Etica/Dottrina del male minore

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La dottrina del male minore

Stephen Clark (2008)<ref>In http://www.affinity.org.uk/downloads/foundations/Foundations%20Archive/59_03.pdf L'autore è stato stimolato a scrivere sull'argomento da un saggio scritto da Graham Harrison al BEC Study Conference.</ref>

Introduzione

La dottrina del male minore tratta di quelle situazioni in cui un agente morale è costretto a scegliere una fra diverse linee di azione in competizione fra di loro, benché ciascuna di esse implichi la violazione di un principio ed una regola morale. La dottrina del male minore afferma che, di fronte ad un dilemma, si dovrebbe scegliere ciò che, in quella particolare circostanza, è il minore fra uno o più mali.

Al di fuori della tradizione giudaico-cristiana, questa dottrina è stata affermata ed approvata da Aristotele<ref>Etica Nicomachea II,9.4. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Etica_Nicomachea e http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiHTML/Aristotele/EticaNicomachea/Etica%20Nicomachea.htm </ref> e sostenuta da Cicerone<ref> de Off. iii. 28 (102) </ref>. Nell'ambito della Chiesa cristiana, questa dottrina è stata ufficialmente affermata nell'Ottavo Concilio di Toledo<ref>Canone 2. Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_di_Toledo e https://it.cathopedia.org/wiki/Concilio_di_Toledo_(653) </ref> nel 653 AD, come pure è la soluzione offerta da numerosi scrittori cristiani che trattano casi di coscienza<ref>Gregorio Magno lo dichiarò così: 'Colui che è circondato da mura ogni lato e cerca di scappare, si getta giù dove si trova il muro più in basso</ref>. Lo scopo del presente studio è quello di accertare ciò che è specificamente la base biblica per tale dottrina. Prima di considerare il materiale biblico, tuttavia, sarà utile chiarire i punti precisi che sono in discussione e da chiarire alcune brevi osservazioni su questioni etiche..

I. Affermazione del problema

Il problema affrontato nel presente studio riguarda la scelta che deve essere fatta quando principi o regole morali entrano in conflitto fra di loro. Questo tipo di situazioni deve essere distinto da una strettamente correlato e con la quale è spesso confusa, vale a dire dove le circostanze sono tali in cui onorare un principio morale o l'obbedienza a una regola o comando morale porta a conseguenze nefaste. Alla base di questa distinzione è il fatto che il peccato e le conseguenze del male non sono del tutto categorie congruenti: anche se potrebbe esserci notevole sovrapposizione tra la violazione di una regola o comando morale e conseguenze nefaste. Non si tratta di sinonimi (faccio uso del termine "nefasto" in "nefaste conseguenze", nel senso di "non buono", laddove "buono" è qui definito in riferimento alla dichiarazione di Dio che la creazione originale era "buona" (Genesi 1:10; 1:12; 1:18; 1:21; 1:25; 1:31). Se adottiamo a fini pratici la definizione di peccato come ciò che viola la legge di Dio<ref>Non discuterò o svilupperò questo punto. Giovanni definisce il peccato come </ref>, nel senso che lo faccia un agente personale che contravvenga alla Sua legge, dovrebbe essere chiaro che "peccato" e "nefaste conseguenze" non hanno l'identico referente. Alcuni esempi potrebbero illustrare questo punto.

Nessuno con un minimo di sensibilità morale negherebbe che la guerra sia un grande male. Inoltre, si tratta di un male causato dal peccato, e che è, quindi, una conseguenza nefasta del peccato. Inoltre, come spesso è stato osservato, la moralità è una delle prime vittime della guerra: molti peccati sono presenti e commessi durante la guerra. È altrettanto vero, tuttavia, a meno che si adotti la posizione insostenibile che la Scrittura proibisca assolutamente lo svolgimento della guerra (la posizione pacifista), ci sono situazioni in cui non sarebbe peccato combattere in una guerra. Le categorie di peccato e di conseguenze nefaste non sono del tutto congruenti.

