Letteratura/Da Pietro al papato/Excursus 1

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Introduzione

Pietro è uno dei dodici apostoli, anzi il «primo» dei Dodici. Tuttavia siccome i testi che parlano di questi due gruppi sono alquanto imprecisi e spesso i Dodici si identificano con gli apostoli, mentre in altri gli apostoli sono distinti dai Dodici e di numero più esteso di loro, ne consegue che molti critici hanno posto in dubbio il valore storico della istituzione da parte di Cristo sia degli apostoli che dei dodici. Idea questa che si riallaccia alla tesi che il Gesù storico non si è mai presentato come il Cristo né ha mai preteso di fondare una chiesa (1) . Presenterò qui le ipotesi di due monografie radicali di W. Schmithals e di G. Klein, che sono i risultati più recenti del problema, esaminato alla luce della critica bultmanniana.

L'apostolato è un'invenzione tardiva

Secondo Walter Schmithals gli apostoli furono creati solo tardivamente nel II secolo perché di essi non se ne parla nelle lettere apostoliche genuine, nel Vangelo di Giovanni, in Ignazio di Antiochia, nel cristianesimo giudaico, a Roma e in Asia Minore (2) . Si deve quindi concludere che esso, di origine posteriore, sia stato inventato al II secolo dopo Cristo. Ecco schematicamente come l'autore ne traccia la creazione.

Durante la vita di Gesù, Pietro godeva un posto preminente (sinottici) ma solo perché era stato il primo a godere la visione del Cristo risorto. In vista della imminente parusia si distinse un gruppo di Dodici, che speravano di poter regnare con il Cristo risorto sulle dodici tribù di Israele. Ma la loro vitalità fu effimera poiché già al tempo in cui Paolo visitò Gerusalemme, tale gruppo più non esisteva.

Frattanto nel II secolo, i discepoli di Paolo, nel desiderio di accrescere l'importanza del missionario dei Gentili, trasferirono al cristianesimo ortodosso l'idea dell'apostolato, che era assai apprezzata presso gli gnostici. Paolo, assieme con altri, fu fatto quindi un apostolo. Fra questo gruppo si inclusero poi anche i Dodici, che per motivi apologetici e polemici divennero i testimoni oculari e i garanti della rivelazione divina. In tale modo i Dodici, riabilitati, divennero i Dodici apostoli. L'idea che i vescovi fossero successori degli apostoli, non appare prima del giudeo-cristiano Egesippo (3) .

Non risulta tuttavia che presso gli gnostici l'idea dell'apostolato fosse così importante da divenire il punto di partenza dell'apostolato biblico, sembra piuttosto che, al contrario, l'apostolato cristiano abbia fatto sentire il suo influsso sullo gnosticismo, nel quale sorse così, per imitazione l'apostolato gnostico. Perciò G. Klein propose un'altra ipotesi: secondo lui l'apostolato sarebbe stato codificato da Luca, opera anonima sorta verso la metà del II secolo, unitamente con la seconda lettera di Pietro (4) . Luca, notando come gli gnostici abusassero degli scritti paolini, volle subordinare Paolo alla autorità dei Dodici; egli quindi sostenne, per primo, che costoro erano stati scelti direttamente da Cristo con il quale avevano conversato (Lc 6, 13; At 1, 21) mentre gli altri apostoli, Paolo compreso, inviati da una chiesa particolare (Antiochia; At 12, 1ss) o da un profeta (Anania: At 9, 22) stavano praticamente sotto il controllo delle tre colonne della Chiesa, vale a dire Pietro, Giacomo e Giovanni (Ga 2, 2.9).

Il Gerhardson rimprovera a questi due critici il loro scetticismo gratuito verso le fonti, la fiducia esagerata nelle proprie idee ed il rifiuto altrettanto esasperante delle opinioni altrui, che siano in contrasto con le loro, la ricostruzione irreale della comunità primitiva(5) . Una creazione del II secolo avrebbe fatto scomparire l'ambiguità e la polivalenza del termine apostolo che ora si applica ai Dodici e ora a discepoli più numerosi, e avrebbe ottenuto il numero «Dodici» tramite l'apostolo Paolo, anziché con l'ignoto Mattia (At 1, 16).

Di più per sostenere una simile evoluzione dell'apostolato biblico si deve rimandare ad epoca troppo tardiva la formazione di molti scritti neotestamentari contro l'attestazione chiara dell'archeologia e in contrasto con i risultati della critica odierna (6) . L'ingegnosa ipotesi del Klein ha poi il difetto di misconoscere il valore dei passi neotestamentari d'origine non lucana che parlano dei «Dodici», e contrastano la supposizione che Luca sia stato il creatore di tale gruppo (7) . Può darsi che Luca abbia contribuito a diffondere il nome dell' «apostolo», ma ciò non impedisce che Gesù stesso abbia scelto direttamente i Dodici(8) .

Gesù intendeva fondare una chiesa?

Secondo l'interpretazione escatologica del Nuovo Testamento, riallacciantesi allo Schweitzer, Gesù si è ingannato in quanto si immaginava che la consumazione dell'universo con la conseguente fondazione del Regno di Dio si sarebbe avverata entro la sua generazione, perciò dopo la sua morte, si è ovviato a tale ritardo con la creazione della Chiesa. Secondo la nota espressione del Loisy, Gesù predicò il Regno dei Cieli, ma purtroppo ne nacque la Chiesa(9) .

L'indagine più recente ha messo in risalto, che la Chiesa, pur non essendo del tutto identica al Regno di Dio, ne è però l'anticipazione embrionale e imperfetta (Cl 1, 13). Da diverse parabole risulta che il «Regno dei Cieli» nello stadio presente non si identifica completamente con quello finale, perché in mezzo al frumento vive ancora zizzania (Mt 13, 36-43) e vi si trovano pure dei pesci piccoli accanto a quelli grossi (Mt 13, 47-50). Il medesimo concetto appare nella parabola dell'abito nuziale per cui chi ne è privo sarà sì rimosso, ma solo all'arrivo finale del re (Mt 22, 11-14); in quella delle vergini stolte e prudenti la cui separazione si attuerà solo dopo l'avvento a lungo atteso dello sposo (Mt 25, 1-13). Solo al tempo del giudizio le pecore saranno separate dai capri (10) .

Questo periodo intermedio in cui il Regno di Dio non si è ancora dispiegato totalmente, corrisponde appunto alla Chiesa, che non sarebbe perciò fuori dalla visuale del Cristo. In passato si insisteva molto sul fatto che Gesù, chiamandosi Figlio dell'Uomo, alludeva alla visione di Daniele, dove tale espressione è ambivalente in quanto insieme all'idea di un Messia personale include anche quella di un nuovo «popolo di santi» (11) . Daniele sarebbe quindi «La fonte dell'idea della Chiesa» (Kattenbusch). Si è pure fatto leva sull'analisi del «Resto» asserito dai profeti per presentare Gesù come il restauratore del «vero Israele», di questa nuova alleanza messianica. Anche gli affiliati di Qumrân si ritenevano il vero Israele, la «piantagione eterna», la «casa santa» della «Nuova Alleanza», riuniti per l'avvento del Messia(12) . A questa interpretazione A. Oepke obietta, a ragione, che il resto di Israele profetico si concepisce entro lo stesso Israele e non come qualcosa di opposto, per cui occorre aggiungervi il nuovo concetto del rifiuto di Israele affinché il regno possa passare a tutte le nazioni (13) . Di qui l'idea di una nuova costruzione appartenente a Gesù, inclusa nella frase «Io edificherò la mia Chiesa».

Più di recente si è esaminato meglio il Nuovo Testamento e vi si è visto che Gesù prevede la riunione attorno alla sua persona di un gruppo di discepoli che attendono il regno e sono in contrasto con coloro che costituiscono «le pecore disperse della casa di Israele» (Mt 10, 6). Egli è quindi il «pastore» che non si può concepire senza un gregge da lui guidato (Mt 26, 31; Lc 12, 32).

