Teologia/La doppia predestinazione (II)

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La doppia predestinazione (II)

di R. C. Sproul[1]

“Un decreto orribile” … “Un’affermazione assolutamente crudele” …. “Una terribile teoria teologica” …. “Una deduzione logica illegittima”. Questi ed altri simili epiteti sono stati frequentemente usati per articolare dispiacere e orrore per la dottrina riformata della Doppia Predestinazione. Particolarmente ripugnante per molti è la nozione che Dio abbia predestinato (in qualsiasi senso) la rovina dei reprobi.

Il “doppio” della Predestinazione

Scopo di questo saggio non è quello di fornire un’analisi completa, un’esposizione o una difesa della dottrina dell’Elezione o della Predestinazione, ma è limitato all’aspetto della “doppia” predestinazione con riferimento particolare alla questione della sovranità di Dio alla riprovazione o preterizione.

L’uso del termine qualificante “doppia” si è rivelato causa di numerosi equivoci nelle discussioni sulla predestinazione. Questo termine apparentemente significa una cosa nell’ambito della Teologia riformata e del tutto altra cosa fuori da quell’ambito e in quello del livello popolare di discorso teologico. Il termine “doppia” è stato posto in contrasto con la nozione di predestinazione “singola”. È pure stato usato come sinonimo di una concezione simmetrica dell’operazione divina. Entrambi questi usi implicano una seria distorsione della concezione riformata della Doppia Predestinazione.

Considerare la doppia predestinazione come qualcosa di distinto dalla predestinazione singola può essere rilevato nell’opera di Emil Brunner[2]. Brunner sostiene che sarebbe impossibile dedurre la dottrina della Doppia Predestinazione dalla Bibbia. Egli scrive:

La Bibbia non contiene la dottrina della doppia predestinazione, sebbene che in alcuni brani isolati essa sembri avvicinarsene. La Bibbia insegna che ogni salvezza è basata sull’eterna Elezione da parte di Dio in Gesù Cristo, e che questa Elezione eterna sorge completamente ed interamente dalla sovrana libertà di Dio. Ogni qual volta questo avviene, però, non vi è alcuna menzione di un decreto di reiezione. La Bibbia insegna che accanto agli eletti vi sono coloro che non sono eletti, che sono “riprovati”, ed indubbiamente che i primi sono la minoranza e questi ultimi la maggioranza. In questi brani, però, il punto in questione non è l’eterna elezione, ma la “separazione” o “selezione” nel giudizio. La Bibbia, così, insegna che vi sarà un doppio risultato nella storia del mondo: salvezza e rovina, Paradiso ed Inferno. Mentre, però, la salvezza viene insegnata esplicitamente come derivata dall’elezione eterna, non se ne deduce l’ulteriore conclusione che la pure la distruzione sia basata su un corrispondente decreto di perdizione”[3].

Qui Brunner sostiene appassionatamente, sebbene non coerentemente, la predestinazione “singola”. Vi sarebbe un decreto di elezione, ma non di riprovazione. La predestinazione avrebbe un solo aspetto - l’elezione. In questo contesto, la doppia predestinazione è “evitata” (o evasa) dal metodo dialettico. Il metodo dialettico che elude o aggira la coerenza logica, ha avuto un’influenza pervasiva nelle discussioni contemporanee sulla Doppia Predestinazione. Si manifesta ampiamente una crescente antipatia per la logica. Anche G. C. Berkhouwer sembra allergico a che la nozione di logica debba giocare un qualche ruolo nello sviluppare la nostra comprensione dell’elezione. Una cosa è costruire una teologia dell’elezione (o qualsiasi altro tipo di teologia) semplicemente sulla base della speculazione razionale, del tutto altra cosa è utilizzare la logica nel cercare di comprendere coerentemente la rivelazione biblica. Brunner sembra aborrire entrambe le cose.

Esaminiamo la “logica” della posizione del Brunner. Egli sostiene che: (1) esiste un divino decreto di elezione dal carattere eterno; (2) che il divino decreto ha uno scopo particolare (“Vi sono quelli che non sono eletti”); (3) eppure non vi è alcun decreto di riprovazione.

Consideriamone le implicazioni. Se Dio ha predestinato alcuni, ma non tutti, all’elezione, non ne consegue forse ciò che Lutero chiama “l’irresistibile logica” che alcuni non siano predestinati all’elezione? Se, come sostiene Brunner, ogni salvezza è fondata sull’eterna divina elezione e non tutti gli esseri umani sono eletti dall’eternità, non significa forse che dall’eternità vi sono non-eletti che certamente non saranno salvati? Non ha forse Dio dall’eternità scelto di non eleggere alcuni? Se è così, allora abbiamo una scelta eterna di non-elezione che chiamiamo riprovazione. Questa deduzione è chiara e necessaria, eppure vi è chi non è disposto a farla.

