Etica/Dottrina del male minore

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La dottrina del male minore

Stephen Clark (2008)<ref>In http://www.affinity.org.uk/downloads/foundations/Foundations%20Archive/59_03.pdf L'autore è stato stimolato a scrivere sull'argomento da un saggio scritto da Graham Harrison al BEC Study Conference.</ref>

Introduzione

La dottrina del male minore tratta di quelle situazioni in cui un agente morale è costretto a scegliere una fra diverse linee di azione in competizione fra di loro, benché ciascuna di esse implichi la violazione di un principio ed una regola morale. La dottrina del male minore afferma che, di fronte ad un dilemma, si dovrebbe scegliere ciò che, in quella particolare circostanza, è il minore fra uno o più mali.

Al di fuori della tradizione giudaico-cristiana, questa dottrina è stata affermata ed approvata da Aristotele<ref>Etica Nicomachea II,9.4. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Etica_Nicomachea e http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiHTML/Aristotele/EticaNicomachea/Etica%20Nicomachea.htm </ref> e sostenuta da Cicerone<ref> de Off. iii. 28 (102) </ref>. Nell'ambito della Chiesa cristiana, questa dottrina è stata ufficialmente affermata nell'Ottavo Concilio di Toledo<ref>Canone 2. Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_di_Toledo e https://it.cathopedia.org/wiki/Concilio_di_Toledo_(653) </ref> nel 653 AD, come pure è la soluzione offerta da numerosi scrittori cristiani che trattano casi di coscienza<ref>Gregorio Magno lo dichiarò così: 'Colui che è circondato da mura ogni lato e cerca di scappare, si getta giù dove si trova il muro più in basso</ref>. Lo scopo del presente studio è quello di accertare ciò che è specificamente la base biblica per tale dottrina. Prima di considerare il materiale biblico, tuttavia, sarà utile chiarire i punti precisi che sono in discussione e da chiarire alcune brevi osservazioni su questioni etiche..

I. Affermazione del problema

Il problema affrontato nel presente studio riguarda la scelta che deve essere fatta quando principi o regole morali entrano in conflitto fra di loro. Questo tipo di situazioni deve essere distinto da una strettamente correlato e con la quale è spesso confusa, vale a dire dove le circostanze sono tali in cui onorare un principio morale o l'obbedienza a una regola o comando morale porta a conseguenze nefaste. Alla base di questa distinzione è il fatto che il peccato e le conseguenze del male non sono del tutto categorie congruenti: anche se potrebbe esserci notevole sovrapposizione tra la violazione di una regola o comando morale e conseguenze nefaste. Non si tratta di sinonimi (faccio uso del termine "nefasto" in "nefaste conseguenze", nel senso di "non buono", laddove "buono" è qui definito in riferimento alla dichiarazione di Dio che la creazione originale era "buona" (Genesi 1:10; 1:12; 1:18; 1:21; 1:25; 1:31). Se adottiamo a fini pratici la definizione di peccato come ciò che viola la legge di Dio<ref>Non discuterò o svilupperò questo punto. Giovanni definisce il peccato come </ref>, nel senso che lo faccia un agente personale che contravvenga alla Sua legge, dovrebbe essere chiaro che "peccato" e "nefaste conseguenze" non hanno l'identico referente. Alcuni esempi potrebbero illustrare questo punto.

Nessuno con un minimo di sensibilità morale negherebbe che la guerra sia un grande male. Inoltre, si tratta di un male causato dal peccato, e che è, quindi, una conseguenza nefasta del peccato. Inoltre, come spesso è stato osservato, la moralità è una delle prime vittime della guerra: molti peccati sono presenti e commessi durante la guerra. È altrettanto vero, tuttavia, a meno che si adotti la posizione insostenibile che la Scrittura proibisca assolutamente lo svolgimento della guerra (la posizione pacifista), ci sono situazioni in cui non sarebbe peccato combattere in una guerra. Le categorie di peccato e di conseguenze nefaste non sono del tutto congruenti.

