Etica/Dottrina del male minore

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La dottrina del male minore =

Stephen Clark (2008)<ref>In http://www.affinity.org.uk/downloads/foundations/Foundations%20Archive/59_03.pdf L'autore è stato stimolato a scrivere sull'argomento da un saggio scritto da Graham Harrison al BEC Study Conference sull'argomento </ref>

Introduzione

La dottrina del male minore tratta di quelle situazioni in cui un agente morale è costretto a scegliere una fra diverse linee di azione in competizione fra di loro, benché ciascuna di esse implichi la violazione di un principio ed una regola morale. La dottrina del male minore afferma che, di fronte ad un dilemma, si dovrebbe scegliere ciò che, in quella particolare circostanza, è il minore fra uno o più mali.

Al di fuori della tradizione giudaico-cristiana, questa dottrina è stata affermata ed approvata da Aristotele<ref>Etica Nicomachea II,9.4. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Etica_Nicomachea e http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiHTML/Aristotele/EticaNicomachea/Etica%20Nicomachea.htm </ref> e sostenuta da Cicerone<ref> de Off. iii. 28 (102) </ref>. Nell'ambito della Chiesa cristiana, questa dottrina è stata ufficialmente affermata nell'Ottavo Concilio di Toledo<ref>Canone 2. Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_di_Toledo e https://it.cathopedia.org/wiki/Concilio_di_Toledo_(653) </ref> nel 653 AD, come pure è la soluzione offerta da numerosi scrittori cristiani che trattano casi di coscienza<ref>Gregorio Magno lo dichiarò così: 'Colui che è circondato da mura ogni lato e cerca di scappare, si getta giù dove si trova il muro più in basso, </ref>. Lo scopo del presente studio è quello di accertare ciò che è specificamente la base biblica per tale dottrina. Prima di considerare il materiale biblico, tuttavia, sarà utile chiarire i punti precisi che sono in discussione e da chiarire alcune brevi osservazioni su questioni etiche..

I. Affermazione del problema

Il problema affrontato nel presente studio riguarda la scelta che deve essere fatta quando principi o regole morali entrano in conflitto fra di loro. Questo tipo di situazioni deve essere distinto da una strettamente correlato e con  la quale è spesso confusa, vale a dire dove le circostanze sono tali in cui onorare un principio morale o l'obbedienza a una regola o comando morale porta a conseguenze nefaste. Alla base di questa distinzione è il fatto che il peccato e le conseguenze del male non sono del tutto categorie congruenti: anche se potrebbe esserci notevole sovrapposizione tra la violazione di una regola o comando morale e conseguenze nefaste. Non si tratta di sinonimi (faccio uso del termine "nefasto" in "nefaste conseguenze", nel senso di "non buono", laddove "buono" è qui definito in riferimento alla dichiarazione di Dio che la creazione originale era "buona" (Genesi 1:10; 1:12; 1:18; 1:21; 1:25; 1:31). Se adottiamo a fini pratici la definizione di peccato come ciò che viola la legge di Dio<ref>Non discuterò o svilupperò questo punto. Giovanni definisce il peccato come </ref>, nel senso che lo faccia un agente personale che contravvenga alla Sua legge, dovrebbe essere chiaro che "peccato" e "nefaste conseguenze" non hanno l'identico referente. Alcuni esempi potrebbero illustrare questo punto.

Nessuno con un minimo di sensibilità morale negherebbe che la guerra sia un grande male. Inoltre, si tratta di un male causato dal peccato, e che è, quindi, una conseguenza nefasta del peccato. Inoltre, come spesso è stato osservato, la moralità è una delle prime vittime della guerra: molti peccati sono presenti e commessi durante la guerra. È altrettanto vero, tuttavia, a meno che si adotti la posizione insostenibile che la Scrittura proibisca assolutamente lo svolgimento della guerra (la posizione pacifista), ci sono situazioni in cui non sarebbe peccato combattere in una guerra. Le categorie di peccato e di conseguenze nefaste non sono del tutto congruenti.

