Storia/Storia dei Valdesi/I valdesi dopo il 1848

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I valdesi dopo il 1848

Perchè la storia dei Valdesi non termina col 1848 — Il motto che è monito e programma — L'opera di diffusione in Italia — Emigrazione e colonie — Il patriottismo dei Valdesi — Testimonianze autorevoli — Qual’è la grandezza che i Valdesi augurano alla Patria.

Non appena furono « ammessi a godere tutti i diritti civili e politici » degli altri cittadini, i Valdesi, com'era naturale, s'avviarono nelle varie carriere liberali che per l'innanzi erano rimaste loro chiuse, ed in tutte fecero ottima prova; si distinsero quali professionisti, industriali, commercianti, ufficiali superiori dell'esercito, membri delle amministrazioni comunali e provinciali anche fuori del Piemonte. E così si sparsero man mano in tutta Italia ed all'estero. Tuttavia, il loro libero espandersi nella vita civile della nazione non li condusse ad un totale assorbimento, né segnò la fine della loro storia. Perché la storia dei Valdesi non termina con l'anno 1848? Perché essi sono rimasti sempre uniti dal vincolo della fede comune, che è ancor più saldo e profondo che il vincolo del sangue: seppero e vollero ubbidire ad un impulso santo e generoso, consacrandosi ad una missione rispondente al loro passato glorioso.

Innalzati alla dignità di liberi cittadini, i Valdesi si resero conto che, nel proteggere in modo così meraviglioso e durante tanti secoli un popolo piccolo e debole e fieramente osteggiato dai potenti, la Divina Provvidenza altro fine non aveva avuto che di farne un testimone vivente della verità evangelica ed uno strumento nelle sue mani per il progresso morale ed il rinnovamento spirituale della patria italiana. Non dimenticarono i tempi in cui i loro Barba a due a due percorrevano la penisola recando alle anime affamate il nutrimento che solo le poteva saziare e spargendo ovunque, con mille stenti e fra mille pericoli, il lieto annunzio dell'Evangelo. Ricordarono che il loro stemma secolare —un candeliere circondato dalle sette stelle simboliche — reca un motto ch'è tutto un programma ed è un monito al tempo stesso: Lux lucet in tenebris [«La luce splende nelle tenebre» (Giovanni 1:5)]. Compresero, insomma, che sarebbe stato un tradimento ed un suicidio il sottrarsi alla missione cui Dio li aveva chiamati e preparati: portare la fede dell'Evangelo al popolo italiano e vendicarsi cristianamente dei lunghi patimenti sofferti additando ai figli dei loro persecutori quel Redentore che è il solo datore e garante di vittoria, di pace, di felicità vere e durature!

Non faremo che accennare alla diffusione dell'opera valdese in Italia in questi ultimi novant'anni. Fin dal 1848 i Valdesi tentarono, mediante alcuni loro giovani pastori, le prime ardue prove di evangelizzazione in Toscana, collegandosi con un gruppo di ferventi evangelici di Pisa e di Firenze, fra i quali spiccava la nobile figura del conte Piero Guicciardini, e con gli svizzeri quivi residenti. Ma la reazione politica del 1849 spezzò momentaneamente quello slancio magnifico. L'opera, per poco interrotta sulle rive dell’Arno, fu invece proseguita vigorosamente in Piemonte ed in Liguria, tanto che a Torino poté inaugurarsi nel 1853 un bellissimo tempio ed altri, pochi anni dopo, a Nizza marittima ed a Genova. Poi, via via che le guerre d'indipendenza univano nuove Provincie al risorto Regno d'Italia, i Valdesi aprivano locali di culto nei maggiori centri: in Lombardia, in Toscana, in Sicilia, nel Napoletano, negli Abruzzi, nel Veneto e finalmente a Roma. Qui, nella capitale d'Italia, dove fu tenuto il primo culto evangelico il 9 ottobre 1870 in una sala dell'Albergo dell'Universo (in via del Gambero), i fedeli appartenenti alla Chiesa Valdese offrono ora il loro culto a Dio e predicano le eterne verità dell'Evangelo in due vasti templi, uno in via Quattro Novembre (vicino a Piazza Venezia) e l'altro in Piazza Cavour (non lungi dal Ponte S. Angelo che ricorda il rogo del pastore valdese G. L. Pascale). Così pure in tutte le città principali ed in molti piccoli centri — dalle Alpi agli Abruzzi, alle Puglie e al centro della Sicilia — si sono costituiti gruppi di evangelici valdesi che testimoniano della loro fede cristiana. Quest'opera è stata fiancheggiata dal contributo non trascurabile recato all'istruzione e all'educazione delle classi popolari mediante l'apertura di gran numero di scuole elementari,che furono apprezzatissime. Per quanto riguarda l'istruzione, oltre al Liceo-Ginnasio pareggiato di Torre Pellice, i Valdesi hanno fondato nel 1855 un Istituto Superiore, una Facoltà di Teologia la quale è rimasta in tutto questo periodo l'unico Istituto che nel nostro paese abbia coltivato gli studi religiosi con criteri scientifici: v'insegnarono uomini di grande erudizione e la cui fama si estese anche all'estero,quali i professori Paolo Geymonat, Alberto Revel, Emilio Comba, Enrico Bosio. Dopo oltre sessant'anni di prospera vita a Firenze, la Facoltà Teologica è stata trasferita a Roma nell'anno 1922. Accanto ai templi, alle pubblicazioni, alle associazioni giovanili, agli istituti d'istruzione, stanno a testimoniare del vigoroso sviluppo della Chiesa Valdese in Italia una quantità di istituti di beneficenza: Ospedali, Orfanotrofi femminili e maschili, Convitti, Asili per i vecchi ed anche un Rifugio per incurabili poveri. Secondo la Costituzione della Chiesa Valdese, l'Autorità amministrativa e rappresentativa è un Comitato che conserva il nome storico di Tavola, Ente Morale «ab immemorabili»; si compone di sette membri (cinque pastori e due laici) eletti annualmente dal Sinodo. Il Presidente della Tavola Valdese si chiama Moderatore. Il Sinodo, che è la suprema Assemblea legislativa, si compone di ministri e di laici in numero uguale e si raduna ogni anno la prima settimana di settembre nella Casa Valdese di Torre Pellice, edificata a tal fine.