Gesù sa che il suo appello sarà respinto, in quanto prevede la sua morte che predice ai discepoli. Questa morte sarà sofferta a vantaggio di «molti» (MC 14, 24) senza distinzione fra giudei e pagani (14) . Egli si rivolge ai peccatori, a tutti coloro che dovranno formare un nuovo popolo di Dio destinato a succedere a quanti lo hanno respinto (Mc 2, 17; Mt 11, 28-30; 21, 31-32). Con la sua morte si attua quindi una nuova alleanza, nella quale i suoi discepoli riuniti in gruppo attueranno le promesse di Gesù (15) . Perciò la Chiesa che nascerà solo con la Pentecoste, è già vista in embrione nella selezione, nella scelta, nella missione dei Dodici che saranno «i giudici delle dodici tribù di Israele» (16) .

Il numero «dodici» aveva per gli Ebrei un profondo valore simbolico, la cui prima origine è tuttora incerta(16bis) , ma che, con il tempo si era legato ai dodici figli di Giacobbe, i capostipiti delle dodici tribù israelitiche(17) . Esso quindi simboleggiava l'Israele carnale intimamente legato a Dio, al quale era stato promesso il futuro regno messianico. La scelta dei «Dodici» apostoli, intimamente legati a Gesù, mostrava che il vero Israele della promessa era ormai connesso con questi nuovi capostipiti del nuovo popolo di Dio(18) . Si comprende in tal caso come nella Bibbia sia amato il numero «dodici» o un suo multiplo: i centoquarantaquattromila (12x12x1000) raffigurano nell'Apocalisse i salvati di Israele, mentre la «folla innumerevole d'ogni nazione e lingua», che tosto segue, raffigura i credenti della gentilità (Ap 7, 4-8). La celeste Gerusalemme che scende sulla terra, è circondata da mura che poggiano su dodici fondamenti, cioè sui Dodici apostoli, ed è dotata di dodici porte, tre per ogni punto cardinale (19) . Conseguentemente la scelta dei «Dodici» apostoli da parte di Gesù non fa più meraviglia e conferma un'altra volta la sua volontà di formare un nuovo popolo di Dio. Diviene quindi naturale che i Dodici siano particolarmente ricollegati nella loro missione con il popolo ebraico(20) .

Gli apostoli e i Dodici nel Nuovo Testamento

Il nome «apostolo» è d'origine greca e dal significato iniziale di «spedizione navale» (21) , passò ad indicare, sin dal tempo di Erodoto, un messaggero (22) ; infatti quei giudei che furono inviati a Roma al tempo di Varo per ottenere la libertà di vivere secondo le leggi native furono chiamati «apostoli» (23) . Ahia fu un «apostolo» duro verso la moglie di Geroboamo, perché le annunziò a nome di Dio la prossima morte del figlio; apostoli furono detti anche i messi che l'Etiopia inviò alle nazioni (24) . Tutti i profeti, al dire di Giustino, possono chiamarsi «apostoli», perché furono inviati da Dio a comunicare il suo messaggio (25) . Nella versione dei LXX il termine «apostolo» traduce lo shalùach ebraico: un participio passato con il senso di «inviato» divino (26) .

Anche i messi che di tanto in tanto il Sinedrio inviava da Gerusalemme per qualche missione speciale o per raccogliere il denaro a favore del tempio, si chiamavano «apostoli» (aramaico: sheluchîn ) e il loro invio avveniva, secondo la testimonianza di Giustino, dopo l'imposizione delle mani(27) . Secondo una attendibile notizia di Eusebio, Paolo sarebbe stato un apostolo giudaico prima di divenire un apostolo cristiano ed infatti la sua missione con lettere credenziali del Sinedrio, a Damasco, per incarcerarvi e trascinare a Gerusalemme i credenti in Gesù, presenta tutte le caratteristiche dell'apostolo giudaico(28) .

In armonia con l'etimologia del vocabolo(29) e con il precedente uso giudaico, anche i cristiani ebbero i loro apostoli. Apostolo per eccellenza fu il Cristo, in quanto inviato dal Padre a recare salvezza all'umanità (Eb 3, 1). Coloro che ricevevano una missione speciale dalle Chiese erano chiamati «apostoli delle chiese» (2 Co 8, 23); tali furono Barnaba e Sila inviati dalla Chiesa di Gerusalemme per notificare alle comunità dei Gentili le decisioni degli Apostoli (At 15, 27); Paolo e Barnaba che la Chiesa antiochena inviò ad evangelizzare i gentili(30) ; Timoteo ed Erasto che furono inviati in Macedonia prima di Paolo (At 19, 22). Ma apostoli per eccellenza furono dette le persone inviate da Cristo ad evangelizzare, per cui quando si nominano gli Apostoli è specialmente di loro che si parla. Come inviati da Gesù sono pari a lui. poiché l'apostolo va accolto come colui che lo invia (31) .

Gli Apostoli non sono limitati ai Dodici

Dall'insieme dei passi biblici appare evidente che gli Apostoli inviati da Cristo non si possono limitare ai Dodici. I Dodici furono tutti Apostoli, ma non tutti gli Apostoli appartengono ai Dodici. Paolo , ad esempio, che si presenta come il minimo degli apostoli per aver perseguitato la Chiesa di Dio, pur non rivendicando mai la prerogativa d'essere uno dei Dodici, insiste nel presentarsi come un apostolo. Senza timore di essere contraddetto chiede: «Non sono io un apostolo? » (1 Co 9, 1). Assieme a lui anche Barnaba compie il lavoro di un apostolo, per cui entrambi si proclamano «apostoli» nella stessa misura degli «altri» ( loìpoi) prima nominati (32) .

Andronico e Giunio , parenti di Paolo, sono presentati come « apostoli assai stimati» (33) . Tra gli apostoli va pure incluso Giacomo , il fratello del Signore, come risulta in modo chiaro dal fatto che Gesù apparve «a Giacomo e a tutti gli apostoli » (1 Co 15, 7); è infatti evidente che l'aggettivo « tutti» non avrebbe senso se costoro si dovessero identificare con il precedente « Cefa e i Dodici» (ivi, v. 5) che già ebbero una propria apparizione. Inoltre Giacomo non era affatto uno dei Dodici, perché durante la vita terrena di Gesù egli non credeva che il proprio fratello fosse il Cristo(34) ; ma egli è chiaramente presentato come «apostolo» da Paolo, quando scrisse che, giunto a Gerusalemme, egli non vide alcun altro apostolo ad eccezione di Giacomo (Ga 1, 19).

Siccome il numero degli Apostoli non era fissato, si comprende meglio la pretesa con cui alcuni, pur non essendolo, osavano presentarsi come tali ai fratelli, mentre in realtà non erano altro che «falsi apostoli, operai fraudolenti travestiti da apostoli di Cristo »(35) . Proprio per il loro numero illimitato gli Apostoli sono posti nella prima categoria delle persone arricchite da carismi, il che sarebbe incomprensibile se qui Apostoli fossero stati soltanto i Dodici (36) . Né si obbietti che solo i Dodici sono fonte di rivelazione per i cristiani, poiché in tal caso dovrebbero essere escluse le lettere di Paolo, di Giacomo e di Giuda, composte, queste ultime da due fratelli di Gesù che non erano membri del collegio dei Dodici.