Una volta ho udito il un prominente teologo luterano sostenere la predestinazione “singola” nella maniera prima delineata. Ammetteva che la conclusione della riprovazione fosse logicamente ineludibile, ma rifiutava di trarne la deduzione conseguente, attenendosi fermamente alla predestinazione “singola”. Una tale nozione di predestinazione è chiaramente priva di senso.

Teoricamente vi sono quattro possibili tipi di predestinazione singola. (1) Predestinazione universale all’elezione (che Brunner non sostiene)[4]; (2) predestinazione universale alla riprovazione (che nessuno sostiene); (3) predestinazione particolare all’elezione con l’opzione di salvezza attraverso l’iniziativa autonoma da parte dei non eletti (Arminianismo qualificato), che Brunner espressamente respinge; e (4) predestinazione particolare alla riprovazione con l’opzione della salvezza attraverso l’iniziativa autonoma alla salvezza da parte di coloro che non sono reprobi (che nessuno sostiene).

L’unico altro tipo di predestinazione singola è quella di tipo dialettico, che è assurda. Una volta ho assistito alla discussione fra H. M. Kuitert, olandese, e Cornelius Van Til, del Seminario di Westminster. Kuitert si era addentrato in un lungo discorso sulla teologia, utilizzando il metodo dialettico. Terminato il suo discorso, Van Til con calma replica: “Ora mi esponga la sua teologia senza fare uso della dialettica, così la potrò capire!”. Kuitert non fu in grado di farlo. Con la concezione della predestinazione del tipo di Brunner, l’unico modo per evitare la “doppia” predestinazione è quello di far uso della doppiezza di linguaggio, affermare nello stesso tempo la presunta verità di cose in contraddizione fra di loro oscurando le questioni in gioco.

È così che la predestinazione “singola” può essere sostenuta solo nell’ambito dell’universalismo o di una qualche sorta di Arminianismo qualificato. Se si vuole sostenere l’elezione particolare e se la nozione che ogni salvezza si fonda alla fin fine su quella elezione particolare, allora dobbiamo parlare di doppia predestinazione.

La questione molto più vasta della “doppia” predestinazione è quella del rapporto fra l’elezione e la riprovazione rispetto alla natura dei decreti e la natura di come operano i decreti di Dio. Se per “doppia” predestinazione si intende una concezione simmetrica della predestinazione, allora dobbiamo sicuramente respingere tale concezione. Una tale concezione della “doppia” predestinazione sarebbe così solo una caricatura ed una seria distorsione della dottrina riformata della Predestinazione.

La di storsione della Doppia Predestinazione

La distorsione della Doppia Predestinazione presuppone che vi sia una simmetria fra l’elezione e la riprovazione. Dio opererebbe allo stesso modo e nella stessa maniera rispetto agli eletti ed ai reprobi. Vale a dire, dall’eternità Dio ha decretato l’elezione di alcuni e, sempre per sua iniziativa diretta, opera la fede nel loro cuore e li porta attivamente alla salvezza. Nel contempo, da ogni eternità Dio decreta che alcuni pecchino e siano dannati (destinare ad peccatum) ed attivamente opererebbe il peccato nella loro vita, portandoli alla dannazione per divina iniziativa. Nel caso degli eletti, la Rigenerazione è opera monergistica di Dio. Nel caso dei reprobi, il peccato e la degenerazione pure sarebbero opera monergistica di Dio. Questo equivale a dire che Dio, in maniera positiva[5] ed attiva interviene nella vita degli eletti per portarli alla salvezza; nel caso dei reprobi, il peccato e la degenerazione sarebbero pure l’opera monergistica di Dio. Detto in altro modo, potremmo stabilire un parallelismo di preordinazione e predestinazione attraverso una simmetria positiva. Chiamiamo questola concezione positiva-positiva della predestinazione, vale a dire, Dio interviene in maniera positiva ed attiva negli eletti per portarli alla salvezza. Allo stesso modo, Dio interviene in maniera positiva ed attiva nella vita dei reprobi per portarli a peccare.