Un esempio più chiaro è quello del caso in cui un automobilista guida in modo tale da investire ed uccidere un bambino. Immaginiamo due scenari differenti. Nel primo caso, l'uomo guida intenzionalmente in modo pericoloso, cioè, non gli importa quali danni possa arrecare ad altra gente guidando in quel modo: sa che così potrebbe uccidere qualcuno. L'omicidio che perpetra di quel bambino è un atto malvagio e la morte di quel bambino è una conseguenza nefasta. Nel secondo scenario, la morte è il risultato di una situazione che viene legalmente definita automatismo. Il conducente, senza che abbia colpa né lui né altri, perde il controllo del suo veicolo e uccide qualcuno. Mettiamo che si trattasse di uno sciame di api che entra nel suo veicolo e che questo porti il conducente a perdere il controllo del suo veicolo. Questi non ha commesso alcun peccato. La morte di quel bambino è una tragedia, o potrebbe essere considerata un male. Certamente, sofferenza e morte non esisterebbero in terra se il peccato non vi fosse entrato in prima istanza. Abbiamo qui, quindi, il caso di una conseguenza nefasta, cattiva (cioè non buona nei termini di ciò che Dio ha pronunciato buono nella sua creazione originale), ma non è stato qui commesso alcun peccato (diverso da "quel peccato originale che ha introdotto nel mondo la morte e tutti i nostri problemi, con la perdita dell'Eden" .

L'importanza della distinzione fra peccato e conseguenze nefaste risiede nel fatto che la dottrina del male minore viene invocata talora per giustificare il peccato (l'infrazione di un comandamento di Dio) al fine di evitare una conseguenza nefasta. Il seguente esempio può giustificare questo punto. I servizi segreti di una particolare nazione raccolgono informazioni che indicano come sia imminente un attacco terrorista nei confini di quella nazione. Non conosce la collocazione precisa di quell'attacco. Inoltre, non è in grado di identificare chi siano quelli che lanceranno l'attacco. L'informazione a questo riguardo è in un codice che non riescono a decifrare. I servizi segreti hanno scoperto, però, che una bambina di dodici anni conosce quel codice, sebbene lei sia del tutto ignara di quel progettato attacco terroristico. La prima volta in cui le era stato insegnato quel codice, le era stato fatto promettere di non rivelarlo mai ad alcuno. Le era stato detto che avrebbe compiaciuto Allah se avesse tenuto segreto quel codice e che chiunque avesse voluto che lei lo rivelasse l'avrebbe "sicuramente" fatto con intenzioni malvagie. La bambina è avvicinata dai servizi segreti, ma non è disposta a rivelare quel codice. Tentativi di persuaderla perché nel farlo avrebbe salvato vite non hanno alcun successo perché lei non crede che vi sarà alcun attentato terroristico. Lei crede che coloro che vogliono che lei riveli quel codice lo facciano con intenzioni malvagie. Di conseguenza fallisce ogni tentativo di farle rivelare quel codice. I servizi segreti decidono che l'unico modo per il quale lei riveli quel codice sia quello di torturarla. Lei comprova di essere estremamente resistente e, alla fine, i servizi segreti si avvalgono di violenza estrema, ferendola e sfigurandola prima che lei ceda. Così il codice viene rivelato, i terroristi sono arrestati, e l'attacco viene prevenuto. Di fatto l'attacco avrebbe avuto conseguenze nefaste che avrebbero potuto causare fino a cinquemila vittime. I servizi segreti si sentono giustificati di aver fatto uso della tortura; sebbene non sia stato fatto nulla di malvagio, ha salvato numerose vite.

Strettamente parlando, questa non è un'applicazione della dottrina del male minore. E' stato commesso un atto riprovevole (la tortura) e, soprattutto verso una persona del tutto innocente, al fine di prevenire una conseguenza nefasta (la perdita di molte vite). La morte di molte persone, sebbene sia qualcosa di malvagio, un atto malvagio che non sarebbe avvenuto se il peccato non fosse entrato in questo mondo, non è peccaminosa: ogni giorno muoiono persone e morendo non peccano. Si potrebbe dire che, naturalmente, che così si è impedito ai terroristi di peccare. Questo è vero, ma non è la ragione dell'uso della tortura: la ragione per la quale si è fatto ricorso alla tortura era stata quella di prevenire le conseguenze dell'atto malvagio di quei terroristi, un grande numero di vittime. (Presumiamo che il tentativo di quei terroristi di far detonare le loro bombe, per ragioni tecniche, le bombe non sono detonate e nessuno è stato ferito. I terroristi avrebbero ancora eseguito un atto malvagio, ma non vi sono state conseguenze di quel loro atto. Se i servizi segreti avessero conosciuto in anticipo che le bombe non sarebbero esplose e che non vi sarebbero state vittime, non sarebbe stato per loro necessario torturare quella bambina: il loro punto non era prevenire l'atto malvagio in sé stesso, ma prevenirne le conseguenze). Si potrebbe dire che salvare vite sia un atto moralmente buono. Quindi, la tortura di una bambina, sebbene in se stesso sia un atto malvagio, considerato nel contesto nel quale accade, è moralmente buono: si tratta di un male minore. E' meglio salvare vite che permettere che siano massacrate senza motivo. Non è così?

