Predicazioni/Atti/Le responsabilità globali del cristiano

Da Tempo di Riforma Wiki.
Versione del 9 mag 2025 alle 19:40 di Pcastellina (discussione | contributi) (Creata pagina con "Ritorno ---- == Le responsabilità globali del cristiano == <blockquote>Il termine “globalizzazione” è divenuto oggi di uso comune soprattutto per indicare le ambizioni di potentati economici e politici di governare il mondo intero risolvendo, a loro dire, i suoi molti problemi. Come? Omologandoci e trasformandoci tutti in consumatori e servi fedeli attraverso strumenti di controllo autoritari. Il termine “globalizzazione”, però, non è n...")
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


Le responsabilità globali del cristiano

Il termine “globalizzazione” è divenuto oggi di uso comune soprattutto per indicare le ambizioni di potentati economici e politici di governare il mondo intero risolvendo, a loro dire, i suoi molti problemi. Come? Omologandoci e trasformandoci tutti in consumatori e servi fedeli attraverso strumenti di controllo autoritari. Il termine “globalizzazione”, però, non è negativo di per sé stesso. La fede cristiana è “globalizzante” perché l’umanità è una e per sopravvivere deve collaborare. Quali sono i princìpi su cui si basa l’Evangelo biblico, perché e come ci può portare a vivere in armonia? Lo vedremo sommariamente oggi a partire dal testo di Atti 11:1-18.

Globalizzazione

Che l’umanità sia una e che, se vuole sopravvivere, non abbia alternative al cooperare pacificamente, come cristiani è un dato assodato, fondante. Potrebbe essere diversamente? Noi tutti, abbiamo, infatti, un unica sorgente, Dio Creatore, e, come umanità, dobbiamo assolvere insieme i compiti che Egli ci ha affidato: in questo sta il senso della nostra vita. Le Sacre Scritture affermano: “Egli [Dio] ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazione” (Atti 17:26). È iI peccato, la ribellione all'ordinamento di Dio, che ci rovina e che pregiudica il nostro comune destino di creature fatte a Sua immagine e somiglianza. In Cristo Gesù, che la Scrittura chiama “l’uomo nuovo”, potremo trovare la nostra redenzione, le basi stesse dell’unità e ciò che ci metterà in grado effettivamente di cooperare. E questo pur nella varietà delle nostre differenze azionali e culturali che, di fatto, sono una ricchezza, così come multiforme e vario è il creato stesso. Quella cristiana è una prospettiva globale.

La presa di coscienza sull’unità del genere umano e della necessità di cooperare tutti insieme in questo mondo è qualcosa che oggi si sta faticosamente affermando: la “globalizzazione” non è in sé stessa un concetto negativo, ma diverse sono le ricette e i modelli che vengono proposti per raggiungerla. Quello che passa per "progresso" spesso oggi nasconde, progetti di omologazione culturale ed economica gestiti da pochi attori potenti. Pensiamo alle grandi organizzazioni che vorrebbero plasmare il discorso globale, dal World Economic Forum alle fondazioni finanziate da miliardari. Promuovono un mondo senza confini, ma secondo regole scritte da loro. Parlano di inclusione, ma creano dipendenze. Sostengono di difendere la diversità, mentre impongono modelli standardizzati di pensiero e consumo. Il paradosso è evidente: più si celebra il "globale", più si svuotano le identità e varietà locali. Le lingue minoritarie, ad esempio, vengono fatte scomparire, le economie di territorio soffocate, le tradizioni diventano folclore da vendere ai turisti. Eppure, un’autentica unità del genere umano non dovrebbe forse partire proprio dal rispetto delle differenze? Il vero dialogo tra culture non ha bisogno di cancellare confini naturali, ma di riconoscerli – per poi costruire ponti volontari, non obbligati. Collaborare su grandi temi di comune interesse è necessario, ma non deve significare consegnare il potere a istituzioni non elettive o a gruppi di pressione finanziaria. Siamo tutti interdipendenti. Non si può più oggi parlare  in termini locali come se si potesse dire: “Noi pensiamo ai fatti nostri, ai nostri interessi, e  poi gli altri si aggiusteranno”. Siamo inscindibilmente legati a tutti gli altri nel mondo,  non possiamo prescindere più dagli altri.