Un esempio più chiaro è quello del caso in cui un automobilista guida in modo tale da investire ed uccidere un bambino. Immaginiamo due scenari differenti. Nel primo caso, l'uomo guida intenzionalmente in modo pericoloso, cioè, non gli importa quali danni possa arrecare ad altra gente guidando in quel modo: sa che così potrebbe uccidere qualcuno. L'omicidio che perpetra di quel bambino è un atto malvagio e la morte di quel bambino è una conseguenza nefasta. Nel secondo scenario, la morte è il risultato di una situazione che viene legalmente definita automatismo. Il conducente, senza che abbia colpa né lui né altri, perde il controllo del suo veicolo e uccide qualcuno. Mettiamo che si trattasse di uno sciame di api che entra nel suo veicolo e che questo porti il conducente a perdere il controllo del suo veicolo. Questi non ha commesso alcun peccato. La morte di quel bambino è una tragedia, o potrebbe essere considerata un male. Certamente, sofferenza e morte non esisterebbero in terra se il peccato non vi fosse entrato in prima istanza. Abbiamo qui, quindi, il caso di una conseguenza nefasta, cattiva (cioè non buona nei termini di ciò che Dio ha pronunciato buono nella sua creazione originale), ma non è stato qui commesso alcun peccato (diverso da "quel peccato originale che ha introdotto nel mondo la morte e tutti i nostri problemi, con la perdita dell'Eden" .

L'importanza della distinzione fra peccato e conseguenze nefaste risiede nel fatto che la dottrina del male minore viene invocata talora per giustificare il peccato (l'infrazione di un comandamento di Dio) al fine di evitare una conseguenza nefasta. Il seguente esempio può giustificare questo punto. I servizi segreti di una particolare nazione raccolgono informazioni che indicano come sia imminente un attacco terrorista nei confini di quella nazione. Non conosce la collocazione precisa di quell'attacco. Inoltre, non è in grado di identificare chi siano quelli che lanceranno l'attacco. L'informazione a questo riguardo è in un codice che non riescono a decifrare. I servizi segreti hanno scoperto, però, che una bambina di dodici anni conosce quel codice, sebbene lei sia del tutto ignara di quel progettato attacco terroristico. La prima volta in cui le era stato insegnato quel codice, le era stato fatto promettere di non rivelarlo mai ad alcuno. Le era stato detto che avrebbe compiaciuto Allah se avesse tenuto segreto quel codice e che chiunque avesse voluto che lei lo rivelasse l'avrebbe "sicuramente" fatto con intenzioni malvagie. La bambina è avvicinata dai servizi segreti, ma non è disposta a rivelare quel codice. Tentativi di persuaderla perché nel farlo avrebbe salvato vite non hanno alcun successo perché lei non crede che vi sarà alcun attentato terroristico. Lei crede che coloro che vogliono che lei riveli quel codice lo facciano con intenzioni malvagie. Di conseguenza fallisce ogni tentativo di farle rivelare quel codice. I servizi segreti decidono che l'unico modo per il quale lei riveli quel codice sia quello di torturarla. Lei comprova di essere estremamente resistente e, alla fine, i servizi segreti si avvalgono di violenza estrema, ferendola e sfigurandola prima che lei ceda. Così il codice viene rivelato, i terroristi sono arrestati, e l'attacco viene prevenuto. Di fatto l'attacco avrebbe avuto conseguenze nefaste che avrebbero potuto causare fino a cinquemila vittime. I servizi segreti si sentono giustificati di aver fatto uso della tortura; sebbene non sia stato fatto nulla di malvagio, ha salvato numerose vite.

Strettamente parlando, questa non è un'applicazione della dottrina del male minore. E' stato commesso un atto riprovevole (la tortura) e, soprattutto verso una persona del tutto innocente, al fine di prevenire una conseguenza nefasta (la perdita di molte vite). La morte di molte persone, sebbene sia qualcosa di malvagio, un atto malvagio che non sarebbe avvenuto se il peccato non fosse entrato in questo mondo, non è peccaminosa: ogni giorno muoiono persone e morendo non peccano. Si potrebbe dire che, naturalmente, che così si è impedito ai terroristi di peccare. Questo è vero, ma non è la ragione dell'uso della tortura: la ragione per la quale si è fatto ricorso alla tortura era stata quella di prevenire le conseguenze dell'atto malvagio di quei terroristi, un grande numero di vittime. (Presumiamo che il tentativo di quei terroristi di far detonare le loro bombe, per ragioni tecniche, le bombe non sono detonate e nessuno è stato ferito. I terroristi avrebbero ancora eseguito un atto malvagio, ma non vi sono state conseguenze di quel loro atto. Se i servizi segreti avessero conosciuto in anticipo che le bombe non sarebbero esplose e che non vi sarebbero state vittime, non sarebbe stato per loro necessario torturare quella bambina: il loro punto non era prevenire l'atto malvagio in sé stesso, ma prevenirne le conseguenze). Si potrebbe dire che salvare vite sia un atto moralmente buono. Quindi, la tortura di una bambina, sebbene in se stesso sia un atto malvagio, considerato nel contesto nel quale accade, è moralmente buono: si tratta di un male minore. E' meglio salvare vite che permettere che siano massacrate senza motivo. Non è così?

