Catechismi/Catgin/2

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1 L'uomo e il suo peccato

L'essere umano e il suo peccato

Tutti gli uomini sono nati per conoscere Dio

Siccome non si trova uomo, sia pure barbaro e del tutto selvaggio, che non possieda qualche idea di religione, è manifesto che noi tutti siamo creati per conoscere la maestà del nostro Creatore, e per stimarla dopo averla conosciuta, sopra ogni cosa, per onorarla con ogni timore, amore e rispetto.

Ma lasciando stare gli infedeli, che non cercano altro se non di cancellare dalla loro memoria quell'idea di Dio, ch'è radicata nel loro cuore, noi che facciamo professione di pietà, dobbiamo riflettere che questa vita caduca, che tosto finirà, non dev'essere che una meditazione d'immortalità. Ora non si può trovare in nessun luogo vita eterna e immortale se non in Dio. E necessario, dunque, che la principale cura e sollecitudine della nostra vita sia di. cercare Dio, di aspirare a lui con tutto l'affetto del nostro cuore e di non riposare che in lui.

La differenza tra la vera e la falsa religione

Poiché per un consenso comune è ammesso che se la nostra vita è senza religione noi viviamo molto miseramente e non siamo per nulla migliori degli animali, non vi è alcuno che voglia essere considerato come del tutto senza pietà e senza conoscenza di Dio.

Ma vi è una grande differenza nel modo di esprimere la propria religione, perché la maggior parte degli uomini non è veramente toccata dal timore di Dio. Ma poiché essi, volendolo o no, sono legati da questo pensiero che sempre di nuovo viene loro alla mente, che v'è qualche divinità per la cui potenza stanno o inciampano, essendo intimoriti dal pensiero di una sì grande potenza, la venerano in qualche modo onde non provocarla contro se stessi per un Troppo grande disprezzo. Tuttavia vivendo in un modo disordinato e rigettando ogni onestà dimostrano una gran sicurezza nel disprezzare il giudizio di Dio.

Inoltre s'allontanano dal vero Dio, perché non lo stimano a causa della sua infinita maestà, ma per la vanità stolta e pazza del loro spirito. Perciò, per quanto poi si sforzino di servire Dio, ciò non giova loro nulla, perché non adorano l'Iddio eterno, ma i sogni e le fantasie del loro cuore anziché Dio.

Ora la vera pietà non sta nella paura, che ben volentieri sfuggirebbe al giudizio di Dio e non potendolo ne ha orrore, ma essa consiste piuttosto in uno zelo puro e vero che ama Dio veramente come padre e lo venera veramente come Signore, abbraccia la sua giustizia e ha orrore di offenderla più che di morire. E quanti hanno questo zelo non cercano di formarsi un Dio, come vogliono secondo la loro temerarietà, ma cercano la conoscenza del vero Dio da lui stesso e non lo concepiscono diversamente da quello ch'egli si manifesta e si dichiara loro'.

La conoscenza che dobbiamo avere di Dio

Ora, poiché la maestà di Dio sorpassa le capacità dell'intelletto umano e non può venire compresa da esso, dobbiamo piuttosto adorare la sua maestà che investigarla, affinché non rimaniamo oppressi da sì grande splendore. Perciò dobbiamo cercare e considerare Dio nelle sue opere, che per questa ragione vengono chiamate dalla Scrittura rappresentazione delle cose invisibili [Romani 1:20; Ebrei 11:1] poiché esse ci lasciano scorgere quello che altrimenti non possiamo conoscere del Signore. Ora ciò non tiene sospeso il nostro intelletto mediante speculazioni frivole e vane, ma è cosa che dobbiamo conoscere, perché genera, alimenta e conferma in noi una pietà verace e solida, cioè una fede unita a timore. Noi dunque contempliamo in questa universalità di cose l'immortalità del nostro Dio, dalla quale procede il principio e l'origine di tutte le cose: la sua potenza, che ha creato un'opera sì grande e ora la regge, la sua sapienza che ha composto e governa una sì numerosa e confusa varietà d'esseri con un ordine così distinto, la sua bontà, che è la causa per la quale tutte le cose sono state create e ora sussistono, la sua giustizia che si manifesta in modo meraviglioso nella difesa dei buoni e nella vendetta sui malvagi, la sua misericordia che, per chiamarci a ravvedimento, sopporta le nostre iniquità colla sua grande benignità.