Cambiamo un poco l'esempio. Mettiamo che la bambina muoia a causa delle ferite che ha subito durante le torture. Presumiamo ancora che l'attacco terroristico sia stato prevenuto, ma che la natura dell'attacco avrebbe implicato solo la morte di una persona. Presumiamo inoltre che i servizi segreti conoscessero che l'attacco terroristico avrebbe implicato la morte di una sola persona. Essi hanno commesso un atto malvagio (la tortura) per prevenire una conseguenza nefasta (la morte di una persona). Indubbiamente esse hanno impedito una conseguenza nefasta, la morte di un innocente, ma per quello hanno dovuto uccidere un'altra persona innocente. E' difficile, così, vedere qui il caso di un male minore.

Quest'ultimo punto deve essere ulteriormente elaborato. Consideriamo un'altro tipo puramente ipotetico di situazione. La polizia sa che un criminale, C, ha intenzione di spostarsi dal punto X, in campagna, al punto Y per assassinare V. C intende camminare per tre chilometri, dove sarà fatto salire su un taxi, che ha prenotato, alla sua destinazione. Il taxista, T, non sa delle intenzioni di C di assassinare T. Il solo modo in cui C può intraprendere il viaggio è con il taxi di T. La polizia viene a sapere di questo piano quando ormai è troppo tardi per proteggere V, o muoversi per intercettare C. Però, uno della polizia, P, che ha saputo di questo piano, vede T che velocemente è in movimento verso il punto X per raccogliere C. P, mettiamo, è a piedi e non può far nulla per intercettare T e avvertirlo di quel che sta per succedere. Egli, però, è un tiratore scelto della polizia e, mettiamo, ha con se un'arma. egli così spara a T nella persuasione che questo gli impedirà di raggiungere X, dando così alla polizia il tempo per intercettare C. T muore per la ferita da arma da fuoco. Ciò che qui è accaduto è che una persona, P, ha commesso un atto riprovevole (uccidere una persona innocente) per poter prevenire che un'altra persona, C, uccida un'altra persona innocente, V, e per prevenire le conseguenze negative dell'assassinio di V. Questo, naturalmente, sarebbe considerato un atto oltraggioso: uccidere una persona per impedire che un'altra persona sia uccisa.

Questa storia è semplicemente per illustrare l'importanza della distinzione fra un atto peccaminoso e una conseguenza nefasta. Non sarebbe difficile pensare a qualche tipo di situazione emotiva dove argomentazioni sul male minore vengono proposte in maniera non appropriata: dove una vita innocente, che è considerata come dello stesso stato ontologico e morale di un'altra persona innocente, sia soppressa in favore di un'altra vita. Il presente studio non tratterà la questione se sia permissibile commettere un peccato al fine di evitare conseguenze nefaste. In tale studio sorgerebbero molte questioni complesse, non meno di quella di che cosa si intenda esattamente con conseguenza nefasta. Può essere utile, però, osservare che l'apostolo Paolo afferma che coloro che sostengono che commettere un male è legittimo, se ne conseguono buoni risultati, meritano di essere condannati (Romani 3:8). In questo passo biblico è chiaro che quando Paolo fa riferimento a coloro che dicono "facciamo del male", egli si riferisce non a conseguenze nefaste, ma ad un atto malvagio, al peccato, laddove il bene, in questo passo, non a fare qualcosa che sia buono ma l'opposto di una conseguenza cattiva, cioè ad una buona conseguenza. Questo ci conduce, in modo del tutto naturale, alla necessità di definire alcuni termini.

II. Definizione di termini

I. Deontologico: questo è l'approccio all'etica che afferma come i principi morali devono essere seguiti non importa quali ne siano le conseguenze. Certe cose sono giuste e devono essere fatte e non necessitano di giustificazione nei termini delle conseguenze che possano avere.

