Letteratura/Sovranitadidio/10

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Indice generale

La sovranità di Dio, di A. W. Pink

Capitoli:: 0-1 - 0-2 - 0-3 - 0-4 - 0-5- 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13-1 - 13-2 - 13-3 - 13-4 - 14

 


10. Il nostro atteggiamento verso la sovranità di Dio

"Sì, Padre, perché così ti è piaciuto" (Mt. 11:26).

In questo capitolo considereremo, anche se brevemente, l'applicazione pratica, per noi stessi, della gran verità sulla quale abbiamo ponderato, nelle pagine precedenti, nelle sue varie ramificazioni. Nel capitolo 12 tratteremo più in dettaglio del valore di questa dottrina, ma qui ci limiteremo ad una definizione di ciò che dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso la sovranità di Dio.

Ogni verità che ci sia rivelata nella Parola di Dio, si presenta a noi non solo per nostra informazione, ma anche per nostra ispirazione. La Bibbia ci è stata data non per gratificare la nostra curiosità oziosa, ma per edificare l'anima dei suoi lettori. La sovranità di Dio è molto più che un principio astratto che spieghi il razionale del governo di Dio: è intesa a suscitare in noi santo timore, ci è fatta conoscere per la promozione di una vita santa, ci è rivelata al fine di assoggettare il nostro cuore ribelle. Un autentico riconoscimento della sovranità di Dio può renderci umili come null'altro mai, e portare il nostro cuore all'umile sottomissione di fronte a Dio, facendoci rinunciare alla nostra volontà egoistica e rallegrare nel comprendere e nell'eseguire la volontà di Dio.

Quando parliamo di sovranità di Dio, intendiamo molto di più che l'esercizio del potere che Dio possiede di governare, sebbene, ovviamente, questo ne sia pure incluso. Come abbiamo rilevato in uno dei capitoli precedenti, la sovranità di Dio non è nient'altro che l'espressione della divinità di Dio. Nel significato più pieno e profondo, il titolo di questo libro significa il carattere e l'essere di Colui, il cui beneplacito è realizzato e la cui volontà è eseguita. Riconoscere veramente la sovranità di Dio, quindi, significa contemplare il Sovrano stesso. Significa venire alla presenza dell'augusta "Maestà nei cieli", significa contemplare il Dio tre volte santo, nella Sua gloria suprema. Gli effetti di tale contemplazione, possono essere appresi da quei testi della Scrittura che descrivono l'esperienza di diverse persone che sono giunte a contemplare il Signore Iddio.

Notate, in primo luogo, l'esperienza di Giobbe, colui del quale il Signore stesso disse: "Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male" (Gb. 1:8). Al termine del libro che porta il suo nome, troviamo Giobbe alla presenza di Dio. In che modo egli s'atteggia quand'è portato a faccia a faccia con Jahweh? Ascoltatelo, quando dice: "Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora il mio occhio ti vede. Perciò provo disgusto nei miei confronti e mi pento sulla polvere e sulla cenere" (Gb. 42:5,6 ND). Ecco così come, quando Dio si rivela in tutta la Sua sconvolgente maestà, questo fa sì che Giobbe aborrisca se stesso, anzi, che Giobbe si abbassi sino a terra di fronte all'Onnipotente.

Notate, poi, Isaia. Nel sesto capitolo della sua profezia, ci è presentata una scena con pochi uguali persino nella Scrittura. Il profeta vede il Signore sul Trono, un Trono "alto, molto elevato". Al di sopra di questo trono, si trovavano dei serafini che, coprendosi il volto, dicono: "Santo, santo, santo è il SIGNORE degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!". Che effetto aveva avuto sul profeta questa visione? Leggiamo: "Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il SIGNORE degli eserciti!" (Is. 6:5). Il solo vedere il Re divino, aveva fatto prostrare Isaia nella polvere, portandolo a rendersi conto della propria nullità.

