Storia/Storia dei Valdesi/Sotto la Repubblica francese e Napoleone

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17. Sotto la Repubblica francese e Napoleone

Poteva il popolo Valdese rimanere indifferente alle idee bandite dalla Rivoluzione francese? Troppo a lungo e troppo duramente egli aveva sofferto le prepotenze dell’antico regime per non accogliere con entusiasmo la proclamazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, facendo eco giuliva al grido di libertà, di uguaglianza e di fratellanza che si elevava possente al di là delle Alpi.

Tuttavia, quando Vittorio Amedeo III, anziché accogliere l'invito della Francia a fare alleanza con lei o almeno a rimanere neutrale, le dichiarò invece la guerra, i Valdesi non smentirono punto la loro tradizionale fedeltà e devozione a Casa Savoia; anzi, difesero eroicamente la frontiera,

sì che da quella parte le milizie francesi non riuscirono a penetrare nel Piemonte. Eppure, nonostante questo loro leale atteggiamento, una congiura contro le loro famiglie veniva ordita a Torre ed a San Giovanni; ne il Duca volle che i colpevoli fossero puniti e neppure seppe rispondere alle richieste dei suoi valorosi combattenti valdesi se non con le solite promesse di riforma da concedersi... a guerra finita.

Non più simpatico ed onesto fu l'atteggiamento del figlio di lui, Carlo Emanuele IV, che gli succedette nel 1796. Questi era privo di tutte le qualità che sarebbero state necessarie per impugnare con mano ferma il timone d'uno Stato, in quei tempi procellosi; di guisa che, se talvolta si lasciava sfuggire qualche atto di| giustizia più che altro a motivo della gran paura che aveva dei francesi, si affrettava però a ritrattare le sue parole nel modo meno dignitoso non appena gli sembrava che le circostanze accennassero ad essergli propizie. Fece quindi così verso i Valdesi come nella sua condotta politica in generale, una figura assai meschina; ma non la fece a lungo perchè il 9 dicembre1798 si ritirò in Sardegna dove finì per abdicare nel 1802, lasciando liberi i sudditi di riconoscere il governo provvisorio che la trionfante Repubblica Francese stava per istituire. Dal 1798 al 1804 siamo così sotto la Repubblica.

Uno dei primi decreti del Governo Provvisorio fu di proclamare la libertà dei culti e l'uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alle leggi. «Considerando che la differenza del culto non deva introdurre fra i cittadini d'un popolo libero nessuna differenza di diritti e di doveri, i protestanti sono ammessi a godere delle stesse prerogative concesse ai cattolici» (Decreto del 31 dicembre 1798). Abolita l'inquisizione, abolita la tortura, abolita la censura sulla stampa... Chi può descrivere la gioia delirante dei Valdesi, mentre piantavano ed acclamavano gli alberi della libertà in tutti i Comuni delle loro Valli? A Torre la grande festa ebbe luogo il 20 gennaio 1799. Attorno all'albero, piantato davanti al palazzo del conte M. A. Rorengo, vennero a prestar giuramento di fedeltà alla Costituzione le quindici compagnie della Guardia Nazionale del Val Luserna; il giudice di pace Paolo Appia pronunziò un elevato discorso, e la folla cantò i nuovi canti di libertà, costringendo lo stesso conte Rorengo a ballare insieme con tutto il popolo giubilante attorno al falò, nel quale egli aveva dovuto gettare i suoi titoli feudali. Proclamata l’annessione del Piemonte alla Repubblica Francese, le Valli furono incorporate al Dipartimento del Po, amministrato da una Commissione centrale della quale entrò a far parte il pastore di Torre e moderatore Pietro Geymet.