Qualifiche necessarie per divenire apostoli

Per essere riconosciuto «apostolo» il cristiano doveva presentare delle credenziali indispensabili che sono qua e là indicate dal Nuovo Testamento e che cercherò qui di sintetizzare assai brevemente:

a) L'apostolo doveva aver visto il «Signore», vale a dire il Cristo risorto

Paolo, a chi negava il suo apostolato, ricordò senza timore di smentita: « Non ho io forse veduto Gesù il Signore nostro? » (1 Co 9, 1; At 9). L'accenno al Signore, vale a dire al Cristo glorificato, ci fa capire che la visione del Risorto era un elemento indispensabile per aspirare all'apostolato (cfr At 2, 36), Apparendo ai discepoli raccolti nella «camera alta » dove erano presenti anche altre persone oltre i Dodici – vi si trovavano fra l'altro almeno i discepoli di Emmaus, secondo Luca – Gesù disse a tutti: «Voi mi sarete testimoni di queste cose» (Lc 24, 48). Gli apostoli dovevano quindi aver veduto il Risorto dopo la sua morte infamante, per poter così testimoniare la sua gloriosa resurrezione.

Infatti per tutte le persone presentate dal Nuovo Testamento come apostoli vi è, se non la certezza – dato il silenzio delle fonti – almeno una forte presunzione che abbiano visto il Cristo risorto. Lo vide certamente Giacomo, fratello del Signore(37) ; lo videro con tutta probabilità Barnaba, ardente cristiano dei primi giorni e che forse era uno dei « settanta discepoli», come Andronico e Giunio, presentati appunto come tali(38) .

Era quindi inevitabile che con il corso degli anni gli «apostoli» dovessero scomparire dall'orizzonte poiché con l'inesorabile progredire del tempo i testimoni oculari andarono sempre più assottigliandosi fino a scomparire del tutto. Alla fine del sec. I e all'inizio del II sussistevano ancora alcuni apostoli ai quali si erano aggiunti molti altri pseudo-apostoli; la Didaché diede delle norme pratiche per distinguere i veri dai falsi (39) . Ma verso il 150, e forse anche prima al tempo del Pastore di Erma, gli apostoli erano già scomparsi, in quanto lo scrittore ne considera già completo il numero che simbolicamente riduce a «quaranta» (40) .

b) L'apostolo doveva essere inviato dal Cristo risorto almeno tramite lo Spirito Santo.

Molte persone – cinquecento in una sola volta – videro il Risorto, alcune delle quali erano tuttora in vita al momento in cui Paolo scrisse la sua lettera ai Corinzi (1 Co 15, 6), ma non per questo tutte divennero automaticamente degli apostoli. Per far parte di tale categoria occorreva la chiamata di Dio, tramite il Cristo o almeno mediante lo Spirito Santo.

Paolo, conformemente al decreto divino, anteriore alla sua nascita (Ga 1, 15) così come già era avvenuto per Geremia (Gr 1, 5), fu chiamato dallo stesso Cristo (41) . La sua dignità apostolica risale all'appello diretto ricevuto dal Signore sulla via di Damasco (At 9, 15; 22, 14s). Fu lo Spirito Santo ad inviarlo in missione come apostolo, quando, durante un'assemblea di cristiani ad Antiochia, ispirò alcuni profeti a far mettere da parte Barnaba e Saulo perché iniziassero la predicazione tra i Gentili (At 13, 2). Tale chiamata dello Spirito Santo – che del resto aveva agito pure sui Dodici il giorno della Pentecoste – abilitava chiunque avesse visto il Signore a divenire un apostolo, un testimone ispirato (42) .

Da ciò si vede la differenza tra l'invio da parte della Chiesa di un credente, per un incarico specifico, come ad esempio quello di inviare delle lettere ad altre comunità (At 15, 25), e la missione affidata dallo Spirito Santo. Ogni inviato poteva chiamarsi «apostolo», ma in realtà solo coloro che erano stati inviati dallo Spirito Santo a testimoniare il Risorto, da loro visto, entravano a far parte della categoria degli «apostoli» nel senso più stretto del termine. Proprio per tale motivo Paolo affermò che lo Spirito Santo «ha costituito» nella Chiesa primieramente gli apostoli(43) . Tuttavia siccome lo Spirito Santo non è altro che il continuatore dell'opera del Risorto – il quale anzi in un passo è persino identificato con lo «Spirito»(44) – ne deriva che l'attività dello Spirito può essere considerata l'attività dello stesso Cristo. Possiamo quindi comprendere le parole paoline «E' lui (il Cristo glorioso) che diede (édôken) gli uni come apostoli»(45) .

c) La missione dell'apostolo non si limita a regioni particolari, ma si estende a tutte le genti.

Infatti tutti gli uomini devono essere portati a salvezza mediante la conoscenza del Cristo l'ubbidienza (= fede) alla sua volontà. «Guai a me se non evangelizzo», affermò Paolo (1 Co 9, 16). Egli non fu inviato primariamente a battezzare, bensì ad evangelizzare (1 Co 1, 17) senza limitazione di sorta.

La divisione del campo di lavoro per cui Pietro si occupa particolarmente dei Giudei e Paolo dei Gentili non è da prendersi in senso assoluto (Ga 2, 7). Fu infatti Pietro a predicare per primo ai Gentili convertendo Cornelio (At 10), così come Paolo era solito rivolgersi ai Gentili solo dopo che gli Ebrei di una città avevano respinto l'Evangelo. Se Paolo non intendeva « edificare sul terreno altri» lo faceva solo per spontanea volontà e per motivi di prudenza, non per una particolare limitazione da parte del Cristo (Rm 15, 20).

Lo Spirito Santo agì potentemente negli Apostoli

Sugli apostoli presenti nella camera alta il giorno di Pentecoste scese potentemente lo Spirito Santo, perché fossero testimoni del Cristo risorto (46) . Per influsso dello Spirito gli apostoli poterono svolgere la loro missione con segni e svariate opere potenti.

a) Rivelazione divina

E' la rivelazione trasmessa dagli apostoli come dimostra ben chiaramente O. Cullmann (47) , che costituisce la «Tradizione » cristiana. Per questo Paolo, nonostante che Gesù avesse stigmatizzato la «tradizione degli antichi » (Mc 7, 3ss; Mt 15, 6), poteva ordinare: « Mantenete le tradizioni» (2 Ti 2, 15). Infatti, la tradizione di cui parla Paolo non è affatto una tradizione «umana»(48) , bensì l'insegnamento che per «rivelazione» (49) egli aveva ricevuto da Dio e che a sua volta aveva trasmesso ai credenti (1 Co 2, 11-13).

Questa «rivelazione» poteva essere «diretta»(50) , come il piano salvifico di Dio il quale fu da Dio svelato in modo particolare a Paolo e che consiste nel fatto che tutti, Giudei e Gentili, sono destinati a far parte del nuovo popolo di Dio (Ef 3, 3-7; Ga 1, 15s). Essa poteva pure avvenire in modo «indiretto» vale a dire tramite altri apostoli che erano stati in contatto diretto con Gesù, come, ad esempio, Pietro (Ga 1, 18). Tuttavia anche queste comunicazioni apostoliche – trasmesse oralmente prima d'essere poste per iscritto – erano pur sempre una rivelazione, in quanto provenivano da Dio per ispirazione divina. L'insegnamento dell'apostolo è infatti un insegnamento divino, proprio perché egli era guidato dallo Spirito Santo in ogni verità (Gv 16, 23).

Per questo si spiega meglio il fatto che Paolo, pur riferendo il racconto della Cena del Signore in una forma già stilizzata e proveniente dalla tradizione apostolica, possa dire: «L'ho ricevuto da parte del Signore» (1 Co 11, 23).