2. Conseguenzialismo: questo è l'approccio all'etica che dice che si determina quel che debba essere il giusto corso di azioni in riferimento alle conseguenze che ne derivano. E' ovvio che un conseguenzialista che valuti un azione in riferimento a se la conseguenza di quell'azione sia buona o cattiva, inevitabilmente ha una comprensione precedente di ciò che sia buono e di ciò che sia una conseguenza cattiva. Questo significa, naturalmente, che la natura di ciò che è buono o cattivo non possa essere semplicemente determinato in riferimento alle conseguenze di quell'azione, proprio perché si valutano le conseguenze come buone oppure cattive. Alcuni valori sono già operativi, quindi, attraverso i quali le conseguenze vengono valutate. E' così che l'utilitarianismo, che è un approccio conseguenzialista all'etica, valuta una conseguenza come buona se comporta la più grande felicità per il più grande numero di persone.

L'esempio fornito da Quinton citato citato alla nota 8, potrebbe essere compreso nei termini della filosofia utilitaristica. D'altro canto, se la persona che annega fosse un eremita, del tutto assorbito in sé stesso e senza famiglia o amici, e (sebbene non commetta suicidio) non dà valore effettivo alla sua vita, potrebbe essere possibile sostenere che, sulla base del calcolo utilitaristico di quanta felicità si causi, una maggiore felicità sarebbe onorare l'appuntamento che ha al tea party ed abbandonare l'eremita al suo destino. Presumibilmente Quinton rinnegherebbe una tale posizione se lo facesse, questo dimostrerebbe che dietro alla sua valutazione della qualità morale di un'azione in riferimento alle sue conseguenze implicherebbe la propria adesione a certi valori attraverso i quali le conseguenze vengono valutate. Il punto che sto cercando di dimostrare è che il conseguenzialismo e un approccio all'etica più complesso di quanto talvolta ce ne se renda conto.

Molti filosofi sostengono che un approccio deontologico all'etica ed un approccio conseguenzialista siano contrapposti<ref>Questa è la posizione assunta da Julia Annas nel suo standard e giustamente lodato studio introduttivo alla Repubblica di Platone:]. Annas,Introduzione alla Repubblica di Platone (Oxford), OUP, 1981.</ref>. Ho cercato di dimostrare nei precedenti due paragrafi che questa è un'area che necessita un esame approfondito perché importanti punti di distinzione sono frequentemente oscurati dall'affermazione che questi due approcci all'etica siamo mutualmente esclusivi<ref>. Un buon esempio è fornito dal filosofo Anthony Quinton. Scrivendo nel contesto della filosofia politica, egli riassume l'approccio deontologico con le seguenti parole: 'Essi' (cioè i principi morali] 'non necessitano di giustificazione nei termini di risultati valutabili di adesione generale ad essi e possono solo essere lesi e indeboliti se si intraprende una tale giustificazione ... bisogna mantenere una promessa, anche se, così facendo, ne risulti che nessuno si trovi in posizione migliore ... Ma pochi deontologi, però, sono così ostinati da inflessibili da insistere che sia necessario mantenere una promessa banale, qualunque cosa avvenga, che sia necessario lasciare affogare qualcuno in un posto isolato solo perché si è promesso di arrivare in tempo ad una festa</ref>. Anche questo va oltre lo scopo del presente studio.

III. Materiale biblico

Osservazioni sull'insegnamento di Gesù e di Paolo. Le Scritture insegnano che alcuni comandamenti di Dio hanno maggiore peso di altri. Gesù lo dice espressamente in Matteo 23:23. Quando parla di "le cose più importanti della Legge", o "quelle di maggior peso", è evidente che Gesù non considera ogni aspetto della Legge di Dio di uguale importanza. Naturalmente, bisogna fare molta attenzione quando facciamo uso di questa distinzione. In Matteo 23:23 Gesù rende chiaro le questioni meno importanti della Legge devono essere rispettate tanto quanto quelle più importanti. In Matteo Matteo 5:19 egli parla di " uno di questi minimi comandamenti", ancora, implicando come egli non considerasse tutti i comandamenti di uguale importanza, eppure, nello stesso versetto, la grandezza nel Regno dei Cieli ha a che fare non solo con l'osservare i comandamenti più importanti, ma anche nel mettere in pratica quelli minimi.

Gesù insegna che i due più grandi comandamenti siano quelli di amare Dio con tutto noi stessi e il nostro prossimo come noi stessi (Matteo 22:34-40). Egli insegnava che questi comandamenti sono fondamentali. Dato che tutta la Legge e i Profeti si appoggiano su questi, ne consegue che rimuoverli, o non praticarli rende impossibile vivere la vita che è prescritta nella Legge e nei Profeti.

