Cura pastorale/Fenomenologia dell'autoritarismo/Confessioni storiche della Riforma e autoritarismo
Confessioni storiche della Riforma e autoritarismo ecclesiale: una rilettura critica
Uno dei primi feedback ricevuti alla pubblicazione di queste analisi sull'autoritarismo nelle comunità cristiane ha sollevato una questione importante: le confessioni di fede classiche della Riforma — in particolare la Westminster Confession of Faith (1646) e la London Baptist Confession (1689) — non sono forse esse stesse alla radice di un’eccessiva concentrazione del potere ecclesiale?
La domanda merita attenzione e può rappresentare un utile approfondimento per chi desidera una chiesa realmente fedele allo spirito del'Evangelo.
1. L'autorità nella tradizione riformata: risorsa e rischio
Le confessioni riformate del XVII secolo sono documenti di grande valore teologico, nati in contesti di conflitto e persecuzione. Esse miravano a:
- difendere la purezza della dottrina;
- contrastare l’arbitrarietà dell’autorità papale;
- stabilire criteri condivisi di disciplina ecclesiale.
Tuttavia, esse hanno spesso concepito l'autorità nella Chiesa in termini fortemente normativi e gerarchici, attribuendo agli anziani o al consiglio degli anziani un potere sostanziale su:
- l’ammissione o l’esclusione dalla comunione;
- l’esercizio della disciplina;
- l’interpretazione dottrinale vincolante.
In questo senso, la concentrazione dell’autorità spirituale nelle mani di pochi — per quanto benintenzionati — ha prodotto talvolta una teologia e una prassi della “sottomissione ecclesiale” che può facilmente degenerare in forme di controllo spirituale.
2. Membership obbligatoria: principio biblico o struttura culturale?
Una seconda osservazione critica riguarda l’idea, spesso sottintesa, che sia obbligatorio per ogni credente aderire formalmente a una chiesa locale. Questa concezione, pur diffusa in molte denominazioni evangeliche, non trova nei testi neotestamentari una formulazione prescrittiva e rigida.
Nel Nuovo Testamento l’appartenenza ecclesiale è vissuta come relazione vivente:
- partecipazione alla comunione fraterna,
- condivisione dei carismi e dei beni,
- cura reciproca e testimonianza pubblica.
L’istituzionalizzazione della “membership”, con procedure di ammissione e di esclusione formali, è piuttosto una costruzione posteriore, non priva di rischi quando viene usata per esercitare potere o per escludere dissenso.
3. La necessaria preservazione di un approccio critico
Le confessioni storiche della Riforma devono essere lette con rispetto, ma anche con libertà evangelica. L’autorità nella Chiesa non è un fine, ma uno strumento al servizio della verità e della comunione. Se tali strumenti si irrigidiscono o si absolutizzano, è doveroso interrogarli alla luce:
- della Scrittura,
- della croce di Cristo,
- dell’esperienza concreta del popolo di Dio.
La vera Riforma non è una dottrina da conservare, ma un processo da proseguire:
La Chiesa, nelle sue espressioni storiche ha sempre bisogno di essere riesaminata criticamente alla luce dele Scritture.
Conclusione
Queste riflessioni non intendono discreditare l’eredità riformata, ma ricordare che anche i modelli ecclesiali più ortodossi possono ospitare semi di autoritarismo, se non continuamente rinnovati nello Spirito del Vangelo. In tempi in cui il potere spirituale può facilmente mascherarsi da fedeltà dottrinale, occorre vigilare affinché ogni autorità nella Chiesa sia esercitata come servizio, mai come dominio.