L'apostolo – Paolo compreso – quando scrive per utilizzare un detto di Gesù, come ad esempio in 1 Co 7, 10, dove si legge: « Ai maritati io annuncio, non io stesso ma il Signore, di non separarvi » (1 Co 7, 10; cf Mc 10, 11s), in quel preciso momento, tramite l'apostolo, era il Signore che parlava. Ma anche quando mancava un preciso detto «detto» (lòghion ) del Signore, l'apostolo impartiva sempre degli ordini che in ultima analisi, data la sua ispirazione, provenivano da Dio; per cui Paolo poteva scrivere: «Agli altri (non coniugati) ordino io, non il Signore (= Gesù Cristo)» (1 Co 7, 12). Tuttavia anche in questo caso, in virtù del suo carisma apostolico, egli meritava fiducia incondizionata e il suo insegnamento doveva divenire pietra di paragone per valutare gli altri insegnamenti:

« Riguardo alle vergini, non ho un ordine del Signore. Ma io do il mio avviso come un uomo a cui il Signore, nella sua misericordia ha dato il dono d'essere degno di fede (51) ...Se alcuno si stima essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che io vi scrivo sono comandamenti del Signore. E se alcuno lo vuole sprezzare, sia sprezzato (da Dio) » (1 Co 14, 37 s; cfr 1 Co 11, 16).

Tramite la tradizione apostolica è il Signore che si fa conoscere a quanti non poterono vedere il Risorto. Naturalmente ciò è possibile solo se chi «ascolta» ubbidisce a tale tradizione, come sta incluso nel verbo greco «ascoltare» (akoúô ). Chi ascolta non è colui che semplicemente ode, ma è colui che con cura pratica ciò che è stato udito (52) .

b) Doni taumaturgici

Lo esprime chiaramente Paolo scrivendo ai Corinzi:

« Certo i segni dell'apostolo sono stati manifestati in atto tra voi, nella perseveranza a tutta prova, nei miracoli, nei prodigi e opere potenti » (2 Co 12, 12)

Per questo Paolo, predicando ai Corinzi con «debolezza (personale), con timore e con tremore », non ha cercato di convincere usando discorsi meravigliosi ed avvincenti, bensì con manifestazione « di Spirito e di potenza» affinché la loro fede poggiasse non «su sapienza umana, ma sulla potenza divina» (1 Co 2, 3 ss). A motivo dello Spirito potente che li spingeva ad agire, gli apostoli (e non altri) imponendo le mani potevano conferire lo Spirito Santo in un dispiegamento visibile di potenza meravigliosa (53) . La stessa ombra di Pietro guariva gli ammalati, così come gli asciugamani e i grembiuli di Paolo portavano guarigione (54) . Perciò l'autore della lettera agli Ebrei richiamando la salvezza « annunziata dal Signore » e poi « confermata da quelli che l'avevano udito» (= apostoli) osserva che Dio stesso aggiungeva la sua testimonianza alla loro con segni e dei prodigi, con opere potenti svariate, e con doni dello Spirito Santo distribuiti secondo la sua volontà (55) .

Un dono miracoloso interiore, ma ancor più potente degli altri, era la conversione delle anime, che costituiva il primo suggello dell'apostolato. La trasformazione di un'anima è infatti un'opera ben più potente della guarigione corporale, per cui Paolo poteva scrivere:

« Se per altri non sono (ritenuto) un apostolo, lo sono almeno per voi, poiché il suggello del mio apostolato siete voi, nel Signore » (1 Co 9, 2)

La loro conversione testimoniava infatti ch'egli lavorava davvero per il Signore e che la grazia di Dio era con lui. Paolo non aveva bisogno di raccomandazioni, poiché poteva presentare la commendatizia più bella del suo apostolato, vale a dire i cristiani viventi a Corinto da lui convertiti al Signore:

« Siete voi la nostra lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini essendo manifesto che siete una lettera di Cristo, scritta mediante il nostro ministero, ma con lo Spirito dell'Iddio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole che sono cuori di carne » (2 Co 3, 2 ss).

Il fondamento della Chiesa

La classe degli « apostoli» costituiva perciò nella Chiesa primitiva il grado più alto dei doni carismatici (1 Co 12, 28-29; Ef 4, 11). Talora gli apostoli sono messi in connessione con i «profeti» dell'Antico Testamento (Lc 11, 49; 2 Pt 3, 2) (56) , in quanto essi costituivano i veri autentici « profeti» del Nuovo Testamento il cui insegnamento non poteva venir discusso, mentre, al contrario, lo potevano essere i profeti della Chiesa primitiva. La loro dottrina apostolica costituiva il mezzo più sicuro «per discernere » la vera dalla falsa profezia(57) .

Gli apostoli costituiscono perciò il «fondamento » della Chiesa(58) in quanto è solo per mezzo loro che gli altri uomini possono conoscere il Cristo. Se il Cristo fosse venuto al mondo senza essere stato annunziato dagli apostoli, noi saremmo ancora nella situazione che precedette la sua venuta, in quanto non potremmo conoscerlo e avere fede in lui. La fede viene tramite l'udire, e l'udire si ha per mezzo della testimonianza esplicita trasmessa a noi dagli apostoli ispirati (cfr Ef 2, 20; Rm 10, 13.14.17) (59) .

Perché il fondamento della Chiesa rimanesse stabile, gli apostoli non solo predicarono, ma scrissero pure dei libri sotto l'influsso dello Spirito Santo, che furono poi raccolti devotamente dai primi cristiani come libri ispirati e racchiusi nel canone della «Bibbia» o dei libri divini. Siccome gli apostoli oltrepassarono il numero di dodici, si comprende come le lettere di Paolo, di Giacomo e di Giuda siano state ritenute sacre; i loro autori, infatti, pur non essendo annoverati tra i Dodici, erano pur sempre degli apostoli. Si comprende anche meglio l'ispirazione del Vangelo di Marco, che probabilmente fu lui pure un apostolo testimone della resurrezione e della cattura di Cristo, qualora lo si identifichi, com'è probabile, con il giovane sfuggito seminudo ai soldati che lo volevano catturare (Mc 14,51-52) e con il Giovanni Marco la cui casa era luogo di riunione della Chiesa primitiva (At 12, 12). Egli iniziò tosto a lavorare per il Signore (At 16, 39 con 13, 13) con Barnaba e Saulo apostoli e collaborò con Pietro che lo chiama «mio figlio» (60) .

I «Dodici»

Tra il gruppo più vasto degli Apostoli (scelti pur essi in quello ancora più numeroso dei Discepoli) primeggiano i «Dodici», che, come abbiamo già visto erano il simbolo del Nuovo Israele e più degli altri erano ricollegati con l'Antico Israele secondo la carne (61) . Per essere ammessi nel gruppo dei Dodici occorreva, non solo aver visto il Risorto, come gli Apostoli, ma essere stati con Gesù anche durante la sua vita terrena sin dall'inizio del suo battesimo ad opera di Giovanni (At 1, 22).

Siccome il numero «dodici» aveva un significato simbolico, ne consegue che esso doveva rimanere tale per sempre, per cui quando Giuda, il traditore, si rese indegno di essere annoverato tra di loro, se ne scelse un sostituto nella persona di Mattia, il quale venne tratto a sorte affinché la sua scelta fosse divina e non umana (At 1, 26). Pietro invece, pur avendo rinnegato il Cristo, fu riabilitato dallo stesso Signore (Gv 21). Siccome il numero dei dodici era fisso, ne segue che esso non variò mai, per cui dopo la loro morte essi non poterono affatto venir sostituiti da altri; in tal modo si poté scrivere che la Nuova Gerusalemme, simbolo del Nuovo Israele, è fondata su dodici fondamenti che sono appunto i « Dodici» (Ap 21, 12-14). Paolo, pur essendo stato uno dei massimi apostoli, non fu mai considerato uno dei Dodici né dai cristiani né da se stesso; egli, pur difendendo più e più volte il suo apostolato, non ha mai preteso di entrare a far parte del gruppo dei Dodici (cfr 1 Co 15, 5.8-9; 1 Co 9, 1 ss).