Un esempio più chiaro è quello del caso in cui un automobilista guida in modo tale da investire ed uccidere un bambino. Immaginiamo due scenari differenti. Nel primo caso, l'uomo guida intenzionalmente in modo pericoloso, cioè, non gli importa quali danni possa arrecare ad altra gente guidando in quel modo: sa che così potrebbe uccidere qualcuno. L'omicidio che perpetra di quel bambino è un atto malvagio e la morte di quel bambino è una conseguenza nefasta. Nel secondo scenario, la morte è il risultato di una situazione che viene legalmente definita automatismo. Il conducente, senza che abbia colpa né lui né altri, perde il controllo del suo veicolo e uccide qualcuno. Mettiamo che si trattasse di uno sciame di api che entra nel suo veicolo e che questo porti il conducente a perdere il controllo del suo veicolo. Quersti non ha commesso alcun peccato. La morte di quel bambino è una tragedia, o potrebbe essere considerata un male. Certamente, sofferenza e morte non esisterebbero in terra se il peccato non vi fosse entrato in prima istanza.  Abbiamo qui, quindi, il caso di una conseguenza nefasta, cattiva (cioè non buona nei termini di ciò che Dio ha pronunciato buono nella sua creazione originale), ma non è stato qui commesso alcun peccato (diverso da "quel peccato originale che ha introdotto nel mondo la morte e tutti i nostri problemi, con la perdita dell'Eden" .

L'importanza della distinzione fra peccato e conseguenze nefaste risiede nel fatto che la dottrina del male minore viene invocata talora per giustificare il peccato (l'infrazione di un comandamento di Dio) al fine di evitare una conseguenza nefasta. Il seguente esempio può giustificare questo punto. I servizi segreti di una particolare nazione raccolgono informazioni che indicano come sia imminente un attacco terrorista nei confini di quella nazione. Non conosce la collocazione precisa di quell'attacco. Inoltre, non è in grado di identificare chi siano quelli che lanceranno l'attacco. L'informazione a questo riguardo è in un codice che non riescono a decifrare. I servizi segreti hanno scoperto, però, che una bambina di dodici anni conosce quel codice, sebbene lei sia del tutto ignara di quel progettato attacco terroristico. La prima volta in cui le era stato insegnato quel codice, le era stato fatto promettere di non rivelarlo mai ad alcuno. Le era stato detto che avrebbe compiaciuto Allah se avesse tenuto segreto quel codice e che chiunque avesse voluto che lei lo rivelasse l'avrebbe "sicuramente" fatto con intenzioni malvage. La bambina è avvicinata dai servizi segreti, ma non è disposta a rivelare quel codice. Tentativi di persuaderla perché nel farlo avrebbe salvato vite non hanno alcun successo perché lei non crede che vi sarà alcun attentato terroristico. Lei crede che coloro che vogliono che lei riveli quel codice lo facciano con intenzioni malvage. Di conseguenza fallisce ogni tentativo di farle rivelare quel codice. I servizi segreti decidono che l'unico modo per il quale lei riveli quel codice sia quello di torturarla. Lei comprova di essere estremamente resistente e, alla fine, i servizi segreti si avvalgono di violenza estrema, ferendola e sfigurandola prima che lei ceda. Così il codice viene rivelato, i terroristi sono arrestati, e l'attacco viene prevenuto. Di fatto l'attacco avrebbe avuto conseguenze nefaste che avrebbero potuto causare fino a cinquemila vittime. I servizi segreti si sentono giustificati di aver fatto uso della tortura; sebbene non sia stato fatto nulla di malvagio, ha salvato numerose vite.

Strettamente parlando, questa non è un'applicazione della dottrina del male minore. E' stato commesso un atto riprovevole (la tortura) e, soprattutto verso una persona del tutto innocente, al fine di prevenire una conseguenza nefasta (la perdita di molte vite). La morte di molte persone, sebbene sia qualcosa di malvagio, un atto malvagio che non sarebbe avvenuto se il peccato non fosse entrato in questo mondo, non è peccaminosa: ogni giorno muoiono persone e morendo non peccano. Si potrebbe dire che, naturalmente, che così si è impedito ai terroristi di peccare. Questo è vero, ma non è la ragione dell'uso della tortura: la ragione per la quale si è fatto ricorso alla tortura era stata quella di prevenire le conseguenze dell'atto malvagio di quei terroristi, un grande numero di vittime. (Presumiamo che il tentativo di quei terroristi di far detonare le loro bombe, per ragioni tecniche, le bombe non sono detonate e nessuno è stato ferito. I terroristi avrebbero ancora eseguito un atto malvagio, ma non vi sono state conseguenze di quel loro atto. Se i servizi segreti avessero conosciuto in anticipo che le bombe non sarebbero esplose e che non vi sarebbero state vittime, non sarebbe stato per loro necessario torturare quella bambina: il loro punto non era prevenire l'atto malvagio in sé stesso, ma prevenirne le conseguenze). Si potrebbe dire che salvare vite sia un atto moralmente buono. Quindi, la tortura di una bambina, sebbene in se stesso sia un atto malvagio, considerato nel contesto nel quale accade, è moralmente buono: si tratta di un male minore. E' meglio salvare vite che permettere che siano massacrate senza motivo. Non è così?

