Predicazioni/2 Corinzi/Fatto essere peccato

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L'ha fatto essere peccato per noi

Si ascolta talvolta predicatori che, citando il testo di "Colui che non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto essere peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui" (2 Corinzi 5:21), arrivano a dire, forse per malinteso zelo evangelistico, che Dio, in Cristo, sia diventato "uno di noi" nel peccato, anzi, che si sia identificato con ladri, assassini e furfanti della peggior specie. Ha senso un tale linguaggio? No, si equivoca così (e probabilmente non si comprende) la teologia dell'espiazione vicaria espressa dal Nuovo Testamento, giungendo più o meno espressamente, ad un blasfemo travisamento del testo in questione. Il seguente articolo tratta, in primo luogo, di come la maggior parte dei commentatori interpretano detto testo, e poi, se sia sostenibile dire che Gesù sia diventato un malfattore Egli stesso.

Il versetto di [2 Corinzi 5:21 (τὸν μὴ γνόντα ἁμαρτίαν ὑπὲρ ἡμῶν ἁμαρτίαν ἐποίησεν, ἵνα ἡμεῖς γενώμεθα δικαιοσύνη θεοῦ ἐν αὐτῷ.), è uno dei più densi e teologicamente profondi del Nuovo Testamento. L’espressione «l’ha fatto essere peccato per noi» ha generato un ampio dibattito esegetico, e la maggior parte dei commentari classici e moderni converge su alcune linee interpretative principali, pur con distinzioni significative. Ecco una sintesi delle principali interpretazioni proposte:

1. Peccato come "offerta per il peccato" (sacrificio espiatorio)

Molti commentatori patristici e riformati, e anche diversi studiosi moderni, sottolineano che il termine greco hamartía (peccato) può occasionalmente, nell’Antico Testamento greco (Settanta), significare anche offerta per il peccato (cfr. Esodo 29:14; Levitico 4:21). In questa linea:

  • Interpretazione: Dio ha fatto diventare Cristo offerta per il peccato, cioè ha posto su di lui il peso del peccato umano affinché attraverso la sua morte si compisse l'espiazione.
  • Sostenitori: Giovanni Calvino (vedasi qui la sua spiegazione), Matthew Henry, Charles Hodge, alcuni commentari evangelici contemporanei (es. ESV Study Bible), R. C. Sproul.

2. Peccato come identificazione con la condizione del peccato umano

Altri interpreti, pur rigettando una lettura esclusivamente cultuale, sottolineano che Cristo è stato identificato radicalmente con la nostra condizione di peccato, pur restando personalmente senza colpa.

  • Interpretazione: Cristo ha assunto su di sé la condizione di "peccatore" agli occhi di Dio, portando le conseguenze e la maledizione del peccato senza aver peccato egli stesso.
  • Sostenitori: Karl Barth, Rudolf Bultmann (con sfumature diverse), commentari protestanti più recenti come quello di Paul Barnett o di Murray J. Harris (NICNT), che uniscono la dimensione forense e quella relazionale.

3. Peccato come maledizione o condanna del peccato

Un'ulteriore lettura si concentra sul parallelismo con Galati 3:13: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi». In questo caso:

  • Interpretazione: Cristo è stato trattato come se fosse peccato stesso, cioè è stato posto sotto la condanna divina del peccato al nostro posto.
  • Sostenitori: James D. G. Dunn, N. T. Wright (con attenzione alla logica rappresentativa e alla solidarietà messianica), Tom Schreiner.

4. Peccato come realtà ontologica (Cristo “diventa” il peccato stesso)?

Questa è una posizione estrema e generalmente respinta: pochi, se non nessuno dei maggiori commentari ortodossi, sostengono che Cristo abbia "diventato" peccato in senso morale o ontologico. La dottrina dell’assenza di peccato in Cristo è mantenuta con decisione (cfr. Ebrei 4:15; 1 Pietro 2:22).