La missione specifica dei Dodici non era solo quella di testimoniare la Resurrezione del Cristo – ciò poteva essere attuato pure dagli altri apostoli – bensì quella di fungere da testimoni anche per la vita terrena di Gesù. Si vede da ciò come non sia possibile dare dei successori agli Apostoli e tanto meno ai Dodici; il testimone non può avere dei successori! Chi non ha veduto non può testimoniare ciò che non vide; egli potrà solo ripetere la testimonianza dei Testimoni! Si vede quindi come vi debba essere una differenza essenziale tra la Chiesa apostolica e quella postapostolica. Nella prima gli apostoli potevano di continuo completare la loro testimonianza; nella seconda i credenti – vescovi compresi – non possono fare altro che ripetere la testimonianza ormai completa dei testimoni oculari.

I Dodici nei racconti evangelici

La scelta dei Dodici avvenne su di un monte dopo una notte trascorsa in preghiera (Lc 6, 12) e per puro beneplacito di Gesù (Mc 3, 13). Il Maestro ne fece dei compagni inseparabili, associati alla sua missione e collaboratori nella predicazione della buona novella(62) . Perché potessero ricordare ciò che da Gesù avevano udito, il Cristo promise loro l'invio dello Spirito Santo (63) .

Quattro sono le liste dei Dodici contenute nel Nuovo Testamento, una ciascuno dei Sinottici e l'ultima nel libro degli Atti (Mt 10, 24; Mc 3, 16-19; Lc 614-16; At 1, 13). Nonostante le variazioni nella successione dei nomi, si può notare quanto segue: tutte iniziano con Pietro e finiscono con Giuda Iscariota, il traditore. Vi si possono distinguere tre quaterne di nomi, di cui il primo è sempre identico, mentre gli altri sono presentati in ordine diverso. Forse coloro che presentarono tali elenchi, lo fecero tenendo conto dei raggruppamenti esistenti nella realtà.

Il primo gruppo è costituito da Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea. Il secondo da Filippo, Bartolomeo (= Natanaele), Tommaso e Matteo. Il terzo da Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo zelota, Giuda Taddeo e Giuda Iscariota.

Tutti costoro s'erano uniti, almeno inizialmente, con la segreta speranza che Gesù desse origine al regno messianico con la sconfitta definitiva dei nemici di Israele, in prima linea dei Romani. Anche Pietro, mosso da tale idea, si oppose a Gesù quando sentì che questi parlava della sua futura morte (Mt 16, 21s). Gesù, quando la gente impressionata dalla miracolosa moltiplicazione dei pani, voleva proclamarlo re, s'affrettò ad allontanare i suoi discepoli, perché non fossero contagiati da tale entusiasmo popolare (Gv 6, 5; Mt 14, 22). Giacomo e Giovanni per mezzo della loro madre Salomè, zia a quel che pare di Gesù (64) , chiesero di essere posti uno alla destra e l'altro alla sinistra del maestro nel suo regno (Mt 20, 20). Ancora poco prima della sua assunzione al cielo, i discepoli radunati attorno al Cristo, gli chiesero: « Signore, è in questo tempo che ridonerai il regno a Israele? » (At 1, 6).

La terza quaterna sembra riunire le persone maggiormente interessate alla restaurazione nazionale dei Giudei e in certo senso ricollegate al gruppo degli zeloti fondati da Giuda il Galileo (At 5, 37) e nemici giurati dei Romani (At 5, 37). Ciò è insinuato da alcuni appellativi aggiunti ai loro nomi come Simone «lo zelota» detto pure «cananeo» (65) . Tra questi zeloti eccelleva il gruppo dei sicari, così detti dallo stiletto (sica) che nascondevano nelle pieghe del loro mantello e con cui assassinavano, quando ne capitava l'occasione, qualsiasi romano che fosse isolato, occultandosi poi tra la folla accorsa e facendo scomparire le proprie tracce. Oggi si pensa che l'epiteto Iscariota attribuito a Giuda, anziché riferirsi al suo ignoto villaggio detto Keriot, sia la trascrizione aramaica di «sicario». Quindi egli sarebbe stato un fautore della ribellione violenta contro i Romani, rendendo così più comprensibile l'esistenza di due spade in seno agli apostoli (Lc 22, 30). Il suo tradimento di Gesù, secondo alcuni, sarebbe dovuto non solo ad amore verso il denaro – che certamente aveva, secondo Giovanni (12, 6) – bensì al desiderio di costringere il Cristo a liberarsi dai suoi avversari e ad entrare finalmente in lotta con i Romani, utilizzando la sua potenza taumaturgica a favore di tale causa santa. In tal modo si spiegherebbe meglio la frase mattaica: « Giuda, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò i trenta sicli d'argento » (Mt 27, 3). Sembra quindi che egli, nel tradire Gesù, avesse la segreta speranza che il Maestro si sarebbe ribellato a tale condanna mediante il dispiegamento taumaturgico della sua potenza divina (66) .