L'importanza relativa dei differenti comandamenti sta alla base della figura che Gesù dipinge di coloro che "colano il moscerino e inghiottono il cammello" (Matteo 23:24). In altre parole, egli voleva che noi avessimo il dovuto senso delle proporzioni, cosa che evidentemente mancava nei Farisei e negli scribi, esperti della Legge. In che modo graduare i diversi comandamenti è una questione complessa e ben al di là dello scopo del presente studio. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per gli scopi che ci proponiamo è notare che nei comandamenti esiste una distinzione<ref>Questa distinzione si nota nella domanda 83 del Catechismo Minore di Westminster. La domanda chiede: Tutte le violazioni della legge sono ugualmente gravi? Al che risponde: Alcuni peccati in sé stessi, ed in ragione di diverse aggravanti, al cospetto di Dio sono più gravi di altri. Alcune infrazioni della legge di Dio sono più gravi di altre; non è ingiustificato dedurvi come una delle ragioni per questo potrebbe essere che qualche comandamento ha maggiore peso di altri. E' interessante come in catechismo non specifichi quali peccati siano più gravi. Coloro che fanno uso di questo catechismo per insegnare ai giovani cristiani dovrà inevitabilmente affrontare questa questione. Così tali cristiani inevitabilmente saranno radicati nella verità del fatto che alcuni comandamenti abbiano maggiore peso di altri. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Confessioni_di_fede/Westminster/Catechismo_minore/cmw083 </ref>.

E' chiaro come Gesù, in alcune sue controversie, talvolta faccia ricorso all'Argumentum ad hominem. Il presente autore assume la posizione che Gesù mai infranse il comandamento sul Sabato, sebbene egli avesse trasgredito alcune tradizioni umane aggiunte a tale comandamento. E' interessante, però osservare come in alcune delle sue discussioni con i Farisei sulla questione del Sabato, Gesù non si difenda distinguendo fra Parola di Dio e tradizioni umane (come fa in Matteo 15:1-9 sulla questione del lavarsi cerimonialmente le mani, ma faccia uso delle argomentazioni dei suoi avversari e dimostri come si trattasse di una spada a doppio taglio. Ecco che cosa di fatto accade in Matteo 12:1-8. Una lettura superficiale di questo brano ci lascia perplessi domandandoci che cosa c'entri Davide che mangia il pane consacrato destinato ai sacerdoti e la questione della presunta infrazione del Sabato da parte dei discepoli di Gesù. Si tratta di una questione sulla quale i commentatori hanno molto discusso. Il punto della risposta di Gesù, però, è che egli fa uso di un tipo ben conosciuto di argomentazione rabbinica. Procedeva in qualche modo così. Dato che i sacerdoti nel Tempio devono lavorare di Sabato, il Tempio è più importante del Sabato. Davide mangia i pani della presentazione perché la preservazione della sua vita è di maggiore importanza del Tempio. L'argomentazione di Gesù, quindi, è la seguente: Se il Tempio è più grande del Sabato e la preservazione della vita è più grande del Tempio, allora, a fortiori, a maggior ragione, la preservazione della vita è più importante del Sabato. Era ammissibile, dunque, per i discepoli di Gesù, che essi raccogliessero del frumento di Sabato<ref>. Prova della legittimità di questo tipo di ragionamento può essere trovato in: Hilton and Marshall The Gospels and Rabbinic Judaism: A Study Guide, (London) SCM Press Ltd, 198</ref>.

Certe tradizioni del pensiero cristiano distinguono tre elementi nella Legge mosaica: morale, civile e cerimoniale<ref>Per esempio, La Confessione di Westminster Confession cap.19. Cfr. https://www.tempodiriforma.it/mw/index.php?title=Confessioni_di_fede/Westminster/Confessione_di_fede/cfw19</ref>. Altri studiosi hanno rilevato come il Nuovo Testamento si riferisca sempre a "la Legge", piuttosto che alle "Leggi"<ref> For example, D.]. Moo </ref> Sebbene sia vero che il Nuovo Testamento si riferisca di solito alla Legge come ad un pacchetto completo e non la divida nettamente in morale, cerimoniale e civile, è pure vero che Gesù opera una chiara distinzione fra ciò che normalmente identificheremmo come gli aspetti "morali" della Legge da quelli "cerimoniali" o rituali, che riguardano cioè il culto. I seguenti passi indicano chiaramente questo: Matteo 5:24-29;9:13. Ancora, in Matteo 15:3-9 Gesù sembra insegnare che sia un male minore infrangere il voto di aver consacrato le proprie sostanze al Tempio, piuttosto che privare i propri genitori di quanto è loro necessario<ref>. Ulteriori discussioni su questa pericope si trovano nella nota 15 più avanti.</ref>. Naturalmente, non c'era nulla di nuovo in questo aspetto dell'insegnamento di Gesù: era interamente in linea con quello dei profeti dell'Antico Testamento. Essi regolarmente inveivano contro il popolo di Dio per essere puntigliosi nelle questioni concernenti il culto, mentre il loro cuore era ben lontano da Dio e maltrattavano i loro confratelli e consorelle. Si veda, per esempio Isaia 29:13. Questo insegnamento è riaffermato da Paolo in Romani 2:27-29; 1Corinzi 7:19.

