Filosofia/Qual è la struttura filosofica con la quale facciamo teologia
Qual è la struttura filosofica con la quale facciamo teologia?
Si sente spesso accusare l'ortodossia calvinista classica di rimanere dipendente da categorie filosofiche aristoteliche e tomiste. Impostazioni filosofiche diverse di teologi protestanti moderni, però, basate su altri presupposti, mettono tipicamente in questione l'autorevolezza normativa del messaggio neotestamentario in quanto Parola di Dio. E' perrò, possibile "liberarsi" dell'aristotelismo/tomismo senza per altro "partire per la tangente", allontanarsi, dai princìpi non negoziabili dell'autorità biblica comuni a certe "teologie creative" moderne?
Questa questione coglie un nodo teologico e metodologico fondamentale nella riflessione protestante contemporanea: come conciliare la fedeltà all'autorità normativa della Scrittura con una necessaria riforma del linguaggio concettuale, eventualmente svincolata da categorie filosofiche classiche (in particolare aristoteliche e tomiste), che molti oggi percepiscono come estranee o addirittura ostative a una comprensione vitale e dinamica del messaggio biblico.
1. L'accusa all'ortodossia calvinista classica
L’ortodossia riformata post-calviniana (sec. XVII), specialmente nella scolastica protestante, effettivamente ha fatto largo uso della terminologia aristotelica e, in misura minore, di strumenti tomisti, soprattutto nel definire la dottrina di Dio, la cristologia e l’antropologia teologica. Ciò ha generato l’accusa — non infondata — di un certo razionalismo sistematico, che rischierebbe di subordinare la Parola di Dio a schemi concettuali predefiniti.
Tuttavia, bisogna distinguere:
- Uso di categorie filosofiche come strumenti (servitia), secondo il principio sacrata philosophia ancilla theologiae.
- Dipendenza strutturale da un impianto metafisico, che può diventare gabbia e non più semplice veicolo.
Autori come Bavinck e, più recentemente, Vanhoozer o Richard A. Muller, insistono sul fatto che i riformati classici usarono Aristotele in modo critico e subordinato alla Scrittura, non come fondamento autonomo.
2. Il rischio opposto: la crisi dell’autorità biblica
Laddove si è cercato di «liberarsi» completamente dalle categorie metafisiche tradizionali (sia aristoteliche che agostiniano-tomiste), molte teologie protestanti del XX secolo hanno finito — con diverse gradazioni — per minare la normatività della Scrittura. Pensiamo a:
- Bultmann: con il suo programma di demitizzazione, il Nuovo Testamento diventa veicolo di "esistenza autentica", ma non più Parola rivelata nel senso oggettivo.
- Tillich: fonda la teologia su un’ontologia esistenziale, dove Dio è il "fondamento dell’essere", non più il Dio personale che parla nella storia.
- Alcuni teologi postmoderni (es. John Caputo): rifiutano esplicitamente ogni normatività del testo biblico, sostituendola con una dinamica ermeneutica fluida e decentrata.
3. Vie alternative fedeli alla Scrittura
Esistono tuttavia approcci che cercano di abbandonare la metafisica classica senza rinunciare all’autorità della Bibbia. Eccone alcuni esempi:
a) Cornelius Van Til e l’epistemologia presupposizionalista
Van Til rigetta sia il razionalismo classico sia l’empirismo moderno, sostenendo che la conoscenza teologica parte da presupposti biblici non negoziabili: Dio si è rivelato, e tale rivelazione è necessaria per la conoscenza. La filosofia viene così ricondotta sotto il giudizio della rivelazione speciale. Van Til critica anche il “pensiero greco” nella teologia scolastica, ma senza rinunciare alla sistematicità o alla verità oggettiva della Scrittura.
b) Teologia biblica narrativa e drammatica (es. Vanhoozer)
Kevin Vanhoozer propone una teologia drammatica, dove la rivelazione è concepita come una "performance" divina nella storia, registrata nelle Scritture, e normativamente interpretata nella comunità ecclesiale. Senza usare categorie metafisiche classiche, si mantiene però la centralità del testo come Parola autorevole di Dio. Il rischio qui è più semantico che ontologico: bisogna evitare che l’autorità venga trasferita alla comunità interpretante piuttosto che alla Scrittura stessa. Vedi qui approfondimento su questo autore.
c) Ressourcement riformato
Autori come Craig Carter propongono una riscoperta critica della "grande tradizione" patristica e medievale, senza accettarne in blocco i presupposti metafisici. L’idea è che ci siano tesori da recuperare anche nella metafisica classica, se reinterpretati alla luce della rivelazione biblica, e non imposti ad essa.
4. Conclusione: una via praticabile?
Sì, è possibile una teologia che rifiuti la dipendenza rigida da Aristotele e Tommaso senza cadere nel relativismo ermeneutico o nel soggettivismo teologico, purché:
- Si assuma seriamente l’analogia della fede: la Scrittura interpreta se stessa, e la teologia dev’essere costantemente riformata alla luce della Parola (sola Scriptura).
- Si mantenga una metafisica biblica: non si può fare a meno di categorie ontologiche, ma queste vanno derivate dalla narrazione biblica e non imposte ad essa (es. il Dio che è amore, che parla, che agisce).