Considerate, in terzo luogo, il profeta Daniele. Verso il termine della sua vita, quest'uomo di Dio contempla il Signore in una teofania. Egli appare al Suo servitore in forma umana, "vestito di lino", con una cintura d'oro fine, simbolo questo della santità e della gloria divina. Leggiamo, così, come: "Il suo corpo era come crisolito, la sua faccia splendeva come la folgore, i suoi occhi erano come fuoco fiammeggiante, le sue braccia e i suoi piedi erano come il rame splendente e il suono della sua voce era come il rumore d'una moltitudine". Daniele, poi, ci parla dell'effetto, su di lui e su quanti erano con lui, di questa visione: "Soltanto io, Daniele, vidi la visione; gli uomini che erano con me non la videro, ma un gran terrore piombò su di loro e fuggirono a nascondersi. Io rimasi solo, a contemplare quella gran visione. In me non rimase più forza; il mio viso cambiò colore fino a rimanere sfigurato e le forze mi abbandonarono. Poi udii il suono delle sue parole, ma appena le udii caddi assopito con la faccia a terra" (Da. 10:6-9). Ecco ancora che vediamo come avere una visione dell'Iddio sovrano, sia, per la creatura, qualcosa di raggelante: il risultato è che l'uomo, di fronte al suo Fattore, si abbassa sino a prostrarsi nella polvere. Quale, dunque, dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso il supremo Sovrano? Rispondiamo.

1. Un atteggiamento di santo timore. Perché oggi le masse sembrano totalmente disinteressate delle cose spirituali ed eterne, amanti del piacere più che di Dio? Perché persino nei campi di battaglia, intere moltitudini possono essere così indifferenti al benessere della loro anima? Perché oggi l'atteggiamento di sfida verso il cielo, sta diventando così svergognato e ardito? La risposta è perché: "Non c'è timor di Dio davanti ai loro occhi" (Ro. 3:18). Chiediamoci ancora: perché l'autorità delle Scritture sia andata così tristemente sempre di più scemando in questi tempi? Perché, persino fra coloro che professano d'essere del popolo di Dio, vi è così poca soggezione alla Sua Parole, ed i Suoi precetti sono considerati così alla leggera tanto da essere posti ben presto da parte? Ah! Quel che oggi deve essere rilevato è che Dio è un Dio che deve essere temuto. "Il timore del SIGNORE è il principio della scienza" (Pr. 1:7). Beata quell'anima che teme di fronte alla visione della maestà di Dio, che ha avuto una visione della stupefacente grandezza di Dio, della Sua ineffabile santità, della Sua perfetta giustizia, del Suo irresistibile potere, della Sua grazia sovrana!

Magari, a questo punto, qualcuno potrebbe dire: "Non è forse vero che sono i non salvati, quelli che sono fuori di Cristo, a dover temere Dio?". Una risposta sufficiente potrebbe essere che anche i salvati, coloro che sono in Cristo, sono ammoniti ad adoperarsi "al compimento della loro salvezza con timore e tremore" (Fl. 2:12). C'era un tempo in cui si usava dire di un credente che questi era "un uomo timorato di Dio". Il fatto che quest'espressione sia in pratica scomparsa dall'uso, testimonia quanto noi si abbia degenerato. Continua, però, ad essere scritto: "Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il SIGNORE verso quelli che lo temono" (Sl. 103:13). Quando parliamo di santo timore, naturalmente, non intendiamo una paura servile come quella che prevale fra i pagani in rapporto ai loro dèi. No, noi intendiamo quello spirito che Yahweh ha promesso di benedire, quello spirito al quale il profeta si riferiva, quando diceva: "Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola" (Is. 66:2). Era questo cui l'apostolo pensava quando scriveva: "Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio" (1 Pi. 2:17). Ecco così che nulla potrebbe maggiormente promuovere il timore di Dio quanto il riconoscimento della sovrana maestà di Dio.

