Storia/Saluzzo e la Riforma protestante/I Il Marchesato di Saluzzo nei suoi rapporti generali con la Riforma: differenze tra le versioni

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----'''Capitolo primo'''
----'''Arturo Pascal, “Il Marchesato di Saluzzo e la Riforma protestante durante il periodo della dominazione francese (1548-1588)”. Firenze: Sansoni Editore, 1960.'''
 
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'''Capitolo primo'''


== Il Marchesato di Saluzzo nei suoi rapporti generali con la Riforma ==
== Il Marchesato di Saluzzo nei suoi rapporti generali con la Riforma ==
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Appartata, senza sbocco diretto con il versante francese, non ebbe grande importanza nelle vicende politiche del Marchesato: ma, posta tra le valli fittamente eretiche della Macra e della Stura, ebbe una considerevole importanza nella storia della Riforma, specialmente negli ultimi decenni del secolo. Aderirono attivamente al moto riformato parecchi membri delle famiglie feudali della valle, di stirpe marchionale.
Appartata, senza sbocco diretto con il versante francese, non ebbe grande importanza nelle vicende politiche del Marchesato: ma, posta tra le valli fittamente eretiche della Macra e della Stura, ebbe una considerevole importanza nella storia della Riforma, specialmente negli ultimi decenni del secolo. Aderirono attivamente al moto riformato parecchi membri delle famiglie feudali della valle, di stirpe marchionale.
 
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Ai piedi della zona montana, che si stendeva da Dronero a Saluzzo, avevano speciale importanza: Costigliole, Verzuolo, La Manta, sede di uno dei rami più importanti della Casa dei Saluzzo, ed infine Saluzzo, capitale del Marchesato. Staccate, nelle Langhe, ma dipendenti dal Marchesato, erano alcune terre, già appartenute al Monferrato e come tali reclamate dal duca di Mantova: Dogliani, Bonvicino, Belvedere, Marsalia, Lequio, Cissone, Monbarcaro, Castiglione, Roddino e Camerana.
Ai piedi della zona montana, che si stendeva da Dronero a Saluzzo, avevano speciale importanza: Costigliole, Verzuolo, La Manta, sede di uno dei rami più importanti della Casa dei Saluzzo, ed infine Saluzzo, capitale del Marchesato. Staccate, nelle Langhe, ma dipendenti dal Marchesato, erano alcune terre, già appartenute al Monferrato e come tali reclamate dal duca di Mantova: Dogliani, Bonvicino, Belvedere, Marsalia, Lequio, Cissone, Monbarcaro, Castiglione, Roddino e Camerana.


A queste terre, regolarmente incorporate nel Marchesato durante tutto il tempo della dominazione francese, sono da aggiungere alcune altre terre, le quali solo a tratti o indi- rettamente dipesero in quel periodo dal governo del Marchesato, ma che, per i loro intimi e frequenti contatti con la Riforma nelle terre saluzzesi, non possono logicamente essere separate dalle prime. Esse sono: CARMAGNOLA [9], gran centro commerciale, forte castello, sentinella avanzata della Francia in mezzo ai dominî ducali, la quale solo per breve tempo, dal 1559 al 1562, fu staccata dal Marchesato ed annessa al governo del Parlamento Francese di Torino, ristaccata amministrativamente dal Marchesato nel 1584 e riunita nel 1585; SAVIGLIANO [10], che fu francese dal 1542 al 1559, ducale dal 1559 al 1562, in virtù del trattato di Castel-Cambresis (3 aprile 1559), poi di nuovo francese, dal 1562 (trattato di Fossano, 2 nov. 1562) al 1574 e d'allora in poi definitivamente sabauda. Fu sede di un Tribunale dell' Inquisizione, che, ora legittimamente ora abusivamente, esercitò la sua giurisdizione sulle terre del Marchesato: con altre terre dipendenti (Levaldigi, Ruffia) fu a tratti centro notevole di diffusione e di affermazione delle dottrine protestanti. Per ultime ricorderemo le terre di CEN- TALLO [11], di FESTEONA e di DEMONTE situate queste all'imbocco della valle della Stura. Ne furono signori in questo periodo prima i Bolleri, già vassalli dei marchesi di Saluzzo; poi i D'Antioche ed i Frangier, signori d'Anselme, vassalli diretti del re di Francia per le loro terre transalpine, ma indi- retti per i loro possessi cisalpini, per i quali essi dovevano omaggio ed ubbidienza al governatore del Marchesato o al luogotenente del re al di qua delle Alpi.
A queste terre, regolarmente incorporate nel Marchesato durante tutto il tempo della dominazione francese, sono da aggiungere alcune altre terre, le quali solo a tratti o indi- rettamente dipesero in quel periodo dal governo del Marchesato, ma che, per i loro intimi e frequenti contatti con la Riforma nelle terre saluzzesi, non possono logicamente essere separate dalle prime. Esse sono: CARMAGNOLA [9], gran centro commerciale, forte castello, sentinella avanzata della Francia in mezzo ai dominî ducali, la quale solo per breve tempo, dal 1559 al 1562, fu staccata dal Marchesato ed annessa al governo del Parlamento Francese di Torino, ristaccata amministrativamente dal Marchesato nel 1584 e riunita nel 1585; SAVIGLIANO [10], che fu francese dal 1542 al 1559, ducale dal 1559 al 1562, in virtù del trattato di Castel-Cambresis (3 aprile 1559), poi di nuovo francese, dal 1562 (trattato di Fossano, 2 nov. 1562) al 1574 e d'allora in poi definitivamente sabauda. Fu sede di un Tribunale dell' Inquisizione, che, ora legittimamente ora abusivamente, esercitò la sua giurisdizione sulle terre del Marchesato: con altre terre dipendenti (Levaldigi, Ruffia) fu a tratti centro notevole di diffusione e di affermazione delle dottrine protestanti. Per ultime ricorderemo le terre di CENTALLO [11], di FESTEONA e di DEMONTE situate queste all'imbocco della valle della Stura. Ne furono signori in questo periodo prima i Bolleri, già vassalli dei marchesi di Saluzzo; poi i D'Antioche ed i Frangier, signori d'Anselme, vassalli diretti del re di Francia per le loro terre transalpine, ma indi- retti per i loro possessi cisalpini, per i quali essi dovevano omaggio ed ubbidienza al governatore del Marchesato o al luogotenente del re al di qua delle Alpi.


Il rapido sguardo d'insieme, che abbiamo gettato sul Marchesato verso la metà del secolo XVI, ci può facilmente persuadere come la natura, la configurazione e la posizione di esso fossero particolarmente adatte a favorire l'introduzione e la diffusione del moto riformato.
Il rapido sguardo d'insieme, che abbiamo gettato sul Marchesato verso la metà del secolo XVI, ci può facilmente persuadere come la natura, la configurazione e la posizione di esso fossero particolarmente adatte a favorire l'introduzione e la diffusione del moto riformato.
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Noteremo infine come il Marchesato, con nei avanzanti tra le terre sabaude, esercitò spesso una duplice funzione nel campo della dissidenza religiosa. Fu infatti, a turno, incentivo alla diffusione di essa nelle terre ducali, ed a turno ne subì il contraccolpo, specialmente quando la persecuzione, scatenatasi nelle limitrofe terre sabaude, costrinse fitte schiere di esuli a cercare momentaneo o definitivo rifugio nelle terre saluzzesi.
Noteremo infine come il Marchesato, con nei avanzanti tra le terre sabaude, esercitò spesso una duplice funzione nel campo della dissidenza religiosa. Fu infatti, a turno, incentivo alla diffusione di essa nelle terre ducali, ed a turno ne subì il contraccolpo, specialmente quando la persecuzione, scatenatasi nelle limitrofe terre sabaude, costrinse fitte schiere di esuli a cercare momentaneo o definitivo rifugio nelle terre saluzzesi.


Sebbene costituito di terre in prevalenza montane, il Mar- chesato aveva in sé parecchi elementi fecondi di sviluppo e di benessere, tanto nel campo agricolo quanto in quello commerciale ed industriale [13].
Sebbene costituito di terre in prevalenza montane, il Marchesato aveva in sé parecchi elementi fecondi di sviluppo e di benessere, tanto nel campo agricolo quanto in quello commerciale ed industriale [13].


Le sue terre erano ricche di pascoli irrigui e di fertili campi, con i quali si alternavano dense foreste popolate di prelibata selvaggina. I vigneti di Revello e di Pagno, ma soprattutto quelli delle Langhe, davano un vino famoso, di cui si dice che la marchesa Margherita di Foix solesse fare ogni anno un donativo al Papa. Nelle valli della Varaita e della Macra era abbondante il raccolto delle noci e delle castagne.
Le sue terre erano ricche di pascoli irrigui e di fertili campi, con i quali si alternavano dense foreste popolate di prelibata selvaggina. I vigneti di Revello e di Pagno, ma soprattutto quelli delle Langhe, davano un vino famoso, di cui si dice che la marchesa Margherita di Foix solesse fare ogni anno un donativo al Papa. Nelle valli della Varaita e della Macra era abbondante il raccolto delle noci e delle castagne.
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I «Folli» prendevano parte anche alle cerimonie religiose, ma più come occasione di espandere il loro umore gaio e burlesco, che per profondo e sincero spirito religioso. Talora accompagnavano le processioni con sparo di bombarde e di colubrine, parodiando il Papa o i Cardinali, mascherandosi da diavoli, da cavalli o da leoni. A Saluzzo i «Folli » precedevano la processione solenne del Corpus Domini con un carro tirato da buoi, sul quale stavano due uomini, che tenevano due torce accese in mezzo a fiori e spighe: altrove pretesero perfino tenere balli e conviti nelle chiese, nei monasteri e nei cimiteri, disturbare all'altare le cerimonie nuziali con la «< cia- bra» od introdurre in chiesa carri tirati da buoi e condotti da contadini briachi con orge dionisiache. Cosicché non è da stupire, se spesso con la loro rumorosa ed incomposta letizia, con il loro spirito mondano, o talora triviale, i « Folli »> contribuirono a soffocare la purezza e la freschezza della fede popolare ed a gettare il ridicolo tanto sulle persone quanto sulle cose sacre.
I «Folli» prendevano parte anche alle cerimonie religiose, ma più come occasione di espandere il loro umore gaio e burlesco, che per profondo e sincero spirito religioso. Talora accompagnavano le processioni con sparo di bombarde e di colubrine, parodiando il Papa o i Cardinali, mascherandosi da diavoli, da cavalli o da leoni. A Saluzzo i «Folli » precedevano la processione solenne del Corpus Domini con un carro tirato da buoi, sul quale stavano due uomini, che tenevano due torce accese in mezzo a fiori e spighe: altrove pretesero perfino tenere balli e conviti nelle chiese, nei monasteri e nei cimiteri, disturbare all'altare le cerimonie nuziali con la «< cia- bra» od introdurre in chiesa carri tirati da buoi e condotti da contadini briachi con orge dionisiache. Cosicché non è da stupire, se spesso con la loro rumorosa ed incomposta letizia, con il loro spirito mondano, o talora triviale, i « Folli »> contribuirono a soffocare la purezza e la freschezza della fede popolare ed a gettare il ridicolo tanto sulle persone quanto sulle cose sacre.


Date queste tendenze, è assai naturale che all' apparire delle dottrine riformate, queste abbazie dei «Folli »> offrissero terreno propizio ai germi della dissidenza religiosa, per quello spirito sbrigliato 57 e spregiudicato, che esse agitavano nel loro seno e per quella tendenza burlesca o parodiaca, che avevano assunto a proposito di parecchie cerimonie cattoliche. Ciò sembra essere dimostrato dalla corrispondenza, che spesso si nota fra i centri maggiori della dissidenza religiosa nel Marchesato e le terre, dove più a lungo fiorirono le badie gioiose dei «Folli ».
Date queste tendenze, è assai naturale che all' apparire delle dottrine riformate, queste abbazie dei «Folli »> offrissero terreno propizio ai germi della dissidenza religiosa, per quello spirito sbrigliato 57 e spregiudicato, che esse agitavano nel loro seno e per quella tendenza burlesca o parodiaca, che avevano assunto a proposito di parecchie cerimonie cattoliche. Ciò sembra essere dimostrato dalla corrispondenza, che spesso si nota fra i centri maggiori della dissidenza religiosa nel Marchesato e le terre, dove più a lungo fiorirono le badie gioiose dei «Folli ».