La maggior parte dei commentari biblici interpreta «l’ha fatto essere peccato» come un linguaggio espiatorio e forense: Cristo è stato trattato da Dio come rappresentante del peccato umano, portandone la pena, non perché egli fosse peccatore, ma affinché noi fossimo giustificati. Si tratta di una dichiarazione della giustificazione per imputazione: Cristo ha assunto il nostro peccato, affinché noi ricevessimo la sua giustizia. E' avvenito uno scambio: il Cristo ha preso su di sé le conseguenze del peccato di coloro a cui Dio ha voluto impartire la grazia della salvezza, ed Egliha dato loro la Sua perfetta giustizia ha assunto -ed essi la ricevono per fede. Il Cristo, benché innocente e santo, ha preso su di Sé la conseguenza ultima, la pena, del nostro peccato affinché la sua rettitudine (giustizia) fosse a noi attribuita.


Diventato peccato o peccatore?

Dire che Gesù stesso (come qualcuno afferma) sia diventato un ladro, un assassino, ecc. sulla base di 2 Corinzi 5:21 è teologicamente fuorviante e biblicamente insostenibile, se si intende in senso letterale o ontologico. Tale affermazione, anche se talvolta usata in modo provocatorio per enfatizzare la profondità dell’identificazione di Cristo con il peccato umano, deforma sia il testo paolino sia la cristologia ortodossa.

Ecco alcune ragioni per cui questa formulazione è problematica:

1. Cristo non ha mai peccato

Il Nuovo Testamento è esplicito e unanime nel dichiarare che Gesù era senza peccato:

  • «Egli non commise peccato, e nella sua bocca non si è trovato inganno» (1 Pietro 2:22).
  • «Colui che non ha conosciuto peccato…» (2 Cor 5:21 stesso).
  • «Tentato in ogni cosa come noi, però senza peccare» (Ebrei 4:15).
  • «In lui non c’è peccato» (1 Giovanni 3:5).

Attribuirgli l’identità di ladro o assassino contraddice direttamente questi testi e apre la porta a una cristologia eretica, che compromette la perfezione morale e l’idoneità espiatoria di Cristo.

2. L’uso paolino del termine “peccato” è forense e sacrificale

Come spiegato in precedenza, molti interpreti vedono in hamartía (ἁμαρτία) in questo contesto una metonimia per offerta per il peccato (cfr. Levitico 4), oppure come indicazione del fatto che Cristo è stato trattato come il peccato, cioè ha subito la sua condanna vicaria. Paolo non dice che Cristo è diventato peccatore, ma che Dio l’ha fatto essere peccato per noi, nel senso di rappresentare e portare la colpa altrui.

3. Il linguaggio provocatorio può confondere

È vero che alcuni predicatori o teologi hanno usato frasi come: Cristo è diventato adultero, bestemmiatore, assassino… – spesso per comunicare la profondità della sostituzione vicaria. Martin Lutero, ad esempio, usa espressioni forti nel suo commento alla Galati, dicendo che Cristo “fu fatto peccatore”, portando in sé tutti i peccati del mondo.

Tuttavia:

  • Lutero non intende dire che Cristo ha commesso quei peccati o che è stato trasformato ontologicamente in un peccatore.
  • Questo linguaggio è volutamente paradossale e deve essere maneggiato con estrema cautela, per evitare fraintendimenti.
  • In ambito pastorale e omiletico, tale stile può essere retoricamente efficace ma anche teologicamente pericoloso se non contestualizzato con precisione.

4. Implicazioni teologiche gravi

Attribuire a Cristo le identità specifiche di “ladro”, “assassino”, ecc. come se le avesse assunte ontologicamente significa:

  • Minare la dottrina della sua santità.
  • Compromettere la validità del suo sacrificio come Agnello senza difetto (1 Pietro 1:19).
  • Offuscare la distinzione tra imputazione del peccato (dottrina della giustificazione) e commettere peccato.

Conclusione

No, non è sostenibile dire che Cristo sia diventato un ladro, un assassino, ecc. se si intende ciò in senso ontologico o identitario. Una corretta esegesi e teologia riconosce che:

Cristo, pur essendo assolutamente santo e senza peccato, ha assunto su di sé la colpa e la pena del peccato umano in modo vicario, rappresentativo e redentivo, senza mai cessare di essere l’Innocente.

È lecito, con adeguate precisazioni, parlare di profonda identificazione di Cristo con l’umanità peccatrice. Ma trasformare questo in una trasformazione morale o ontologica è contrario al messaggio neotestamentario e alle confessioni cristiane storiche.