E’ certo necessario custodire come un bene prezioso la nostra identità e cultura locale ma dobbiamo saperla pure armonizzare con tutti gli  altri, avere con loro legami di cooperazione e solidarietà. Locale e globale non devono e non possono essere in contraddizione, allo stesso modo  in cui devono essere tenuti assieme valori come la diversità e l’unità. Esiste un localismo  sbagliato ed egoista, ed esiste pure una globalizzazione sbagliata ed ingiusta quando uno,  per esempio, voglia dominare su tutti. In ogni caso la globalizzazione, rettamente intesa, è  un valore positivo.

La fede cristiana che noi professiamo è indubbiamente “globalizzante” e porta allo suo stesso  cuore il concetto di missione a livello mondiale. Benché la fede cristiana debba essere diligentemente coltivata a livello locale, essa ha caratteristiche ed interessi globali. Autonomia  locale insieme a cooperazione federativa allargata è parte qualificante della teologia biblica  e riformata. La fede cristiana, infatti, non può in  alcun modo essere considerata una “religione locale”, espressione culturale di un particolare popolo o nazione. Essa non è “la religione dell’Occidente”, benché essa inizialmente si  sia ben consolidata in Europa e poi in America. E’ nata nell’Asia occidentale, ma elemento  essenziale, determinante e qualificante della fede cristiana è la sua vocazione globale. Il  Grande Mandato missionario, dato dal Signore Gesù alla Sua Chiesa prima della Sua ascensione, è inequivocabile ed ineludibile: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Matteo  28:19-20). Questo è ciò che il Signore Gesù continua a comandarci.

Non un movimento nazionalista

Il libro degli Atti degli Apostoli ci presenta il nucleo originale e fondante della chiesa cristiana. Dopo la Sua morte e risurrezione, il Signore Gesù  aveva loro chiesto di rimanere a Gerusalemme, ma solo per attendervi quel che, investendoli, avrebbe dato loro forza e determinazione per portare la  Parola e l’opera di Gesù a tutto il mondo. Gesù, infatti, aveva detto loro: “... avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (Atti 1:8). Notate bene quel: “fino agli estremi confini della terra”.

All’inizio alcuni avrebbero voluto che il Cristianesimo fosse solo un movimento di riforma limitato alla nazione di Israele, un movimento  nazionalistico, etnocentrico, locale. Alcuni fra loro parlavano della superiorità di Israele su tutte le altre nazioni, ambivano alla supremazia politica e militare, magari esaltando le conquiste conseguite al tempo di Davide.  Si trattava però di un grave equivoco. Israele doveva essere – nei propositi di Dio – strumentale all’estensione del regno e delle benedizioni di Dio a tutto il mondo. Il  Signore Gesù si poneva nell’autentica linea di Abraamo, attraverso il quale tutte le nazioni del mondo sarebbero state benedette: l’estensione a tutto il mondo del  beneficio della Sua Persona ed opera.

Il testo biblico

Al tempo di Gesù, gli altri popoli, le genti, erano per gli israeliti tradizionali, gente impura ed indegna, pagani idolatri da condannare, dai quali ritenevano solo doverne stare alla larga! Il mandato globale che Gesù aveva dato ai Suoi discepoli incontrava di fatto – nel loro stesso ambito, molte resistenze. Sarebbe stata necessaria per lo stesso Pietro una visione da parte del Signore che gli avrebbe comunicato una verità essenziale, quella che: “Le cose che Dio ha purificate, non le fare tu impure” (Atti  11:9) e di questo egli stesso avrebbe dovuto persuadere chi – nella Chiesa – ancora  faceva resistenza. Ascoltiamo parte di questo episodio nel libro degli Atti.