Già prima che si manifestasse la Riforma Protestante, il Vescovo di Saluzzo Tornabuoni aveva avvertito i gravi scandali e pericoli, ai quali potevano dar luogo le badie dei «Folli» per la larga partecipazione che vi avevano gli ecclesia- stici stessi e per l'influsso malefico ed ereticale che esse eser- citavano sul sentimento religioso del popolo. Come primo ri- medio, aveva vietato che i sacerdoti avessero parte in tali abbazie e presenziassero a feste e cerimonie indette dai «Folli »>. Ma, continuando gli scandali, più tardi fu proibito ai «Folli >> stessi di entrare nelle chiese, nei cimiteri e nei conventi e di disturbare con mascherate e con «ciabre » o con processioni triviali la santità e la solennità delle cerimonie sacre e nuziali.
Già prima che si manifestasse la Riforma Protestante, il Vescovo di Saluzzo Tornabuoni aveva avvertito i gravi scandali e pericoli, ai quali potevano dar luogo le badie dei «Folli» per la larga partecipazione che vi avevano gli ecclesia- stici stessi e per l'influsso malefico ed ereticale che esse eser- citavano sul sentimento religioso del popolo. Come primo ri- medio, aveva vietato che i sacerdoti avessero parte in tali abbazie e presenziassero a feste e cerimonie indette dai «Folli »>. Ma, continuando gli scandali, più tardi fu proibito ai «Folli >> stessi di entrare nelle chiese, nei cimiteri e nei conventi e di disturbare con mascherate e con «ciabre » o con processioni triviali la santità e la solennità delle cerimonie sacre e nuziali.
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[59] Oltre che moleste al popolo per le loro intemperanze, le badie finirono con l'essere anche pregiudizievoli ai Comuni stessi, perché quando essi, allegando la loro povertà, chiedevano esenzioni o diminuzioni di tasse ai governatori, questi rispondevano spesso negativamente, rinfacciando ai Comuni le feste sfarzose, le danze e lo spreco continuo di danaro causato dagli abbati dei Folli, cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 28-29, 78; CHIATTONE, Matrimoniana, in loc. cit., pp. 260-61; 272.
[59] Oltre che moleste al popolo per le loro intemperanze, le badie finirono con l'essere anche pregiudizievoli ai Comuni stessi, perché quando essi, allegando la loro povertà, chiedevano esenzioni o diminuzioni di tasse ai governatori, questi rispondevano spesso negativamente, rinfacciando ai Comuni le feste sfarzose, le danze e lo spreco continuo di danaro causato dagli abbati dei Folli, cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 28-29, 78; CHIATTONE, Matrimoniana, in loc. cit., pp. 260-61; 272.
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Arturo Pascal, “Il Marchesato di Saluzzo e la Riforma protestante durante il periodo della dominazione francese (1548-1588)”. Firenze: Sansoni Editore, 1960.

Capitolo primo

Il Marchesato di Saluzzo nei suoi rapporti generali con la Riforma

Limiti e condizioni geografiche del Marchesato. Aspetti economici : mercanti ed attività commerciali. Istituzioni politiche: Congregazioni generali e Collegio degli Eletti. Aspetti sociali: nobiltà, ufficialità, studenti e badie dei Folli.

Nel periodo del suo massimo splendore (sec. XIV) il Marchesato di Saluzzo estese la sua dominazione su buona parte della pianura piemontese [1] compresa tra Barge, Chieri, Asti, Alba, Mondovì e Cuneo, toccando in qualche tratto persino le terre della riviera ligure. Ma guerre sfortunate, specialmente con i duchi di Savoia, lo ridussero fin dagli ultimi decenni del sec. XV ad una zona quasi esclusivamente montana con una breve striscia pianeggiante ai piedi dei monti [2].

Delle cento e più terre anticamente possedute, si calcola che nel 1548 rimanessero al Marchesato, tra città e borghi, solo più sessanta terre costituite in comuni e con diritto ad eleggersi un proprio Consiglio e Podestà.

I suoi limiti territoriali, sotto il dominio francese, possono essere approssimativamente segnati da una linea, che, partendo dal Monte Viso, segua l'alta valle del Po fino a Revello; poi, affacciandosi alla pianura, passi per Saluzzo, Verzuolo, Costigliole, Villar S. Costanzo e Valgrana; risalga questa valle, tocchi il colle dell'Argentera e di là ritorni al Monviso, seguendo approssimativamente la linea spartiacque della catena alpina.

Cinque valli, quasi parallele, tagliano questa zona montuosa, prendendo nome dai corsi d'acqua che le percorrono: l'Alta Valle del Po, detta anche Val Paesana, le valli della Bronda, della Varaita, della Macra e della Grana.

L'Alta Valle del Po aveva come borghi più importanti: San Front, Rifreddo, Paesana, Oncino, Ostana, Crissolo e, allo sbocco verso la pianura, Revello, residenza estiva dei Marchesi, con una rocca inaccessibile e conventi antichi. La valle ebbe particolare importanza per la storia della Riforma, perché fu popolata fin dai secoli precedenti di nuclei valdesi immigrati direttamente di Francia attraverso il colle delle Traversette o indirettamente, dalle contigue valli del Pellice e del Chisone. Fin dal quarto decennio del sec. XVI (1532) aderì al movimento riformato, e, per oltre un secolo, beneficiando dell'asprezza delle sue montagne e delle relazioni costanti con i riformati delle valli del Pellice e del Delfinato, poté resistere come già dicemmo a numerose e violente persecuzioni ed essere uno dei focolari più tenaci dell'eresia nel Marchesato.

Tra la valle del Po e quella della Varaita si apre la piccola valle della Bronda, percorsa dal torrente omonimo, che sbocca nel Po a poca distanza da Saluzzo. Aveva come borghi più importanti: Castellar [3], feudo dei Saluzzo, Signori di Castellar e Paesana; Pagno [4], sede di un famoso santuario; Brondello, feudo dei Di Saluzzo, Signori de La Manta. Non avendo sbocchi diretti col Delfinato, ebbe vita a sé e la sua partecipazione al moto dissidente fu assai scarsa.

Più importanti furono le valli, che scendono a mezzogiorno di Saluzzo. La valle della Varaita [5], che sbocca in pianura presso Verzuolo, aveva come centri principali: Piasco, Venasca, Brossasco, Melle, Frassino, San Peyre, Castel Delfino, Bellino, Chianale; per il colle dell'Agnello e per il passo dell'Autaret aveva facili accessi alla zona francese del Delfinato. Fu spesso battuta, nel secolo XVI, dagli eserciti francesi, che scendevano in Piemonte a disputare il predominio a Spagnoli ed Imperiali, o da quelli ducali ed imperiali, che muovevano all'assalto del regno di Francia; e vide spesso transitare misere schiere di donne e di fanciulli, di cattolici o di ugonotti, che fuggivano gli strazi delle guerre civili di Francia o le persecuzioni scatenate in Piemonte dai duchi di Savoia.

Casteldelfino, Bellino, Ponte e Chianale facevano propriamente parte della giurisdizione francese del Delfinato ed erano già antico possesso francese; ma per la loro posizione, avendo più comode le comunicazioni con Saluzzo che con Grenoble, sede del Parlamento del Delfinato, furono quasi sempre legate da speciali privilegi alla vita politica ed amministrativa del Marchesato.

Quanto alle vicende religiose, questi centri ebbero, per la loro posizione intermedia, costanti relazioni ora con le terre del Marchesato, ora con quelle limitrofe del Delfinato e della Provenza e furono spesso campo di battaglia degli eserciti cattolici ed ugonotti.

A sud della valle della Varaita si apriva la più importante delle valli del Marchesato: la valle della Maira o della Macra [6]. All'imbocco, sopra le alture, sorgeva la celebre Abbazia dei SS. Vittore e Costanzo [7], con giurisdizione su molte terre circostanti, le quali, per noncuranza o per connivenza degli abbati, divennero presto fittamente popolate di riformati [8].

Nella parte inferiore della valle sorgevano: Dronero, il centro più importante del Marchesato dopo Saluzzo e Carmagnola; poi Cartignano, Montemalo, S. Damiano, Pagliero, Celle e Lottulo. Popolavano la parte superiore i piccoli Comuni di Stroppo, Piazzo, Lanosco, Marmora, Acceglio, i quali, a causa della esiguità dei loro territori e della povertà delle loro risorse naturali, stimarono utile stringersi in una confederazione detta di «Val Maira Superiore», per poter meglio tutelare i loro interessi contro gli abusi dei Comuni più forti e ricchi della Valle Inferiore. La valle della Macra per i passi del Sautron e per la strada delle Monache, riattivata dai marchesi Ludovico I e II, comunicava con le valli dell'Ubaye e dell'Ubayette, in Provenza, e specialmente con la Vicaria di Barcellonetta, tenuta dai duchi di Savoia fino al trattato di Lione (1601).

Per i contatti commerciali intensi con le terre protestanti della Provenza e del Cuneese, per i frequenti soggiorni o passaggi di truppe ugonotte o miste di ugonotti, di luterani e valdesi; per la protezione concessa alla Riforma da parecchi signori feudali, Dronero, con parecchi altri borghi della valle, costituì uno dei centri più importanti e tenaci della Riforma Protestante nel Marchesato di Saluzzo.

L'ultima valle, quella della Grana, posta tra le valli della Macra e della Stura, non aveva che pochi borghi: Valgrana, Monterosso, Pradleves, Castelmagno.

Appartata, senza sbocco diretto con il versante francese, non ebbe grande importanza nelle vicende politiche del Marchesato: ma, posta tra le valli fittamente eretiche della Macra e della Stura, ebbe una considerevole importanza nella storia della Riforma, specialmente negli ultimi decenni del secolo. Aderirono attivamente al moto riformato parecchi membri delle famiglie feudali della valle, di stirpe marchionale.

Ai piedi della zona montana, che si stendeva da Dronero a Saluzzo, avevano speciale importanza: Costigliole, Verzuolo, La Manta, sede di uno dei rami più importanti della Casa dei Saluzzo, ed infine Saluzzo, capitale del Marchesato. Staccate, nelle Langhe, ma dipendenti dal Marchesato, erano alcune terre, già appartenute al Monferrato e come tali reclamate dal duca di Mantova: Dogliani, Bonvicino, Belvedere, Marsalia, Lequio, Cissone, Monbarcaro, Castiglione, Roddino e Camerana.

A queste terre, regolarmente incorporate nel Marchesato durante tutto il tempo della dominazione francese, sono da aggiungere alcune altre terre, le quali solo a tratti o indi- rettamente dipesero in quel periodo dal governo del Marchesato, ma che, per i loro intimi e frequenti contatti con la Riforma nelle terre saluzzesi, non possono logicamente essere separate dalle prime. Esse sono: CARMAGNOLA [9], gran centro commerciale, forte castello, sentinella avanzata della Francia in mezzo ai dominî ducali, la quale solo per breve tempo, dal 1559 al 1562, fu staccata dal Marchesato ed annessa al governo del Parlamento Francese di Torino, ristaccata amministrativamente dal Marchesato nel 1584 e riunita nel 1585; SAVIGLIANO [10], che fu francese dal 1542 al 1559, ducale dal 1559 al 1562, in virtù del trattato di Castel-Cambresis (3 aprile 1559), poi di nuovo francese, dal 1562 (trattato di Fossano, 2 nov. 1562) al 1574 e d'allora in poi definitivamente sabauda. Fu sede di un Tribunale dell' Inquisizione, che, ora legittimamente ora abusivamente, esercitò la sua giurisdizione sulle terre del Marchesato: con altre terre dipendenti (Levaldigi, Ruffia) fu a tratti centro notevole di diffusione e di affermazione delle dottrine protestanti. Per ultime ricorderemo le terre di CENTALLO [11], di FESTEONA e di DEMONTE situate queste all'imbocco della valle della Stura. Ne furono signori in questo periodo prima i Bolleri, già vassalli dei marchesi di Saluzzo; poi i D'Antioche ed i Frangier, signori d'Anselme, vassalli diretti del re di Francia per le loro terre transalpine, ma indi- retti per i loro possessi cisalpini, per i quali essi dovevano omaggio ed ubbidienza al governatore del Marchesato o al luogotenente del re al di qua delle Alpi.