- Si riconosca l’utilità critica della filosofia, ma subordinata alla rivelazione.
In altri termini, la questione non è se usare categorie filosofiche, ma quali, come, e con quali criteri di giudizio — sempre alla luce del Dio trino che si è rivelato nella Scrittura.
Come si rapporta quanto sopra affermato alla filosofia riformata del Dooyerweerd? Potrebbe essere sostituirsi all'impianto filosofico aristotelico?
Questa questionee: la filosofia riformata di Herman Dooyeweerd nasce proprio con l’intento dichiarato di superare radicalmente l’influenza della filosofia greca (e, più specificamente, aristotelico-tomista) nella teologia cristiana, elaborando una visione integralmente cristiana della realtà e della conoscenza. Vediamo dunque in che modo questa proposta filosofica si rapporta a quanto detto sopra, e se può costituire un’alternativa coerente e utile.
1. La critica fondamentale di Dooyeweerd al pensiero occidentale
Dooyeweerd parte dalla constatazione che tanto la filosofia scolastica quanto quella moderna e contemporanea sono fondate su presupposti religiosi non cristiani, ovvero su una concezione dell’autonomia della ragione. La sua opera magna, De Wijsbegeerte der Wetsidee (La filosofia dell’idea della legge), si oppone frontalmente a questa impostazione.
In particolare, egli critica:
- L’assunzione di una natura umana neutra (tipica dell’antropologia aristotelica), che sarebbe capace di accedere alla verità senza la rivelazione.
- Il dualismo greco tra forma e materia, che ha influenzato la teologia cristiana classica, introducendo una gerarchia ontologica estranea alla Bibbia.
- L’identificazione del pensiero filosofico con l’autonomia razionale, propria del pensiero moderno da Cartesio in avanti.
Secondo Dooyeweerd:
"Non esiste pensiero neutrale. Ogni filosofia si fonda su presupposti religiosi fondamentali."
2. Una filosofia "riformata" alternativa?
Dooyeweerd propone una filosofia cristiana strutturata su basi bibliche, non nel senso di una "filosofia biblica" (come talvolta è stata malintesa), ma nel senso di una filosofia radicata nel cuore religioso della rivelazione cristiana, dove:
- Dio è il Creatore sovrano, e non una causa prima aristotelica.
- L’uomo è immagine di Dio, chiamato a esercitare il suo mandato culturale nella pluralità delle sfere della creazione.
- La realtà è strutturata secondo modalità legali (modalità dell’essere: numerica, spaziale, biologica, logica, etica, pistica...), tutte soggette all’ordine creato da Dio.
Questa concezione porta alla famosa teoria delle sfere sovrane (soevereiniteit in eigen kring) sviluppata anche da Abraham Kuyper, con applicazioni sociali e culturali molto influenti, specie nei Paesi Bassi.
3. Sostituzione dell’impianto aristotelico?
In linea di principio, sì: la filosofia riformata di Dooyeweerd si presenta come alternativa radicale all’impianto aristotelico-tomista. Ma bisogna distinguere tra:
- Sostituzione ontologica: Dooyeweerd rifiuta l’essenzialismo aristotelico (le “sostanze” e “accidenti”, la gerarchia tra atto e potenza, ecc.) e propone un’ontologia dinamica delle modalità.
- Sostituzione epistemologica: non esiste “ragione naturale” autonoma; la conoscenza è sempre religiosa in senso strutturale, guidata da un cuore orientato verso Dio o verso l’idolo.
- Sostituzione ermeneutica: il significato della realtà non è interno all’ente in quanto tale, ma deriva dal Logos creatore. La Scrittura ha primato ermeneutico anche in filosofia.
Tuttavia, Dooyeweerd non offre un sistema teologico: il suo lavoro è filosofico, e va interpretato come servitium (servizio) alla teologia, non come sostituto.
4. Vantaggi e limiti per la teologia biblica
Vantaggi:
- Consente di superare le categorie extrabibliche senza cedere al relativismo postmoderno.
- Offre una metafisica alternativa coerente con la visione biblica, soprattutto per chi vuole riformulare dottrine classiche in modo più fedele alla rivelazione (es. la dottrina dell’uomo, della cultura, del peccato strutturale).
- È compatibile con una visione della Scrittura come Parola normativa di Dio, nonostante il linguaggio filosofico non sia esplicitamente biblico.
Limiti e critiche:
- Alcuni teologi riformati (es. Van Til) hanno criticato Dooyeweerd per un presunto intellettualismo sistematico, e per la difficoltà di integrare le sue astrazioni nella predicazione e nella dogmatica.
- È una filosofia molto complessa, poco accessibile e non sempre chiaramente applicabile alla riflessione teologica pratica.
- Alcuni punti restano contestabili dal punto di vista esegetico, ad esempio l’uso del concetto di modalità senza fondamento diretto nella Bibbia.
5. Conclusione
Sì, la filosofia riformata di Dooyeweerd può costituire un’alternativa strutturata e coerente all’impianto aristotelico-tomista, a patto che venga usata come strumento critico e servizievole alla teologia, non come fondamento indipendente.
Essa si propone come un sostegno filosofico per una teologia veramente biblica, che voglia restare fedele alla rivelazione senza farsi imbrigliare da categorie concettuali estranee, ma anche senza cadere nel soggettivismo moderno.