Predicazioni/Atti/Obbedire prima a Dio: fede, libertà e resistenza all’autoritarismo

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


Obbedire prima a Dio: fede, libertà e resistenza all’autoritarismo

Le autorità civili e religiose assolvono nei propositi rivelati di Dio un compito importante che il cristiano è chiamato a rispettare: imporre un minimo di ordine alla società e reprimere il male che altrimenti non avrebbe limiti. Quando le autorità, però, abusano del loro potere, è pure nostro dovere resistervi. Quando avevano proibito agli apostoli di Cristo di proclamare l’Evangelo, Pietro disubbidisce loro rispondendo: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5:29). Che implicazioni questo comporta al nostro essere cristiani? È quanto considereremo oggi.

L’essenza del totalitarismo

È stato giustamente affermato: "L'incapacità di tollerare il dissenso è essenza del totalitarismo". Questa affermazione riflette un concetto centrale nella critica al totalitarismo, sviluppato da vari filosofi e storici del XX secolo. Sebbene non sia attribuibile a un singolo autore, trova eco, per esempio, nelle opere di pensatori come Hannah Arendt ("Le origini del totalitarismo", 1951), che descrive il totalitarismo come un sistema che cerca di eliminare ogni opposizione e pluralismo. Anche George Orwell, con opere come "1984", ha notoriamente esplorato l'ossessione dei regimi totalitari per il controllo del pensiero e del dissenso.

“L'essenza del totalitarismo è l'incapacità di tollerare il dissenso". Questa affermazione, sebbene semplice, rivela una verità profonda: i regimi oppressivi temono la diversità di pensiero perché minaccia il loro controllo, quello che essi vorrebbero avere sui cittadini. La libertà di espressione non è solo, infatti, un diritto civile, ma un principio fondante della dignità umana e sostenuto dalla fede cristiana stessa. Esprimersi liberamente non è per noi solo un diritto, ma anche un dovere quando è Dio stesso che ci dice di farlo - e questo contro qualsiasi autorità umana che pretenda di imporci il silenzio. La Bibbia stessa offre numerosi esempi di profeti e apostoli che, davanti a poteri oppressivi, scelgono di obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il profeta Daniele aveva rifiutato di smettere di pregare il Dio vero e vivente, anche sotto minaccia di morte. Gesù stesso sfida le autorità religiose del suo tempo, denunciandone l'ipocrisia. Per un cristiano, la libertà di proclamare l’Evangelo non adulterato e di vivere secondo coscienza è dunque un dovere sacro. Quando un governo cerca di “regolare” la libertà di parola — sia attraverso leggi ingiuste, pressioni sociali o persecuzione—la risposta del cristiano non può essere il silenzio. La resistenza pacifica ma ferma è un atto di testimonianza.

Bisogna poi anche dire che anche le chiese, talvolta, sono attraversate da modelli autoritari che soffocano il dissenso, riducono la coscienza personale, e mettono l’ubbidienza a una figura umana al di sopra della fedeltà a Cristo. In tali contesti, il credente si trova a un bivio: conformarsi o resistere. Come scrisse Martin Luther King Jr., "La disobbedienza civile non è un problema se la legge è ingiusta". Oggi, in molti Paesi, leggi sulla "fake news", limitazioni alla predicazione o censure ideologiche stanno riducendo gli spazi di libertà. I cristiani devono vegliare, pregare e, se necessario, opporsi con coraggio. La libertà di parola non è negoziabile. Per il cristiano, essa è legata alla missione di annunciare Cristo, anche quando il potere civile si oppone. La storia mostra che dovunque il totalitarismo avanzi, le chiese cristiane sono chiamata a resistere. Come disse Dietrich Bonhoeffer che si era opposto al nazional-socialismo, “Il silenzio davanti al male è esso stesso male”.

Il testo biblico

Nel giorno di Pentecoste, davanti a una folla numerosa e variegata, l’apostolo Pietro proclama pubblicamente un fatto sconvolgente: il Gesù crocifisso è stato risuscitato da Dio e costituito Signore e Messia. Questo messaggio non è solo religioso o spirituale. È anche una dichiarazione di sovranità: Gesù è Signore, e perciò nessun altro lo può essere in senso assoluto. Insieme agli altri apostoli e davanti alle autorità, Pietro, così, rivendica con coraggio la priorità che intendeva dare all’ubbidienza a Cristo. Ascoltatene il racconto.

“Quando il capitano del tempio e i capi sacerdoti udirono queste cose, erano perplessi sul conto loro, non sapendo che cosa ciò potesse essere. Ma sopraggiunse uno che disse loro: “Ecco, gli uomini che voi metteste in prigione sono nel tempio e stanno insegnando al popolo”. Allora il capitano del tempio, con le guardie, andò e li condusse via, però non con violenza, perché temevano di essere lapidati dal popolo. Avendoli portati via, li presentarono al Sinedrio e il sommo sacerdote li interrogò, dicendo: “Non vi abbiamo del tutto vietato di insegnare nel nome di costui? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo”. Ma Pietro e gli altri apostoli, rispondendo, dissero: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini. Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi uccideste appendendolo al legno, e lo ha innalzato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele e perdono dei peccati. Noi siamo testimoni di queste cose e anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che gli ubbidiscono” (Atti 5:24-32).