NOTE

  • 1. Nella scuola Bultmanniana è questo uno dei cardini fondamentali del sistema, che è tuttora ammesso anche da G. Bornkamm ( Jesus von Nazareth, Stuttgart 1959). H. Toedt ha sostenuto la sua idea nel libro Der Menschensohn in der synoptischen Ueberlieferung , Gütersloth 1959. Per una confutazione di questa idea si cfr. B. Rigaux, l'Historicitéde Jésus devant l'exegèse récent , in «Revue Bibl.», 65 (1958) pp. 481-522; La seconde venue de Jésus, in «La venue du Messie», Paris-Bruges 1964, pp. 201-202; Schnackenburg, Gotteshersschaft und Reich, Freiburg 1954, pp. 113-115.
  • 2. W. Schmithals, Das Kirchliche Apostolat, Eine Historische Untersuchung (Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testament, 79) , Göttingen 1961. I primi accenni ai Dodici si rinvengono nell'Apocalisse, in Giustino, nello Pseudo-Barnaba, in 2 Pietro e in Giuda.
  • 3. Egesippo, verso il 180, scrisse le sue « memorie» ( Ypomnémata), nelle quali si propone di esporre, come frutto dei suoi viaggi, la « sana dottrina la quale fu tramandata dagli apostoli », di cui sarebbe garanzia la successione ( diadochén) ininterrotta dei vescovi a partire dagli apostoli. Cfr. B. Altaner , Patrologia , Torino 1960, Marietti, n. 121 (pp. 92-93).
  • 4. G. Klein, Die zwölf Apostel. Ursprung und Gehalt einer Idee(Forschungen zur Religion und Literatur in das A. und N. Testaments, 59) , Göttingen 1961.
  • 5. B. Gerhardson, Die Botten Gottes, und die ApostelChristi , in «Svensk Exegetik Arsbok», 27 (1963), pp. 89-131; Memory and manuscript Oral tradition and written trasmission in Rabbinic Judaism and early Christianity (Act. Sem. N.T. Ups 22), Uppsala 1961, pp. 182-187.
  • 6. Questi ragionamenti servono evidentemente per i critici non credenti, poiché per chi ammette l'ispirazione del Nuovo Testamento il problema non esiste affatto.
  • 7. Così, ad esempio, Mc 3, 13-19 (= Mt 10, 1-4): Ap 21, 14. In Gv 15, 26-27, pur mancando il numero «dodici, si parla di loro (cfr Gv 13, 18-21; 6, 70-71 dove si parla della loro scelta ad opera di Gesù come i Dodici; Mc 14, 17). Il passo giovanneo perderebbe un po' della sua importanza su questo punto, se vi si riconoscesse, come fa il Boismard , un influsso lucano («Revue Bibl.» 1962, p. 618), provato dalla espressione «dall'origine» (Gv 15, 27 = Lc 1, 2), dal fatto che lo Spirito Santo viene fatto inviare dal Cristo (Gv 15, 26 = At 2, 33) anziché da Dio (Gv 14, 6.26), la cui testimonianza tramite gli apostoli richiama Lc 1, 48-49; At 1, 8 e specialmente At 5, 32; 15, 28. Sul problema dei «rapporti» Giovanni-Luca cfr E. Boismard , Saint Luc et la rédaction du quattrième Evangile , in «Revue Bibl.» 1962, pp. 185-211.
  • 8. Cfr J. Dupont, Le nom d'Apôtre a-t-il été donné aux douze par Jesus?, Louvain 1956; B. Rigaux, Die Zwölf in Geschichte und Kerygma, in « Der historische Jesus und der kerygmatische Christus. Berträge zum Christum-Verständnis in Forschung un Verkundigung », Berlin 1960, pp. 468-486; N. von Bohemen , L'institution des Douze. Contribution à l'étude des rélations entre l'Evangile de Matthieu ed celui de Marc, in « La Formation des Evangiles », Paris 1957, pp. 116-151.
  • 9. Così W. Kümmel , Verheissung und Erfüllung. Untercuchungen zur eschatologischen Verkündigung Jesu , Zürich 1945; 1953; Jesus und die Anfänge der Kirche, in «Studia Theologica», 7 (1953), pp. 1-27; Die Naherwartung in der Verkündigung Jesu, in «Zeit und Geschichte Dankesgabe an R. Bultmann», Tübingen 1964, pp. 31-46.
  • 10. Cfr. W.F. Smith, The Mixed State of the Church in Matthews' Gospel , in «Journal of Biblical Literature», 82 (1963), pp. 149-158. Egli richiama pure la frase: «Molti sono i chiamati, pochi gli eletti» (Mt 22, 14 e in alcuni codici anche in 20, 16); la disciplina contro i non fedeli (Mt 18, 15-17); la parabola della pecora perduta (Mt 18, 12-13) del servo perdonato che non perdona (Mt 18, 23ss). Tutti questi dati rispecchierebbero la situazione dell' 85 d.C. nella Siria, dove sarebbe appunto sorto, secondo lui, il primo Vangelo, accentuando, per motivi polemici contro gli Esseni recatisi a Damasco, il pensiero di Gesù.
  • 11. Cfr Daniele 7, 18.21-22.27 sul rapporto Messia-Popolo di Dio nell'espressione «Figlio dell'Uomo», cfr J. Coppens- J. De Queker, Les Fils de l'homme et les Saints du Très Haut en Dan.VII, dans les Apocryphes et dans le N. Testament, Lovanio, Pubblications Universitaires 1961; F Kattenbusch , Der Quellort der Kirchenidee , in «Festgabe für A.V. Harnack», Tübingen 1921, pp. 142-172 (unisce la profezia di Daniele con il cap. 53 del Deutero-Isaia).
  • 12. K.L. Schmidt, Die Kirche der Urchristentums, in «Festgabe für A. Deismann» Tübingen 1927, pp. 251-359. Per le citazioni dei testi qumranici cfr Regola della Comunità 8, 5-10.
  • 13. A. Oepke, Der Herrenspruch über die Kirche Mt 16, 17-19 , in «Studia Theologica» 1948-1949, pp. 110-165; Das neue Gotteswolk in Schriftum Schauspiel, bildende Kunst und Weltgestaltung , Gütersloh 1950; cfr pure sulla stessa linea R. Flew, Jesus and His Church. A Study of the Idea of the Ecclesia in the New Testament , London 1953; O. Cullmann , St. Pierre , pp. 167-174; D. Miller , The people of God. About the Basic New Testament Account of the origin and Nature of the Church , London 1959; J. Jeremias , Der Gedanke der Heiligen Reste in Spätjudentum und in der Verkündigung Jesu, in «Zeitschr. f. neut. Wissenschaft» 42 (1949). p. 184.
  • 14. A. Friedrichsen, Messias und Kirche Ein Buch von der Kirche , Göttingen 1951, pp. 45-48 (Gesù supera le attese messianiche di Israele perché situa al centro di esse la sua persona e la sua morte); A. Voegtle , Jesus und die Kirche , in «Begegnung der Christen», Festschrift O. Karrer, Stuttgard-Frankfurt 1959, pp. 54-81 (Gesù facendo conoscere al cerchio ristretto dei discepoli il senso della sua morte, indicava il sorgere di un nuovo popolo di Dio).
  • 15. R. Schnackenburg, Gotterherschaft und Reich. Eine biblish theologischen Studie , Freiburg 1965; Die Kirche im N.T. (Quaestiones disputatae, 14), Freiburg 1963 (trad. ital. La Chiesa del Nuovo Testamento, Morcelliana, Brescia); cfr pure B. Butler, Spirit and Institution in the New Testament (Studia Evangelica, III) Berlin 1964, pp. 138-165.
  • 16. J. Dupont, Le loghion des douze trônes (Mt 19, 28; Lc 22, 28-30), in «Biblica», 43, (1964), pp. 355-392. Secondo l'Autore Matteo aggiunge un detto riguardante i Dodici alle riflessioni sul rifiuto del ricco a seguirlo; Marco, più generico, lo ricollega a tutti i discepoli; Luca lo introduce nell'ultima Cena. L'articolo è ben fatto; solo le deduzioni teologiche circa la collegialità episcopale (pp. 391 ss) non hanno nulla a che vedere con il contesto; anzi il fatto che alla loro morte i «Dodici» non siano stati sostituiti, depone contro la loro successione ad opera dei vescovi. Non è ben chiarito il rapporto tra i Dodici e gli Apostoli.
  • 16 bis. L'origine simbolica del numero dodici è incerta; proviene forse dai dodici mesi dell'anno, oppure dal fatto che essendo il doppio di sei, la cifra dell'uomo, potrebbe anche significare il «popolo di Dio», dove l'uomo non si trova più solo, ma costituisce con altri una famiglia dotata di missione divina.
  • 17. Ge 35, 23; At 7, 8.