A questo punto sono necessari tre commenti. In primo luogo, non dovremmo pensare che i profeti dell'Antico Testamento o Gesù avessero un atteggiamento sprezzante o indifferente verso le questioni cultuali. Salmi 51:17,19 spiega la prospettiva dei profeti e quella di Gesù: l'osservanza cultuale e rituale è priva di valore senza avere un cuore retto verso Dio e ubbidienza. In secondo luogo, sembra indiscutibile che questioni cultuali e rituali fossero considerate da Gesù e dai profeti come di minor peso che quelli che potremmo chiamare gli aspetti "morali" della Legge. In terzo luogo, fino al tempo di Paolo, l'osservanza della circoncisione fisica può essere messa in contrasto all'osservanza di ciò che la Legge richiede rispetto all'ubbidienza dei comandamenti di Dio (Romani 2:25-29; 1Corinzi 7:19). Questo aspetto dell'insegnamento di Paolo dev'essere compreso nei termini della storia della salvezza e della "linea temporale" della Bibbia. E' significativo come la circoncisione risalga ad un periodo precedente la proclamazione della Legge; ciononostante Paolo è molto chiaro sul fatto che la circoncisione non fosse più vincolante.

In aggiunta a quanto abbiamo affermato fin qui, bisognerebbe pure osservare che vi sono situazioni in cui ci si trova non nell'ambito di ciò che è giusto oppure sbagliato, ma, piuttosto, in quello del buono e del migliore. E' questa la discussione che si sviluppa attraverso l'argomentazione di Paolo in 1 Corinzi 7:25-39. Inoltre, il consiglio di Paolo è altamente contestualizzato, specialmente laddove i cristiani potrebbero avere un dilemma, quelle situazioni laddove bisogna fare una chiara distinzione fra bianco e nero.

Esempi di sostegno biblico a scelte di "male minore"

Antico Testamento

Levitico 10:16-20

Levitico 10:1-2 ci parla dell'offerta di Nadab e Abihu, due figli di Aronne, di "un fuoco estraneo" o non autorizzato e del conseguente giudizio di dio su di loro. In versetto 3 Mosè spiega ad Aronne che il Signore si manifesterà come il santo fra il popolo e così sarebbe stato da essi onorato.: ecco perché Dio agisce contro Nadab e Abihu. Nei vv. 4-5, Mosè da istruzioni concernente la rimozione di corpi morti, mentre nei vv. 6-7 egli mette in rilievo che né lui né Aaronne, e neanche i suoi figli superstiti, benché naturale, non dovevano permettere che interferisse con le loro permanenti responsabilità in quanto sacerdoti. Se lo avessero fatto, sarebbero incorsi nella morte, incorrendo così nella stessa sorte di Nadab e Abihu. I vv. 8-11 proibiscono ai sacerdoti di bere bevande fermentate quando si recano nella Tenda dell'Incontro, e mettono in rilevo del discernimento fra ciò che è santo e ciò che è comune. Nei vv. 12-15, Mosè da a Aronne e ai suoi figli superstiti alcune istruzioni al riguardo di di mangiare l'offerta del fascio di spighe di grano.