Però quell'anno 1799 non fu così sereno e lieto come al suo nascere si sarebbe pronosticato. La coalizione austro-russa contro la Francia si era compiuta e, mentre Napoleone combatteva in Egitto, i generali francesi ripiegavano in Italia dinanzi al maresciallo austriaco Melas ed al maresciallo russo Suvarow; la ritirata si cangio tosto in vera e propria fuga dinanzi alle orda dei Cosacchi. Questi avanzavano così rapidamente che già alla fine di maggio erano a Torino. Il Governo Provvisorio ebbe appena il tempo di porsi in salvo in Francia, protetto dai Valdesi che seppero fermare i Cosacchi alle gole del Malanaggio, vicino a San Germano. Anche alcune centinaia di soldati francesi, che giacevano malati e feriti a Bobbio, furono trasportati in gran fretta al di là del confine da quei buoni montanari, guidati dal pastore Emanuele Rostan. Questi atti d'umanità e di misericordia, cui si sente naturalmente spinto chiunque è stato duramente provato dalle tribolazioni e non ha chiuso il cuore agli ideali cristiani, potevano essere facilmente giudicati dai vincitori come prove di tradimento; e difatti i Cosacchi incominciarono ad invadere la Valle di Luserna saccheggiandola, a ciò eccitati dalle calunnie dei soliti fanatici ai quali non pareva vero di servirsi di costoro per fare una crociata contro i «Barbetti». Ma, grazie all'ardimento di Paolo Appia e di altri quattro deputati, che traversando le linee degli austro-russi si recarono a parlamentare con il loro Comando militare a Pinerolo, le ostilità cessarono. Ed anche a Torino il generalissimo Suvarow li assicurò che le Valli sarebbero state rispettate se fossero rimaste neutrali. I deputati promisero. Onde, salvo qualche allarme, dovuto ora ad equivoci ora alla persistente azione ostile ai Valdesi esercitata da certi bigotti piemontesi sui capi delle truppe austro-russe, si può dire che gli abitanti delle Valli non ebbero troppo da soffrire per la presenza di questi ospiti più o meno desiderati. Un distaccamento cosacco di trenta uomini svernò a Torre e vi rimase di guarnigione circa nove mesi (A titolo di curiosità ricordiamo che il loro mantenimento costò circa 30 mila lire al Comune di Torre, comprese L. 247 di candele consumate per l'illuminazione e per ...il condimento delle minestre).

E così ritornò la primavera e, con la primavera, ritornò in Italia Napoleone Bonaparte, il quale nel frattempo aveva rovesciato il Direttorio e s'era fatto nominare primo Console. Varcato il Gran San Bernardo ed entrato trionfalmente in Milano il 1° giugno 1800, il Console batteva gli Austriaci prima a Montebello — i Russi s'erano ritirati dalla lega — e poi definitivamente a Marengo (14 giugno). Conseguenza immediata di questa vittoria fu il ristabilimento del regime repubblicano; anzi, prima ancora di Marengo, quando s'era soffermato a Milano, Napoleone aveva ricostituito la Repubblica Cisalpina, che più tardi, ai primi del 1802, prese il nome di Italiana, eleggendo lui a presidente.

Frattanto, nelle Valli s'erano fatte tristissime oltre ogni dire le condizioni dei pastori e dei maestri. La Tavola Valdese non mancò di prospettare la dolorosa situazione alla Commissione esecutiva del Governo Repubblicano, e questa provvide col decreto del 19 novembre 1800 riducendo le parrocchie cattoliche delle Valli da ventotto a tredici, numero più che sufficiente, nonostante la scarsità dei fedeli, laddove i Valdesi, dieci volte più numerosi, ne contavano quindici soltanto : le rendite di quelle parrocchie soppresse dovevano servire per il mantenimento deipastori. Alla Tavola veniva per di più affidata l'amministrazione proprio del famoso Ospizio dei Catecumeni di Pinerolo. Il Sinodo valdese radunato a San Germano nel giugno 1801 e preceduto da Pietro Geymet ancora moderatore e da allora in poi sottoprefetto del circondario di Pinerolo, prese atto delle generose disposizioni fissate in quel decreto, con le parole seguenti  «L'Assemblea, vivamente compenetrata dei benefici di cui i Valdesi furono ricolmi dal Governo Repubblicano, gli esprime la sua riconoscenza, e col suo voto promette alla sacra causa della libertà una devozione inviolabile».

Il Governo Repubblicano deliberò,che la Valle di Luserna si chiamasse àn avvenire Valle del Pellice, e che ne fosse capoluogo non più la cittadina di Luserna, cattolica, ma quella di Torre, in maggioranza valdese; ed al Val San Martino diede il nome di Val Balziglia. Però quest'ultimo cambiamento, per quanto felice e geniale,non è entrato nell'uso in modo permanente e definitivo.