Cambiamo un poco l'esempio. Mettiamo che la bambina muoia a causa delle ferite che ha subito durante le torture. Presumiamo ancora che l'attacco terroristico sia stato prevenuto, ma che la natura dell'attacco avrebbe implicato solo la morte di una persona. Presumiamo inoltre che i servizi segreti conoscessero che l'attacco terroristico avrebbe implicato la morte di una sola persona. Essi hanno commesso un atto malvagio (la tortura) per prevenire una conseguenza nefasta (la morte di una persona). Indubbiamente esse hanno impedito una conseguenza nefasta, la morte di un innocente, ma per quello hanno dovuto uccidere un'altra persona innocente. E' difficile, così, vedere qui il caso di un male minore.

Quest'ultimo punto deve essere ulteriormente elaborato. Consideriamo un'altro tipo puramente ipotetico di situazione. La polizia sa che un criminale, C, ha intenzione di spostarsi dal punto X, in campagna, al punto Y per assassinare V. C intende camminare per tre chilometri, dove sarà fatto salire su un taxi, che ha prenotato, alla sua destinazione. Il taxista, T, non sa delle intenzioni di C di assassinare T. Il solo modo in cui C può intraprendere il viaggio è con il taxi di T. La polizia viene a sapere di questo piano quando ormai è troppo tardi per proteggere V, o muoversi per intercettare C. Però, uno della polizia, P, che ha saputo di questo piano, vede T che velocemente è in movimento verso il punto X per raccogliere C. P, mettiamo, è a piedi e non può far nulla per intercettare T e avvertirlo di quel che sta per succedere. Egli, però, è un tiratore scelto della polizia e, mettiamo, ha con se un'arma. egli così spara a T nella persuasione che questo gli impedirà di raggiungere X, dando così alla polizia il tempo per intercettare C. T muore per la ferita da arma da fuoco. Ciò che qui è accaduto è che una persona, P, ha commesso un atto riprovevole (uccidere una persona innocente) per poter prevenire che un'altra persona, C, uccida un'altra persona innocente, V, e per prevenire le conseguenze negative dell'assassinio di V. Questo, naturalmente, sarebbe considerato un atto oltraggioso: uccidere una persona per impedire che un'altra persona sia uccisa.

Questa storia è semplicemente per illustrare l'importanza della distinzione fra un atto peccaminoso e una conseguenza nefasta. Non sarebbe difficile pensare a qualche tipo di situazione emotiva dove argomentazioni sul male minore vengono proposte in maniera non appropriata: dove una vita innocente, che è considerata come dello stesso stato ontologico e morale di un'altra persona innocente, sia soppressa in favore di un'altra vita. Il presente studio non tratterà la questione se sia permissibile commettere un peccato al fine di evitare conseguenze nefaste. In tale studio sorgerebbero molte questioni complesse, non meno di quella di che cosa si intenda esattamente con conseguenza nefasta. Può essere utile, però, osservare che l'apostolo Paolo afferna che coloro che sostenngono che commettere un male è legittimo, se ne conseguono buoni risultati, meritano di essere condannati (Romani 3:8). In questo passo biblico è chiaro che quando Paolo fa riferimento a coloro che dicono "facciamo del male", egli si riferisce non a conseguenze nefaste, ma ad un atto malvagio, al peccato, laddove il bene, in questo passo, non a fare qualcosa che sia buono ma l'opposto di una conseguenza cattiva, cioè ad una buona conseguenza. Questo ci conduce, in modo del tutto naturale, alla necessità di definire alcuni termini.

II. Definizione di termini

I. Deontologico: questo è l'approccio all'etica che afferma come i principi morali devono essere seguiti non importa quali ne siano le conseguenze. Certe cose sono giuste e devono essere fatte e non necessitano di giustificazione nei termini delle conseguenze che possano avere.