Il rapido sguardo d'insieme, che abbiamo gettato sul Marchesato verso la metà del secolo XVI, ci può facilmente persuadere come la natura, la configurazione e la posizione di esso fossero particolarmente adatte a favorire l'introduzione e la diffusione del moto riformato.

Chi consulti la storia della Riforma in Piemonte [12], può facilmente constatare come ai margini periferici del Marchesato, quasi senza discontinuità, e come anelli di un'unica catena, si stendessero su terra ducale, i centri più vitali della dissidenza piemontese: dalla valle del Pellice a Vigone, Moretta, Chieri, Cardè Carignano, Racconigi, Casalgrasso, Villafalletto, Caraglio, Cuneo, Busca e Villanovetta, così da rendere pressoché impossibile al popolo del Marchesato di sfuggire alla morsa dell'eresia. E poiché anche sull'altro versante delle Alpi circondavano il Marchesato le provincie francesi del Delfinato e della Provenza e quelle della Vicaria di Barcellonetta, fittamente popolate di ugonotti e spesso teatro di sanguinose lotte politiche e religiose, si può dire che l'accesso al Marchesato non potesse quasi effettuarsi, se non attraverso a terre più o meno profondamente infette di ugonotteria.

Si aggiunge che per i suoi numerosi ed agevoli valichi alpini, che introducevano nelle comode valli della Varaita, della Macra, e della Stura, scesero e risalirono spesso eserciti composti di reparti luterani ed ugonotti, francesi, svizzeri e tedeschi; e che per le stesse valli transitarono giornalmente numerosi mercanti riformati diretti dalla Provenza e dalla Linguadoca alle fiere dell'Astigiano, dell'Alessandrino, del Monferrato e del Milanese, seminando come vedremo i germi della riforma protestante lungo ogni tappa del loro cammino.

La natura poi montuosa, aspra e selvaggia di gran parte del territorio, come favorì, occultandolo, il primo impeto del moto, così gli offrì più tardi un comodo rifugio ed un inaccessibile baluardo nel momento della minaccia e della persecuzione.

Noteremo infine come il Marchesato, con nei avanzanti tra le terre sabaude, esercitò spesso una duplice funzione nel campo della dissidenza religiosa. Fu infatti, a turno, incentivo alla diffusione di essa nelle terre ducali, ed a turno ne subì il contraccolpo, specialmente quando la persecuzione, scatenatasi nelle limitrofe terre sabaude, costrinse fitte schiere di esuli a cercare momentaneo o definitivo rifugio nelle terre saluzzesi.

Sebbene costituito di terre in prevalenza montane, il Marchesato aveva in sé parecchi elementi fecondi di sviluppo e di benessere, tanto nel campo agricolo quanto in quello commerciale ed industriale [13].

Le sue terre erano ricche di pascoli irrigui e di fertili campi, con i quali si alternavano dense foreste popolate di prelibata selvaggina. I vigneti di Revello e di Pagno, ma soprattutto quelli delle Langhe, davano un vino famoso, di cui si dice che la marchesa Margherita di Foix solesse fare ogni anno un donativo al Papa. Nelle valli della Varaita e della Macra era abbondante il raccolto delle noci e delle castagne.

In pianura crescevano rigogliosi il grano, il granoturco, la canapa ed il lino; in alcuni luoghi, anche il riso. Molto fiorente era l'allevamento del bestiame, tanto nei pascoli della pianura quanto in quelli montani: particolarmente intenso quello dei suini e dei volatili.

Discreta ricchezza davano anche i prodotti del sottosuolo. C'erano miniere di allume, ferro, vetriolo e piombo nella valle della Varaita; di oro a Elva e Roccabruna, in Val Macra; di ferro in Val Paesana, Val Macra e Val Varaita, di marmo e di calce a Venasca e Isasca. Molti di questi prodotti non servivano solo ai bisogni locali, ma venivano asportati nei paesi vicini.

Anche il commercio e l' industria, dati i tempi e la natura della regione, offrivano uno sviluppo assai promettente. In Val Varaita si macinavano le noci e si estraeva l'olio; in Val Macra, in Val Varaita e in Val Paesana si lavorava il ferro, il piombo, il rame e l'allume: in Val Macra si fabbricavano drappi rozzi e fustagne; in Saluzzo panni e velluti; in Carmagnola si tesseva il lino e la canapa e si fabbricava la così detta che Genova e Venezia, come fortissima, tela «marchesana», si disputavano gelosamente per allestire le vele delle loro navi. In Saluzzo infine e nelle terre vicine si plasmavano ceramiche e vasi di argilla, che erano oggetto di larga esportazione.

Intenso assai era il commercio dei suini, dei volatili, dei latticini, delle pelli e delle lane: ma anche maggiore importanza aveva il commercio del sale, che, in virtù di speciali accordi stipulati con i re di Francia fin dal tempo dei marchesi, affluiva dalla Provenza e dal Delfinato attraverso i passi della Val Macra e della Val Varaita o attraverso il pertugio detto del Viso o delle Traversette [14], ed era distribuito poi nelle terre delle Langhe, del Monferrato e in altre parti più lontane del Piemonte e della Lombardia.

La posizione del Marchesato, intermedia tra il Piemonte e la Francia, e la particolare configurazione, che apriva comode strade e facili passi per le comunicazioni fra le terre cisalpine e quelle transalpine, agevolò assai anche il commercio detto di transito. Infatti, transitarono continuamente per le sue valli, con merci e salmerie, numerose schiere di mercanti forestieri che erano diretti a terre più lontane e che, attraversato il Marchesato, si disperdevano al di là dei monti nelle provincie della Linguadoca, della Provenza e del Delfinato, o al di qua delle Alpi nelle contrade del Piemonte, dell'Astigiano, dell'Alessandrino, della Liguria e del Milanese.

Tre grandi fiere si tenevano a Saluzzo [15], due a Savigliano [16], altre a Carmagnola [17], a Dronero [18] e a Revello: alcune di esse duravano da tre a sei giorni con larghi privilegi, franchigie ed immunità [19] per chiunque venisse a vendere, comprare o barattare le merci più svariate. I contatti commerciali più intensi erano con i ricchi borghi di Caraglio, di Centallo e del Cuneese, assai fittamente popolati di riformati fin dalla prima metà del secolo, e più ancora con la Provenza e il Delfinato, dove la Riforma aveva conquistato buona parte della popolazione: contatti, che non furono senza notevole effetto per l'introduzione e la diffusione delle nuove dottrine nelle terre del Saluzzese. Lo può provare il fatto che esse, infatti, si manifestarono per tutto il secolo con speciale intensità proprio lungo le vie più battute dalle schiere dei mercanti nostrani o transalpini, e nei centri commerciali più attivi e più frequentati del Marchesato.

I mercanti, infatti, per la loro vita itinerante e per i loro continui contatti con popoli di ogni razza e di ogni fede, furono, tanto al tempo della dissidenza medievale quanto al tempo della Riforma Protestante, uno dei più efficaci veicoli di diffusione. Essi propagavano i principî della nuova fede non solo oralmente, narrando e discutendo le cose qua e là vedute o sentite, ma trasferendo di terra in terra libri, scritti, prediche di Riformatori italiani e transalpini, bibbie ed opuscoli polemici, spesso acremente denigratori del clero e del dogma cattolico: il tutto gelosamente nascosto nelle casse o nelle balle delle loro mercanzie.

Quando verso la metà del secolo il Marchesato passò alla Francia, le condizioni del Saluzzese, che, per le ragioni sopraddette, avrebbero potuto essere assai fiorenti, si erano pur- troppo immiserite per il mal governo di Margherita di Foix [20]; per le lotte intestine degli ultimi marchesi; per le rovine cau- sate da quasi un trentennio di guerre continue e di saccheggi; per gli esosi donativi e riscatti pretesi dai marchesi e dai

comandanti francesi ed imperiali; per la costruzione di fortezze e per l'alloggio ed il vettovagliamento di truppe [21]. Questo malessere economico, se in parte spinse il popolo ad accettare l'annessione alla Francia come unico rimedio per ridare pace e benessere materiale all'infelice Marchesato, fu in pari tempo uno stimolo assai efficace per destare nel popolo segrete simpatie verso la Riforma. Già trent'anni prima gli eretici di Paesana [22] avevano esplicitamente confessato davanti agli inquisitori quanta parte avessero nella giustificazione della loro dissidenza religiosa le gravi condizioni economiche del tempo e le aspirazioni verso una migliore giustizia sociale ed un più elevato benessere materiale. Nulla quindi di strano, se la Riforma, ammantandosi di ideologie religiose, politiche e sociali, trovò un notevole coefficiente di simpatie e di adesioni anche nel campo economico, che gli era propizio sotto molti aspetti. La Riforma, infatti, affermando nelle sue predicazioni anche se talora in pratica tradì se stessa i principî della povertà evangelica e della fratellanza universale, sferzando nelle sue accese polemiche, a voce e per iscritto, lo sfarzo, l'avarizia, l'egoismo e la corruzione delle classi agiate, delle Abbazie e dell'alto clero, doveva naturalmente come nelle origini del cristianesimo incontrare simpatie ed aderenze nel ceto più umile e più povero del Marchesato, il quale nello sfarzo della nobiltà e della Chiesa vedeva un'amara irrisione alla sua vita di miserie e di stenti.

E poiché i riformati, nelle terre in cui ebbero più largo credito, tentarono a più riprese di sottrarre se stessi ed il Comune al pesante gravame delle decime ecclesiastiche e delle contribuzioni richieste da chiese, conventi, Capitoli e mense vescovili, oppure insorsero a reclamare che il clero dividesse col popolo il peso sempre più intollerabile delle contribuzioni di guerra e delle prestazioni militari [23], nulla di più naturale che in questa lotta di natura economica essi trovassero consenzienti molti di quelli che militavano nelle file cattoliche e che la fratellanza contratta nel campo economico, preparasse talora, a più o meno lunga scadenza, l'aderenza religiosa.

Assecondò la Riforma anche l'avversione, che sempre più veniva crescendo e generalizzandosi nel popolo contro i salari, le tasse, le oblazioni ed i donativi di varia natura, che il clero, alto e basso, pretendeva in misura sempre più estesa dai fedeli in occasione di battesimi, di matrimoni, di vestizioni, di sepolture e di Messe funebri: gravami, che nelle stesse cir- costanze non erano richieste affatto, o in maniera assai meno coercitiva e rapace, nelle congregazioni dei riformati. La protesta contro simili abusi scoppiò violenta in Francia in occasione della convocazione degli Stati Generali in Orléans (dic. 1560) [24]; ma sintomi di proteste noteremo anche noi nelle terre del Marchesato, specialmente a Carmagnola, Dronero e Val Macra, dove, come già fu notato, il partito prote- stante fu più numeroso ed influente.