2. Un atteggiamento d'implicita ubbidienza. Contemplare Dio conduce a rendersi conto di quanto siamo piccoli ed insignificanti, e scaturisce in un senso di dipendenza e di fiducioso abbandono a Dio. Si potrebbe anche dire: contemplare la divina Maestà promuove uno spirito di santo timore e, a sua volta, esso genera un comportamento ubbidiente. Sta proprio qui l'antidoto al male così radicato in noi. Per natura l'uomo è pieno solo del senso della propria grandezza ed autosufficienza; in una parola: d'orgoglio e di ribellione. Come, però, abbiamo osservato, il suo più gran correttivo è di contemplare l'Iddio onnipotente, perché solo questo lo potrà realmente portare a ridimensionarsi. L'uomo, o si gloria in se stesso, o si gloria di Dio. O l'uomo vive per servire e per compiacere se stesso, o cercherà di servire e compiacere Dio. Nessuno può servire due padroni. L'irriverenza genera disubbidienza. L'arrogante monarca d'Egitto diceva: "Chi è il SIGNORE che io debba ubbidire alla sua voce e lasciare andare Israele?" Es. 5:2). Per il Faraone, il Dio degli Ebrei era semplicemente un Dio, uno fra i tanti, un'entità impotente che non doveva certo essere temuta e servita. E' triste considerare come egli si sbagliasse, e quanto amaramente avrebbe dovuto poi pagare per questo suo errore. Ciò che, però, qui vogliamo mettere in evidenza, è che lo spirito di sfida del faraone, era il frutto della sua irriverenza, e questa sua irriverenza era il risultato della sua ignoranza della maestà ed autorità dell'Essere divino. Ora, se l'irriverenza genera disubbidienza, vera riverenza produce e promuove ubbidienza. Rendersi conto che le Scritture sono rivelazione dell'Altissimo, che ci comunica il Suo pensiero e definisce per noi la Sua volontà, è il primo passo della pietà pratica. Riconoscere che la Bibbia è Parola di Dio, e che i suoi precetti sono precetti dell'Onnipotente, ci conduce a vedere quale cosa spaventevole sia disprezzarli ed ignorarli. Ricevere la Bibbia come un messaggio rivolto alla nostra anima, dataci dal Creatore stesso, ci farà gridare come il Salmista: "Inclina il mio cuore alle tue testimonianze e non alla cupidigia. ...Guida i miei passi nella tua parola e non lasciare che alcuna iniquità mi domini" (Sl. 119:36,133). Una volta compresa la sovranità dell'Autore della Parola, non staremo più lì a scartabellare la Bibbia solo per scoprirvi quei precetti e statuti con i quali siamo o non siamo d'accordo, ma si vedrà prontamente come sia assolutamente dovuta, da parte della creatura, una sottomissione completa, indiscutibile e di tutto cuore al sovrano Iddio.

Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso la sovranità di Dio? Ancora una volta rispondiamo:

3. Un atteggiamento di completa sottomissione. .Un vero riconoscimento della sovranità di Dio escluderà, da parte nostra, ogni lamentela. Potrebbe essere un fatto scontato, questo, ma merita particolare attenzione. E' naturale lamentarci d'afflizioni e perdite. E' naturale lamentarci quando siamo privati di quelle cose che ci stavano in cuore. Siamo inclini a pensare che ciò che possediamo sia incondizionatamente nostro. Riteniamo che, quando abbiamo portato avanti i nostri progetti con saggezza e diligenza, allora noi abbiamo titolo al successo, che quando con il nostro "duro lavoro" abbiamo accumulato "competenza", noi meritiamo d'ottenerne e goderne frutti, che quando siamo circondati da una famiglia felice, non vi sia nessuno che possa legittimamente intromettersi nel nostro cerchio magico e colpire qualcuno che amiamo. Se poi in qualcuno di questi casi, delusione, bancarotta, o morte, di fatto viene a "disturbarci", l'istinto perverso del cuore umano ci porterà a lamentarcene con Dio, accusandolo di averci tolto ciò cui avevamo diritto. Chi, però, per grazia, riconosce la sovranità di Dio, quello è in grado di ridurre al silenzio tali lamentele, per sostituirvi l'accettazione rispettosa della volontà di Dio, e il riconoscimento che Egli ancora non ci ha afflitto abbastanza come noi meriteremmo.