2. Conseguenzialismo: questo è l'approccio all'etica che dice che si determina quel che debba essere il giusto corso di azioni in riferimento alle conseguenze che ne derivano. E' ovvio che un conseguenzialista che valuti un azione in riferimento a se la conseguenza di quell'azione sia buona o cattiva, inevitabilmente ha una comprensione precedente di ciò che sia buono e di ciò che sia una conseguenza cattiva. Questo significa, naturalmente, che la natura di ciò che è buono o cattivo non possa essere semplicemente determinato in riferimento alle conseguenze di quell'azione, proprio perché si valutano le conseguenze come buone oppure cattive. Alcuni valori sono già operativi, quindi, attraverso i quali le conseguenze vengono valutate. E' così che l'utilitarianismo, che è un approccio conseguenzialista all'etica, valuta una conseguenza come buona se comporta la più grande felicità per il più grande numero di persone.

L'esempio fornito da Quinton citato citato alla nota 8, potrebbe essere compreso nei termini della filosofia utilitaristica. D'altro canto, se la persona che annega fosse un eremita, del tutto assorbito in sé stesso e senza famiglia o amici, e (sebbene non commetta suicidio) non dà valore effettivo alla sua vita, potrebbe essere possibile sostenere che, sulla base del calcolo utilitaristico di quanta felicità si causi, una maggiore felicità sarebbe onorare l'appuntamento che ha al tea party ed abbandonare l'eremita al suo destino. Presumibilmente Quinton rinnegherebbe una tale posizione se lo facesse, questo dimostrerebbe che dietro alla sua valutazione della qualità morale di un'azione in riferimento alle sue conseguenze implicherebbe la propria adesione a certi valori attraverso i quali le conseguenze vengono valutate. Il punto che sto cercando di dimostrare è che il conseguenzialismo e un approccio all'etica più complesso di quanto talvolta ce ne se renda conto.

Molti filosofi sostengono che un approccio deontologico all'etica ed un approccio conseguenzialista siano contrapposti<ref>Questa è la posizione assunta da Julia Annas nel suo standard e giustamente lodato studio introduttivo alla Repubblica di Platone:]. Annas,Introduzione alla Repubblica di Platone (Oxford), OUP, 1981.</ref>. Ho cercato di dimostrare nei precedenti due paragrafi che questa è un'area che necessita un esame approfondito perché importanti punti di distinzione sono frequentemente oscurati dall'affermazione che questi due approcci all'etica siamo mutualmente esclusivi<ref>Un buon esempio è fornito dal filosofo Anthony Quinton. Scrivendo nel contesto della filosofia politica, egli riassume l'approccio deontologico con le seguenti parole: 'Essi' (cioè i principi morali] 'non necessitano di giustificazione nei termini di risultati valutabili di adesione generale ad essi e possono solo essere lesi e indeboliti se si intraprende una tale giustificazione ... bisogna mantenere una promessa, anche se, così facendo, ne risulti che nessuno si trovi in posizione migliore ... Ma pochi deontologi, però, sono così ostinati da inflessibili da insistere che sia necessario mantenere una promessa banale, qualunque cosa avvenga, che sia necessario lasciare affogare qualcuno in un posto isolato solo perché si è promesso di arrivare in tempo ad una festa</ref>. Anche questo va oltre lo scopo del presente studio.

III. Materiale biblico

Osservazioni sull'insegnamento di Gesù e di Paolo. Le Scritture insegnano che alcuni comandamenti di Dio hanno maggiore peso di altri. Gesù lo dice espressamente in Matteo 23:23. Quando parla di "le cose più importanti della Legge", o "quelle di maggior peso", è evidente che Gesù non considera ogni aspetto della Legge di Dio di uguale importanza. Naturalmente, bisogna fare molta attenzione quando facciamo uso di questa distinzione. In Matteo 23:23 Gesù rende chiaro le questioni meno importanti della Legge devono essere rispettate tanto quanto quelle più importanti. In Matteo Matteo 5:19 egli parla di " uno di questi minimi comandamenti", ancora, implicando come egli non considerasse tutti i comandamenti di uguale importanza, eppure, nello stesso versetto, la grandezza nel Regno dei Cieli ha a che fare non solo con l'osservare i comandamenti più importanti, ma anche nel mettere in pratica quelli minimi.