Il trapasso del Marchesato dalla giurisdizione marchionale a quella francese, proclamata come abbiamo veduto [25] il 1 agosto 1548 con la deliberazione del Consiglio Comunale di Saluzzo, e confermata il 7 ottobre dello stesso anno con le Patenti di Enrico II, re di Francia, non fu profondamente avvertito dagli abitanti 26, sia perché essi già da alcuni anni di fatto ubbidivano ad ufficiali e magistrati francesi, sia perché il governo degli ultimi marchesi era stato così disordinato, esoso e dissipatore, da non suscitare grande rimpianto al suo tramonto, sia soprattutto perché le Patenti di annessione, mentre facevano gli abitanti partecipi degli stessi diritti dei regnicoli francesi, confermavano i privilegi e le franchigie goduti sotto i marchesi e lasciavano sussistere molte delle istituzioni politiche e civili che avevano avuto vita nel periodo precedente [27].

Rimase pressoché intatta la giurisdizione locale e comunale istituita dai marchesi, poiché le terre rette a comune continuarono ad avere le Congregazioni dei Capi di Casa e ad essere amministrate da sindaci, consoli, podestà, clavari ed altri ufficiali minori, mentre nelle terre, soggette a vincoli feudali e sedi di un castello, continuò ad avere giurisdizione il castellano [28].

Più profonde innovazioni avvennero, ad onta delle promesse del re, nel complesso dell'amministrazione generale e superiore dell'intero Marchesato.

Già abbiamo veduto come, per meglio legittimare l'usurpazione ed il possesso del Marchesato quale antico feudo dei Delfini di Francia [29], il Saluzzese non fu subito aggregato al governo francese subalpino ed alla Corte del Parlamento di Torino, come sarebbe stato naturale, ma politicamente incorporato nella provincia del Delfinato [30], di cui era allora governatore il duca Francesco I di Guisa e messo alle dipendenze di quel governatore; solo più tardi fu annesso ai dominî francesi subalpini con un governatore proprio [31] alle dipendenze del Luogotenente Generale del re al di qua dei monti. Questi fino al 1562 risiedette a Torino, dove aveva sede il Parlamento francese; poi, dal 1562 al 1574, a Pinerolo [32], dopo che Torino fu restituita al duca di Savoia ed il Parlamento fu sostituito dal «Consiglio Superiore», con sede in Pinerolo. Ma tanto nel primo, quanto nel secondo periodo, il Marchesato di Sa- luzzo rimase sempre unito al Delfinato ed alla Corte di quel Parlamento per la superiore amministrazione finanziaria, per le controversie e le quistioni di natura amministrativa e giudiziaria.

La giustizia, dopo un anno di amministrazione provvisoria, fu regolata su nuove basi con le patenti regie del luglio 1549 [33], le quali istituivano, come giudici di prima istanza, al di sopra dei consoli, che avevano giurisdizione limitata alla sola cerchia del Comune, tre giudici ordinari, col titolo di Podestà, risiedenti nelle tre principali città del Marchesato, cioè a Saluzzo, a Carmagnola ed a Dronero. Nel 1560, con Ordinanza regia del 26 dicembre, i Podestà furono portati a cinque, per appagare le lagnanze ed i desideri degli abitanti del Marchesato ed ebbero come residenze: Saluzzo, Carmagnola, Dronero, Revello e Dogliani [34]. Essi estendevano la loro giurisdizione su ciascuna delle città suddette e sul suo distretto, rivestivano la carica con carattere di perpetuità ed avevano alle loro dipendenze un procuratore del Re ed un cancelliere (greffier). Al Podestà spettava la cognizione in prima istanza di tutte le materie ordinarie, civili e criminali, ad eccezione di quelle sottoposte alla diretta giustizia dei signori feudali o riservate a magistrati superiori.

Al di sopra dei Podestà stava il Senescallo (o Senescalco) o Presidente della Provincia [35], la quale comprendeva tutte le terre, che facevano parte del Marchesato all'atto dell'annessione alla Francia. Davanti al Senescallo dovevano essere portate tutte le appellazioni in materia civile e criminale dai tre Podestà sopraddetti e dai giudici dei nobili: a lui competeva la decisione in prima istanza anche dei delitti di lesa maestà, di falsa moneta, di sedizione e di violazione di franchigie; l'interinazione delle lettere di condono, di grazia e di remis- sione; il giudizio delle controversie fra nobili e Comuni ecc. Le appellazioni respinte dal Senescallo venivano trattate davanti al Parlamento di Grenoble « comme estant le dict Marquisat fief dépendant dudict pays de Dauphiné, uny et incorporé à iceluy ». Il Senescallo aveva la sua residenza ordinaria in Saluzzo ed allontanandosi dal Marchesato, designava a sostituirlo un luogotenente o vice-senescallo con gli stessi poteri.

La strana situazione del Marchesato, vincolato al Delfinato in materia finanziaria e giudiziaria, separato in materia poli- tica, civile e militare a partire dal 1562, ebbe due notevoli effetti nei riguardi della Riforma.

In primo luogo fece sì che, quando scoppiarono le prime guerre civili e religiose di Francia (1562), il Marchesato, non solo per la sua posizione al di qua delle Alpi, ma per l'avvenuta separazione politica e militare, subisse più debolmente il contraccolpo di esse e non fosse coinvolto direttamente nelle fazioni politico-religiose del regno. Non beneficiò, è vero, delle leggi tolleranti e degli editti di pacificazione emanati dai re di Francia, né delle particolari condizioni religiose, in cui venne talora a trovarsi il Delfinato per il momentaneo trionfo del partito protestante; ma non fu, d'altra parte, sottoposto alle molte leggi intolleranti e restrittive né alle violente persecuzioni religiose, che quel Parlamento scatenò a più riprese o per ordine del re o per la pressione del partito cattolico e della Lega Cattolica.

In secondo luogo, la necessità assai frequente per gli abitanti di recarsi nel Delfinato per perorare davanti alla Corte del Parlamento le proprie ragioni di interesse o per presentare appellazioni giudiziarie contro le sentenze del Senescallo, offrì ai cittadini ottima occasione per entrare in più intimo contatto con le dottrine riformate colà largamente diffuse o per ricercare la protezione dei Capi Ugonotti, nei periodi in cui, dominando il partito protestante, Corte e Parlamento inclinavano a favorire gl'interessi e le recriminazioni dei riformati e dei loro aderenti.

Non fu senza conseguenze per le vicende della Riforma anche il carattere eminentemente democratico della magistratura comunale. Podestà, chiavari, consiglieri, sindaci, consoli eletti gli uni da una terna proposta dal Comune all'approvazione ed alla scelta del Senescallo, eletti gli altri direttamente dai cittadini nelle Congregazioni dei Capi di Casa essi furono per lo più gli esponenti genuini e diretti dei sentimenti, delle aspirazioni e delle necessità del popolo. Sicché dalla participazione maggiore o minore dell'elemento riformato a queste cariche e dalla sua più o meno lunga permanenza in esse, possibile dedurre il grado di favore che le dottrine riformate suscitarono in parecchie terre ed il prestigio che godettero, quasi ininterrottamente, alcune famiglie di riformati. Ed anche quando leggi restrittive [36] esclusero i riformati da ogni pubblica magistratura, non fu mai impedito ad essi, in virtù del carattere popolare ed elettivo delle cariche, di esercitare in qualche modo il loro influsso nell'amministrazione del Comune. Infatti, valendosi del diritto di voto, fu possibile sempre ad essi scegliere nelle terne e nelle liste chiuse dei cattolici, quegli elementi più temperati o segretamente in- clini alla riforma, e, per mezzo di essi, imprimere al Comune un indirizzo più liberale o più indulgente alle loro aspirazioni religiose, specialmente là, dove i riformati prevalessero per numero, per ricchezza e per prestigio sociale.

Quanto si è detto delle magistrature comunali, si può ripetere a proposito di due istituzioni, che ci occorrerà spesso di ricordare. Di carattere eminentemente popolare, esse ebbero grande importanza per il benessere del Marchesato durante il periodo della dominazione francese. Sono: le « Congregazioni Generali della Patria Marchionale » ed il «Consiglio o Collegio degli Eletti».

Le Congregazioni Generali, formate dai deputati dei singoli Comuni o di gruppi di Comuni [37], a seconda della loro importanza, esistevano fin dal tempo del governo marchionale [38]: si radunavano per trattare gl'interessi e le questioni generali delle comunità; ma non avevano né una data fissa né un carattere ben definito. Lo stato caotico, in cui il Marchesato si trovò a metà del secolo per il mal governo degli ultimi marchesi e per le continue rovine e spogliazioni di eserciti francesi ed imperiali, fece sentire sempre più il bisogno che le Congregazioni Generali non solo si adunassero più frequentemente e ad intervalli più regolari, ma nominassero nel loro seno alcuni uomini incaricati di far eseguire le deliberazioni delle assemblee e di curare senza discontinuità gli interessi generali delle Comunità durante il periodo d'intervallo delle convocazioni, decidendo le controversie di varia natura e difendendo le franchigie contro gli abusi delle autorità politiche e militari.

Conscio di queste esigenze, il Consiglio Comunale di Saluzzo fin dal principio dell'anno 1552 39 chiedeva al governatore e al senescallo di Saluzzo l'autorizzazione di convocare a questo scopo la Congregazione Generale delle Comunità del Marchesato: ma l'autorizzazione ebbe bisogno dell'approvazione del re. Cosicché solo sulla fine di maggio o al principio di giugno dell'anno seguente (1553) fu possibile legalmente adunarsi per procedere alla nomina di speciali magistrati, che furono chiamati «Eletti».

Essi furono quattro in quell'anno: uno per ciascuno dei quattro grandi centri del Marchesato: Dronero, Saluzzo, Revello e Carmagnola. Fatto non trascurabile, l'eletto di Dronero fu un autentico riformato, Giov. Vincenzo Polloto, apparte- nente ad una delle più illustri famiglie di quella terra.

Ma il Consiglio degli Eletti, per la novità della carica, per l'incapacità di alcuni di essi e soprattutto per la diffidenza stessa del governo verso la nuova magistratura, non fece buona prova nei primi anni [40].

Una sistemazione più regolare si ottenne con le Patenti del duca di Guisa del 23 maggio 1559 [41], in virtù delle quali le Congregazioni ottennero il permesso di radunarsi ogni qualvolta lo ritenessero opportuno e di trattare qualunque argomento volessero, purché ciò avvenisse davanti al Siniscallo o ad un commissario da lui deputato.

A partire dal 1560, e per tutto il tempo della dominazione francese, Congregazioni Generali [42] e Collegio degli Eletti [43] si inserirono profondamente nella vita civile e politica del Marchesato. Istituzioni popolari e rappresentative, guidando le aspirazioni e le necessità dei Comuni, tutelando i loro interessi e le loro franchigie politiche ed economiche, distribuendo equamente oneri e redditi, furono realmente un mezzo validissimo per garantire al Marchesato la tranquillità ed il benessere materiale, dando in pari tempo al popolo la sensazione di una relativa autonomia ed indipendenza dal governo di Francia.

Una sistemazione più regolare si ottenne con le Patenti del duca di Guisa del 23 maggio 1559 [41], in virtù delle quali le Congregazioni ottennero il permesso di radunarsi ogni qualvolta lo ritenessero opportuno e di trattare qualunque argomento volessero, purché ciò avvenisse davanti al Siniscallo o ad un commissario da lui deputato.

A partire dal 1560, e per tutto il tempo della dominazione francese, Congregazioni Generali [42] e Collegio degli Eletti [43] si inserirono profondamente nella vita civile e politica del Marchesato. Istituzioni popolari e rappresentative, guidando le aspirazioni e le necessità dei Comuni, tutelando i loro interessi e le loro franchigie politiche ed economiche, distribuendo equamente oneri e redditi, furono realmente un mezzo validissimo per garantire al Marchesato la tranquillità ed il benessere materiale, dando in pari tempo al popolo la sensazione di una relativa autonomia ed indipendenza dal governo di Francia.