Certo, con tutto ciò noi dovremmo essere ammaestrati abbondantemente quanto occorre intorno a Dio, se la nostra ruvidezza non fosse cieca per una sì gran luce. Pure noi non pecchiamo qui solo per accecamento, ma la nostra perversità è tale che quando essa considera le opere di Dio, non v'è nulla che non comprenda in senso malvagio e perverso, sicché sovverte tutta la sapienza celeste, che altrimenti risplende vivamente. Dobbiamo dunque venire alla Parola ove Dio ci è molto ben descritto mediante le opere sue, perché queste opere vengono stimate non secondo la perversità del nostro giudizio, ma secondo la regola della verità eterna. Qui dunque impariamo che il nostro Dio solo ed eterno è l'origine e la fonte d'ogni vita, giustizia, sapienza, virtù, bontà e clemenza. E poiché ogni bene senza eccezione viene da lui, così pure a buon diritto deve tornare a lui ogni lode. E per quanto tutte queste cose appaiano chiaramente in ogni parte del cielo e della terra, pure solo allora comprendiamo veramente ciò a cui principalmente tendono, quel che valgono e a che fine dobbiamo intenderle, quando scendiamo in noi stessi e consideriamo in che modo il Signore manifesta in noi la sua vita, sapienza e virtù ed esercita verso di noi la sua giustizia, clemenza e bontà.

L'essere umano

L'essere umano da principio fu formato a immagine e somiglianza di Dio, affinché negli ornamenti di cui era stato nobilmente rivestito ammirasse l'Autore e l'onorasse con un riconoscimento convenevole. Ma essendosi confidato in una sì grande eccellenza della sua natura e avendo dimenticato da chi essa era venuta e per chi sussisteva, s'è sforzato di elevarsi fuori del Signore. È stato perciò necessario che fosse spogliato di tutti i doni di Dio, dei quali pazzamente s'ìnorgogliva, affinché, spogliato e privato d'ogni gloria, conoscesse Dio, che aveva osato disprezzare dopo essere stato arricchito dalla sua liberalità.

Perciò noi tutti che discendiamo dal seme d'Adamo, essendo cancellata in noi questa immagine di Dio, nasciamo carne da carne. Infatti sebbene siamo anima e corpo, tuttavia non sentiamo che la carne, così che in qualsiasi parte del corpo noi volgiamo gli occhi, non ci è possibile veder nulla che non sia impuro, profano e abominevole a Dio. Infatti l'intelligenza dell'uomo è cieca, coperta d'infiniti errori e sempre contraria alla sapienza di Dio; la volontà malvagia e piena d'affetti corrotti non odia nulla di più che la giustizia di Lui; e le forze incapaci d'ogni opera buona tendono furiosamente verso l'iniquità.

Il libero arbitrio

La Scrittura testimonia spesso che l'uomo è servo del peccato e con ciò significa che il suo spirito è talmente alleno dalla giustizia di Dìo, ch'egli non concepisce, non brama né intraprende nulla che non sia malvagio, perverso, iniquo e sozzo. Infatti il cuore pieno del veleno del peccato non può metter fuori nulla, se non ì frutti del peccato. Tuttavia non si (leve dedurre da ciò che l'uomo pecchi come costretto da necessità violenta, perch'egli pecca col consenso di una volontà molto pronta ed incline a ciò. Ma poiché per la corruzione dei suoi affetti egli ha grandemente in odio ogni giustizia di Dio e dall'altro lato è fervente in ogni specie di male, viene detto che non ha la libera facoltà di scegliere tra il bene ed il male, ciò che si chiama il libero arbitrio.

Il peccato e la morte

Nella Scrittura vengono chiamati peccato tanto la perversità della nostra natura umana, che è la fonte di tutti i vizi, come le concupiscenze malvagie che nascono da essa e i delitti iniqui che vengono da queste concupiscenze, come omicidi, furti, adulteri e altri del genere.

Dunque noi, peccatori sin dal seno materno, nasciamo soggetti all'ira ed alla vendetta di Dio, e divenuti adulti attiriamo su noi un sempre più grave giudizio di Dio. Infine con tutta la nostra vita tendiamo sempre più verso la morte; perché, se non v'è dubbio che ogni iniquità sia esecrabile per la giustizia di Dio, che cosa possiamo attendere dalla faccia di Dio, noi miserabili che siamo oppressi da un sì grave carico di peccato e insozzati da infinita lordura, se non di rimanere certamente confusi per la sua indignazione? Questo pensiero, sebbene abbatta l'uomo per il terrore che incute e l'opprima fino alla disperazione, pure ci è necessario, affinché, spogliati della nostra giustizia, perduta la fiducia nella nostra virtù, privati d'ogni speranza di vita, impariamo dalla coscienza della nostra povertà, miseria ed ignominia a prostrarci davanti al Signore e a dargli ogni gloria di santità, virtù e salvezza, col riconoscimento della nostra iniquità, impotenza e perdizione.