Gesù insegna che i due più grandi comandamenti siano quelli di amare Dio con tutto noi stessi e il nostro prossimo come noi stessi (Matteo 22:34-40). Egli insegnava che questi comandamenti sono fondamentali. Dato che tutta la Legge e i Profeti si appoggiano su questi, ne consegue che rimuoverli, o non praticarli rende impossibile vivere la vita che è prescritta nella Legge e nei Profeti.

L'importanza relativa dei differenti comandamenti sta alla base della figura che Gesù dipinge di coloro che "colano il moscerino e inghiottono il cammello" (Matteo 23:24). In altre parole, egli voleva che noi avessimo il dovuto senso delle proporzioni, cosa che evidentemente mancava nei Farisei e negli scribi, esperti della Legge. In che modo graduare i diversi comandamenti è una questione complessa e ben al di là dello scopo del presente studio. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per gli scopi che ci proponiamo è notare che nei comandamenti esiste una distinzione<ref>Questa distinzione si nota nella domanda 83 del Catechismo Minore di Westminster. La domanda chiede: Tutte le violazioni della legge sono ugualmente gravi? Al che risponde: Alcuni peccati in sé stessi, ed in ragione di diverse aggravanti, al cospetto di Dio sono più gravi di altri. Alcune infrazioni della legge di Dio sono più gravi di altre; non è ingiustificato dedurvi come una delle ragioni per questo potrebbe essere che qualche comandamento ha maggiore peso di altri. E' interessante come in catechismo non specifichi quali peccati siano più gravi. Coloro che fanno uso di questo catechismo per insegnare ai giovani cristiani dovrà inevitabilmente affrontare questa questione. Così tali cristiani inevitabilmente saranno radicati nella verità del fatto che alcuni comandamenti abbiano maggiore peso di altri. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Confessioni_di_fede/Westminster/Catechismo_minore/cmw083 </ref>.

E' chiaro come Gesù, in alcune sue controversie, talvolta faccia ricorso all'Argumentum ad hominem. Il presente autore assume la posizione che Gesù mai infranse il comandamento sul Sabato, sebbene egli avesse trasgredito alcune tradizioni umane aggiunte a tale comandamento. E' interessante, però osservare come in alcune delle sue discussioni con i Farisei sulla questione del Sabato, Gesù non si difenda distinguendo fra Parola di Dio e tradizioni umane (come fa in Matteo 15:1-9 sulla questione del lavarsi cerimonialmente le mani, ma faccia uso delle argomentazioni dei suoi avversari e dimostri come si trattasse di una spada a doppio taglio. Ecco che cosa di fatto accade in Matteo 12:1-8. Una lettura superficiale di questo brano ci lascia perplessi domandandoci che cosa c'entri Davide che mangia il pane consacrato destinato ai sacerdoti e la questione della presunta infrazione del Sabato da parte dei discepoli di Gesù. Si tratta di una questione sulla quale i commentatori hanno molto discusso. Il punto della risposta di Gesù, però, è che egli fa uso di un tipo ben conosciuto di argomentazione rabbinica. Procedeva in qualche modo così. Dato che i sacerdoti nel Tempio devono lavorare di Sabato, il Tempio è più importante del Sabato. Davide mangia i pani della presentazione perché la preservazione della sua vita è di maggiore importanza del Tempio. L'argomentazione di Gesù, quindi, è la seguente: Se il Tempio è più grande del Sabato e la preservazione della vita è più grande del Tempio, allora, a fortiori, a maggior ragione, la preservazione della vita è più importante del Sabato. Era ammissibile, dunque, per i discepoli di Gesù, che essi raccogliessero del frumento di Sabato<ref>Prova della legittimità di questo tipo di ragionamento può essere trovato in: Hilton and Marshall The Gospels and Rabbinic Judaism: A Study Guide, (London) SCM Press Ltd, 198</ref>.