Nel versetto 16 Mosè indaga accuratamente circa il capro del sacrificio per il peccato ed apprende che esso era stato bruciato piuttosto che mangiato. In Levitico 6:26,29-30, apprendiamo che un sacrificio per il peccato il cui sangue non era stato portato nella Tenda dell'incontro per fare l'espiazione nel Santuario, doveva essere mangiato da Aronne o dai suoi figli nel cortile della Tenda dell'Incontro. In Levitico 10:17-18 Mosè protesta con Aronne che esso avrebbe dovuto essere mangiato e non bruciato. Si comprende come egli si fosse arrabbiato: il giudizio di Dio era già caduto sulla famiglia di Aronne per non avere osservato i doveri del sacerdozio. Doveva ora il giudizio di Dio cadere su Aronne e suoi suoi figli restanti? Aronne risponde: "Ecco, oggi essi hanno offerto il loro sacrificio per il peccato e il loro olocausto davanti all'Eterno, e mi sono accadute simili cose; se oggi avessi mangiato la vittima del sacrificio per il peccato sarebbe ciò piaciuto agli occhi dell'Eterno?" (v. 19). Come commenta Matthew Poole, il sacrificio per il peccato "non doveva essere mangiato con tristezza, ma con gioia e riconoscenza, come appare in Deuteronomio 12:7; 26:14; Osea 9:4 e io ho pensato che fosse meglio bruciarlo, così come ho fatto con altri resti sacri, piuttosto che profanarlo mangiandolo indegnamente" <ref>Matthew Poole, Commentary on the Holy bible, Vol. 1, London, The Banner of truth trust, 1962, p. 220.</ref>. In altre parole, di fronte ad Aronne c'era un dilemma: o mangiare il sacrificio per il peccato, ma non farlo nel modo in cui avrebbe dovuto essere fatto (cioè, con gioia), oppure, dato che non poteva essere mangiato con gioia, non mangiarlo proprio ma bruciarlo, in chiara contravvenzione al comando del Signore. Aaronne aveva scelto quest'ultima procedura ed il versetto 20 ci informa che "Quando Mosè udì questo, rimase soddisfatto".

Ecco, quindi, che è chiaro che si tratti di una situazione del male minore. Evidentemente Aronne credeva fosse meglio non osservare la forma esteriore del sacrificio piuttosto che osservarla non nel giusto spirito.

2 Cronache 30

Il padre di Ezechia era Achaz, e il suo era stato un regno in qualche modo decadente. Ezechia cercava di riformare e di purificare le cose. In 2 Cronache 29 leggiamo di come egli avesse purificato il tempio. Il capitolo 30 ricorda la grande celebrazione della Pasqua che era stata celebrata durante il suo regno. Il libro delle Cronache, scritto dopo il ritorno dall'esilio, ha un interesse particolare sulla purezza rituale e vi si concentra, come pure sull'importanza di Gerusalemme come il luogo centrale dove si deve svolgere il culto di Dio. Il Cronista concentra l'attenzione su numerose deviazioni dalla Legge di Mosè che avrebbero causato l'esilio. Dato questo accento generale, questo rende il resoconto della grande celebrazione pasquale nel capitolo 30 ancora più significativa.

In prilo luogo apprendiamo che il re, i suoi ufficiali e l'intera assemblea decidono di celebrare la Pasqua nel secondo mese (v. 2). La Pasqua, naturalmente, doveva essere celebrata nel primo mese (Esodo 12:1-3). Però, la "legge casuistica" durante la vita di Mosè permetteva la celebrazione della Pasqua nel secondo mese in certe situazioni: Numeri 9:9-11. Il motivo viene dai nel versetto 3 e 4: "...infatti non avevano potuto celebrarla nel tempo stabilito, perché i sacerdoti non si erano santificati in numero sufficiente e il popolo non si era radunato in Gerusalemme. La cosa piacque al re e a tutta l'assemblea". Quindi, il permesso concesso nei vv. 9-11 è espresso applicabile laddove qualcuno è impuro a causa di un cadavere oppure per essere stato via in viaggio. Il punto significativo in 2Cronache 30, quindi, è che, sebbene vi fosse il permesso mosaico di celebrare la Pasqua un mese più tardi, è chiaro dal v. 3 che la Pasqua di Ezechia non rientrasse nei termini dell'autorizzazione mosaica: il v. 3 afferma specificatamente che non abbastanza sacerdoti si erano santificati e che il popolo non fosse convenuto a Gerusalemme. Tutto questo faceva parte del declino spirituale che Ezechia aveva cominciato a trattare. Evidentemente, però, nelle circostanze di Ezechia, i suoi ufficiali e l'intera assemblea pensavano che fosse meglio celebrare la Pasqua un mese dopo, anche se essi, strettamente parlando, non rientrassero nei termini dell'autorizzazione mosaica, piuttosto che non celebrarla affatto. Ecco un chiaro caso di irregolarità.