Cambiamo un poco l'esempio. Mettiamo che la bambina muoia a causa delle ferite che ha subito durante le torture. Presumiamo ancora che l'attacco terroristico sia stato prevenuto, ma che la natura dell'attacco avrebbe implicato solo la morte di una persona. Presumiamo inoltre che i servizi segreti conoscessero che l'attacco terroristico avrebbe implicato la morte di una sola persona. Essi hanno commesso un atto malvagio (la tortura) per prevenire una conseguenza nefasta (la morte di una persona). Indubbiamente esse hanno impedito una conseguenza nefasta, la morte di un innocente, ma per quello hanno dovuto uccidere un'altra persona innocente. E' difficile, così, vedere qui il caso di un male minore.

Quest'ultimo punto deve essere ulteriormente elaborato. Consideriamo un'altro tipo puramente ipotetico di situazione. La polizia sa che un criminale, C, ha intenzione di spostarsi dal punto X, in campagna, al punto Y per assassinare V. C intende camminare per tre chilometri, dove sarà fatto salire su un taxi, che ha prenotato, alla sua destinazione. Il taxista, T, non sa delle intenzioni di C di assassinare T. Il solo modo in cui C può intraprendere il viaggio è con il taxi di T. La polizia viene a sapere di questo piano quando ormai è troppo tardi per proteggere V, o muoversi per intercettare C. Però, uno della polizia, P, che ha saputo di questo piano, vede T che velocemente è in movimento verso il punto X per raccogliere C. P, mettiamo, è a piedi e non può far nulla per intercettare T e avvertirlo di quel che sta per succedere. Egli, però, è un tiratore scelto della polizia e, mettiamo, ha con se un'arma. egli così spara a T ne lla persuasione che questo gli impedirà di raggiungere X, dando così alla polizia il tempo per intercettare C. T muore per la ferita da arma da fuoco. Ciò che qui è accaduto è che una persona, P, ha commesso un atto riprovevole (uccidere una persona innocente) per poter prevenire che un'altra persona, C, uccida un'altra persona innocente, V, e per prevenire le conseguenze negative dell'assassinio di V.  Questo, naturalmente, sarebbe considerato un atto oltraggioso: uccidere una persona per impedire che un'altra persona sia uccisa.

Questa storia è semplicemente per illustrare l'importanza della distinzione fra un atto peccaminoso e una conseguenza nefasta. Non sarebbe difficile pensare a qualche tipo di situazione emotiva dove argomentazioni sul male minore vengono proposte in maniera non appropriata: dove una vita innocente, che è considerata come dello stesso stato ontologico e morale di un'altra persona innocente, sia soppressa in favore di un'altra vita. Il presente studio non tratterà la questione se sia permissibile commettere un peccato al fine di evitare conseguenze nefaste. In tale studio sorgerebbero molte questioni complesse, non menbo di quella di che cosa si intenda esattamente con conseguenza nefasta. Può essere utile, però, osservare che l'apostolo Paolo afferna che coloro che sostenngono che commettere un male è legittimo, se ne conseguono buoni risultati, meritano di essere condannati (Romani 3:8). In questo passo biblico è chiaro che quando Paolo fa riferimento a coloro che dicono "facciamo del male", egli si riferisce non a conseguenze nefaste, ma ad un atto malvagio, al peccato, laddove il bene, in questo passo, non a fare qualcosa che sia buono ma l'opposto di una conseguenza cattiva, cioè ad una buona conseguenza. Questo ci conduce, in modo del tutto naturale, alla necessità di definire alcuni termini.

II. Definizione di termini

I. Deontologico: questo è l'approccio all'etica che afferma come i principi morali devono essere seguiti non importa quali ne siano le conseguenze. Certe cose sono giuste e devono essere fatte e non necessitano di giustificazione nei termini delle conseguenze che possano avere.