La distorsione della predestinazione positiva-positiva rende chiaramente Dio l’autore del peccato che punisce una persona per fare ciò che Dio monergisticamente ed irresistibilmente costringe l’uomo a fare. Una tale concezione è un mostruoso assalto all’integrità di Dio. Questa non è la concezione riformata della Predestinazione, ma una caricatura grossolana ed inescusabile della dottrina. Una tale concezione può essere identificabile con ciò che viene in generale descritto come ipercalvinismo ed implica una forma radicale di supralapsarianismo.

Una tale concezione della predestinazione è stata universalmente e coerentemente respinta dai pensatori riformati.

La concezione riformata della Predestinazione

In netto contrasto con la caricatura della doppia predestinazione rilevata nello schema positivo-positivo, si pone la posizione della teologia riformata classica sulla Predestinazione. Secondo questa concezione, la predestinazione è doppia nel senso che implica sia l’elezione che la riprovazione, ma non è simmetrica rispetto alla modalità dell’azione di Dio. Si nega uno stretto parallelismo nell’operazione. Consideriamo piuttosto la Predestinazione nei termini di un rapporto positivo-negativo.

Secondo la concezione riformata Dio, da ogni eternità, decreta alcuni all’elezione ed interviene positivamente nella loro vita per operarvi Rigenerazione e Fede attraverso un’opera di grazia monergistica[6]. Ai non eletti Dio nega quest’opera monergistica di grazia passando loro oltre e lasciandoli a sé stessi. Egli non opera monergisticamente il peccato o l’incredulità nella loro vita. Anche nel caso dell’indurimento del cuore già recalcitrante dei peccatori, Dio, come afferma Lutero, “non opera il male in noi (perché indurire è operare il male) creando in noi nuovo male” [2]. Così continua Lutero:

“Quando gli uomini ci odono dire che Dio opera in noi sia il bene che il male, e che noi siamo soggetti all’opera di Dio per semplice passiva necessità, essi sembrano immaginare un uomo che in sé stesso sia buono e non cattivo e che veda Dio operare in lui il male. Essi non tengono sufficientemente conto come Dio sia incessantemente attivo in tutte le Sue creature, permettendo a nessuna di loro di conservarsi puro. Chi vuole comprendere queste questioni, però, dovrebbe pensare in questo modo: Dio opera in noi il male (cioè per nostro mezzo) non per colpa Sua, ma in ragione del nostro difetto. Noi siamo malvagi per natura[7] e Dio, essendo buono, quando ci costringe ad agire agendo su di noi secondo la natura della Sua onnipotenza, per quanto buono Egli sia in sé stesso, Egli non può che fare il male attraverso la nostra malvagia strumentalità; sebbene, secondo la Sua sapienza, Egli fa buon uso di questo male per la Sua gloria e per la nostra salvezza”[8].

Il modo di operare nella vita degli eletti non è parallelo con quelle operazioni nella vita dei reprobi. Dio opera la rigenerazione monergisticamente, ma mai il peccato. Il peccato cade nella categoria della concorrenza provvidenziale.

Un’altra differenza significativa fra l’attività di Dio rispetto all’eletto ed al reprobo riguarda la giustizia di Dio. Il decreto e l’adempimento dell’elezione fornisce misericordia per l’eletto, mentre l’efficacia della riprovazione fornisce al reprobo la giustizia. Dio manifesta sovranamente ed immeritatamente la Sua misericordia ad alcuni, e rende giustizia a quelli che nell’elezione vengono passati oltre. Vale a dire:Dio accorda la misericordia dell’elezione ad alcuni e giustizia agli altri. Nessuno rimane vittima di ingiustizia. Non ricevere misericordia non significa essere trattati ingiustamente. Dio non ha obbligo alcuno ad accordare a tutti misericordia. Di fatto Egli non è tenuto a dare misericordia ad alcuno. «Io avrò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione» (Romani 9:15). Non lo si può accusare di avere la prerogativa di concedere volontariamente misericordia. Se Dio fosse tenuto, in virtù di qualche legge cosmica a Lui superiore, di essere misericordioso verso tutti, allora dovremmo concluderne che la giustizia esige la misericordia. Se fosse così, allora la misericordia non sarebbe più volontaria, ma dovuta. Se la misericordia fosse dovuta, non sarebbe più misericordia, ma giustizia. Ciò che Dio non fa è peccare rendendo ingiustizia al reprobo. È solo considerando l’elezione e la riprovazione come asimmetriche nei termini di uno schema positivo-negativo Dio può essere esonerato dall’ingiustizia.