  • 18. Anche a Qumrân il consiglio della comunità era composto di dodici uomini più tre sacerdoti (Regola della Comunità 8, 1), il che ci richiama i dodici apostoli e il cerchio più intimo di essi: Pietro, Giacomo e Giovanni. I capi sacerdoti e i capi leviti saranno dodici, uno per ogni tribù (Regola della guerra 2, 1-3); le insegne belliche recheranno i dodici nomi delle dodici tribù (ivi 3, 14).
  • 19. Ap 21, 12-14. La posizione delle porte, tre per ogni punto cardinale, si può spiegare forse con Avoth dei Rabbi Nathan e Ma'yan ganin di Ibn Mashud (Comm. al libro di Giobbe, ed. Bubert, 1889) dove si dice che Giobbe al pari di Abramo, si costruì una tenda con le quattro aperture rivolte ai quattro lati del mondo,, affinché l'ospite non si affacciasse a cercarne l'entrata. Tale dato indicherebbe simbolicamente la facilità di accesso alla nuova Gerusalemme.
  • 20. Su questo punto vi è accordo quasi generale tra gli esegeti; cfr H. Schuermann, Die Juengerkreis Jesu als Zeichen für Israel , in «Geist und Leben», 16 (1963), pp. 21-35; J. Dupont, Le loghion des douze trônes, in «Biblica», 1964, pp. 387 s. Grande è la risonanza teologica della elezione dei Dodici, in quanto presuppone la coscienza messianica di Gesù, anche se la proclamazione di questa sua prerogativa fu graduale; all'inizio Gesù predicò il «regno di Dio» o «dei Cieli» (dove la parola cieli sostituisce l'impronunciabile nome di Dio) di cui Dio stesso è re (Mt 5, 35; 18, 23; 22, 2.7.11.13). Ma dinanzi a Pilato prima di salire sulla «croce» (che in Giovanni è presentato come il trono da cui Gesù ascende al cielo), il Cristo si proclamò «re messianico», «il Figlio dell'Uomo» (cfr Dn 7, 9.10) che sarebbe asceso sulle nubi al cielo (Gv 18, 33-38; Lc 23, 69). Come Figlio dell'Uomo egli è perciò associato alla funzione regale, che sarà rimessa al Padre dopo la sua missione (1 Co 15, 24); quindi talora nel Vangelo si parla del «regno del Figliuol dell'Uomo» (Mt 13, 41; 16, 28) o del «regno di Gesù» (Mt 20, 21); Mt 25, 40 dopo aver introdotto il «Figlio dell'Uomo», continua a parlare di un «re».
  • 21. Cfr Platone, Ep. 7, 346a apòstolon plòiôn indica una flotta da trasporto; Demostene , Oratio, 3, 5; 18, 107 designa una spedizione navale; tòn apòstolon (plòion apostèllein) significa spedire una flotta (cfr pure 18, 252, 262). In Lisia (sec. V a.C.) è usato anche il plurale (Oratio , 19, 21); In Diogene Laerzio (storico del III secolo d.C.) vale «dispaccio, ordine, permesso d'esportazione» (5, 59). La parola «apòstoloi» nella legislazione tardiva acquistò il valore di «Litterae dimissoriae), con la quale un caso veniva deferito all'alta corte.
  • 22. In Erodoto 1, 21, 38 designa il messo che fu spedito da Aliatte a Mileto e poi da Mileto a Sparta.
  • 23. G. Flavio, Ant. Giud., 17,11,1.
  • 24. 1 Re 14, 6 LXX (Ahia); Is 18, 1s (Etiopia).
  • 25. Adv. Triphonem 75 PG 6, 652 B; cfr pure Girolamo. Comm. ad Galatas, 1, 1 PL 26, 335 D.
  • 26. Nm 16, 28; Is 6, 8.
  • 27. Giustino, Adv Triphonem c. 108 PG 6, 755 C. L'apologeta cristiano afferma che il Sinedrio, dopo aver loro imposto le mani ( keirotonésantes ), inviò dei messi in tutto il mondo per annunziare il sorgere della eresia cristiana in seno al giudaismo (cfr pure Eusebio , Comm. in Is 18, 1 PG 24, 213-214).
  • 28. Epifanio, Haer. 30,4,2 ed. K. Holl CB p. 338, 21 PG 41, 409 D. L'invio dei «messi», iniziatosi al tempo di Giosafat (cfr 2 Cr 17, 7-9), si sviluppò assai dopo che il Sinedrio si fu stabilito a Tiberiade in seguito alla distruzione di Gerusalemme; gli «apostoli» ricevevano dal «patriarca» (= capo della Sinagoga) l'incarico di curare tra l'altro la raccolta di denaro. Tale sistema di tassazione fu abolito da Onorio nel 398 come risulta dal cod. di Teodosio 16,8,14. Una iscrizione di Venosa parla di «duo apotuli et duo rebbites» (cfr C.B. Frey, Corpus Inscriptionum judaicarum I, Roma 1936, p. 438, n. 611). Su questo problema cfr S. Krauss, Die Jüdischen Apostel, in «Jew. Quart. Rev.», 17 (1905), 370 ss.
  • 29. Apostolo deriva da apostéllo : «inviare», con il senso di «inviato».
  • 30. At 11, 30; 13, 3; 15, 2.
  • 31. Lc 10, 16 anche se non c'è la parola «apostolo» il concetto vi è incluso, in quanto il verbo «inviare» in greco è della stessa radice (apostéllo ) usata per il vocabolo greco di «apostolo». In Gv 15, 15 si afferma che l'apostolo, ivi chiamato però con il ponome di «servo», non può essere superiore al padrone a cui serve.
  • 32. 1 Co 9, 5s. Alcuni vorrebbero includervi anche Apollo (1 Co 4, 9) supponendo che il plurale si riferisca anche all'Apollo prima nominato al v. 6; è possibile ma poco probabile, poiché egli fu istruito da Aquila e Priscilla (At 18, 24-28), visse lungi dalla Palestina (Alessandria At 18, 24; Listra At 16, 1-2). Egli non aveva quindi le caratteristiche di un apostolo; anche Clemente Romano lo distingue dagli apostoli chiamandolo « uomo stimato dagli ( parà) apostoli » (Epist. 47).
  • 33. Rm 16, 7. E' Illogico tradurre questo passo come segue: « sono assai stimati dagli apostoli»; in tal caso ci vorrebbe la preposizione parà , non l'en che ora vi esiste e che costringe a tradurre il testo come segue: « sono segnalati tra gli apostoli», tra coloro cioè che sono apostoli come loro. Origene (In Rm 10, 21 PG 14, 1280 AB) pensa che con tutta probabilità Giunio e Andronico fossero due dei settanta discepoli scelti da Gesù (cfr Lc 10, 1-16). Il plurale «apostoli » di 1 Te 2, 6 (come quello di 1 Co 4, 6) è un plurale maiestatico, da riferirsi solo a Paolo; là alcuni pensano che si voglia riferire anche a Silvano che con Paolo scrisse la lettera. Sarebbe tuttavia, in tal caso, da escludere Timoteo, che è pure lui un altro mittente della lettera (cfr 1 Te 1, 1) in quanto egli altrove è chiamato solo evangelista (2 Ti 4, 5) ed è chiaramente distinto da Paolo (2 Co 1, 1; Cl 1, 1 « Paolo apostolo e Timoteo suo fratello »).
  • 34. Cfr Gv 7, 5. La sua conversione deve essersi avverata con l'apparizione del Risorto della quale parlano Paolo (1 Co 15. 6-7) e anche il Vangelo giudeo cristiano degli Ebrei, secondo un suo frammento riportato da Girolamo: « Il Signore, dopo aver dato la sindone al servo del sacerdote, andò da Giacomo e gli apparve (Giacomo aveva infatti giurato di non mangiare più pane da quel momento in cui egli aveva bevuto dal calice del Signore sino a quello in cui egli avrebbe visto il morto risorto). E tosto il Signore disse: Portate una mensa e del pane. Prese il pane, (lo) benedisse, lo spezzò e lo diede a Giacomo il giusto e gli disse: Fratello mio, mangia il tuo pane, perché il Figlio dell'uomo è risorto dai dormienti » ( Girolamo , De viris illustribus , in E. Hennecke , Neutestamentliche Apokriphen , Tübingen 1959, vol. 1, p. 108).
  • 35. 2 Co 11, 15-13; il «cotesti sommi apostoli » non va riferito ai Dodici ai quali Paolo non si dichiarerebbe inferiore, bensì, secondo il contesto, a quegli apostoli boriosi che, pur non essendo tali, osavano con baldanzosità biasimare lo stesso Paolo (cfr 2 Co 11, 13; Ap 2, 2); la Didaché (c. 11) dà delle norme per distinguere i veri dai falsi apostoli.
  • 36. 1 Co 12, 28; Rf 4, 11.
  • 37. 1 Co 15, 7. E' probabile che lo abbiano visto anche gli altri «fratelli» in quanto fin dall'inizio li troviamo raccolti nella camera alta in attesa dello Spirito Santo, assieme a Maria, a Giacomo e ai Dodici.
  • 38. Per Barnaba che era levita cfr At 4, 36; Per Giunio e Andronico, cfr Rm 16, 7 e, sopra, la nota 12. Giunia è nome maschile e non femminile, come erroneamente pensava il Crisostomo; è contratto di Junianus.