Il 2 dicembre 1804 Napoleone Bonaparte a Parigi si faceva incoronare solennemente imperatore da Pio VII. Dal 1804 al 1814 i Valdesi furono sotto l'impero. Nel 'tornare in Italia durante il mese di maggio 1805 per recarsi a Monza a cingere la corona di ferro, l'imperatore si soffermò a Torino e quivi concesse una udienza alla Tavola Valdese. Nel corso di questa intervista memorabile, Napoleone s'intrattenne molto affabilmente col moderatore Peyran, informandosi dell'origine della Chiesa Valdese e manifestando la sua grande ammirazione per il Glorioso Rimpatrio; invitò la Tavola a presentare un progetto affinché la Chiesa delle Valli potesse essere incorporata nella Chiesa Riformata di Francia, di recente riorganizzata.

Rientrato nelle Valli, il Moderatore s'affrettò a convocare tutti i pastori ed i sindaci in una grande assemblea ai Bellonatti di San Giovanni: il progetto richiesto venne accuratamente preparato, e ad esso aggiunsero varie petizioni. Di lì a pochi mesi, per decreto imperiale la Chiesa Valdese era divisa in tre circoscrizioni concistoriali aventi le sedi rispettive a Torre Pellice, a Prarostino ed a Villasecca; e così l'onorario dei pastori e le spese per l'istruzione pubblica venivano assicurati dallo Stato.

La domenica 6 ottobre, in una solenne cerimonia tenuta nel tempio dei Coppieri, i pastori prestarono giuramento di fedeltà alla presenza del prefetto, ch'era salito espressamente da Torino e che pronunziò parole alle quali essi non erano davvero abituati: «La libertà di coscienza è il più santo dei diritti umani, e i traviamenti avvenuti a suo riguardo non possono essere considerati se non come un effetto di barbara ignoranza. La religione sarà rispettata sempre dai governi illuminati. Poiché è vincolo fra Dio e gli uomini, varrà ad unire questi negli stessi sentimenti di riconoscenza verso il loro Creatore, a provvedere nuove forze per la pratica delle virtù sociali che da loro esige ed a procurare vita pacifica e facile. I veri cristiani non si devono mai sviare da quei principi di mitezza che l'Evangelo prescrive. Felici abitanti delle Valli! Quei principi non sono essi appunto quelli che voi professate? Possiate voi custodirli sempre nei vostri cuori!» (V. il Courrier de Turin, 17 Vendemmiaio an. XI''. 9 ottobre 1805).

In quel tempo, i fedeli, di San Giovanni provarono una soddisfazione ed una gioia vivissime; essi che da oltre due secoli avevano tanto desiderato, ma sempre invano, di avere un tempio sul loro territorio — talché sempre erano stati costretti a salire a quello del Ciabas entro i confini d'Angrogna salvo a servirsi di quando in quando d'una sala comunale — furono finalmente autorizzati a edificarlo. Alle spese provvidero mediante una pubblica sottoscrizione, ed il 20 dicembre 1807 il nuovo tempio che è quello attuale dei Bellonatti, fu inaugurato con una cerimonia presieduta dal pastore Giosuè Meille.

Ma purtroppo a quella gioia spirituale seguì, a distanza di pochi mesi una grave sciagura: la sera del 2 aprile 1808 un terremoto violentissimo funestò le Valli del Pellice e del Chisone, facendo crollare molte case e cagionando al nuovo tempio profonde lesioni, che richiesero lunghe e costose riparazioni. L'imperatore, con notevole prontezza e generosità, volle mandare un mezzo milione di franchi a favore dei colpiti dal disastro.

Gli ultimi anni della dominazione francese trascorsero quieti e pacifici; e in complesso può dirsi che il regno di Napoleone — terminato con l'abdicazione e il ritiro nell'isola d'Elba il aprile 1814 — riesci benefico per il popolo valdese, quantunque negli ultimi tempi fosse diventato assai gravoso a motivo dei sacrifici d'uomini che la, coscrizione imponeva sempre più ingenti.

Certo, i Valdesi non tardarono a rimpiangerlo negli anni che seguirono. Fra l'effimera libertà francese e la libertà italiana definitiva si ebbe un intervallo di trentaquattro anni, periodo interessante ed importante perché chiude la storia del popolo valdese soggetto a leggi civili eccezionali: vi regna ancora il crepuscolo, ma il crepuscolo che precede la luce trionfante dell'aurora.