Nel mondo romano, proclamare la signoria di Cristo (Kyrios Christos) implicava implicitamente una contestazione: il Kyrios, il Signore, non è l’imperatore. Anche oggi, annunciare la signoria di Cristo ha implicazioni radicali sul modo in cui il cristiano si rapporta all’autorità umana, specialmente quella civile. Sottomettersene è relativo: se contravviene all’espressa volontà di Dio, resistervi è un dovere. Quando l’autorità, sia civile che religiosa, si contrappone all’autorità di Dio, è pure nostro dovere resistervi.  Pietro, citando Davide, proclama che Dio ha stabilito un re eterno, incorruttibile, non soggetto alla morte: è davanti a questo Re che ogni autorità umana dovrà piegare le ginocchia. L’apostolo Paolo scrive: “Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:9-11).

L'autorità di Cristo risorto (vv. 24–28)

Il cuore dell’annuncio è che Cristo Gesù “Dio lo risuscitò, avendo sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto” (Atti 2:24). Il potere di Cristo risorto non è solo un’affermazione teologica: è una realtà che relativizza ogni potere terreno. Il brano di Atti 5 ci porta esattamente in questa tensione. Gli apostoli erano stati arrestati per aver predicato nel nome di Gesù, nonostante un esplicito divieto del sinedrio. La loro “colpa” è aver riempito Gerusalemme dell’Evangelo. Sono accusati di disobbedienza civile e religiosa. Pietro non nega l’accusa, non cerca compromessi. Risponde con un principio assoluto: l’obbedienza a Dio ha la priorità sui decreti di qualsiasi autorità umana, civile o religiosa che sia. Questa non è “anarchia”, ma sottomissione a ciò che Dio stabilisce. È una fedeltà che nasce da un’autorità superiore, quella di Cristo risorto.

L’obbedienza cristiana non è cieca, ma orientata. Non è paura, ma discernimento. Il potere religioso si sente minacciato non tanto da un crimine, ma dalla parola. Quando l'autorità teme la verità, l’ubbidienza alla coscienza diventa un atto rivoluzionario. La risposta degli apostoli è semplice e potente: “Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini”. Questa parola, pronunciata in un’aula di potere religioso, risuona indubbiamente ancora oggi come una sfida e un richiamo alla libertà spirituale.

Quando un potere umano pretende assolutezza – come fanno i regimi autoritari o le ideologie totalitarie – esso agisce contro la signoria di Cristo. Il cristiano non potrà mai attribuire a nessuna autorità civile un’obbedienza incondizionata. Ogni autorità è, secondo l’insegnamento biblico, delegata, limitata, temporanea e responsabile davanti a Dio (Romani 13:1–7). E quando l’autorità abusa del suo mandato, il cristiano ha non solo il diritto, ma la responsabilità di resistere per ubbidire a Dio.

La speranza che nasce dalla risurrezione (vv. 26–27)

Pietro cita il Salmo 16: “poiché tu non lascerai l'anima mia nell'Ades, e non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione” (27). Questo grido di speranza riguarda prima Cristo, ma per estensione ogni suo discepolo. Chi appartiene al Risorto non vive sotto il dominio della paura, nemmeno quella imposta dal potere. La risurrezione libera dalla paralisi del timore e dal culto degli idoli politici.

In un tempo in cui molti governi si arrogano il diritto di definire la verità, di limitare la libertà di coscienza, di regolamentare persino ciò che si può credere o proclamare, le chiese cristiane devono essere testimoni coraggiose della verità di Cristo. Questo include la libertà di coscienza, di culto, di educazione e di esercizio della propria fede, anche in pubblico. Si tratta di diritti radicati nella signoria di Cristo, non concessi dallo Stato ma riconosciuti dalla Scrittura.

Davide parlava del Cristo (vv. 29–31)

Pietro insiste: Davide non parlava di sé, ma di un altro. Qui si stabilisce il principio dell’autorità rivelata: ciò che è stato annunciato trova il suo compimento in Cristo. Il cristiano è soggetto alle autorità solo nella misura in cui queste non si oppongano alla parola di Dio. La coscienza cristiana non è legata all’arbitrio di leggi mutevoli, ma alla rivelazione immutabile della Scrittura.

Nel corso della storia, molti credenti sono stati perseguitati perché si sono rifiutati di obbedire a leggi ingiuste. Pensiamo a Pietro stesso (Atti 5:29), a Giovanni Crisostomo, a Dietrich Bonhoeffer, a tanti testimoni contemporanei. Nessuna autorità può legittimamente proibire ciò che Dio comanda, né imporre ciò che Dio vieta.

