Filosofia/Gli effetti noetici del peccato

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Effetti noetici del peccato

In teologia si definiscono "effetti noetici del peccato" l'influenza negativa che la Caduta nel peccato esercita sulla capacità che abbiamo, come esseri umani, di ragionare, di far uso della nostra mente.

L'aggettivo "noetico" deriva dal termine greco "nous", cioè "mente". Così come il peccato non cancella, ma sfigura, l'immagine di Dio che noi portiamo in noi stessi, il peccato non pregiudica la nostra capacità di ragionare, ma la distorce, portandola a conclusioni errate in particolare sulla condizione umana, su noi stessi e su Dio. Il peccato influisce, così, pure sulla nostra volontà e sulla nostra mente che, quando la esercitiamo, fa sì che il nostro pensiero "vani ragionamenti". È possibile così parlare della presenza in noi di una "disabilità cognitiva". Per esempio:

  • Il peccato, influisce su come considero gli altri. A causa dell'odio o dell'antipatia che nutro verso certi gruppi di esseri umani, posso giungere a ritenerli inferiori, meno degni di quanto lo sia io stesso o di chi considero particolarmente ammirevole.
  • A causa dell'ostilità e del risentimento, posso fare un errore di giudizio o completamente equivocare l'atteggiamento di qualcuno verso di me, sospettando in modo infondato sue cattive intenzioni.
  • A causa di radicato e primordiale orgoglio, senza rifletterci e senza rendermene conto, potrei presumere di essere io al centro dell'universo (naturalmente, se me lo fai notare, lo negherei), esagerando largamente l'importanza di ciò che accade a me rispetto a quel che accade ad altri, sottovalutando quel che altri hanno conseguito.
  • Potrei anche sottovalutare o negare i miei peccati, ritenendo che siano meno gravi di quel che sono; potrei mancare di vedere me stesso come una creatura che merita di essere condannata da Dio se non fosse per quello che Cristo ha compiuto per me (fra gli effetti devastanti del peccato è la mia incapacità di vedere la realtà di questa stessa devastazione).
  • La mancanza di vedere noi stessi come portatori dell'immagine di Dio, Essere primo dell'universo, può essere pure danneggiata, compromessa, o oscurata. Potremmo, per esempio, vedere alcune caratteristiche umane come l'amore, il senso dell'humour e di avventura, l'arte, la scienza, la religione o la moralità come il prodotto di una presunta 'evoluzione e non perché portiamo in noi stessi l'immagine di Dio.
  • Mancando di giungere alla conoscenza di Dio, possiamo giungere ad un'immagine largamente distorta di quel che noi stessi siamo, ciò di cui abbiamo bisogno, ciò che per noi è bene e come conseguirlo.

L'effetto noetico più serio del peccato ha a che fare con la nostra conoscenza di Dio. Se non fosse per il peccato ed i suoi effetti, la presenza e la gloria di Dio sarebbe per noi tutti ovvia, palese ed indiscutibile come la presenza stessa di altre menti, degli oggetti fisici e del passato. Come ogni processo cognitivo, però, ilsensus divinitatis può funzionare in modo distorto: di fatto, come risultato del peccato, è stato indubbiamente danneggiato.

"...infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non l'hanno glorificato come Dio, né l'hanno ringraziato; ma si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d'intelligenza si è ottenebrato. Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti, e hanno mutato la gloria del Dio incorruttibile in immagini simili a quelle dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili..." (Romani 1:20-23).

La nostra conoscenza originale di Dio e della Sua gloria è soffocata e compromessa. È stata sostituita (a causa del peccato) dalla stupidità, dalla cecità, dall'incapacità di percepire Dio o di percepirlo nelle Sue opere.