A motivo dell'esuberanza della popolazione nelle Valli, diverse migliaia di Valdesi stono man mano emigrati all'estero. Parecchi sono andati a stabilirsi nella Francia meridionale e nella Svizzera, e più ancora negli Stati Uniti d'America; in quest'ultimo paese dì solito essi finiscono per assumere la cittadinanza americana e aderiscono alle chiese evangeliche locali. Vi si notano, tuttavia, le colonie valdesi agricole, di Monett, nello Stato del Missouri, e di Valdese, nella Carolina del Nord. Di gran lunga più numerose e più importanti sono le colonie impiantate nell'Uruguay e nella Repubblica Argentina. Esse sono floridissime: annoverano circa quindicimila Valdesi, distribuiti in vaste parrocchie, con templi e pastori propri, sempre unite alla Chiesa Valdese madre, la quale non cessa d'interessarsi vivamente alle sorti di quelle lontane colonie.

Giunti al termine di questa breve storia dei Valdesi, ci sia permesso di mettere in giusto rilievo il loro Patriottismo. Invero, essi ne sono fierissimi. Non è patriottismo di marca recente, poiché in ogni periodo delle loro vicende secolari si dimostrarono animati dai più elevati sentimenti d'amor patrio, non smentendo mai il carattere purissimo della loro italianità. Abbiamo ricordato nel capitolo precedente le nobili parole con cui Terenzio Mamiani li aveva lodati perché «l'antica madre mai non vollero sconoscere». Ascoltiamo adesso Edmondo De Amicis: «Nonostante le mille persecuzioni, e le guerre spietate, e i lunghi esili, che avrebero dovuto spezzare intorno a loro ogni legame e soffocare nel loro animo ogni altro affetto fuorché l'amore dei propri monti e l'orgoglio della propria storia, essi si mantennero sempre italiani nel cuore, e, come furono del vecchio Piemonte, sono ancora una delle provincie più nobilmente patriottiche della nuova Italia” [Alle Porte d'Italia, p. 164. Non meno di cento pagine di quel magnifico libro trattano dei Valdesi; sono i capitoli intitolati « La Ginevra Italiana» e Le Termopili Valdesi». In segno di gratitudine, il 20 settembre 1922, fu eretto a Torre Pellice un busto di Edmondo De Amicis, modellato da Leonardo Bistolfi]. Non sarà inopportuno citare alcune altre testimonianze d'illustri personalità non valdesi. Vittorio Emanuele II, primo re d'Italia, rispondeva nel 1849 ad una delegazione della Tavola Valdese: «Amo i Valdesi. Sono sudditi fedeli e soldati valorosi; dite loro che possono fare assegnamento su di me, come io faccio assegnamento su di loro». Umberto I, il Re Buono, manifestò in diverse circostanze il suo animo paterno verso i Valdesi, come per esempio in occasione della erezione della Casa Valdese di Torre Pellice. Citeremo soltanto una delle sue parole; nel 1897 egli diceva a una delegazione valdese ricevuta in udienza: «Vorrei che tutti fossero come i Valdesi: istruiti, onesti, laboriosi». Uno dei Valdesi presenti rispose pronto: «Purtroppo, Maestà, non lo siamo abbastanza». Del nostro Sovrano attuale, Vittorio Emanuele III, non occorre riferire alcuna dichiarazione particolare, perché il costante atteggiamento benevolo di Lui e di tutta la Reale Famiglia nei riguardi dei Valdesi, è una eloquente testimonianza resa alla devota fedeltà ed al carattere austero di quelle «italianissime popolazioni». Fra gli storici, citiamo F. Gabotto: «popolo valdese, piccolo di gente, grande d'affanni, grande di fede, grande d'ideale, esempio ai codardi che piegano, ammaestramento ai potenti che opprimono, faro di gloria e di lealtà alla Patria e al Re!» [Discorso pronunziato a Bricherasio all’inaugurazione d'una lapide in onore di G. B. Cachorano, vincitore della battaglia dell'Assietta]. Fra i professori universitari, il Rettore magnifico dell'Università di Torino, in un discorso pronunziato nel 1918 a Torre Pellice: «La data del XVII febbraio rivela un'intima connessione tra il pensiero dì liberi credenti e la fede nei