2. Consequenzialismoquesto è l'approccio all'etica che dice che si determina quel che debba essere il giusto corso di azioni in riferimento alle conseguenze che ne derivano. E' ovvio che un consequenzialista che valuti un azione in riferimento a se la conseguenza di quell'azione sia buona o cattiva, inevitabilmente ha una comprensione precedente di cià che sia buono e di ciò che sia una conseguenza cattiva. Questo significa, naturalmente, che la natura di ciò che è buono o cattivo non possa essere semplicemente determinato in riferimento alle conseguenze di quell'azione, proprio perché si valutano le conseguenze come buone oppure cattive. Alcuni valori sono già operativi, quindi, attraverso i quali le conseguenze vengono valutate. E' così che l'utilitarianismo, che è un approccio consequenzialista all'etica, valuta una conseguenza come buona se comporta la più grande felicità per il più grande numero di persone.

L'esempio fornito da Quinton, e citato nella nota 8<ref>Un buon esempio è fornito dal filosofo Anthony Quinton. Scrivendo nel contesto della filosofia politica, egli riassume un approccio deontologico con le seguenti parole: </ref>, potrebbe essere compreso nei termini della filosofia utilitaristica. D'altro canto, se la persona che annega fosse un eremita, del tutto assorbito in sé stesso e senza famiglia o amici, e (sebbene non commetta suicidio) non dà valore effettivo alla sua vita, potrebbe essere possibile sostenere che, sulla base del calcolo utilitaristico di quanta felicità si causi, una maggiore felicità sarebbe onorare l'appuntamento che ha al tea party ed abbandonare l'eremita al suo destino. Presumibilmente Quinton rinnegherebbe una tale posizione se lo facesse, questo dimostrerebbe che dietro alla sua valutazione della qualità morale di un'azione in riferimento alle sue conseguenze implicherebbe la propria adesione a certi valori attraverso i quali le conseguenze vengono valutate. Il punto che sto cercando di dimostrare è che il consequenzialismo e un approccio all'etica più complesso di quanto talvolta ce ne se renda conto.

Molti filosofi sostengono che un approccio deontologico all'etica ed un approccio consequenzialista siano contrapposti<ref>Questa è la posizione assunta da Julia Annas nel suo standard e giustamente lodato studio introduttivo alla Repubblica di Platone:]. Annas,Introduzione alla Repubblica di Platone (Oxford), OUP, 1981.</ref>. Anche questo va oltre lo scopo del presente studio.


III. Materiale biblico

Osservazioni sull'insegnamento di Gesù e di Paolo. Le Scritture insegnano che alcuni comandamenti di Dio hanno maggiore peso di altri. Gesù lo dice espressamente in Matteo 23:23. Quando parla di "le cose più importanti della Legge", o "quelle di maggior peso", è evidente che Gesù non considera ogni aspetto della Legge di Dio di uguale importanza. Naturalmente, bisogna fare molta attenzione quando facciamo uso di questa distinzione. In Matteo 23:23 Gesù rende chiaro le questioni meno importanti della Legge devono essere rispettate tanto quanto quelle più importanti. In Matteo Matteo 5:19 egli parla di " uno di questi minimi comandamenti", ancora, implicando come egli non considerasse tutti i comandamenti di uguale importanza, eppure, nello stesso versetto, la grandezza nel Regno dei Cieli ha a che fare non solo con l'osservare i comandamenti più importanti, ma anche nel mettere in pratica quelli minimi.

Gesù insegna che i due più grandi comandamenti siano quelli di amare Dio con tutto noi stessi e il nostro prossimo come noi stessi (Matteo 22:34-40). Egli insegnava che questi comandamenti sono fondamentali. Dato che tutta la Legge e i Profeti si appoggiano su questi, ne consegue che rimuoverli, o non praticarli rende impossibile vivere la vita che è prescritta nella Legge e nei Profeti.

L'importanza relativa dei differenti comandamenti sta alla base della figura che Gesù dipinge di coloro che "colano il moscerino e inghiottono il cammello" (Matteo 23:24). In altre parole, egli voleva che noi avessimo il dovuto senso delle proporzioni, cosa che evidentemente mancava nei Farisei e negli scribi, esperti della Legge. In che modo graduare i diversi comandamenti è una questione complessa e ben al di là dello scopo del presente studio. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per gli scopi che ci proponiamo è notare che nei comandamenti esiste una distinzione<ref>Questa distinzione si nota nella domanda 83 del Catechismo Minore di Westminster. La domanda si pone: </ref>.

                                                    

 

 

 

Note