  • La nostra conoscenza del Suo carattere e del Suo amore verso di noi può essere oscurata. Essa può persino trasformarsi nel pensiero risentito che Dio debba essere temuto in senso negativo e che non si possa avere fiducia di Lui. Potremmo persino intenderlo indifferente o maligno. Questo atteggiamento potrebbe essere equiparato all'ignavia, una sorta di torpore spirituale, accidia, incapacità di percepire correttamente, di essere consapevoli della presenza di Dio, del Suo amore, di ciò che Egli esige.
  • Si potrebbe giungere in alcuni, talvolta, alla completa assenza del sensus divinitatis, soppresso ed impedito. Questo può avvenire quando deliberatamente la sopprimo per il senso di colpa che mi tormenta, o anche dal desiderio di poter vivere come mi pare, il che Dio disapprova.
  • Potrei essere incline a pensare a Dio come ad un'astrazione impersonale piuttosto che come una persona vivente che mi giudica.
  • Lo potrei considerare come disinteressato al comportamento quotidiano delle Sue creature.
  • Potrei vederlo non come un Dio santo che odia il peccato, ma piuttosto come un nonnino indulgente che sorride ai peccatucci infantili de suoi nipotini.
  • In altri casi potrei essere stato influenzato e persuaso dalle argomentazioni avverse a Dio di certa letteratura popolare alle quali ritengo di dovere pure io, per conformismo, fare eco. Potrei ritenere così la credenza in Dio come una superstizione o come qualcosa di infantile su cui riderci sopra.
  • Potrei essere stato educato a considerare la fede teistica come una universale ossessione neurotica da trattare con divertita condiscendenza. Per queste ed altre ragioni potrei così ignorare le sollecitazioni del mio sensus divinitatis, magari con un qualche senso di vergogna che io solo abbia questi sentimenti.

Di solito, così, vi è una complicata interazione fra senso di colpa e disabilità spirituale, fra ciò che è causato dal mio peccato (in senso primario) e ciò che è dovuto agli effetti noetici del peccato che si pone al di là del mio controllo.

  • L'ambiente cognitivo in cui vivo può schiacciare e togliere aria alla stessa esistenza del concetto di verità, che così viene relativizzata (come nel postmodernismo contemporaneo), posso giungere a persuadermi che la verità non esista, che esistano solo "versioni di verità" le più diverse, la mia, la sua, quella di altri... e che sia solo questione di verità imposta da qualcuno, non di verità oggettiva. In un tempo in cui "non si sa più che cosa sia vero", si rinuncia ad occuparsi ed a perseguire la verità.
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Altri sembrano perennemente ingaggiati in una "ricerca" costante della verità, che ama più piluccare questo o quello, senza approfondire nulla, come coloro che "cercano sempre d'imparare e non possono mai giungere alla conoscenza della verità" (2 Timoteo 3:7).

"[L'intelletto dell'uomo decaduto] può essere paragonato ad una sega circolare che, affilata e brillante, è pronta a tagliare le assi di legno che le si accostano. Mettiamo che un carpentiere voglia tagliare delle assi con lo scopo di fare il pavimento di una casa. Ha segnato le sue assi, ha preparato la sega. Comincia così a tagliare un asse dal segno apportatovi. Non sa, però, che un ragazzo si era messo a giocare con quella sega, storcendola e modificandone l'allineamento. Il risultato e che ogni asse che il carpentiere taglia non risulta più tagliato perpendicolarmente con precisione. Venendo fuori storto, il legno non risulterà più utile all'uso per il quale era previsto. Così, fintanto che non si sostituisce la sega, il risultato sarà sempre lo stesso, sbagliato. È così come quando gli insegnamenti del Cristianesimo sono presentati all'uomo naturale, essi sono tagliati in modo storto, sono difettosi, distorti secondo la tendenza della personalità umana peccaminosa" ]Van Til, Defense of the Faith, 4th ed., 97]. È un paragone appropriato. La sega (analoga alla nostra facoltà di ragionare) un qualche lavoro lo fa. È la la sega che prima era era dritta e disposta correttamente. Essendo, però, stata distorta e non più allineata, essa produce sempre delle assi storte e inadeguate allo scopo per il quale erano state progettate.