“Ben presto la notizia che anche i pagani si stavano convertendo raggiunse gli apostoli e gli altri credenti che vivevano in Giudea, perciò, quando Pietro tornò a Gerusalemme, i cristiani di origine ebraica, lo rimproverarono. «Tu hai fatto lega con i pagani ed hai perfino mangiato con loro!» lo accusavano. Allora Pietro raccontò loro come erano andate le cose. «Un giorno a Giaffa», disse, «mentre stavo pregando, ebbi una visione: un enorme lenzuolo tenuto per i quattro capi scendeva dal cielo. Dentro il lenzuolo c'erano tutti i tipi di animali, di bestie selvatiche, di rettili e di uccelli (che per legge noi non dobbiamo mangiare). Poi ho udito una voce che mi diceva: "Uccidi e mangia tutto ciò che vuoi". Ma io risposi: "No davvero, Signore, perché non ho mai mangiato niente che fosse proibito dalle nostre leggi!". Ma la voce parlò di nuovo: "Non chiamare impuro ciò che Dio ha dichiarato puro!". Questo accadde per tre volte, poi il lenzuolo con tutto ciò che conteneva fu sollevato di nuovo verso il cielo. Proprio in quel momento tre uomini, che erano venuti per portarmi con loro a Cesarèa, arrivarono alla casa dove stavo. Lo Spirito Santo mi disse di andare con loro, senza esitazione, anche se erano stranieri. Con me vennero anche questi nostri fratelli, e insieme giungemmo alla casa dell'uomo che mi aveva mandato a chiamare. Egli ci raccontò di aver visto in casa sua un angelo che gli diceva: "Manda qualcuno a Giaffa a cercare Simon Pietro. Egli ti dirà come potete essere salvati, tu e la tua famiglia!". Ebbene, non appena cominciai a parlare del Vangelo, lo Spirito Santo scese su di loro, proprio come scese su noi da principio. Allora mi ricordai di ciò che aveva detto il Signore: "Giovanni ha battezzato con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo". Visto che era proprio Dio a concedere a questi pagani lo stesso dono che aveva dato a noi, che abbiamo creduto nel Signore Gesù Cristo, chi sono io da potermi opporre a Dio?». A queste parole, gli altri si calmarono, anzi, glorificarono il Signore, dicendo: «Dio ha dato anche ai pagani l'occasione di convertirsi a lui e di ricevere la vita eterna!» (Atti 11:1-18).

La globalità prefigurata nella Pentecoste

La prospettiva globale dell’Evangelo di  Gesù Cristo era stata confermata dal miracolo della Pentecoste, quando, dopo essere sceso lo Spirito Santo sui discepoli riuniti di Cristo, essi predicano con forza l’Evangelo a Gerusalemme di fronte a persone di ogni provenienza, e tutti l’avevano intesa nella propria lingua:

Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. (...) Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” (Atti 2:5-11).

Una sola umanità, un solo Dio  

Questa missione globale la viveva in particolar modo  l’apostolo Paolo nei suoi viaggi missionari nei paesi del mediterraneo. Predicando l’Evangelo in Grecia, egli dà anche un’altra spiegazione della valenza globale del messaggio dell’Evangelo, della Persona ed opera di Gesù Cristo: uno solo è il Dio creatore, e tutta  l’umanità è unita nel fatto di essere Sua progenie. Ad Atene, in Grecia, egli predica:

“Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. (...) Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana. Dopo esser passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti” (Atti 17:26-31).

Si, l’umanità è una e tutti, senza distinzione di razza, lingua, nazionalità od altro, provengono da progenitori unici, creati dall’unico Dio vero e vivente. L’umanità è dunque un tutt’uno, un’unica famiglia, legata da un’unica origine  e da un unico destino.

Il nuovo Adamo

Nel messaggio dell’Evangelo – quello che gli apostoli proclamano – si rivolge all’umanità un messaggio di ravvedimento: la rinuncia di ogni divinità prodotto dell’immaginazione umana, la rinuncia all’empietà ed all’autolesionismo del peccato e  l’adesione di ogni creatura umana alla Persona ed Opera di salvezza di Gesù Cristo che, per quanto sia nato nel contesto del popolo ebraico, come di una madre che ne ha per messo la gestazione e la nascita, è in assoluto “il nuovo Adamo”. L'Apostolo scrive:

il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. (...) Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. (...) E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste" (1 Corinzi 15:45-49).