Le confessioni di fede riformate

Passando brevemente in rassegna le Confessioni di fede riformate e menzionando i teologi della fede riformata che ne parlano, potremo subito vedere come la doppia predestinazione sia stata coerentemente mantenuta lungo le linee dello schema positivo-negativo.

Prima Confessione elvetica (1536)

“La nostra salvezza viene da Dio; da noi altro non viene che peccato e dannazione” (Art. 9).

Confessione di fede gallicana (1559)

“Noi crediamo che da questa generale corruzione e condanna in cui sono immersi tutti gli uomini Dio ritira coloro che egli, secondo il suo eterno e immutabile consiglio, ha eletto per sua sola bontà e misericordia nel nostro Signore Gesù Cristo, senza alcuna considerazione per le loro opere. Noi crediamo che Egli lasci gli altri in questa stessa corruzione e condanna, per mostrare in essi la sua giustizia, come nei primi fa risplendere le ricchezze della sua misericordia. In effetti, gli uni non sono migliori degli altri finché Dio non li distingue secondo il suo immutabile disegno che egli ha stabilito in Gesù Cristo prima della creazione del mondo e nessuno, d'altronde, potrebbe introdursi ad un tale bene con le sue proprie forze, visto che per natura noi non possiamo avere un solo buon movimento, sentimento o pensiero, fino a quando Dio non ci abbia anticipati e ci abbia a ciò disposti” (Art. 12).

Confessione di fede belga (1561)

“Noi crediamo che, essendo tutta la stirpe di Adamo in tal modo precipitata nella perdizione e nella rovina per il peccato del primo uomo, Dio si è dimostrato quale egli è, cioè misericordioso e giusto: misericordioso, nel ritirare e salvare da questa perdizione coloro che nel suo consiglio eterno e immutabile egli ha eletto e scelto per sua pura bontà in Gesù Cristo nostro Signore, senza alcun riguardo per le loro opere; giusto, nel lasciare gli altri nella loro rovina e caduta in cui essi si sono precipitati” (Art. 16).

Confessione elvetica posteriore (1566)

“Infine, quando si dice nelle Scritture o sembra che Dio faccia qualche male, questo non significa che l’uomo non fa alcun male, ma che Dio, nel suo giusto giudizio, tollera che il male sia fatto e non lo impedisce, male che tuttavia egli avrebbe potuto impedire se lo avesse voluto, o perché fa ben usare del male degli uomini, come si è servito dei peccati dei fratelli di Giuseppe, o perché egli governa i peccati degli uomini, affinché non debordino oltre il necessario. A questo proposito, s. Agostino, nel suo Enchiridion (2), dice: “Anche ciò che si compie contro la volontà di Dio, in un modo meraviglioso e ineffabile non si realizza affatto indipendentemente dalla sua volontà; non avverrebbe, infatti, se egli non permettesse che avvenisse. Ora egli non lo permette per forza, ma di sua spontanea volontà. E colui che è sommamente buono non permetterebbe che avvenisse il male se non perché, essendo onnipotente, può trarre il bene dal male” (Art. 8).

Confessione di fede di Westminster (1643)

“Come Dio ha destinato a gloria gli eletti, così pure Egli, con il liberissimo ed eterno proposito della Sua volontà, ha preordinato tutti i mezzi conseguenti [per giungere a quel fine]. Per cui, gli eletti, essendo decaduti in Adamo, sono redenti da Cristo); sono a tempo opportuno efficace­mente chiamati alla fede in Cristo tramite l'opera del Suo Spirito; vengono giustificati, santificati, nonché custoditi dalla Sua potenza mediante la fede a salvez­za. Nessun altro se non gli eletti sono redenti in Cristo, chiamati efficaceme­nte, giustificati, adottati, santificati e salva­ti (Art. 6). “Secondo l'inscrutabile consiglio della Sua volontà, per il quale Egli accorda o trattiene la [Sua] misericordia come vuole, per la gloria della Sua potenza sovrana sulle Sue creature, è piaciuto a Dio di tralasciare il resto del genere umano e ordinarlo ad ignominia e ad ira per il suo peccato, a lode della Sua gloriosa giustizia. (Art. 7).

Questi esempi scelti dalle formule confessionali della Riforma indicano la cura con cui sia stata trattata la dottrina della doppia predestinazione. L’espressione asimmetrica dell’aspetto “doppio” è stata chiaramente mantenuta. Questo è coerente con la cura manifestata attraverso la storia della Chiesa. Lo stesso attento delineamento può essere notato in Agostino, Tommaso d’Aquino, Lutero. Calvino, Zanchi, Turrettini, Edwards, Hodge, Warfield, Bavinck, Berkhouver e altri.