Un vero riconoscimento della sovranità di Dio significa riconoscere che Dio ha diritto assoluto a fare con noi ciò che vuole. Colui o colei che si piega al beneplacito dell'Onnipotente, riconoscerà il Suo diritto assoluto a fare ciò che Gli sembra più opportuno. Se Egli scegliesse di mandarci povertà, malattia, lutti in famiglia, anche se il nostro cuore sanguinasse da ogni poro, noi diremmo: "Il giudice di tutta la terra non agisce forse rettamente?". Spesso vi sarà in noi lotta interiore, perché anche nel credente permane la mente carnale fino alla fine del suo pellegrinaggio terreno. Anche quando vi possa essere nel suo petto un aspro conflitto, colui che si è piegato a questa verità benedetta, udrà quella Voce che un tempo si era sentita sul turbolento lago di Gennesaret, e che diceva: "Taci, calmati!", ed allora quelle onde tempestose si calmeranno e l'anima sottomessa solleverà al cielo gli occhi pieni di lacrime, ma fiduciosi, dicendo: "Sia fatta la Tua volontà".

Un'impressionante illustrazione di un'anima che si piega alla sovrana volontà di Dio, ci è fornita dalla storia di Eli, sommo sacerdote in Israele. In 1 Samuele 3, apprendiamo come Iddio si fosse rivelato al giovinetto Samuele dicendogli che Egli avrebbe ben presto ucciso i due figli di Eli, a causa della loro malvagità, e Samuele comunica questo messaggio, il mattino dopo, all'anziano sacerdote. E' facile immaginarsi quanto doloroso possa essere per un genitore ricevere una tale notizia. L'annuncio che proprio figlio sta per essere colpito da una morte improvvisa, è sempre una grave prova per un qualsiasi padre, ma apprendere che i suoi due figli - nel fior fiore dei loro anni e non preparati a morire, debbano essere recisi da un giudizio divino, deve essere stato davvero terribile per il pio Eli. Qual è stata, però, la reazione di Eli nel ricevere queste tragiche notizie? Egli disse: "Egli è il SIGNORE: faccia quello che gli parrà bene" (1 Sa. 3:18). Non gli sfugge di bocca altra parola! Che stupefacente sottomissione! Che sublime rassegnazione! E' un esempio ammirevole della potenza della grazia di Dio di controllare anche gli affetti più forti del cuore umano, e di sottomettere la volontà ribelle, portandola ad accettare, senza lamentarsene, il sovrano beneplacito di Jahweh.

Un altro esempio, ugualmente stupefacente, si vede nella vita di Giobbe. Com'è ben noto, Giobbe "era integro e retto; temeva Dio e fuggiva il male" (Gb. 1:1). Parlando alla maniera umana, avrebbe potuto ben essere considerato, il candidato migliore a che la provvidenza di Dio gli sorridesse. Come, però, gli vanno le cose? Per un certo tempo "la sorte gli assegna luoghi deliziosi". Il Signore "gli riempie la faretra" con sette figli e tre figlie. Prospera nei suoi affari temporali fino ad ottenere vaste proprietà. Improvvisamente, però, il sole della vita per lui scompare dietro a nubi dense e fosche. In un solo giorno Giobbe non solo perde i suoi armenti, ma anche tutti i suoi figli e figlie. Gli arrivano notizie che il suo bestiame è stato portato via da briganti, ed i suoi figli uccisi da un ciclone. In che modo riceve queste informazioni? Ascoltate le sue parole sublimi: "Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il SIGNORE ha dato, il SIGNORE ha tolto" (Gb. 1:21). Egli si piega alla volontà sovrana di Jahweh. Egli fa risalire le sue disgrazie alla Causa Prima. Egli guarda di là dai Sabei che gli hanno rubato il bestiame, ed oltre i venti che hanno distrutto i suoi figli, e vede la mano del Signore. Giobbe, però, non solo riconosce la sovranità di Dio, ma pure egli se ne rallegra. Alle parole: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto" aggiunge: "Sia benedetto il nome del SIGNORE" (Gb. 1:21). Ancora diciamo: che sottomissione ammirevole! Quale sublime rassegnazione!