Restituire l’umanità a Dio

Unire la nostra vita completamente con fede ed ubbidienza all’ultimo Adamo, a Gesù Cristo, vuol dire, così, rinnovare la nostra umanità, corrotta dal peccato, e restituirla alla condizione per la quale era stata creata, quella della comunione vitale con  Dio. Comunione con Dio, legittima sottomissione alla Sua regalità, significa conformità alla Sua legge orale, santa e salutare, significa autentica giustizia, pace, solidarietà ed ordine. Ecco perché con Gesù veniva e viene proclamato il Regno di Dio. I Suoi discepoli sono chiamati a fare come Lui che: “se ne andava per città e villaggi, predicando e annunziando la buona notizia del regno di Dio” (Luca 8:1).

Proclamare l'Evangelo significa far conoscere e mettere in contatto salvifico le persone con il Salvatore Gesù Cristo. Egli le riconcilia con Dio e le rigenera spiritualmente tanto da abilitarle effettivamente a portare nella loro vita buoni frutti. L'Apostolo scrive: "Il frutto dello Spirito (...) è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo (...) Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze" (Galati 5:22-24). Questo li dispone a collaborare per adempiere gli scopi per i quali siamo stati creati come umanità in ogni aspetto della vita. È il Salvatore Gesù Cristo che insegna a vivere secondo la volontà rivelata di Dio. Il popolo di Dio ha il compito di diffondere questo Evangelo in tutto il mondo, insegnando alle nazioni a vivere secondo tutto quanto Gesù ci ha insegnato.

Abbiamo noi coscienza e crediamo di essere parte di una sola umanità, di essere creature dell’unico Dio vivente e vero, e che in Cristo c’è il Nuovo Adamo di cui le Sacre Scritture dicono: “In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Atti  4:12)? Ciascuno di noi è così chiamato a partecipare a questo progetto globale, a vivere questo messaggio e poi a diffonderlo “fino alle estremità della terra”.

Le mistificazioni oggi prevalenti  

C'era un tempo in cui questo appello era sufficiente per mobilitare i cristiani a portare il messaggio dell'Evangelo, con coraggio e determinazione, intorno a sé e persino "fino agli estremi confini del mondo". Oggi sembra che per la maggior parte dei cristiani, tutto sia diventato "problematico". In certe chiese si propone persino "una moratoria delle missioni" come se non fossero più il caso o persino non più necessarie essendo accettabili altre religioni o sufficiente l'umanesimo laico per portare il mondo alla cooperazione! Non ci sono dubbi da dove provengano simili proposte che frustrano il nostro dovere di insegnare al mondo tutto ciò che Cristo ci ha insegnato: dalle forze spirituali della malvagità, abili a trovare sempre nuovi modi per neutralizzare i cristiani impedendo loro di ubbidire al mandato di Cristo, scoraggiandoli, relegandoli nell'inerzia mortale o facendo loro accettare compromessi che modificano radicalmente la loro identità e responsabilità.

Non nego che oggi, per vari motivi, questo sia "complicato", ma il mandato di Cristo forse oggi non vale più? C'è chi lo crede, ma dovremmo forse prestargli ascolto e preferire la sua voce a quella di Cristo? Chi è questa gente che vorrebbe  modificare e sovvertire la Chiesa di Cristo per farla seguire "la sapienza di questo mondo", le ideologie del momento? Ma chi è questa gente che magari anche nei panni  di teologi e di leader ecclesiastici vorrebbe così stravolgere l’Evangelo? Il credente dice:  “Ma questi non sono più veramente ‘dei nostri’”.

Ripensiamo allora alla missione della chiesa cristiana, ripensiamo alla dimensione ed al la responsabilità globale della chiesa cristiana, ma che questo non significhi rivedere e  sovvertire il concetto biblico di missione! Che questo non diventi la svendita acritica del messaggio e dell’identità cristiana alle ideologie più popolari del momento.

Ripensiamo alla missione globale come stimolo per una responsabilizzazione a livello personale,  spirituale e sociale. Dobbiamo prenderci diligente cura della nostra comunità cristiana a livello locale, ma guai a trascurare od ignorare le nostre responsabilità a livello globale, perché questo fa parte dell’essenza stessa della fede cristiana, quando voglia veramente rispondere alle sue caratteristiche fondanti originali.

(Paolo Castellina, 9 maggio 2025, rielaborazione e riduzione della mia predicazione del 23 novembre 2001).