Storia/Storia dei Valdesi/I massacri di Provenza

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VIII. I massacri di Provenza 

Com'era naturale, l'estendersi della Riforma in Francia aveva raddoppiato lo zelo dei Valdesi di Provenza e ne aveva altresì accresciuto il numero, talché negli anni di cui ora si parla, vi si contavano non meno di diecimila famiglie valdesi o riformate, visitate da più di una ventina di Barba. Ma era purtroppo altresì naturale che il sorgere promettente della Riforma dovesse determinare una nuova e più tremenda repressione.

Ne fu il primo protagonista l'inquisitore Giovanni da Roma, il quale incominciò nel 1528 a cercare ed a torturare i disgraziati sospetti di eresia; e per cinque anni diede prova di una ferocia inaudita. Alle povere vittime trascinate al suo tribunale egli strappava o imponeva ogni deposizione che a lui piacesse, con mezzi come il seguente, che era la sua specialità preferita: le legava supine sopra una panca, con i piedi calzati di stivali unti di grasso e stesi su di un braciere ardente. Così «scaldava loro piedi», come egli diceva, e le faceva parlare! Tali e tante furono le efferate crudeltà di questo sinistro domenicano, che il re Francesco I ordinò un'inchiesta, grazie forse all’influenza di Margherita di Navarra. Dal processo risultarono la sua cupidigia, i suoi pessimi costumi, i suoi eccessi sanguinari; ma costui, anziché confessarsi colpevole, vantava la propria condotta ed esortava i giudici ad imitarla, perché, diceva, «l'inquisizione ha proceduto finora con soverchia misericordia e con carità eccessiva». Egli fu condannato, ma solo ad abbandonare il paese; e si ritirò in Avignone.

Ma era stata lanciata la scintilla destinata a provocare un incendio terribile. Infatti, i vescovi e la corte di Aix si diedero a martirizzare i Valdesi ed a confiscarne i beni, ostentando però di seguire le vie legali. Le carceri rigurgitavano di vittime, fra cui si trovarono in gran numero i piemontesi. Tali violenze locali erano incoraggiate dalla situazione generale in Francia che continuava a peggiorare a danno della Riforma, specialmente dopo il noto fatto dell'affissione d'un trattato contro la messa sulla porta della camera di Francesco I, a Blois. A tale bravata dì alcuni sconsigliati, Francesco I aveva risposto subito ordinando una solenne processione d'espiazione, cui egli stesso volle partecipare ; e fu veduto recarsi a piedi, a capo scoperto e con un cero in mano, a contemplare lo spettacolo di sei martiri protestanti, arsi vivi lentamente per mezzo d'una trave che, muovendosi a guisa d'altalena, ora li calava nelle fiamme, ora li sollevava per rituffarli di nuovo. Fremente di sdegno egli ordina una procedura generale contro tutti quanti gli eretici. Invano i riformatori si adoperarono a scongiurare l'imminente calamità; invano Calvino nella nobile dedica della sua «Istituzione Cristiana» cercò di « addolcire il cuore e ottenere la grazia» dell’irascibile monarca.

Il 18 novembre 1540, il parlamento di Aix emanò un editto, nel quale si prescriveva che fossero rase al suolo le città e le borgate dei Valdesi, tagliati i boschi cha potessero servir loro di rifugio, messi a morte i capi e banditi in perpetuo tutti, compresi le donne e i fanciulli. Il fremito d'orrore che la notizia di questo barbaro editto destò ovunque rese titubante Francesco I, il quale ne fece sospendere l'esecuzione e diede al suo ministro Du Bellay l'incarico d'iniziare un'inchiesta, che risultò molto favorevole ai nostri coloni.

Così, fra esitazioni e speranze, passò alquanto tempo, durante il quale i Valdesi furono in rapporto con l'arcivescovo di Carpentras, il cardinale Sadoleto, assai più tollerante ma non per questo meno pericoloso dei suoi colleghi. Egli aveva frequenti colloqui con i Valdesi e sperava di ricondurli in grembo alla Chiesa per la via della persuasione, facendo loro comprendere che ammetteva anch'egli la necessità di qualche riforma. Ma finì col ritrarsi in disparte.

Intanto gli implacabili nemici dei Valdesi riuscirono il 1 gennaio 1545 a far firmare di sorpresa dal re, oramai fiaccato dalle infermità ed in balìa di pessimi consiglieri, il decreto che prescriveva al Parlamento di Aix Tesecuzione dell'infame editto emanato cinque anni prima. Per somma sventura, era allora presidente di quel Parlamento, e doveva quindi dirigere l'esecuzione della sentenza, il barone Giovanni Ménier, di Oppède, nemico giurato dei Valdesi e cupido dèi loro beni. Ammassate in segreto le truppe necessarie, costui il 15 aprile si mise alla testa delle sue orde e le lanciò allo sterminio ed al saccheggio. In una quindicina di giorni furono massacrati quattromila Valdesi, le loro donne vennero rapite e vendute, seicento prigionieri salirono sulle galere e duecentocinquanta sul rogo.

Delle due cittadine principali, Cabrières e Mérindol, e di venti altri paesi non rimase pietra su pietra. Tutto diroccato! Tutto incendiato! I fuggiaschi, che riuscirono dopo mille stenti a varcare il confine, trovarono rifugio parte a Ginevra e parte nelle Valli del Piemonte, dove ricevettero la più amorevole accoglienza.

Un grido di sdegno e di raccapriccio si elevò da tutta l'Europa protestante alla notizia dell'orribile strage. Margherita, sorella primogenita di Francesco I, si diede in pianto dirotto. Il re dapprima non manifestò alcun rincrescimento; ma al letto di morte (1547) i rimorsi lo indussero a supplicare suo figlio Enrico II di ordinare la revisione del processo dei Valdesi.

Questa loro richiesta fu eseguita e rivelò ancora una volta l'innocenza dei poveri oppressi e la perfidia di coloro che avevano strappato al monarca, male informato, la firma dell'editto di persecuzione. Ma con tutto ciò i massacratori furono scandalosamente assolti e Giovanni Ménier, barone d'Oppède, se ne ritornò in Provenza fra le acclamazioni di quei che s'erano arricchiti col saccheggio e fra i Te Deum del clero che lo salutava difensore della fede!

La sentenza di Parigi (1550) permise ai profughi di ritornare nelle loro proprietà devastate. Dopo aver subito un altro massacro nel 1562, essi aderirono alla Chiesa Riformata di Francia, perdendo il nome di Valdesi. Un secolo più tardi, la revoca dell'editto di Nantes (1685) ne costrinse molti ad emigrare: si diressero in gran parte nell'Africa australe e s'unirono ai Boeri di origine olandese.