Un vero riconoscimento della sovranità di Dio farà si che qualsiasi nostro piano sia portato avanti con la riserva: "Se piace al Signore". Mi rammento di un fatto avvenuto tempo fa in Inghilterra. La regina Vittoria era morta ed era stata fissata la data dell'incoronazione del suo figlio più vecchio, Edoardo, per l'aprile del 1902. Ne era stato pubblicato diffusamente l'annuncio, ma negli inviti erano state omesse le due lettere D. V. cioè "Dio volendo". Erano stati completati tutti i preparativi per l'occasione, che sarebbe stata, per l'Inghilterra, un evento memorabile, il più grandioso che fosse mai stato organizzato a memoria d'uomo. Re ed imperatori sarebbero giunti da tutto il mondo per partecipare a questa cerimonia regale. Erano stati stampate e diffuse le proclamazioni del principe, ma, per quanto io mi rammenti, in nessuno di loro comparivano le lettere D. V. Era il programma più impressionante mai concepito: il figlio più anziano della Regina sarebbe stato incoronato Edoardo VII all'abbazia di Westminster. Giorno ed ora erano stati fissati, poi, però, Dio intervenne e tutti quei piani sarebbero stati del tutto frustrati. Si udì una voce sottile dire: "Avete fatto i conti senza di Me!", ed il principe Edoardo fu colpito da appendicite e la sua incoronazione posticipata per mesi!

Come abbiamo rilevato, un vero riconoscimento della sovranità di Dio ci condurrà a fare i nostri piani con una debita riserva: "Se Dio vuole". Essa ci porta a riconoscere che il Vasaio divino può fare con la sua argilla quello che vuole, secondo il Suo imperiale beneplacito. Essa ci porta a prestare ascolto all'ammonimento - purtroppo oggi così trascurato: "E ora a voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo»; mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos'è, infatti, la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest'altro»" (Gm. 4:13-15).

Si, è alla volontà di Dio che noi dobbiamo piegarci. E' Lui che stabilisce il luogo della nostra residenza - se in America, oppure in Africa. E' Lui che determina in quali circostanze dobbiamo vivere - se in ricchezza o in povertà, se in salute, oppure in malattia. E' Lui che decide quanto a lungo dovrò vivere - se sarò reciso nel fiore dei miei anni come l'erba dei prati, oppure dovrò raggiungere tarda età. Imparare realmente questa lezione significa, per grazia, raggiungere un grado elevato nella scuola di Dio, ed anche quando pensiamo d'averla imparata, scopriamo, sempre di nuovo di doverla reimparare.

4. Un atteggiamento di profonda riconoscenza e gioia. Quando pure il nostro cuore comprende la verità benedetta della sovranità di Dio, allora il risultato nella nostra vita sarà molto diverso dalla cupa soggezione all'inevitabile. La filosofia di questo mondo sulla via della perdizione, non conosce nulla di meglio del "far buon viso a cattivo gioco". Con il cristiano, però, dovrebbe essere ben diverso. Il riconoscimento della supremazia di Dio, non solo genera in noi santo timore, implicita ubbidienza, e completa sottomissione, ma dovrebbe spingerci a dire, con il Salmista: "Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello ch'è in me, benedica il suo santo nome" (Sl. 103:1). Non dice forse l'Apostolo: "…ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo" (Ef. 5:20)? E' proprio a questo punto che la nostra anima è spesso messa alla prova. Ahimè, in noi c'è tanto ostinato egoismo! Quando le cose vanno come vorremmo noi, sembriamo essere molto riconoscenti al Signore.

