Cura pastorale/Fenomenologia dell'autoritarismo
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Fenomenologia dell'autoritarismo nelle comunità cristiane
L’autoritarismo nelle istituzioni religiose cristiane — che siano piccole comunità locali o grandi organizzazioni — è una realtà tristemente diffusa e spesso difficile da riconoscere, perché si traveste di zelo, ordine, e persino di "fedeltà dottrinale". Per comprenderlo a fondo, è utile considerare sia le dinamiche psicologiche sia le distorsioni teologiche ed ecclesiologiche che lo alimentano.
1. Origini psicologiche dell’autoritarismo religioso
a. Il bisogno di controllo e sicurezza
In molti leader religiosi, soprattutto in contesti di instabilità o di forte pressione identitaria, emerge un bisogno inconscio di controllo che si traduce in rigidità normativa e gestione centralizzata. Il cambiamento, la critica e l’ambiguità teologica vengono vissuti come minacce.
b. Il narcisismo spirituale
Il potere spirituale può corrompere come ogni altra forma di potere. Alcuni leader interiorizzano un’immagine di sé come “unto del Signore”, “voce di Dio” o “padre spirituale”, al punto da non tollerare opposizione. Si tratta spesso di una forma di narcisismo religioso, in cui il proprio ruolo viene sacralizzato.
c. Il transfert e la dipendenza dei membri
Non meno importante è la psicologia della comunità. I membri possono cercare nel pastore una figura paterna, forte e protettiva, delegando le proprie responsabilità morali e spirituali. Questo facilita una spirale di dipendenza e controllo reciproco.
2. Degenerazione pastorale: da cura a dominio
La conduzione pastorale diventa autoritaria quando perde il suo carattere di cura (pastor) e assume i tratti del dominio (dominus). Ecco alcune modalità tipiche di questa degenerazione:
a. Soppressione del dissenso
Ogni critica viene considerata "ribellione", ogni domanda come "mancanza di fede", ogni posizione diversa come eresia o divisione. Si crea un clima di paura spirituale, dove il silenzio è l’unico modo per restare “fedeli”.
b. Centralizzazione del potere
Invece della pluralità dei ministeri, il potere si accentra in una persona o in un piccolo gruppo. Non si ascolta il corpo comunitario, non si discernono insieme le decisioni. Vengono ignorati i principi della collegialità, della trasparenza e del discernimento comunitario.
c. Manipolazione spirituale
Si usano versetti biblici per giustificare l’obbedienza cieca (es. “ubbidite ai vostri conduttori”, Ebrei 13:17), ignorando il contesto e le condizioni reciproche della relazione. Il pastore diventa il “mediatore” tra Dio e il popolo, in una forma implicita di clericalismo carismatico.
d. Svalutazione della coscienza individuale
Uno dei segni più gravi dell’autoritarismo religioso è la negazione della coscienza personale come luogo di incontro con Dio. Viene scoraggiato il discernimento personale e viene imposta una visione univoca della volontà di Dio, spesso coincidente con quella del leader.
3. Distorsioni teologiche che favoriscono l’autoritarismo
a. Visione sacralizzata della leadership
Quando il leader è visto come direttamente scelto da Dio e investito di autorità divina assoluta (spesso senza alcuna forma di verifica o di bilanciamento), si perde il principio cristiano che l’autorità è al servizio della comunità e deve essere soggetta alla Parola e alla comunione.
b. Assenza di ecclesiologia trinitaria
Una chiesa autoritaria dimentica la relazionalità trinitaria che dovrebbe essere modello per la vita comunitaria: comunicativa, dialogica, fondata su amore e reciprocità. Al contrario, si impone una struttura piramidale e verticale, di tipo mondano.
c. Teologia del potere anziché della croce
Infine, l’autoritarismo sorge quando si smarrisce la logica della croce. Il ministero pastorale è un servizio segnato dall’umiltà e dalla vulnerabilità (cfr. Giovanni 13:13–15), non una funzione di dominio. Dove si predica un Cristo glorioso senza la croce, si forma una chiesa di potere e non di servizio.
Conclusione: una spiritualità della responsabilità
Contro ogni forma di autoritarismo ecclesiale, occorre riscoprire:
- il sacerdotio comune dei credenti (1 Pietro 2:9),
- il discernimento comunitario nello Spirito (Atti 15),
- il modello del buon pastore (Giovanni 10), che dà la vita per le pecore, non le usa per il proprio prestigio.
Una comunità cristiana sana è uno spazio di libertà, verità e amore, dove il dissenso può diventare dono profetico e la guida pastorale è esercitata come cura umile e condivisa.