Preordinazione alla Riprovazione

Nonostante la distinzione fra positivo e negativo rispetto alla modalità dell’attività di Dio verso gli eletti ed i reprobi, siamo lasciati con la spinosa questione di Dio che predestina il reprobo. Se Dio, in un senso qualsiasi, predestina o preordina la riprovazione, non renderebbe il rifiuto di Cristo da parte del reprobo assolutamente certo ed inevitabile? E se la riprovazione del reprobo è certa alla luce della predestinaziome, non rende forse Dio responsabile del peccato del reprobo? Dobbiamo rispondere affermativamente alla prima domanda, e negativamente alla seconda.

Se Dio preordina qualunque cosa, è assolutamente certo che ciò che preordina accadrà. I propositi di Dio non possono mai essere frustrati. Anche la prescienza di Dio rende certi i futuri eventi rispetto al tempo. Vale a dire, se Dio sa che venerdì io mi recherò in città, non c’è alcun dubbio che venerdì io vi andrò. Altrimenti la conoscenza di Dio sarebbe in errore. Eppure, vi è una differenza significativa fra il conoscere di Dio che io mi recherò in città e che Dio ordini che io ci debba andare. Teoricamente Egli potrebbe conoscere un atto futuro senza ordinarlo, ma Egli non potrebbe ordinarlo senza sapere che cosa sia che Egli ordini. In ciascun caso, però, l’evento futuro sarebbe certo rispetto al tempo ed alla conoscenza di Dio.

Lutero, nel discutere il tradimento di Giuda, dice:

“Non ho forse scritto in molti libri che io sto parlando della necessità dell’immutabilità? Io so che il Padre genera volontariamente e che Giuda ha tradito Cristo volontariamente. Il punto è che quest’atto della volontà in Giuda era certamente ed infallibilmente tenuto ad avvenire. Se Dio lo preconosceva. Questo vale a dire (se ciò che voglio dire non è ancora chiaro), che io distiguo due necessità: una la chiamo necessità di forza (necessitatem violentiam) in riferimento all’azione; l’altra la chiamo necessità di infallibilità (necessitatem infallibilem) in riferimento al tempo. Che chi mi ode comprenda che sto parlando di quest’ultima, non della prima; cioè non sto discutendo se Giuda sia diventato un traditore volontariamente o involontariamente, ma se era infallibilmente doveva avvenire che Giuda avesse volontariamente tradito Cristo in un tempo predeterminato da Dio”[9].

Vediamo allora che ciò che Dio conosce anticipatamente avviene per necessità o infallibilmente o per necessità di immutabilità. Che dire però del Suo preordinare o predestinare ciò che avviene? Se Dio preordina la riprovazione, forse che questo non cancella la distinzione fra positvo e negativo ed implica una necessità di forza? Se Dio preordina la riprovazione, non significa forse che Dio forzi, costringa, coerciti il reprobo a peccare? Ancora, la risposta deve essere negativa.

Se Dio, quando decreta la riprovazione, lo fa in considerazione che il reprobo è già decaduto, allora non lo costringe a peccare. Essere reprobato significa essere lasciato nel peccato, non spinto o forzato a peccare. Se il decreto della riprovazione fosse fatto indipendentemente dalla caduta, allora l’obiezione alla predestinazione sarebbe valida e Dio potrebbe essere propriamente accusato di essere l’autore del peccato. I teologi riformati, però, sono stati attenti ad evitare tale idea blasfema. Berkouver delinea chiaramente i limiti della discussione:

“Da una parte, vogliamo preservare la libertà di Dio nell’elezione, e dall’altra vogliano evitare ogni conclusione che possa rendere Dio causa di peccato e di incredulità”[10].

Il decreto di Dio di riprovazione, dato alla luce della Caduta, è un decreto di giustizia, non di ingiustizia. In questa prospettiva si salvaguarda l’apriori biblico che Dio non sia né la causa né l’autore del peccato. Tuttettini dice: “Abbiamo provato che l’oggetto della predestinazione è l’uomo considerato come caduto: il peccato deve necessariamente essere presupposto come condizione in colui che à riprovato non meno che in colui che è eletto”[11].