Che dire, però, quando le cose vanno contrariamente ai nostri piani e desideri? Prendiamo per scontato che quando il vero cristiano parte per un viaggio in treno e raggiunge la stazione d'arrivo, egli devotamente ringrazi il Signore - il che, naturalmente, rivela come egli creda che Dio sia in controllo di tutto, altrimenti dovrebbe ringraziare il macchinista, il capotreno, gli addetti alle segnalazioni, ecc. Oppure, se è nel mondo del commercio, al termine di una buona settimana, che egli esprima debitamente la sua gratitudine al Datore d'ogni dono temporale e spirituale - il che, naturalmente, rivela com'egli creda che Dio diriga i clienti al suo negozio. Fin qui è chiaro: questi esempi non danno occasione a difficoltà di sorta. Immaginate, però, l'opposto. Supponete che il treno ritardi per ore e che, per questo, molto innervosito e fumante di rabbia, io abbia perduto tempo prezioso o appuntamenti importanti; supponete che sia avvenuto un grave incidente ferroviario e ne uscissi ferito! O supponete che io abbia avuto una settimana veramente negativa nei miei affari, o che un fulmine abbia colpito il mio negozio mandandolo in fiamme, o che io sia stato derubato da malviventi che, sotto minaccia delle armi, mi avessero portato via tutto - vedrei io, in ogni caso la mano di Dio in tutto questo? Prendete ancora una volta il caso di Giobbe. Quando gli capitano disgrazie dopo disgrazie, che fa lui? Lamenta la sua "sfortuna"? Maledice i briganti? Mormora contro Dio? No, egli s'inchina davanti a Lui per adorarlo. Ah, caro lettore, non vi sarà alcun reale riposo per il tuo povero cuore fintanto che non impari a vedere la mano di Dio in tutto ciò che accade. Per quello, però, è la fede a dover essere in costante esercizio. Che cos'è, però, la fede? Cieca credulità? Acquiescenza fatalistica? No, tutt'altro. Fede significa appoggiarsi con fiducia sulla sicura Parola del Dio vivente, e quindi dire: "…sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno" (Ro. 8:28). La fede, quindi, ringrazia Dio "per ogni cosa". Una fede operativa si rallegrerà sempre nel Signore, sempre (Fl. 4:4)!

Consideriamo ora come questo riconoscimento della sovranità di Dio, che è espresso in santo timore, obbedienza implicita, completa sottomissione e profonda riconoscenza e gioia, sia esemplificata in modo supremo e perfetto dallo stesso Signore Gesù Cristo. In ogni cosa il Signore Gesù ci ha lasciato un esempio, affinché noi seguissimo i Suoi passi. E' vero questo anche per il primo punto che abbiamo fatto prima? E' possibile che il termine "santo timore" sia pure connesso con il Suo nome senza pari? Rammentandoci che "santo timore" non significa terrore servile, ma soggezione figliale e rispetto, e ricordandoci pure che "il timore del Signore è il principio della sapienza", non sarebbe piuttosto strano se non trovassimo menzione del santo timore in connessione a Colui che è sapienza incarnata? Che parola meravigliosa è quella di Ebrei 5:7: "Nei giorni della sua carne, con grandi grida e lacrime, egli offrì preghiere e supplicazioni a colui che lo poteva salvare dalla morte, e fu esaudito a motivo del suo timore di Dio" (ND). Che altro era se non "santo timore" quello che aveva spinto il Signore Gesù ad essere "soggetto" a Maria e Giuseppe nei giorni della Sua infanzia? Non era forse "santo timore" - sottomissione figliale e rispetto per Dio - che vediamo all'opera quando leggiamo: "Si recò a Nazaret, dov'era stato allevato e, com'era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere"? Non era il "santo timore" a spingere il Figlio incarnato a dire, dopo essere stato tentato da Satana ad adorarlo: "E' scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai il tuo culto"? Non era forse "santo timore" a spingerlo a dire al lebbroso mondato: "Guarda di non dirlo a nessuno, ma va', mostrati al sacerdote e fa' l'offerta che Mosè ha prescritto, e ciò serva loro di testimonianza" (Mt. 8:4). Perché moltiplicare ancora le citazioni?<ref>Notate come la profezia dell'Antico Testamento pure dichiari: "Poi un ramo uscirà dal tronco d'Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici. Lo Spirito del SIGNORE riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d'intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del SIGNORE" (Is. 11:1,2).</ref>