I verbali delle loro sedute, giunti fino a noi quasi completi [44], costituiscono una fonte sicura e preziosa di notizie per ricostruire la vita interna del Marchesato sotto i più svariati aspetti. Ed hanno importanza notevole anche per la storia della Riforma, non solo perché a parecchie riprese Congregazioni ed Eletti osarono contenere le intemperanze e gli abusi del clero ed insorgere contro ogni forma d'inquisizione religiosa, ma perché talora non temettero di proclamare pubblicamente arditi principî di libertà di coscienza e di culto, che contra- stano con la generale intolleranza del tempo e dimostrano il credito, di cui godevano in parecchie terre i seguaci della fede riformata.

Quando con il trattato di Lione (1601) il Marchesato di Saluzzo fu definitivamente annesso allo Stato sabaudo, la permanenza degli Eletti, come istituzione eminentemente popolare, parve in contrasto con i principî di sovranità asso- luta, ai quali si ispirava la monarchia sabauda. Perciò gli Eletti furono ben presto soppressi: ed anche le Congregazioni Generali persero a poco a poco la loro indipendenza e la loro importanza. L'istituzione di un Prefetto, con larga autorità giurisdizionale, assorbì gran parte delle mansioni che erano proprie delle Congregazioni; sicché, scomparendo le necessità per le quali erano sorte e vissute, le assemblee divennero sempre più rade ed irregolari. L'ultima Congregazione Generale si tenne nel 1699.

Verso la metà del '500, quando la Francia s'insediò nel Marchesato, i discendenti dell'antica nobiltà feudale erano grandemente ridotti e scaduti, perché i marchesi del Curlo [45] avevano saputo eliminare le famiglie nobili dalla partecipazione alla signoria del Comune e ridurle alle proprie dipendenze con qualche vincolo feudale. La decadenza, già notata al tempo del marchese Ludovico II, si acuì sotto il governo povero ed avaro di Margherita di Foix e durante le lotte intestine tra i figli di lei, le quali provocarono lo sfasciamento progressivo della Corte marchionale. La nobiltà, privata di ogni appoggio e di un naturale centro di attrazione e di raccolta, abbandonata a se stessa, fu obbligata a cercare il proprio lustro e talora il proprio sostentamento, ora nel partito dell'uno o dell'altro dei fratelli contendenti, ora negli eserciti francesi ed imperiali, che combattevano in Piemonte: spesso a contentarsi di umili uffici e di imprese commerciali.

Accanto a questa nobiltà, vassalla ed antica 46, esisteva un'altra specie di nobiltà più umile e sottomessa [47], costituita dai membri delle famiglie, le quali avevano dato alla patria marchionale uomini insigni nel campo delle lettere, delle arti, del giure, della chiesa e della milizia o che avevano ricoperto cariche importanti, in qualità di vicari, podestà, consiglieri marchionali e tesorieri, trasmettendo per più generazioni la carica di padre in figlio.

Ma salve poche eccezioni, tanto l'una quanto l'altra nobiltà era ormai scarsa di terre e di mezzi di fortuna, ridotta a con- durre una vita mediocre, e, non avendo né forza né ricchezze per affermarsi e primeggiare, viveva confusa e mescolata con popolo, sottomessa, incapace di ribellarsi e di affrancarsi, sebbene internamente ambisse a riacquistare l'antico prestigio [48].

Le tristi condizioni della nobiltà non furono sanate neppure dalla istituzione del governo francese, che, lasciando il Parlamento al di là delle Alpi, trasportando a Pinerolo la sede del «Luogotenente Generale del re al di qua dei monti», e, molto spesso anche quella del governatore del Marchesato, chiamato a sostituirlo nella sua assenza, non poté ridare a Saluzzo lo splendore dell'antica Corte marchionale né attrarre a sé gran stuolo di nobili.

Questi, per tenere alto il decoro della propria famiglia, non trovarono pertanto aperte dinanzi a sé che due vie: o abbracciare la carriera ecclesiastica e gli Ordini monastici per godersi alti onori e laute prebende, oppure consacrarsi alla carriera militare, cercando di volgere a proprio profitto le lotte intestine e le guerre esterne. Ma, mentre i primi, per necessità di disciplina e di interessi, e per i vincoli feudali, che li legavano alla chiesa, furono quasi sempre fieri avversari della Riforma, i secondi, sia che militassero al seguito dei marchesi o negli eserciti francesi ed imperiali, mutando spesso partito, sia che più tardi, passato il Marchesato sotto il dominio regio, cercassero fortuna nelle guerre civili di Francia o nella contesa tra il Birago ed il maresciallo di Bellegarde, o nelle aspre guerre tra il duca ed il capitano ugonotto Lesdi- guières, trovarono sempre facili e frequenti occasioni per venire a contatto con le nuove dottrine. Queste, infatti, serpeggiavano in ogni corpo di milizia, tanto al di qua quanto al di là delle Alpi, per la presenza di truppe svizzere, tedesche, francesi professanti le dottrine di Lutero o di Calvino.

Da questi contatti alcuni non trassero che uno spirito di maggior tolleranza o di larvata aderenza, che tuttavia li spinse a mitigare, nelle terre della loro personale giurisdizione, l'asprezza degli editti emanati in odio dei riformati dal re o dalle superiori autorità del Marchesato; ma altri furono pochi osarono non solo far pubblica professione delle nuove dottrine, ma farsene banditori e difensori nelle città e nelle piazze, in cui furono di guarnigione o nella cerchia dei loro castelli, ospitando riformati piemontesi ed ugonotti, ministri, congreghe e sinodi di dissidenti. E, quando venne la persecuzione, per non essere obbligati a rinnegare l'intima fede, preferirono abbandonare beni e famiglia e cercare un rifugio in terra protestante.

A questa nobiltà riformata appartennero alcuni membri delle famiglie stesse marchionali dei Saluzzo di Montemale, di Monterosso, di Valgrana, di La Manta, di Pagno e di Castellar; le famiglie nobili dei Solaro di Villanova, dei Cambiano di Ruffia, degli Alciati di Savigliano, dei Biandrata di Saluzzo, dei Polloto e dei Guarino di Dronero, dei Baldisseri di Carmagnola, dei Muratori di Valfenera, dei Bolleri e D'Anselme di Centallo.

Ma, a differenza di quanto avvenne nel vicino regno di Francia [49], la nobiltà riformata del Marchesato non formò mai un vero partito. Ciò non avvenne, non solo per la scarsità del numero e per le tristi condizioni di prestigio, in cui versava la maggior parte della nobiltà saluzzese, ma perché nel Marchesato mancò anche un vero partito cattolico, che, per reazione, provocasse la formazione di quello ugonotto, e soprattutto perché non vi sorse un capo ugonotto di tanta autorità ed intraprendenza da raggruppare attorno a sé un forte nucleo di aderenti, sicché i nobili del Marchesato, isolati e divisi, quando vollero risolutamente aderire al moto riformato, per provvedere al loro decoro e per non essere privi di aiuto, furono quasi sempre costretti a porsi al servizio di capi ugo- notti in terra straniera. Ma l'adesione alla Riforma fu più spesso per essi causa di sacrificio che fonte di guadagno. I più videro i loro beni confiscati e le loro famiglie minacciate o disperse. Tale fu, ad esempio, la sorte dei Solaro di Levaldigi e di Moretta, dei Ruffia, dei Baldisseri e di altri, dei quali avremo occasione di occuparci in seguito.

Nell'opera di diffusione della Riforma la nobiltà indigena del Marchesato trovò spesso valido stimolo e forte protezione nella nobiltà e nella ufficialità straniera, che a capo di truppe svizzere, tedesche e francesi, fece più o meno lunga residenza nelle città e nelle piazzeforti del Marchesato, come comandanti o governatori di città, capitani di guarnigioni o magistrati civili e giudiziari.

Per il Marchesato non conosciamo che pochi nomi: quelli del conte di Fürstemberg, di Giacomo di Saluzzo, signore di Cardè, del De Gordes, governatore di Savigliano, dei marescialli Di Thermes, Di Bourdillon e Di Bellegarde, dei capitani Garretier, Espiard, La Prada, Briquemaut, Gaud, Anselme ed altri, che avremo occasione di ricordare nel corso del nostro studio. Ma, da quanto sappiamo con maggior abbondanza di documenti, a proposito di altre città limitrofe del Piemonte, nelle quali soggiornarono presidî stranieri al soldo della Francia o dell'Impero, possiamo facilmente arguire quanto ufficiali e presidî abbiano contribuito alla diffusione delle idee riformate non solo nell'ambito della guarnigione stessa, dove esercitavano spesso il loro ministerio cappellani e dommatizzatori protestanti, ma anche nella cerchia stessa della terra di presidio. Ce lo insegnano le guarnigioni di Torino, di Savigliano, di Busca, di Chieri e di Carmagnola, dove ufficiali, truppe e dommatizzatori, aggregati alle milizie straniere, assunsero talvolta un proselitismo così aperto e provocante da suscitare la reazione del clero e del Comune o da provocare l' intervento diretto dell'autorità regia.

Il pericolo dell'infezione ereticale causata dalle milizie forestiere, già grave nella prima metà del secolo, durante la lotta tra Francia ed Impero, diventerà particolarmente molesto, quando nella seconda metà del secolo, infuriando le guerre civili di Francia, masnade di ugonotti invaderanno a più riprese le terre del Marchesato, o quando i Bellegarde, padre e figlio, ed il D'Anselme, per sostenere i loro sogni ambiziosi, incorporeranno numerose milizie ugonotte nelle loro guarnigioni, o quando il Lesdiguières si accamperà vit- torioso in Piemonte, assoldando milizie tra i riformati del Marchesato e delle valli del Pellice e del Chisone. Cosicché non deve stupire se tutti gli storici, i quali trattano della Riforma Protestante nel Piemonte e nel Marchesato di Saluzzo, siano essi cattolici o protestanti, concordino nel porre la discesa e la permanenza di truppe religionarie, di ufficiali e di comandanti ugonotti e luterani, tra le cause che più validamente contribuirono all'introduzione ed alla diffusione del- l'eresia al di qua delle Alpi.

Prima di chiudere questi rapidi cenni sulla nobiltà ed ufficialità riformata indigena o straniera, vogliamo ancora ricordare come, accanto a numerosi gentiluomini, la Riforma Saluzzese annoveri anche un piccolo manipolo, non meno ardi- mentoso, di nobildonne [50], le quali osarono tener alta la bandiera della propria fede, affrontando le vessazioni e le perse- cuzioni scatenate contro di esse dal potere civile e religioso. Menzioniamo le più note: Margherita di Saluzzo-Cardè, che andò sposa prima al maresciallo di Thermes, poi al maresciallo di Bellegarde; Anna di Tenda, che fu moglie di Giacomo di Saluzzo-Cardè, fratello di Margherita; Anna di Moretta, che fu moglie di Niccolò Solaro dei Signori di Villanova e Levaldigi; le quattro nobildonne Farina, che, oriunde di Cuneo, cercarono rifugio nel Marchesato e strinsero parentela con i Solaro-Villanova.

Popolo in gran parte di montanari, di pastori, di contadini, di tessitori, di commercianti o di semplici braccianti, il Marchesato, nonostante l'effimero splendore letterario ed artistico avuto sotto il marchese Ludovico II e durante i primi anni della reggenza di Margherita di Foix [51], mostra a metà del secolo XVI un carattere per lo più rozzo, poco curante e poco amante degli studi e della cultura. Ne furono causa le guerre quasi ininterrotte fra Impero e Francia, il disordine, lo sperpero e l'instabilità del governo dei figli di Ludovico II.

Vi erano scuole [52] per il popolo in tutti i maggiori centri del Marchesato (Saluzzo, Carmagnola, Dronero, Savigliano, Revello, Verzuolo, San Damiano, Pagliero ecc.). Gli scolari erano posti sotto la protezione dei podestà, dei senescalli e dei governatori e godevano dell'immunità anche in tempo di guerra, da qualunque paese venissero e per tutta la durata dell'anno scolastico. Alla lingua latina si venne sempre più sostituendo il volgare italiano e il francese, ciò che non fu senza favorevole conseguenza per l'espansione della Riforma, che, abbandonando il latino, si valeva nel suo proselitismo di traduzioni italiane e francesi, non solo della Bibbia, ma delle maggiori opere dei riformatori protestanti.