In un altro luogo egli scrive: “L’atto negativo include due cose, sia la preterizione, per la quale l’elezione di alcuni, sia alla gloria che alla grazia, Dio ha negletto ed ignorato altri, il che è evidente dall’avvenimento dell’elezione, e la diserzione negativa, per la quale egli li ha lasciati nella massa corrotta e nella loro miseria; il che, però, deve essere compreso: (1) Che essi non solo esclusi dalle leggi della provvidenza comune, ma rimangono loro soggetti, né sono privati dell’immediato favore divino, ma solo del salvare e del vivificare che è il frutto dell’elezione; (2) che la preterizione e la diserzione, non indubbiamente dalla natura della preterizione e della diserzione stessa, e la forza della grazia negata stessa, ma dalla natura del libero arbitrio corrotto, e dalla forza in essa della corruzione, come colui che non cura la malattia di un malato, né è la causa di per sé della malattia, né del risultato che ne consegue; così i peccati sono le conseguenze piuttosto che gli effetti della riprovazione, necessariamente portano la futurizione dell’avvenimento, ma non infondono né producono la malvagità”[12].

L’importanza di vedere il decreto della riprovazione alla luce della Caduta è visibile nelle discussioni in corso fra i teologi riformati al riguardo dell’infra- e del supralapsarianismo. Entrambi i punti di vista includono la Caduta nel decreto di Dio. Entrambe considerano il decreto di preterizione nei termini di un permesso divino. La vera questione fra le posizioni riguarda l’ordine logico dei decreti. Nella concezione supralapsaria il decreto dell’elezione e della riprovazione è logicamente antecedente al decreto di permettere la Caduta. Nella concezione infralapsaria il decreto di permettere la Caduta è logicamente precedente al decreto dell’elezione e della riprovazione.

Sebbene io propenda per la concezione infralapsaria nelle linee sviluppate dal Turrettini, è importante notare come entrambe le concezioni considerino l’elezione e la riprovazione alla luce della Caduta ed evitino l’orribile conclusione che Dio sia l’autore del peccato. Entrambe le concezioni proteggono i confini menzionati dal Berkhouwer.

Sono in uno schema positivo-positivo della predestinazione la doppia predestinazione ci lascia con una divinità capricciosa i cui decreti sovrani manifestano una tirannia divina. La teologia riformata ha coerentemente evitato un tale iper-supralapsarianismo. Gli oppositori del Calvinismo, però, costantemente fanno una caricatura dell’iper-lapsarianismo trasformandolo in un argomento fantoccio[13] per attaccare tutto il sistema teologico calvinista, facendo così violenza alla fede riformata e offendendo la dignità della sovranità di Dio.

Ci rallegriamo della chiarezza biblica che rivela la sovranità di Dio in termini maestosi. Ci rallegriamo nella conoscenza della divina misericordia e grazia che sono andate a tali estremi da redimere gli eletti. Ci rallegriamo che la gloria e l’onore di Dio siano manifestate sia nella Sua misericordia che nella Sua giustizia.

Soli Deo Gloria.

Note

[1] http://www.the-highway.com/DoublePredestination_Sproul.html

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Emil_Brunner

[3] Emil Brunner, The Christian Doctrine of God (Philadelphia: Westminster Press, 1950), p. 326.

[4] Tutti sarebbero eletti. Se tutti fossero eletti, però, il termine stesso ‘elezione’ non avrebbe senso, perché eleggere vuol dire scegliere alcuni e lasciare altri.

[5] Poṡitivo agg. [dal lat. tardo positivus, propr. «che viene posto». In generale, che è posto come dato sul piano della realtà oggettuale, e come ciò che è affermato, prescritto sul piano logico e giuridico. Che è statostabilito per istituzione divina o umana, quindi per atto di una libera volontà (distinto da naturale e da necessario): legge p., sanzionata da un legislatore; diritto p., l’insieme delle norme che costituiscono l’ordinamento giuridico effettivamente vigente in uno stato; religione p., quella che ha un’origine storica determinata nella persona di un iniziatore e che si sviluppa storicamente nel tempo dandosi proprie strutture e istituzioni.

[6] Di cui lui è l’unico attore, l’unico ad operare.

[7] Natura aquisita a causa del nostro peccato di ribellione.

[8] Martin Luther, The Bondage of the Will (Westwood: Fleming H. Revell, 1957), p. 206.

[9] Ibid., p. 220.

[10] G. C. Berkouwer, Divine Election (Grand Rapids: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1960), p. 181.

[11] Francois Turrettini, Theological institutes (Typescript manuscript of lnstitutio Theologiae Elencticae, 3 vols., 1679-1685), trans. George Musgrave Giger. D.D., p. 98.

[12] Ibid., p. 97.

[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Argomento_fantoccio