Certe tradizioni del pensiero cristiano distinguono tre elementi nella Legge mosaica: morale, civile e cerimoniale<ref>Per esempio, La Confessione di Westminster Confession cap.19. Cfr. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Confessioni_di_fede/Westminster/Confessione_di_fede/cfw19</ref>. Altri studiosi hanno rilevato come il Nuovo Testamento si riferisca sempre a "la Legge", piuttosto che alle "Leggi"<ref> For example, D.]. Moo </ref> Sebbene sia vero che il Nuovo Testamento si riferisca di solito alla Legge come ad un pacchetto completo e non la divida nettamente in morale, cerimoniale e civile, è pure vero che Gesù opera una chiara distinzione fra ciò che normalmente identificheremmo come gli aspetti "morali" della Legge da quelli "cerimoniali" o rituali, che riguardano cioè il culto. I seguenti passi indicano chiaramente questo: Matteo 5:24-29;9:13. Ancora, in Matteo 15:3-9 Gesù sembra insegnare che sia un male minore infrangere il voto di aver consacrato le proprie sostanze al Tempio, piuttosto che privare i propri genitori di quanto è loro necessario<ref>Ulteriori discussioni su questa pericope si trovano nella nota 15 più avanti.</ref>. Naturalmente, non c'era nulla di nuovo in questo aspetto dell'insegnamento di Gesù: era interamente in linea con quello dei profeti dell'Antico Testamento. Essi regolarmente inveivano contro il popolo di Dio per essere puntigliosi nelle questioni concernenti il culto, mentre il loro cuore era ben lontano da Dio e maltrattavano i loro confratelli e consorelle. Si veda, per esempio Isaia 29:13. Questo insegnamento è riaffermato da Paolo in Romani 2:27-29; 1Corinzi 7:19.

A questo punto sono necessari tre commenti. In primo luogo, non dovremmo pensare che i profeti dell'Antico Testamento o Gesà avessero un atteggiamento sprezzante o indifferente verso le questioni cultuali. Salmi 51:17,19 spiega la prospettiva dei profeti e quella di Gesù: l'osservanza cultuale e rituale è priva di valore senza avere un cuore retto verso Dio e ubbidienza. In secondo luogo, sembra indiscutibile che questioni cultuali e rituali fossero considerate da Gesù e dai profeti come di minor peso che quelli che potremmo chiamare gli aspetti "morali" della Legge. In terzo luogo, fino al tempo di Paolo, l'osservanza della circoncisione fisica può essere messa in contrasto all'osservanza di ciò che la Legge richiede rispetto all'ubbidienza dei comandamenti di Dio (Romani 2:25-29; 1Corinzi 7:19). Questo aspetto dell'insegnamento di Paolo dev'essere compreso nei termini della storia della salvezza e della "linea temporale" della Bibbia. E' significativo come la circoncisione risalga ad un periodo precedente la proclamazione della Le gge; ciononostante Paolo è molto chiaro sul fatto che la circoncisione non fosse più vincolante.

In aggiunta a quanto abbiamo affermato fin qui, bisognerebbe pure osservare che vi sono situazioni in cui ci si trova non nell'ambito di ciò che è giusto oppure sbagliato, ma, piuttosto, in quello del buono e del migliore. E' questa la discussione che si sviluppa attraverso l'argomentazione di Paolo in 1 Corinzi 7:25-39. Inoltre, il consiglio di Paolo è altamente contestualizzato, specialmente laddove i cristiani potrebbero avere un dilemma, quelle situazioni laddove bisogna fare una chiara distinzione fra bianco e nero.

Esempi di sostegno biblico a scelte di "male minore"

Antico Testamento

Levitico 10:16-20

Levitico 10:1-2 ci parla dell'offerta di Nadab e Abihu, due figli di Aaronne, di "un fuoco estraneo" o non autorizzato e del conseguente giudizio di dio su di loro. In versetto 3 Mosè spiega ad Aaronne che il Signore si manifesterà come il santo fra il popolo e così sarebbe stato da essi onorato.: ecco perché Dio agisce contro Nadab e Abihu. Nei vv. 4-5, Mosè da istruzioni concernente la rimozione di corpi morti, mentre nei vv. 6-7 egli mette in rilievo che né lui né Aaronne, e neanche i suoi figli superstiti, benché naturale, non dovevano permettere che interferisse con le loro permanenti responsabilità in quanto sacerdoti. Se lo avessero fatto, sarebbero incorsi nella norte, incorrendo così nella stessa sorte di Nadab e Abihu. I vv. 8-11 proibiscono ai sacerdoti di bere bevande fermentate quando si recano nella Tenda dell'Incontro, e mettono in rilevo del discernimento fra ciò che è santo e ciò che è comune. Nei vv. 12-15, Mosè da a Aaronne e ai suoi figli superstiti alcune istruzioni al riguardo di di mangiare l'offerta del fascio di spighe di grano.