destini d'Italia, sacri l'uno e l'altro ai Valdesi; è la celebrazione d'una vittoria del diritto, conquistata con lunghi patimenti, con lotte tenaci, con fede incrollabile». Fra i giudizì espressi dai più alti ufficiali dell’Esercito, basti riprodurre quello del generale Giuseppe Perrucchetti, creatore delle Compagnie Alpine, il quale scriveva nella rivista «La Lettura» (luglio 1915): «Nelle vallate tra il Monviso e il Tabor brilla da secoli glorioso il nome dei Valdesi, discesi da antichissime genti, affermatesi fieramente fra le Alpi. Costanti nella religione serbata con la evangelica semplicità di tempi cristiani, fedeli ai loro legittimi principi, essi furono irremovibili ogni volta che la Chiesa di Roma o gli stessi Principi, da quella incitati, minacciarono la libertà della loro coscienza». Particolare importanza ha l'opinione di eminenti uomini politici. Ci limiteremo a tre citazioni altamente significative. Camillo Cavour esprimeva il 15 febbraio 1848 nel suo giornale «Il Risorgimento» la certezza «che non sarebbero negati i comuni diritti a una classe numerosa di cittadini a nessun'altra inferiore per virtù private, per devozione al trono, per sincero amore dell'ordine e della libertà». Circa, ottanta anni più tardi l'on. Paolo Boselli pronunziava nel Senato del Regno queste frasi: «I Valdesi, dotti e austeri, memorabilmente costanti nelle eroiche prove sue vie dell'esilio e sui loro monti insanguinati, ora duramente oppressi, ora favoriti, sempre pronti a morire da prodi per la loro Fede, come per il Principe e per la Patria... [Relazione sul Disegno di Legge per i Culti Ammessi (20 Giugno 1929)]. Infine, Benito Mussolini, Capo del Governo e Duce del Fascismo: «Io so che i Valdesi sono italiani di razza, e di cuore, e sono ammiratore della loro storia per la tenacia, per i sacrifizi, per lo spirito d'idealità che essi hanno dimostrato» [Al senatore Davide Giordano. Discorso per l'inaugurazione del monumento a Enrico Arnaud, Torre Pellice, 1926, p. 23]. Ed invero, non solo in, tempo di pace e nelle successive fasi del risorgimento nazionale il popolo valdese dimostrò di che tempra fosse il proprio patriottismo, ma altresì durante, la guerra mondiale i suoi figli combatterono da prodi, offrendo alla Patria, con mirabili prove di valore, non lievi sacrifici di sangue. Ovunque essi seppero farsi onore per la calma fermezza dimostrata nell'adempimento dell'aspro dovere. Fu pertanto elevatissima tra i combattenti valdesi la percentuale dei decorati al valore — e valga per tutti la menzione dell'eroico maggiore Giovanni Ribet, caduto sul Carso, decorato di medaglia d'oro e di, quattro di argento — e non meno alta è stata la percentuale dei mutilati, degli invalidi, dei caduti. Alla memoria di questi ultimi, in ogni più modesto comune delle Valli è sorto un monumento; ma la Chiesa Valdese volle ricordarli tutti insieme, mediante l'erezione di due Convitti, uno a Torre Pellice ed a Pomaretto l'altro, che fossero pia ricordanza d'una forte gioventù eroicamente caduta e al tempo stesso incitamento per la nuova gioventù risorgente verso un ideale di verità, di giustizia e di bontà. Durante la loro lunga storia travagliata, i Valdesi hanno dunque dimostrato di avere avuto sempre due oggetti supremi al loro amore: l'Evangelo e la Patria. I Valdesi amano sinceramente l'Italia, d'un amore che non si dimostra soltanto in tempo di guerra e con le mani armate contro altre nazioni. La vogliono grande, la vogliono forte ; ma ben sanno che la vera grandezza di una nazione è grandezza morale e spirituale: qui soltanto sta l'arra e la condizione d'ogni forza non illusoria e d'ogni reale progresso. Onde i Valdesi ad altro non mirano che a cooperare, secondo le proprie possibilità, al progresso spirituale del popolo italiano ed alla sua educazione morale, mediante la diffusione della conoscenza dell'Evangelo di Cristo.