Mancava tuttavia nel Marchesato una scuola superiore, una specie di Università, che conferisse titoli professionali e scientifici. Cosicché la gioventù studiosa, che desiderava una cultura più profonda e complessa o aspirava all'esercizio delle arti liberali, era costretta a frequentare Università straniere. Soppressa o languente, nella prima metà del '500, l' Università di Torino, la gioventù saluzzese si disperse a frequentare le Università di Ferrara, di Padova, di Bologna e di Siena o quelle transalpine di Lione, Parigi, Orléans, Montpellier, Valenza, Avignone e Ginevra: città nelle quali affluivano e rifluivano senza posa gruppi irrequieti di studenti girovaghi, che il desiderio di novità e di avventure o la fama di insigni maestri sospingevano dall'una all'altra scuola, da una nazione all'altra.

In queste sedi universitarie si incontravano uomini di ogni età, di ogni razza e di ogni fede; si intrecciavano le idee più varie ed i più disparati sistemi filosofici, politici e teologici: affluivano scritti e libri dagli argomenti più strani, ortodossi od ereticali e, data la passione che in quel secolo destavano le questioni di fede, tenevano spesso un grande posto le polemiche religiose suscitate ed alimentate talora dallo spirito novatore di qualche docente.

Era pertanto difficile in questi centri sfuggire ad ogni contatto con la Riforma [53]: molti studenti infatti tornavano in patria scossi nella loro fede cattolica, altri ormai ardenti fautori delle nuove dottrine, celando, gelosamente nascosti fra i loro libri, ora una Bibbia in volgare, ora qualche catechismo o scritto polemico di Riformatori italiani e stranieri.

Tutta la storia della Riforma, sia nostrana sia transalpina, dimostra la grande efficacia che ebbero per la diffusione di essa il vagabondaggio incessante degli scolari del Cinquecento ed il commercio clandestino di libri ereticali. Perciò non sorprenderà se, anche tra le file dei riformati saluzzesi, si incon- treranno assai numerosi i maestri, i medici, i notai, i dottori in legge, i quali attinsero i primi elementi delle nuove dot- trine proprio negli anni della loro vita itinerante di studenti nelle Università italiane o straniere.

Guerre, stragi, pestilenze, dominazioni straniere e vita di stenti non impedirono tuttavia al popolo saluzzese, neppure nel secolo XVI, di sfogare il suo umore gaio e spensierato in feste, in balli popolari e campestri, in orgie carnevalesche, in compagnie od associazioni di gaudenti, che avevano lo scopo di promuovere svaghi, feste e scherzi in mezzo al popolo. Di queste compagnie alcune interessano più strettamente la storia della Riforma e meritano pertanto un rapido cenno.

Furono generalmente e scherzevolmente chiamate «badie o abbazie» [54] e dette ora dei Folli, ora degli Stolti, ora degli Asini. Fiorirono numerose in tutto il Piemonte e trovarono seguito e successo anche in parecchie terre del Marchesato [55].

Qualunque sia stata la loro origine e regna tuttora incertezza fra gli studiosi queste abbazie formavano una vera corporazione riconosciuta dal potere civile, tolle rata dalle autorità religiose, ed avevano propri statuti, che ne regolavano le attività ed i privilegi. Erano presiedute da un abbate, eletto dai membri, donde il nome di abbazie o badie; e monaci si chiamavano scherzosamente i loro componenti. Indossavano ricchi vestiti, organizzavano danze, con- viti, spettacoli pubblici; davano rappresentazioni sacre e pro- fane, preparavano sfarzosi ricevimenti a Principi e Vescovi. Le loro burle ed i loro passatempi consistevano nel tendere barriere agli sposi in luoghi campestri per farsi dare dei gaggi; nel rincorrerli, se per sottrarsi ad essi, si davano alla fuga; nel fare gli sberleffi alla sposa durante il convito, nel cari- care sopra un'asina il vedovo o la vedova, che passava a se- conde nozze, e nell'accompagnarli per tutta la città con grida e baccanali; nel fare la «ciabra» o « zabra», cioè la fischiata, sotto la finestra della vedova, che prendeva nuovo marito. Feste, rappresentazioni e simposi si celebravano sotto grandi frascate nelle pubbliche piazze; statuti comunali e privilegi marchionali consentivano ai « Folli » di tagliare alberi e fronde nelle selve demaniali. E poiché per tutti questi passatempi occorreva denaro, era loro riconosciuto il diritto di porre dei gaggi, cioè delle taglie in occasione di battesimi, di matrimoni, di danze e di cavalcate. Lo stesso Vescovo Tornabuoni non poté sottrarsi a quest'usanza, quando nel 1516 fece la sua entrata in Saluzzo per prendere possesso della Diocesi. L'abbate dei «Folli » posò il gaggio, cioè pegno, sulla mula che il Vescovo cavalcava e sul suo mantello, ed il prelato non poté riscattarli, se non pagando la cospicua somma di dodici du- cati [56].

I «Folli» prendevano parte anche alle cerimonie religiose, ma più come occasione di espandere il loro umore gaio e burlesco, che per profondo e sincero spirito religioso. Talora accompagnavano le processioni con sparo di bombarde e di colubrine, parodiando il Papa o i Cardinali, mascherandosi da diavoli, da cavalli o da leoni. A Saluzzo i «Folli » precedevano la processione solenne del Corpus Domini con un carro tirato da buoi, sul quale stavano due uomini, che tenevano due torce accese in mezzo a fiori e spighe: altrove pretesero perfino tenere balli e conviti nelle chiese, nei monasteri e nei cimiteri, disturbare all'altare le cerimonie nuziali con la «< cia- bra» od introdurre in chiesa carri tirati da buoi e condotti da contadini briachi con orge dionisiache. Cosicché non è da stupire, se spesso con la loro rumorosa ed incomposta letizia, con il loro spirito mondano, o talora triviale, i « Folli »> contribuirono a soffocare la purezza e la freschezza della fede popolare ed a gettare il ridicolo tanto sulle persone quanto sulle cose sacre.

Date queste tendenze, è assai naturale che all' apparire delle dottrine riformate, queste abbazie dei «Folli »> offrissero terreno propizio ai germi della dissidenza religiosa, per quello spirito sbrigliato 57 e spregiudicato, che esse agitavano nel loro seno e per quella tendenza burlesca o parodiaca, che avevano assunto a proposito di parecchie cerimonie cattoliche. Ciò sembra essere dimostrato dalla corrispondenza, che spesso si nota fra i centri maggiori della dissidenza religiosa nel Marchesato e le terre, dove più a lungo fiorirono le badie gioiose dei «Folli ».

Già prima che si manifestasse la Riforma Protestante, il Vescovo di Saluzzo Tornabuoni aveva avvertito i gravi scandali e pericoli, ai quali potevano dar luogo le badie dei «Folli» per la larga partecipazione che vi avevano gli ecclesia- stici stessi e per l'influsso malefico ed ereticale che esse eser- citavano sul sentimento religioso del popolo. Come primo ri- medio, aveva vietato che i sacerdoti avessero parte in tali abbazie e presenziassero a feste e cerimonie indette dai «Folli »>. Ma, continuando gli scandali, più tardi fu proibito ai «Folli >> stessi di entrare nelle chiese, nei cimiteri e nei conventi e di disturbare con mascherate e con «ciabre » o con processioni triviali la santità e la solennità delle cerimonie sacre e nuziali.

Ma in questo tentativo di purificarsi, eliminando gli abusi e gli scandali, che davano facile esca alla diffusione dell'eresia, la Chiesa si rese assai spesso ostili le badie dei «Folli», proprio nel momento in cui la Riforma incontrava maggior favore nel popolo. Scarse di sentimento religioso, esse per naturale reazione contro la Chiesa, che le perseguitava, non furono talora aliene dal cercare un'alleata nella dissidenza religiosa [58], ora facendosene pubbliche banditrici, ora attingendo da essa nuovi argomenti per mettere in più aperto dileggio e in più irosa parodia le persone sacre o talune cerimonie e credenze del culto cattolico.

Accusate di essere fonte di empietà e di eresia, le badie furono dapprima scomunicate dal clero, intento ad una più rigida osservanza dei decreti del Concilio di Trento, poi soppresse nel 1566 per ordine del re di Francia, come moleste al clero e al popolo [59], ma forse anche come sospette di novità politiche e religiose.


Note

[I] Non conosco descrizioni geografiche generali del Marchesato né carte topografiche per il secolo XVI. Si possono ricavare utili notizie dalle opere seguenti: Urbis Salutiarum Descriptionem a JOHANNE LUDOVICO VIVALDO Monregalensi exeunte saeculo XV exaratam edidit notisque illustravit Carolus Muletti Salutiensis, Salutiis, 1832; LUD. DELLA CHIESA, Dell' historia del Piemonte, op. cit., lib., I, pass.; FRANC. AGOST. DELLA CHIESA, Relazione dello stato presente del Piemonte, Torino, 1635, cap. V, pp. 17-24, e cap. VIII, pp. 39-44; D. MULETTI, op. cit., t. VI, 33 e segg.; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., I, e II, pass.; R. MENOCCHIO, op. cit., pass.; SAVIO, op. cit., vol. I, pass.

[2] Durante il governo degli ultimi marchesi e le guerre tra Francia ed impero alcune terre andarono perdute, altre, precedentemente perdute, furono riconquistate; ma i trapassi di possesso non furono mantenuti, cosicché la giurisdizione del Marchesato rimase più o meno uguale nel 1548 a quella che era alla morte di Ludovico II (1504).

[3]  GIOV. ANDREA CASTELLAR, Memoriale (o Charneto) dal 1482 al 1528, in loc. cit. Sul Castellar cfr.: G. COLOMBO, Giov. Andrea Salusso di Castellar, in «Studi Saluzzesi » della «Bibl. Stor. subalp.», a. X, 1901, pp. 245-274.

[4] Cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, Notizie storiche di Bronda, in «Miscell. Stor. Ital. », vol. XXVII, a. 1839, pp. 20 e seg.

[5] Cfr. CL. ALLAIS, La Castellata. Storia dell'Alta Valle di Varaita, Saluzzo, 1891.

[6] Cfr. specialmente: MANUEL DI SAN GIOVANNI, Memorie storiche di Dronero, op. cit., vol. I-II.

[7] MANUEL DI SAN GIOVANNI, Dei Marchesi del Vasto e degli antichi monasteri dei SS. Vittore e Costanzo, Torino, 1858.

[8] A. PASCAL, La Riforma nelle terre dell'Abbazia dei SS. Vittore Costanzo, in «B. S. B. S. », XXXIII, 1-2, Torino, 1931.

[9] Cfr. MENOCCHIO, op. cit., pass. Da Carmagnola dipendevano alcuni castelli vicini: Valfenera, Isolabella, Ternavasio e Baldissero, che ecclesiasticamente dipendevano dalla diocesi di Asti.

[10] Cfr. C. TURLETTI, Storia di Savigliano, 1879, in 4 voll., pass.; C. F. SAVIO, Savigliano ai tempi di E. Filiberto, in «Bibl. Soc. Stor. Subalp. », CVIII, N.a S., 1928 (Lo Stato Sabaudo, vol. II), pp. 73-91.

[11] II CASALIS, Dizionario storico-geografico del Piemonte. V. Centallo.

[12] G. JALLA, Storia della Riforma Protestante in Piemonte, vol. I, pass., Torre Pellice, 1914; A. PASCAL, Storia della Riforma Protestante a Cuneo, Pinerolo; 1912, e Piemonte Riformato, in «Bibl. Soc. Stor. Subalp. », CVIII, N.a S.e, 1928 (Lo Stato Sabaudo, vol. 2º), pp. 395-453.

