digiunare che mangiare di quel pane. "Non siate in ansia per cosa alcuna" (Filippesi 4:6).
Ora, perché nessuno dica: sì, Paolo, tu ci predichi ciò che tu stesso hai appena imparato; hai imparato a non stare attento? L'apostolo sembrava rispondere tacitamente, con le parole del testo; “Ho imparato, in qualunque stato mi trovo, ad accontentarmi”: un discorso degno di essere inciso nei nostri cuori e di essere scritto in lettere d'oro sulle corone e sui diademi dei principi.
Il testo si ramifica in queste due parti generali. I. Lo studente Paolo; "Ho imparato." II. La lezione; “in ogni stato essere contento”.
Il capitolo secondo tratterà del primo ramo del testo, quello dello studente, con la prima proposizione.
Note
(1) Prolessi: al lat. tardo prolepsis, gr. πρόληψις «anticipazione», der. di προλαμβάνω «anticipare, prendere prima». Figura retorica consistente nel prevenire, confutandola, una possibile obiezione.
2] “io devo attendere a’ miei interessi” (Manzoni).