Quanto perfetta era l'ubbidienza che il Signore Gesù offriva a Dio Padre! Nel riflettere, poi, su di questo, non dimentichiamoci di quella grazia meravigliosa che spinse Lui, che pure era nella forma di Dio, ad abbassarsi sino a prendere su di Sé la forma di Servo, ed essere proprio in quella condizione in cui l'ubbidienza era richiesta. Come Servo perfetto Egli si era piegato completamente in ubbidienza a Suo Padre. Quanto assoluta e completa fosse quell'ubbidienza, lo possiamo apprendere dalle parole: "…trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce" (Fl. 2:8). Che questa fosse un'ubbidienza consapevole ed intelligente, è chiaro dalle parole stesse che Egli pronuncia: "Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio" (Gv. 10:17,18).

Che diremo, poi, dell'assoluta sottomissione del Figlio alla volontà del Padre? Fra di loro vi era intera unità d'intenti! Egli disse: "… sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv. 6:38). Quanto pienamente Egli abbia dato sostanza a questo, è chiaro per tutti coloro che abbiano seguito il Suo sentiero segnato nelle Scritture. Guardatelo nel Getsemani! L'amaro "calice" ch'era in mano di Suo Padre affinché Lui ne bevesse, è lì ben visibile. Notate bene il Suo atteggiamento. Imparate da Lui che era mansueto ed umile di cuore. Ricordatevi che in quel Giardino vediamo la Parola fattasi carne - un Uomo perfetto. Il Suo corpo stava tremando in ogni Suo nervo al solo pensare alle sofferenze fisiche che L'aspettavano; la Sua natura santa e sensibile si riturava inorridita dalle orribili nefandezze che gli sarebbero state fatte. Il Suo cuore si spezzava al solo pensiero del terribile peso che avrebbe dovuto portare. Il Suo spirito era grandemente turbato nel prevedere il terribile conflitto che avrebbe dovuto affrontare con il Potere delle Tenebre; e soprattutto, e in modo supremo, la Sua anima era piena d'orrore al solo pensiero d'essere separato da Dio stesso - ed ecco così che Egli effonde la Sua anima davanti al Padre, la Sua preghiera con forti grida, lacrime e sudore di sangue. Osservate e ascoltate, ora. Calmate il battito del cuore, ascoltate le parole che cadono dalle Sue labbra benedette: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Lu. 22:42). Qui c'è la sottomissione personificata. Qui c'è l'esempio supremo della completa sottomissione al beneplacito di un Dio sovrano. Qui Egli ci ha lasciato un esempio, affinché ne seguissimo le orme. Egli, che era Dio fattosi uomo, tentato in ogni cosa, ma senza peccare, ci mostra come indossare la nostra umana creaturalità.