[13] Per le condizioni economiche del Marchesato, cfr.: SALUZZO DI CASTELLAR, op. cit., in loc. cit., pass.; LUDOVICO DELLA CHIESA, op. cit., pp. 6 e sgg.; FR. AGOSTINO DELLA CHIESA, op. cit., pass.; D. MULETTI, op. cit., V, 88, 221-236; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., I, cap. X-XI; F. GABOTTO, L'agricoltura nella regione saluzzese dal sec. XI al XV, in « B. S. S. S. », XV, I-CLIV (1902);  CHIATTONE, Matrimoniana nel '500 in Saluzzo, in « Piccolo Archivio dell'antico Marchesato di Saluzzo », II, n.° I-IV, Saluzzo, 1903, p. 197-273; F. SAVIO, op. cit., cap. I; M. PREVER, Margherita di Foix, in «Comunicazioni Soc., Studi Archeolo- gici e artistici per la Provincia di Cuneo », Cuneo, 1931, III, 1, pp. 89-152 e III, 2, pp. 39-114.

[14] MULETTI, op. cit., V, 166-177, 185-214, 221-236; VI, 354-55: L. VACCARONE, Le pertuis du Viso, Torino, 1881; L. G. PELLISSIER, Il Tunnel del Viso, in « Picc. Arch. dell'antico Marchesato di Saluzzo », I, 1-2; FR. ROGGERO-BARGIS, Saluzzo, Saluzzo, 1885, pp. 76-86; SAVIO op. cit., p. 54.

[15] Nelle ricorrenze di S. Luca, S. Andrea e S. Giorgio e non duravano meno di tre giorni: cfr. MULETTI, op. cit., V, 88; VI, 175.

[16] TURLETTI, op. cit., 1, 445; II, 1955; III, 815; IV, 653-656, 692-93. Le due fiere duravano ciascuna sei giorni.

[17] MENOCCHIO, op. cit., pp. 126-128.

[18] MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., 1, 213, 217.

[19] Il comune di Dronero, ad esempio, aveva stipulato un accordo con il marchese, secondo il quale nel tempo delle fiere, nei tre giorni precedenti e nei tre seguenti, nessuno poteva essere arrestato per qualsiasi causa civile. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., I, 217.

[20] I CASTELLAR, op. cit., in loc. cit., p. 529 fa un quadro assai fosco del governo di Margherita di Foix. << Capricciosa e tiranna tutta del Papa »>, essa si sarebbe circondata di gentiluomini guasconi, suoi compatrioti, banditi di patria e gran dissipatori, i quali accolti << quasi nudi » alla Corte, si impadronirono in poco tempo degli uffici più lucrativi e non pensavano che «a riempirsi i fianchi di danaro alle spese del Signore e del Paese ». Avevano tosto seguito il loro esempio, aggravando il male, anche il Vicario marchionale Messer Francesco Chiavazza e Messer Pietro Vacca «uomini tirannissimi che non avevano rispetto a disfare il paese, né le chiese, né gli ospedali, né usavano riguardo a ve- dove e pupilli, pur di spillar danaro ». Il giudizio severo del Castellar è stato ripetuto da quasi tutti gli storici posteriori (Muletti, Chiattone, Tallone, Savio). Lo attenua il PREVER nel suo recente studio su Mar gherita di Foix, già cit.

[21] MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 7.

[22] Cfr. gli Errores Valdensium in Paesana commorantium, di A. PASCAL, Margherita di Foix ed i Valdesi di Paesana, in «Athenaeum », IV, 1916 (articolo 63).  Un particolare esame degli “errores” sarà fatto al cap. IV.

[23] MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 7, 9, 20, 25, 49, 53, 55, 61; BOLLATI, op. cit., I, 117, 138-140; SAVIO, op. cit., I, 258-265. Vedi quivi gli editti del 7 maggio 1562 e 2 giugno 1563, che sottopongono il clero a determinate contribuzioni. In quello del 1562 si legge: « Les Pauvres habitants et le plus souvent la veufve et l'orphelin sont contraints supporter doubles charges pour cest effect (cioè per l'esenzione del clero) oultre les aultres ordinaires, qui est cause que la plus part d'eulx ont abandonné leurs terres et possessions et sont à présent avec leur famille mendiens misérablement leur vie; ce que les aultres seront contraincts fere, sil ne nous plait en avoir pitié ». La stessa con- statazione della miseria del popolo risuona nei verbali delle Congrega- zioni Generali e degli Eletti. Vedasi, ad esempio, le Congregazioni dell' 8 giugno e 10-18 sett. 1562, in BOLLATI, op. cit., I, 117, 126, 138-140. 24 E. LAVISSE, Histoire de France depuis les origines jusqu'à la Révolution, t. VI, P. I; La Réforme et la Ligue-L' Edit de Nantes (1559- 1598) par J. H. MARIÉJOL, Paris, 1904, p. 32. Sono riferiti alcuni passi della fiera requisitoria, che pronunciò l'avvocato del re al presidiale di Angers, Grimaudet: « Les prebstres du jourdhuy sont riches des biens du monde, pauvres des biens spirituels, vivant en délices le jour et la nuict... Et pour congnoistre leur avarice, par la quelle latentement ils ont souillé le ministère sacerdotal, l'enfant n'est baptizé sans argent..., l'homme et la femme ne peuvent solemniser leurs nopces sans bailler argent.... Les Prêtes font marchandise des pardons et absolutions des péchés du peuple; ne font les prières au temple de Dieu sans argent.... ne permettent les sépultures des Trespassés sans payer l'ouverture de la terre.... ils ont tourné les oeuvres de piété en quest (gain) sordide; de l'administration des sacremens en ont fait magazin et boutique de marchandise ». Cfr. anche L. ROMIER, Le royaume de Catherine de Médicis La France à la veille des guerres de religion, Paris 1922, in 3 voll., II, 95 e seg., 233 e segg.

[24] E. LAVISSE, Histoire de France depuis les origines jusqu'à la Révolution, t. VI, P. I; La Réforme et la Ligue-L' Edit de Nantes (1559- 1598) par J. H. MARIÉJOL, Paris, 1904, p. 32. Sono riferiti alcuni passi della fiera requisitoria, che pronunciò l'avvocato del re al presidiale di Angers, Grimaudet: « Les prebstres du jourdhuy sont riches des biens du monde, pauvres des biens spirituels, vivant en délices le jour et la nuict... Et pour congnoistre leur avarice, par la quelle latentement ils ont souillé le ministère sacerdotal, l'enfant n'est baptizé sans argent..., l'homme et la femme ne peuvent solemniser leurs nopces sans bailler argent.... Les Prêtes font marchandise des pardons et absolutions des péchés du peuple; ne font les prières au temple de Dieu sans argent.... ne permettent les sépultures des Trespassés sans payer l'ouverture de la terre.... ils ont tourné les oeuvres de piété en quest (gain) sordide; de l'administration des sacremens en ont fait magazin et boutique de marchandise ». Cfr. anche L. ROMIER, Le royaume de Catherine de Mé- dicis La France à la veille des guerres de religion, Paris 1922, in 3 voll., II, 95 e seg., 233 e segg.

[25]  V. Introduzione, paragr. 2.

[26] MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., p. 5. Sulle profonde simpatie del popolo piemontese per il governo francese prima della restaurazione sabauda di E. Filiberto, cfr.: TALLONE, Il viaggio di Enrico II in Piemonte, in loc. cit., p. 88; A. SEGRE, Il richiamo di Don Ferrante Gonzaga, in loc. cit., p. 213, n. 2; ROMIER, Les guerres d' Henry II et le Traité de Câteau Cambrésis, in loc. cit., p. 1o. Il Romier dice che l'abilità diplomatica spiegata dai militari e magistrati francesi in Piemonte aveva in pochi anni procurata la simpatia dei sudditi al re di Francia, tanto che molti feudatari, per lungo tempo ribelli alla dominazione straniera, ambirono cariche ed uffici civili e militari sotto il dominio francese e trasportarono perfino la loro residenza in Francia. Cfr. anche E. ALBERI, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Se II, vol. V, 351-52 (Relaz. dello Stato di Milano del segr. G. Novelli, 1553).

[27] Per le condizioni politiche e giuridiche del Marchesato sotto il governo francese, cfr. BOLLATI, op. cit., vol. I - Prefazione, pass.; MA- NUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., vol. I e II, pass.; CHIATTONE, Della Podesteria in Saluzzo, in loc. cit., pp. 163-268, pass.; SAVIO, op. cit., cap. I, pp. 7-9, 185-88.

[28] Le Congregazioni dei Capi di Casa erano composte di un numero variante di membri secondo l'importanza del Comune. I sindaci erano ufficiali amministrativi, curavano il benessere, la tranquillità e gli interessi della popolazione; i consoli erano ufficiali giudiziari, ai quali spettava la cognizione in prima istanza delle cause civili, che non comportassero pene gravi; il Podestà, scelto in una terna presentata dalla Comunità, amministrava la giustizia nel criminale e nel civile, tutelava gli interessi commerciali e difendeva i privilegi e le franchigie, dando conto del suo operato, al termine dell'anno di carica, davanti

[29] Per gli omaggi prestati dai marchesi di Saluzzo, ora ai re ed ai Delfini di Francia, ora ai duchi di Savoia, cfr.: C. MANFRONI, I diritti della Casa di Savoia sopra il Marchesato di Saluzzo, in «Rendic. d. R. Accad. dei Lincei », a. 1885, pp. 365-580, pass.; MENOCCHIO, op. cit., pp. 62 e seg.

[30] Così è affermato negli editti del 7 ott. 1548 e del luglio 1549, citati più oltre. Vi si leggono affermazioni come queste: « comme s'ils estoient (gli abitanti del Marchesato) natifs et originaires de notre dict royaulme ou pais de Dauphiné » o « comme estant joincts et unys avec eulx en ung mesme corps et soubs une même Seigneurie et souvrai- neté...». (edit. 1548). Nel seguente il re afferma di tenere « la possession utile et proprietaire (del Marchesato) comme ioint, uni, incorporé avec le dict Dauphiné.... comme estant ledict Marquisat fief dépen- dant du dict pays de Dauphiné uny et incorporé à iceluy.... ». 31 Una lista di Luogotenenti Generali del re in Piemonte e dei Governatori del Marchesato si può vedere in SAVIO, op. cit., pp. 307-308. 32 Agostino della Chiesa, dopo lo scioglimento del Parlamento Francese di Torino (1562), cercò di far trasferire in Saluzzo stessa il Parlamento o Consiglio Superiore, che aveva sede in Pinerolo; ma la domanda non fu accolta dal re di Francia per l'intromissione di alcuni invidiosi e perché il popolo stesso temette che le spese del manteni- mento di un tale Consiglio aggravassero le condizioni economiche già assai misere. Per le stesse cause fallì anche il tentativo di trasferirlo a Carmagnola (1564). Cfr. LUD. DELLA CHIESA, Dell' historia del Piemonte, p. 158; MENOCCHIO, op. cit., pp. 127-28; BOLLATI, op. cit., I, 126, 138-140, 169; CHIATTONE, Della Podesteria di Saluzzo, in loc. cit., pp. 193, 206.

[33] BOLLATI, op. cit., I, 37; CHIATTONE, op. cit., pp. 186, 245-47. All'editto tenne dietro un regolamento di giustizia scritto in latino ed in francese, in 172 articoli, pubblicato a Saluzzo il 26 aprile 1550. Copie dell'editto si trovano in PIER DE GRANET, Stylus regius Galliarum iuridicus, olim Salucianis praescriptus. Burgi Sebusianorum, 1603 e nelle Arch. Departementales de l'Isère, Se B., n. 3853 (A. S. T.); SAVIO, op. cit., p I, 230-31.

[34] BOLLATI, op. cit., I, 45; CHIATTONE, op. cit., p. 191; SAVIO, op. cit., I, 254. L'editto, già formulato da Francesco II il ro nov. 1560 e sospeso alla sua morte, fu ripreso e promulgato da Carlo IX il 26 dicembre 1560.