Testimoni di ciò che Dio ha fatto (v. 32)

“Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato, di ciò noi tutti siamo testimoni” (32). Il cristiano è chiamato a testimoniare la risurrezione di Cristo non solo con le parole, ma con una vita che si sottrae alle logiche del potere oppressivo. Questo include il rifiuto della violenza, ma anche il coraggio della disobbedienza civile, quando necessaria. Significa essere persone che onorano le autorità, ma non le idolatrano; che pregano per chi governa, ma non tacciono di fronte all’ingiustizia.

Essere testimoni oggi implica anche discernere i segni del totalitarismo nascente: quando lo Stato invade la coscienza, impone ideologie, limita il diritto di educare i figli come se appartenessero ad esso, perseguita chi pensa diversamente. La fedeltà al Cristo risorto comporta fedeltà alla verità, anche quando è scomoda.

Libertà nel Signore, responsabilità nel mondo

Annunciare il Cristo risorto significa denunciare ogni autorità che usurpa il trono che appartiene solo a lui. Questo non ci chiama alla ribellione sregolata, ma a un’obbedienza radicale all’Evangelo. Lo Spirito di Dio ci guida a onorare tutte le autorità legittime e e a riconoscerne la funzione che Dio ha dato loro, ma a riconoscere che solo una è assoluta: quella del nostro Signore risorto. Quando leggi, istituzioni o ideologie chiedono al credente di tradire l’Evangelo, la disobbedienza può diventare una forma di testimonianza. La coscienza cristiana non è addomesticabile. Anche quando la struttura ecclesiastica stessa vorrebbe imporre silenzio, scoraggiare il pensiero critico o idolatrare i suoi leader, si entra nel territorio dell’abuso spirituale. Il dissenso evangelico non è un peccato ma una forma di fedeltà.

In un tempo di crescente confusione tra potere e autorità, tra legalità e giustizia, le comunità cristiane sono chiamate a essere salde nella verità, tenere nella carità, coraggiose nella testimonianza: “Dio lo risuscitò, avendo sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli fosse da essa trattenuto” (Atti 2:24)

Sicuramente obbedire a Dio non è facile. Può significare il rifiuto, la solitudine, la marginalizzazione. Ma è anche la strada della libertà interiore, della maturazione della coscienza, dell'autenticità della fede. Cristo stesso, obbediente fino alla croce, ha mostrato che la vera autorità non domina, ma serve. L’obbedienza evangelica è dunque un atto di amore e di coraggio, che restituisce alla persona la sua dignità di figlia di Dio, capace di discernere, scegliere, resistere.

“Chi stai ubbidendo oggi? La tua fede ti rende libero o ti tiene in catene? Ascolti la voce di Dio o l’eco di poteri umani travestiti da autorità spirituale?”. Preghiamo per avere discernimento, difendere la verità con amore, e non temiamo di essere voce profetica in un mondo che ha paura del dissenso.

Concludo con una citazione di Stephen Perks:

“L'unico punto in cui la Chiesa primitiva entrò in conflitto con Roma fu la politica. La grande battaglia che i primi cristiani dovettero affrontare non era tra Cristo e le divinità pagane, ma tra Cristo e Cesare. Ai romani non importava affatto chi i cristiani adorassero nella loro devozione privata, purché accettassero l'autorità politica di Roma. Il loro crimine, agli occhi di Roma, non era dunque che adorassero la divinità sbagliata, ma che avessero la politica sbagliata, e fossero quindi traditori di Roma, cattivi cittadini dell'impero romano - e in questo i romani avevano perfettamente ragione. Il loro crimine era di essere un imperium in imperio, uno Stato dentro lo Stato, un ordine sociale dentro l'ordine sociale, un impero dentro l'impero, e questo era qualcosa che Roma non poteva tollerare. La politica riguarda il governo della società. Chi dovrebbe governare la società: Dio o Cesare? Chi è il Signore: Cristo o Cesare? Chi è il Signore oggi: Cristo o lo Stato secolare moderno? Non c'era, e non c'è, una terza opzione, una "terza via". Questa era, e rimane, una questione politica. L'unico punto di conflitto tra i primi cristiani e Roma era la politica, e sia per Roma che per i primi cristiani la politica era tutto. La politica cristiana fu la causa delle persecuzioni, e fu la pratica della politica cristiana a convertire il potente impero romano alla fede cristiana. Il Signore Gesù Cristo vinse nella sua lotta contro lo Stato romano. Vincerà anche nella sua lotta contro lo Stato secolare moderno. L'unica domanda che rimane è questa: da che parte starai? Per chi sei? Chi obbedirai? Il Signore Gesù Cristo o il moderno Stato secolare idolatra?".

Paolo Castellina, 15 maggio 2025