  • 39. Didaché o Dottrina dei Dodici apostoli.
  • 40. Sim. IX, 15,4: «Questi sono gli apostoli e i dottori che predicarono (al passato) il none del Figlio di Dio» (Sim OX, 16, 5-6; Vis. 14, 5; Sim IX, 25; cfr Ef 4, 11). Il fatto che Paolo affermi che fu il Cristo glorioso asceso al cielo (Ef 4, 7-11) a sceglierli, significa ancora una volta la necessità d'aver visto il Risorto, per essere inclusi tra gli Apostoli.
  • 41. Ga 1, 1; 1 e 2 Co 1, 1.
  • 42. Paolo dovette da un parte opporsi alle pretese dei seguaci di Giacomo nella direzione della Chiesa e dall'altra a quelle dei fautori dei Dodici. Perciò egli mostra che la sua investitura non proviene da Giacomo o dai Dodici, bensì direttamente da Dio.
  • 43. 1 Co 12, 28; l'aoristo indica che lo Spirito aveva stabilito in passato le varie categorie ivi accennate.
  • 44. 2 Co 3, 17.
  • 45. Ef 4, 11; gli apostoli sono qui considerati come una realtà del passato, o, come una categoria fissa? Sembra migliore la seconda ipotesi. Lo Spirito ha stabilito delle categorie che non possono venire modificate.
  • 46. Non si può restringere la presenza delle persone solo ai «Dodici», poiché vi erano indubbiamente presenti anche «i fratelli del Signore», anzi a quel che pare gli stessi centoventi prima ricordati (cfr At 1, 14. 15 e 2, 1).
  • 47. O. Cullmann, La Tradition, o.c., p. 15.
  • 48. Cl 2, 8 Paràdosis toû anthrópou.
  • 49. Ga 1, 12 dià apokalúpseos.
  • 50. I negatori dell'esistenza di Gesù (Couchoud , Le Mystère de Jésus , Paris 1924, p. 141) poggiano su questo punto per asserire che tutto quanto fu detto del Cristo proviene da una « supposta » rivelazione avuta da Paolo. L'apostolo avrebbe trasferito sul piano storico il contenuto di una sua visione soggettiva! Posizione evidentemente assurda! Come tutti l'avrebbero così facilmente accolta, se il Cristo non fosse nemmeno esistito?
  • 51. 1 Co 7, 25 «degno di fede»; traduzione più esatta che non quella di «fedele». Il greco pistòs einai ha il senso di «essere degno di fede» anche in 1 Ti 7, 12 (degno di fiducia); At 13, 34.
  • 52. Ef 4, 21. Perciò Paolo scrive loro «se pur l'avete ascoltato» in quanto non basta «udire», occorre anche praticare. Udire l'ammaestramento o la tradizione apostolica non è udire un uomo, bensì ascoltare lo stesso Cristo.
  • 53. Per Pietro e Giovanni cfr. At 5, 15; per Paolo cfr At 19, 12.
  • 54. Per Pietro cfr At 5, 15; per Paolo cfr At 19, 12.
  • 55. Eb 2, 4. Anche se qui non si dice che le potenti opere taumaturgiche erano privilegio degli apostoli (di fatto vi era nella Chiesa apostolica anche il carisma delle guarigioni, donato a varie persone), si può però concludere che tali doni erano principalmente riservati agli apostoli.
  • 56. In Ap 18, 20 sembra che i profeti quivi nominati dopo gli apostoli siano quelli dell'A.T. «Rallegrati o cielo, e voi santi, e voi apostoli, e voi profeti»
  • 57. In Ga 1, 1ss. In merito agli «apostoli e profeti » di Ef 2, 20, va notato che si tratta di un unico gruppo di persone, non di due gruppi distinti, in quanto non vi si ripete l'articolo dinanzi alla seconda parola «profeti» (come avviene in Ap 18, 20 e Ef 4, 11), ma un articolo unico regge entrambi i nomi. Quindi gli «apostoli» sono gli «unici» autentici e legittimi «profeti» del Cristianesimo. Gli altri profeti possono essere discussi, ma gli «apostoli» no!
  • 58. Il themélion è il fondamento che l'architetto getta a base della costruzione futura. Gli apostoli hanno posto il fondamento della Chiesa che è Gesù Cristo (1 Co 3, 10), ma anche loro costituiscono il «fondamento» della chiesa in quanto sono stati utilizzati da Cristo per fondare la sua Chiesa (Ef 2, 20) e sono gli unici mezzi che abbiamo a disposizione per conoscere il Cristo.
  • 59. W. Schmithals, Das Kirchliche Apostolat. Eine Historische Untersuchung (Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testament, 79 ), Gôttingen 1961. L'Autore, come già vedemmo, si riallaccia al suo studio sulla gnosi di Corinto (Die Gnosis in Korinth. Eine Untersuchung zu den Korintherbriefen, Forschungen z. Religion ... n. 66, Gôttingen 1956), per sostenere che l'apostolato non è altro che la retrodatazione della dignità apostolica esistente presso gli gnostici.
  • 60. L'unico problema in tal caso sarebbe l'ispirazione del Vangelo di Luca che non fu apostolo, sia perché convertito più tardi, sia perché lui stesso si distingue dai testimoni (Lc 1, 1-4). Tale questione si risolve con il fatto che Luca è citato, assieme a un passo del Signore, da parte di Paolo (1 Ti 5, 18 che cita Dt 25, 4 e Lc 10, 7) divenendone così suo garante e con il fatto che l'evangelista ha voluto raccogliere solo « ciò che sicuramente proveniva dai testimoni autorizzati » (= apostoli) e perciò arricchiti di ispirazione (suo prologo). Di solito il problema del canone neotestamentario è molto trascurato dagli acattolici.
  • 61. Mt 10, 5-6. Fu Paolo, che non era dei Dodici, a proclamarsi l'apostolo dei Gentili, come Pietro lo era per i «circoncisi», ossia i Giudei. Gli apostoli inizialmente si limitarono a predicare agli Israeliti e solo con difficoltà accettarono la predicazione ai Gentili; per muovere Pietro ci volle una apposita visione (cfr At 10). Come si concilia questa opposizione con il comando di Gesù « ammaestrate tutte le genti »? (Mt 28, 18-20; cfr Lc 24, 47; At 1, 8). Il Gaechter (Das Matthäus Evangelium. Ein Kommentar , Tyrolis Verlag, Innsbruck 1963 a. 1) suppone che questa frase sia stata inventata da Matteo in accordo con la teologia posteriore della Chiesa primitiva. Gesù avrebbe detto «andate per tutto il mondo », il che poteva intendersi « ai soli Giudei della Diaspora »; essa poi fu ritoccata in «tutte le genti » secondo la teologia successiva (cfr At 19, 11 e 15). Non penso che ciò sia necessario: il problema di At 10 e 15 non era quello della possibilità o no di predicare ai Gentili, ma se questi Gentili dovessero prima farsi circoncidere o no. La frase di Gesù fu intesa nel senso che la predicazione poteva rivolgersi anche ai Gentili, ma solo dopo che questi erano divenuti Ebrei con la circoncisione. Fu lo Spirito Santo che, con Pietro Prima (At 10), e con Paolo poi, chiarì il senso escludendo la circoncisione (At 15).
  • 62. Mc 6, 7-13.30. Cfr L. Cerfaux , la mission de Galilée dans la tradition synoptique, in «Ephem. Theol. Lovan.» 27 (1951), pp. 369- 389; 28 (1952), pp. 629-647.
  • 63. Gv 14, 26.
  • 64. Si cor Gv 19, 25 ss e F. Salvoni , La verginità di Maria , Editrice Lanterna, Genova 1969, pp. 57-68. torna al testo
  • 65. Il termine «cananeo » (Mc 13, 18, Mt 10, 4) non ha nulla a che vedere con il territorio di Canaan, ma è la trascrizione dell'aramaico Kanana, traduzione del greco «zelota» (= fanatico) che è trascritta in caratteri greci, anziché essere tradotto (Lc 6, 15; At 1, 13). Altri anziché «zelota» vorrebbero tradurre il termine con «zelante» nella legge giudaica; ma anche in tal caso egli non avrebbe dovuto essere in buona armonia con l'oppressore romano, che aveva limitato la libertà d'azione del popolo giudaico.*66. Cfr F. Schultess, Das Problem der Sprache Jesu , 1919, pp. 54 s. Secondo alcuni anche Pietro sarebbe appartenuto a questo gruppo di rivoluzionari (si veda più avanti il significato discusso di Barjona).