Nel versetto 16 Mosè indaga accuratamente circa il capro del sacrifio per il peccato ed apprende che esso era stato bruciato piuttosto che mangiato. In Levitico 6:26,29-30, apprendiamo che un sacrificio per il peccato il cui sangue non era stato portato nella Tenda dell'incontro per fare l'espiazione nel Santuario, doveva essere mangiato da Aaronne o dai suoi figli nel cortile della Tenda dell'Incontro. In Levitico 10:17-18 Mosè protesta con Aaronne che esso avrebbe dovuto essere mangiato e non bruciato. Si comprende come egli si fosse arrabbiato: il giudizio di Dio era già caduto sulla famiglia di Aaronne per non avere osservato i doveri del sacerdozio. Doveva ora il giudizio di Dio cadere su aaronne e suoi suoi figli restanti? Aaronne risponde: "Ecco, oggi essi hanno offerto il loro sacrificio per il peccato e il loro olocausto davanti all'Eterno, e mi sono accadute simili cose; se oggi avessi mangiato la vittima del sacrificio per il peccato sarebbe ciò piaciuto agli occhi dell'Eterno?" (v. 19). Come commenta Matthew Poole, il sacrificio per il peccato "non doveva essere mangiato con tristezza, ma con gioia e riconoscenza, come appare in Deuteronomio 12:7; 26:14; Osea 9:4 e io ho pensato che fosse meglio bruciarlo, così come ho fatto con altri resti sacri, piuttosto che profanarlo mangiandolo indegnamente" <ref>Matthew Poole, Commentary on the Holy bible, Vol. 1, London, The Banner of truth trust, 1962, p. 220.</ref>. In altre parole, di fronte ad Aaronne c'era un dilemma: o mangiare il sacrificio per il peccato, ma non farlo nel modo in cui avrebbe dovuto essere fatto (cioè, con gioia), oppure, dato che non poteva essere mangiato con gioia, non mangiarlo proprio ma bruciarlo, in chiara contravvenzione al comando del Signore. Aaronne aveva scelto quest'ultima procedura ed il versetto 20 ci informa che "Quando Mosè udì questo, rimase soddisfatto".

Ecco, quindi, che è chiaro che si tratti di una situazione del male minore. Evidentemente Aaronne credeva fosse meglio non osservare la forma esteriore del sacrificio piuttosto che osservarla non nel giusto spirito.

2 Cronache 30

Il padre di ezechia era Achaz, e il suo era stato un regno in qualche modo decadente. Ezechia cercava di riformare e di purificare le cose. In 2 Cronache 29 leggiamo di come egli avesse purificato il tempio. Il capitolo 30 ricorda la grande celebrazione della Pasqua che era stata celebrata durante il suo regno. Il libro delle Cronache, scritto dopo il ritorno dall'esilio, ha un interesse particolare sulla purezza rituale e vi si concentra, come pure sull'importanza di Gerusalemme come il luogo centrale dove si deve svolgere il culto di Dio. Il Cronista concentra l'attenzione su numerose deviazioni dalla Legge di Mosè che avrebbero causato l'esilio. Dato questo accento generale, questo rende il resoconto della grande celebrazione pasquale nel capitolo 30 ancora più significativa.

In prilo luogo apprendiamo che il re, i suoi ufficiali e l'intera assemblea decidono di celebrare la Pasqua nel secondo mese (v. 2). La Pasqua, natyuralmente, doveva essere celebrata nel primo mese (Esodo 12:1-3). Però, la "legge casuistica" durante la vita di Mosè permetteva la celebrazione della Pasqua nel secondo mese in certe situazioni: Numeri 9:9-11. Il motivo viene dai nel versetto 3 e 4: "...infatti non avevano potuto celebrarla nel tempo stabilito, perché i sacerdoti non si erano santificati in numero sufficiente e il popolo non si era radunato in Gerusalemme. La cosa piacque al re e a tutta l'assemblea". Quindi, il permesso concesso nei vv. 9-11 è espresso applicabile laddove qualcuno è impuro a causa di un cadavere oppure per essere stato via in viaggio. Il punto significativo in 2Cronache 30, quindi, è che, sebbene vi fosse il permesso mosaico di celebrare la Pasqua un mese più tardi, è chiaro dal v. 3 che la Pasqua di ezechia non rientrasse nei termini dell'autorizzazione mosaica: il v. 3 afferma specificatamente che non abbastanza sacerdoti si erano santificati e che il popolo non fosse convenuto a Gerusalemme. Tutto questo faceva parte del declino spirituale che Ezechia aveva cominciato a trattare. Evidentemente, però, nelle circostanze di Ezechia, i suoi ufficiali e l'intera assemblea pensavano che fosse meglio celebrare la Pasqua un mese dopo, anche se essi, strettamente parlando, non rientrassero nei termini dell'autorizzazione mosaica, piuttosto che non celebrarla affatto. Ecco un chiaro caso di irregolarità.