Ci eravamo prima chiesti: Che possiamo dire dell'assoluta sottomissione di Cristo alla volontà del Padre? Ora possiamo pure rispondere: Qui, come in ogni altra cosa, Egli era unico, senza pari. In ogni cosa Egli ha la preminenza. Nel Signore Gesù non vi era una volontà ribelle da piegare. Nel Suo cuore non vi era nulla da sottomettere a forza. Potrebbe essere questa la ragione che, in linguaggio profetico, Egli disse: "Io sono un verme e non un uomo" (Sl. 22:16)? Un verme, infatti, non ha capacità di resistenza! Era perché in Lui non vi era alcuna resistenza, che poteva dire: "Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l'opera sua" (Gv. 14:34). Si, Egli poteva dire questo perché in ogni cosa era in perfetto accordo con il Padre. Egli disse pure: "Dio mio, desidero fare la tua volontà, la tua legge è dentro il mio cuore" (Sl. 40:8). Notate qui l'ultima frase e contemplate la Sua eccellenza senza pari. Dio deve mettere le Sue leggi nelle nostre menti e nei nostri cuori (vedi Ebrei 8:10), ma in Cristo la Sua legge era già nel Suo cuore! Che bella ed impressionante illustrazione della gratitudine e della gioia di Cristo che pure troviamo in Matteo 11. Là osserviamo, in primo luogo, la mancanza di fede nel Suo precursore (vv. 22,23). Apprendiamo poi delle lamentele del popolo: soddisfatto né del gioioso messaggio di Cristo, né di quello solenne del Battista (vv. 16-20). In terzo luogo, abbiamo la mancanza di ravvedimento di quelle città privilegiate in cui erano state fatte le potenti opere del Signore (vv. 21-24), e poi leggiamo: "In quel tempo Gesù prese a dire: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli" (v. 25). Notate il brano parallelo di Luca 10:21, che si apre dicendo: "In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse…" ecc. Qui abbiamo la sottomissione nella sua forma più pura. Ecco Colui per il quale erano stati fatti i mondi e che, nei giorni della Sua umiliazione, e nella prospettiva della Sua reiezione, si piega, gioiosamente e con spirito grato alla volontà del "Signore del cielo e della terra".

Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento verso la sovranità di Dio? Infine:

5. Un atteggiamento di culto e d'adorazione. E' stato ben scritto che "il vero culto si fonda sul riconoscimento di grandezza, una grandezza che si rileva in modo superlativo nella Sovranità, e non v'è sgabello migliore di questo presso il quale realmente gli uomini adoreranno" (J. B. Moody). Alla presenza del Re divino sul Suo trono, persino i serafini si coprono la faccia. La sovranità di Dio non è la sovranità di un Despota tirannico, ma l'esercizio del beneplacito d'Uno che è infinitamente saggio e buono! E' proprio perché Dio è infinitamente saggio, che Egli non può errare, ed è proprio perché Egli è infinitamente giusto che Egli non farà torto a nessuno. Sta proprio qui la gran preziosità di questa verità. Il semplice fatto che la volontà di Dio è irresistibile ed irreversibile mi riempie di paura, ma una volta che mi rendo conto che Dio vuole solo ciò che è buono, il mio cuore è spinto a rallegrarmene grandemente.

Ecco, così, la risposta finale alla domanda che c'eravamo posti in questo capitolo - Quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei riguardi della sovranità di Dio? L'atteggiamento più appropriato che noi dobbiamo prendere è quello di un santo timore, di ubbidienza implicita, di sottomissione completa e senza riserve. Non solo questo, però: il riconoscimento della sovranità di Dio, e che il Sovrano stesso è mio Padre, dovrebbe sopraffare il mio cuore e spingermi ad inchinarmi di fronte a Lui adorandolo e rendendogli culto. Dobbiamo sempre poter dire: "Sì, Padre, perché così ti è piaciuto"

Concludiamo con un esempio che bene illustra ciò che intendiamo dire. Duecento e più anni fa, Madame Guyon, donna di profonda spiritualità, dopo dieci anni passati in una cella ben al di sotto del livello del terreno, illuminata solo da una candela all'ora dei pasti, scrisse queste parole: "Io non sono che un uccellino, impedito dal volare libero nell'aria. Eppure, nella mia gabbia, io siedo e canto a Colui che mi ha posto qui. Egli si è compiaciuto di farmi Sua prigioniera. A Te è piaciuto che fosse così. Non posso fare altro che cantare tutt'il giorno, e Colui che amo compiacere, ascolta il mio canto. Egli mi ha preso e legato le ali, ma ancora Egli si piega per ascoltarmi. Tutt'attorno a me vi è una gabbia. Non posso volarmene fuori libera. Sebbene, però, le mie ali siano impedite, il mio cuore è libero. Le mura della mia prigione non possono controllare il volo e la libertà dell'anima. Ah, com'è bello librarmi in alto sopra di queste sbarre e queste serrature, volare verso Colui, i cui propositi io adoro, la cui provvidenza io amo. E nella Tua forte volontà io trovo gioia e libertà di mente".

Note

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