La restituzione alla salvezza e alla vita

Se questa conoscenza di noi stessi che ci mostra la nostra nullità è entrata scientemente nei nostri cuori, ci è anche abbastanza facile acquistare per mezzo d'essa una vera conoscenza di Dio. O piuttosto Egli stesso ci ha aperto come una prima porta nel suo regno quando ha distrutto queste due terribili pesti, cioè la sicurezza di fronte alla sua vendetta e la falsa fiducia in noi stessi. Infatti noi cominciamo allora a elevare al cielo gli occhi, che prima avevamo fissati e fermati sulla terra. E noi che già posavamo in noi stessi, aneliamo al Signore. Come pure d'altro lato questo Padre misericordioso, sebbene la nostra iniquità meriti ben altra cosa, pure secondo la sua benignità inenarrabile si mostra volontariamente a noi che siamo così afflitti e perplessi e con i mezzi ch'egli sa essere utili alla nostra debolezza, ci richiama dall'errore sulla via diritta, dalla morte alla vita, dalla rovina alla salvezza, dal regno del diavolo al suo Regno.

Poiché dunque il Signore ha stabilito questo primo gradino per tutti quelli ch'egli vuole ristabilire eredi della vita celeste - cioè che, nauseati dalla coscienza e aggravati dal peso dei loro peccati, si sentano compunti nel cuore e stimolati ad avere timore di lui - egli ci pone dinanzi al principio la sua legge, affinché essa ci eserciti in questa conoscenza.


Commento. La domanda alla quale vuole rispondere questo primo capitolo è questa: «Può l'uomo conoscere Dio all'infuori della rivelazione biblica?». Per es., mediante il sentimento religioso in lui innato o la contemplazione della natura o la voce della coscienza? La risposta è: «L'uomo lo potrebbe se non fosse peccatore, se Adamo non fosse caduto. Ma la realtà è che a causa del peccato questa possibilità non si effettua. Ed ecco che gli uomini "adorano i sogni e le fantasie del loro cuore anziché Dio" e nonostante la molteplice testimonianza che le creature rendono al Signore noi non lo riconosciamo come dovremmo, perché è "cieca la nostra natura decaduta per una sì gran luce". Mentre la "volontà malvagia e piena d'affetti corrotti non odia nulla di più che la giustizia di Lui"».

Ora siccome questa possibilità di conoscerlo c'è, perch'egli non si è lasciato senza testimonianza, la nostra ignoranza diventa colpa e indurimento del nostro cuore. Infatti non è che manchi la luce, ma sono gli occhi della nostra natura peccaminosa che non vedono. «Tutte le cose ci mostrano la retta via», ma noi non la percorriamo. E tutte le testimonianze di Dio nella natura, nella storia, nell'uomo divengono per noi altrettanti pretesti per ignorarlo e bestemmiarlo. Osservando per es. le qualità che sono in noi, non siamo già portati a esaltare il Creatore, che ce le ha donate, ma piuttosto a considerarle come nostro possesso e a innalzare e glorificare noi stessi.

Ammirando le bellezze delle creature dell'universo non sappiamo elevarci all'adorazione di Colui che dal nulla le ha chiamate all'esistenza, ma soddisfatti ci fermiamo piuttosto alla contemplazione d'esse. La nostra tendenza peccaminosa è in questi casi sempre quella di divinizzare l'uomo e le altre creature, anziché riconoscere in esse la mano del Creatore e dare gloria a Lui soltanto. Ma anche quando da queste testimonianze di Dio nella natura e nella storia cerchiamo mediante la nostra ragione o mediante il nostro senso religioso di giungere ad una certa conoscenza di Dio, in realtà non ci riusciamo. Infatti l'immagine di lui che ci formiamo nella nostra mente, come pure l'Iddio che i popoli pagani credono di aver trovato con la loro religione, non è l'Iddio vivente, ma soltanto un idolo, fatto di pietra o immaginato col pensiero, ma sempre e soltanto un idolo. E tale rimane anche se da noi viene adornato con gli attributi più sublimi e viene chiamato l'unico Iddio.

Ma ancora; se pure giungessimo in qualche modo alla vera conoscenza del Creatore, ciò non ci sarebbe sufficiente, né salutare, perché noi siamo peccatori e di conseguenza suoi nemici. Qui bisogna anche sapere quali sono le sue disposizioni verso di noi, se ci vuole percuotere e distruggere nella sua ira o se invece è propenso al perdono e alla grazia.

Ma questa conoscenza possiamo averla solo mediante la sua rivelazione particolare, di cui testimoniano i profeti e gli apostoli nella Bibbia. Dobbiamo venire alla Parola, dice Calvino, cioè alla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Solo qui c'è data la conoscenza dell'Iddio vivente e del suo animo verso di noi, perché nel Figlio c'è rivelato il Padre, nel Redentore il nostro Creatore. Poiché, come s'è visto, «in questa rovina del genere umano nessuno può sentire Dio, né come padre, né come autore della salvezza, né in alcun modo favorevole finché non venga Cristo come mediatore per rappacificarlo con noi» (Istituzione 1559 I, 2, 1).