In secondo luogo, sebbene che la Legge mosaica avesse stabilito che i fedeli dovessero immolare l'agnello pasquale (Esodo 12:6), alla Pasqua di Ezechia molti fra il popolo non si erano santificati secondo le prescrizioni della Legge mosaica ed erano quindi cerimonialmente impuri (v. 17). Il versetto 18 e 19 afferma: "Infatti una gran parte del popolo, molti di Efraim, di Manasse, di Issacar e di Zabulon non si erano purificati, e mangiarono ugualmente la Pasqua, facendo diversamente di come era scritto. Ma Ezechia pregò per loro, dicendo: «L'Eterno, che è buono, perdoni chiunque ha disposto il proprio cuore a ricercare DIO, l'Eterno, il DIO dei suoi padri, anche senza la purificazione richiesta dal santuario»". Si trattava questa, quindi, di una Pasqua straordinariamente irregolare, che infrangeva parecchie regole che il Signore aveva dato per mezzo di Mosè. Il significato particolare di questa Pasqua, però, era che, durante il tempo del regno diviso, Ezechia aveva emanato un proclama chiamando tutte le tribù di Israele a celebrare la Pasqua (v. 5) e molti erano venuti (v. 18). Nel versetto 19, Ezechia riconosce che sebbene vi fossero coloro che non si erano purificati secondo le regole del Santuario, essi avevano il cuore disposto a cercare Dio e che il Signore li avrebbe perdonati. il vers. 20 ci informa che: " l'Eterno ascoltò Ezechia e guarì il popolo".

Le cose, però, non finiscono qui. il vers. 23 ci dice che: "tutta l'assemblea decise di celebrare la festa per altri sette giorni; così la celebrarono per altri sette giorni con gioia", mentre il v. 26 afferma non esservi stato nulla di simile sin dai giorni di Salomone - riferimento questo al punto più alto del regno, precedente alla sua divisione durante il tempo di Geroboamo figlio di Nebat. Il versetto 27 ci dice: "la loro voce fu udita e la loro preghiera giunse fino alla santa dimora dell'Eterno nel cielo".

Qui, come in altri luoghi della Scrittura, si insegna chiaramente che lo spirito è molto più importante della lettera, e che può essere un male minore fare qualcosa di irregolare rispetto a ciò che Dio comanda, piuttosto che niente. Qui, così, troviamo un chiaro insegnamento biblico sulla dottrina del male minore. era male non ubbidire alla lettera della legge: per questo Ezechia aveva dovuto pregare affinché il popolo fosse perdonato (v. 18), qualcosa che certo non sarebbe stato necessario se non avessero avuto la coscienza di fare qualcosa di sbagliato. Sarebbe però stato un male più grande non aver celebrato la Pasqua. Anche questo avrebbe implicato una disubbidienza ad un chiaro comandamento del Signore. Si tratta del punto a cui si riferisce Gesù quando parla delle Guide cieche che colano il moscerino e inghiottono il cammello (Matteo 23:24. Nessuno vorrebbe particolarmente avere un moscerino nella minestra, ma è molto meno sgradevole inghiottire un moscerino che un cammello, con tutta la sua pelliccia e gambe legnose.

Quindi, noi possiamo stabilire il principio generale che esiste la dottrina del male minore; essa sorge quando è impossibile osservare un comando del Signore senza infrangerne un altro; nel decidere che cosa sia un male minore, dobbiamo considerare quale sia il comandamento di maggior peso e che cosa meglio onori lo spirito dell'insegnamento del Signore.

Materiale del Nuovo Testamento

Per quanto vi siano numerosi brani del Nuovo Testamento che toccano questo argomento (per esempio, la citazione che fa Gesù da Osea: "Voglio misericordia e non sacrifici" e le parole di Paoplo in Romani 13:9-10), limiteremo il trattamento del materiale neotestamentario a due soli brani.


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