[35] Il primo Senescallo di nomina regia fu Girolamo Porporato, che trasmise la carica ai suoi discendenti Alessandro (1555) ed Emanuele-Antonio (1561). Cfr. SAVIO, op. cit., I, 309.

[36] Cfr. l'Ordine regio del 3 gennaio 1568 e l'Ordine di Ludovico Birago del 20 gennaio 1568, riferiti più oltre, all'anno 1568.

[37] Importante fra tutte fu la Confederazione costituita dai Comuni della Val Macra Superiore.

[38] II BOLLATI (op. cit., I, pp. XXVII-XXX e 209) opina che quelle antiche risalenti alla seconda metà del Medio Evo, fossero cumulative della nobiltà e del terzo stato e che non avessero carattere permanente, mentre quelle del sec. XVI esclusero sempre rigidamente ogni intromissione della nobiltà ed ebbero carattere di regolare istituzione popolare. Invano i nobili del Marchesato cercarono di aver parte in questa Congregazione: la loro richiesta fu sdegnosamente respinta « atteso che non è il solito che li introvengono e che il paese (popolo) non ha cossa alcuna comune con loro, massime che in esse non si tratta di alcun loro interesse ». Cfr. anche SAVIO, op. cit., I, 253.

[39] BOLLATI, op. cit., I, XXXI-XXXV, 537-540; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 26-28; SAVIO, op. cit., I, 247 e segg.

[40] Vedi, ad esempio, i verbali della Congregazione tenuta il 28 giugno 1559 (BOLLATI, op. cit., I, 16 e segg.), in cui gli Eletti sono accusati di abusi e di estorsioni e sono minutamente determinate le loro mansioni per l'avvenire.

[41] BOLLATI, op. cit., I, pp. xxxI e 30-45; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 37-39; SAVIO, op. cit., I, 249-50.

[42] La prima seduta regolare delle Congregazioni Generali fu tenuta a Saluzzo il 28 giugno 1559, alla presenza del comandante del castello di Revello, Belenger Sig.r di Garrigue, designato dalla Corte del Parla- mento di Grenoble. In seguito si tennero quasi sempre alla presenza del Senescallo o del Vicesenescallo. I deputati erano uno o più, secondo l'importanza del Comune e l'entità del suo bilancio: ogni deputato disponeva di un determinato numero di voti proporzionalmente all'estensione del territorio ed alla massa della popolazione rappresentata La Congregazione aveva tra i suoi vari compiti: la nomina degli Eletti e di alcuni speciali ufficiali, l'imposizione e la ripartizione delle imposte, sovvenzioni, donativi e spese generali, la decisione delle controversie insorgenti fra i Comuni, e la difesa delle franchigie ed immunità. Cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 28, 68-69; BOLLATI, op. cit., I, XXVII-XXXIX e 16-20.

[43] Il numero degli Eletti, che fu di quattro dal 1553 al 1559, variò negli anni seguenti, da un minimo di due ad un massimo di cinque, né fu sempre uguale il metodo della loro elezione. Dapprima furono nominati dalle Comunità a semplice maggioranza di voti: ma, a cominciare dal 1570, si stabilì che per ogni eletto si facesse una terna, nella quale la Congregazione aveva diritto di scelta con voto segreto. Questo diritto passò poi al Governatore del Marchesato. Come veri rappresentanti del paese, rispondevano di persona per i propri amministrati. Così avvenne a Vincenzo Polloto, che, andato a Torino come deputato del Marchesato nel 1557, fu arrestato ad istanza di un tal Niccolò Pianco, creditore del Marchesato, e fu rilasciato solo per inter- cessione di Ludovico Birago ed a patto che si ricostituisse, se entro 15 giorni il Pianco non fosse stato soddisfatto. Cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., loc. cit; BOLLATI, op. cit., loc. cit.

[44] Sono editi con note e documenti esplicativi dal BOLLATI, op. cit. Sulla loro importanza v. ivi, Prefaz. I, xxX-XXXIX.

[45] P. CURLO, Storia della famiglia Cavassa di Carmagnola e Saluzzo, in «Picc. Arch. del Marches. di Saluzzo», a. II, Saluzzo, 1903-1905, PP. 58-134.

[46] Un elenco delle famiglie saluzzesi e carmagnolesi riconosciute come nobili dai marchesi (a. 1460, 1476, 1488) si trova in MULETTI, op. cit., V, 94-104; 179-180; MENOCCHIO, op. cit., p. 75, 128. Tra le famiglie nobili, ancora esistenti nel sec. XVI, ebbero particolare lustro i Casana, i Della Chiesa, i Cavassa, i Biandrata (o Blandrata), i Jacobi i Montigli, i Tiberga, i Vacca ecc.

[47] MULETTI, op. cit., V, 102.

[48] AGOSTINO DELLA CHIESA, Delle famiglie nobili del Piemonte (MSS. nella Biblioteca del Re a Torino) dice: «.... onde che si era la povera nobiltà di Saluzzo a tanta miseria ridotta che il pubblico consilio di essa città, non di persone nobili o principali, come in altri luoghi si faceva, ma per la maggior parte di gente bassa e più atta a maneggiare l'aratro che a governare la repubblica, si componeva ». Cfr. anche CHIATTONE, Matrimoniana, in loc. cit., p. 204; CURLO, op. cit., in loc. cit., pp. 64-65. Dice il Chiattone: «La nobiltà per l'infelicità dei tempi si era ridotta a far arti vili e meccaniche, e, debole di forze e di facoltà, che sono il nerbo della nobiltà, non avendo ardire di alzare il capo, viveva confusamente nella città mescolata con la plebe».

[49] Dice egregiamente il LAVISSE, (op. cit., VI, 12): «... Aux apôtres de la première heure s'étaient joints des adhérents moins résignés, soldats, gentilshommes, grands seigneurs, qui n'avaient pas abjuré avec la religion catholique l'orgueil de classe et de race, l'humeur batailleuse des gens d'épée. Ils avaient changé de foi sans changer d'âme, sans dépouiller le vieil homme et se faschoient de la patience chrestienne et évangélique' Déjà troublée par les passions de ces demi-convertis, la Réforme était en outre conpromise par les alliances que la situation lui imposait.... Elle voyait aussi venir à elle des auxiliaires qui avaient pour toute conviction le ressentiment d'une injure ou l'amour du chan- gement. Qu'elle le voulût ou non, elle servait de ralliement à tous les mécontents. Elle cessait d'être uniquement une Eglise, elle devenait un parti, condamné à toutes les compromissions que l'intérêt politique suggère. Il y eut des huguenots d'Etat comme il y avait des huguenots de religion».

[50] L'importanza e l'efficacia, che le nobildonne ebbero nella diffu- sione della riforma in Francia ed altrove, è messa in grande rilievo dal ROMIER, Catherine de Médicis, II, 172 e seg.

[51] Si dice che sotto Ludovico II fosse fondata a Saluzzo una « Acca- demia Letteraria », della quale facevano parte Facino Tiberga, Bernar- dino Dardano, poeta parmigiano, il giureconsulto Pietro de Cella, i dottori in legge Francesco Cavazza e Francesco Vacca, il teologo Giov. Ludovico Vivaldo di Mondovì ecc. Ma la tradizione non ha fondamento sicuro. Più sicure sono le notizie che si hanno su parecchie tipografie, che fiorivano a Saluzzo ed a Carmagnola verso il principio del sec. XVI. Cfr. MULETTI, op. cit., V, 399 e seg., 425-41; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., I, cap. XII; MENOCCHIO, op. cit., pp. 77-78; F. GABOTTO, Lo Stato Sabaudo, Torino, 1892, III, 227-231; SAVIO, I, cap. VI; ROGGERO- BARGIS, op. cit., p. 89 e seg.

[52] Per le scuole e la cultura nel Marchesato di Saluzzo, cfr. MULETTI, op. cit., V, 399 e segg.; VI, 310-313; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., I, 212-213; MENOCCHIO, op. cit., p. 77 e segg.; GABOTTO, Lo Stato Sabaudo, t. III. pass.; IDEM, Verzuolo, uomini e cose di altri tempi, Torino, 1898 (estr. da «B. S. B. S. », a. 1897-98, II, 458-76; III, 6-34; IDEM, Un nuovo documento sul maestro Bruna di Verzuolo, in «B. S. B. S. », III, pp. 209- 211; IDEM, Girolamo Vida e una consegna al braccio secolare, in «Bibliot. d. Scuole», IV, 14 (1892); SAVIO, op. cit., I, cap. VI.

[53] Quanto fosse stimata deleteria per la fede cattolica la permanenza degli scolari nelle Università straniere, specialmente di Francia, Svizzera e Germania, lo dimostrano apertamente i numerosi editti emanati e ripetuti dal duca di Savoia E. Filiberto, con pene severissime sia per i padri, che mandavano i figli a studiare in paesi forestieri e protestanti, sia per i figli, che persistevano a rimanervi. Cfr. BORELLI-DUBOIN, Editti, pass.; RICOTTI, op. cit., II, 180.

[54] Sulle badie dei Folli in Piemonte e nel Marchesato, cfr. in modo speciale: GIOV. CASTELLAR, op. cit., in loc. cit., p. 543; MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., I, 260-61, II, 28-29, 78; P. VAYRA, Un gran decaduto: il ballo e le sue feste, in « Curios. di Storia Subalp. », 1876, II, 710-773; e Attentati alla libertà del matrimonio, in «Curios. di Stor. Subalp. », II, 180 e segg.; GABOTTO, Verzuolo, in loc. cit.; CHIATTONE, Matrimoniana, in loc. cit.; IDEM, I Folli di Saluzzo, in «Picc. Arch. del March. di Saluzzo », Saluzzo, 1903, II, 267-69; F. NERI, Le abbazie degli Stolti in Piemonte nei sec. XV e XVI, in «Giorn. Stor. della Lett. Ital. », 1902, vol. XL, fasc. 118-119; SAVIO, op. cit., I, 200 e seg.; ROGGERO-BARGIS, op. cit., p. 158; G. POLA FALLETTI, Associazioni gio- vanili e feste antiche, Milano, 1939, t. I e II pass.

[55] Ne è confermata l'esistenza non solo a Saluzzo, a Revello a Carmagnola, a Dronero e Verzuolo, ma perfino nei Comuni più alpestri del Marchesato, come Lottulo, Celle, Alma.

[56] Vedine la descrizione particolareggiata in CASTELLAR, op. cit., loc. cit. p. 543 e in CHIATTONE, Matrimoniana, p. 252-54 e Append., doc. II.

[57] Parecchie volte Comuni e governatori dovettere intervenire a frenare le intemperanze dei Folli. Cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 78; CHIATTONE, Matrimoniana, pp. 252-53 ed Append., doc. II; I Folli di Saluzzo, in loc. cit., pp. 272-73.

[58] Sul contributo delle badie dei Folli alla eresia, cfr. GABOTTO, Valdesi, Catari e Streghe in Piemonte dal sec. XIV al XVI, in « Bulletin d. la Soc. d'Histoire Vaudoise », n. 18, 1900, p. 11; CHIATTONE, Matri- moniana, in loc. cit., pp. 267-69; A. PASCAL, La società e la Chiesa in Piemonte nel sec. XVI, Pinerolo, 1912, pp. 51-53; NERI, op. cit., in loc. cit., p. 27; POLA FALLETTI, op. cit., II, 5-6,

[59] Oltre che moleste al popolo per le loro intemperanze, le badie finirono con l'essere anche pregiudizievoli ai Comuni stessi, perché quando essi, allegando la loro povertà, chiedevano esenzioni o diminuzioni di tasse ai governatori, questi rispondevano spesso negativamente, rinfacciando ai Comuni le feste sfarzose, le danze e lo spreco continuo di danaro causato dagli abbati dei Folli, cfr. MANUEL DI SAN GIOVANNI, op. cit., II, 28-29, 78; CHIATTONE, Matrimoniana, in loc. cit., pp. 260-61; 272.