In secondo luogo, sebbene che la Legge mosaica avesse stabilito che i fedeli dovessero immolare l'agnello pasquale (Esodo 12:6), alla Pasqua di Ezechia molti fra il popolo non si erano santificati secondo le prescrizioni della Legge mosaica ed erano quindi cerimonialmente impuri (v. 17). Il versetto 18 e 19 afferma: "Infatti una gran parte del popolo, molti di Efraim, di Manasse, di Issacar e di Zabulon non si erano purificati, e mangiarono ugualmente la Pasqua, facendo diversamente di come era scritto. Ma Ezechia pregò per loro, dicendo: «L'Eterno, che è buono, perdoni chiunque ha disposto il proprio cuore a ricercare DIO, l'Eterno, il DIO dei suoi padri, anche senza la purificazione richiesta dal santuario»". Si trattava questa, quindi, di una Pasqua straordinariamente irregolare, che infrangeva parecchie regole che il Signore aveva dato per mezzo di Mosè. Il significato particolare di questa Pasqua, però, era che, durante il tempo del regno diviso, Ezechia aveva emanato un proclama chiamando tutte le tribù di Israele a celebrare la Pasqua (v. 5) e molti erano venuti (v. 18). Nel versetto 19, Ezechia riconosce che sebbene vi fossero coloro che non si erano purificati secondo le regole del Santuario, essi avevano il cuore disposto a cercare Dio e che il Signore li avrebbe perdonati. il vers. 20 ci informa che: " l'Eterno ascoltò Ezechia e guarì il popolo".

Le cose, però, non finiscono qui. il vers. 23 ci dice che: "tutta l'assemblea decise di celebrare la festa per altri sette giorni; così la celebrarono per altri sette giorni con gioia", mentre il v. 26 afferma non esservi stato nulla di simile sin dai giorni di Salomone - riferimento questo al punto più alto del regno, precedente alla sua divisione durante il tempo di Geroboamo figlio di Nebat. Il versetto 27 ci dice: "la loro voce fu udita e la loro preghiera giunse fino alla santa dimora dell'Eterno nel cielo".

Qui, come in altri luoghi della Scrittura, si insegna chiaramente che lo spirito è molto più importante della lettera, e che può essere un male minore fare qualcosa di irregolare rispetto a ciò che Dio comanda, piuttosto che niente. Qui, così, troviamo un chiaro insegnamento biblico sulla dottrina del male minore. era male non ubbidire alla lettera della legge: per questo Ezechia aveva dovuto pregare affinché il popolo fosse perdonato (v. 18), qualcosa che certo non sarebbe stato necessario se non avessero avuto la coscienza di fare qualcosa di sbagliato. Sarebbe però stato un male più grande non aver celebrato la Pasqua. Anche questo avrebbe implicato una disubbidienza ad un chiaro comandamento del Signore. Si tratta del punto a cui si riferisce Gesù quando parla delle Guide cieche che colano il moscerino e inghiottono il cammello (Matteo 23:24. Nessuno vorrebbe particolarmente avere un moscerino nella minestra, ma è molto meno sgradevole inghiottire un moscerino che un cammello, con tutta la sua pelliccia e gambe legnose.

Quindi, noi possiamo stabilire il principio generale che esiste la dottrina del male minore; essa sorge quando è impossibile osservare un comando del Signore senza infrangerne un altro; nel decidere che cosa sia un male minore, dobbiamo considerare quale sia il comandamento di maggior peso e che cosa meglio onori lo spirito dell'insegnamento del Signore.

Materiale del Nuovo Testamento

Per quanto vi siano numerosi brani del Nuovo Testamento che toccano questo argomento (per esempio, la citazione che fa Gesù da Osea: "Voglio misericordia e non sacrifici" e le parole di Paolo in Romani 13:9-10), limiteremo il trattamento del materiale neotestamentario a due soli brani.

2 Corinzi 8:10-12

Questi versetti compaiono in una sezione che attraversa tutto il capitolo 8 e 9 di questa epistola e che riguarda la colletta per i credenti poveri di Gerusalemme. 8:12 esprime un principio di grande importanza: vi possono essere cose che uno vorrebbe fare ma che sono impossibili da realizzare. Nel contesto questo certamente si riferisce al fatto che i Corinzi avrebbero voluto dare di più di quanto fisicamente erano in grado di fare: essi non avevano denaro sufficiente per offrire quanto avrebbero di fatto voluto dare. Il principio che Paolo espone è che è il desiderio di fare qualcosa ciò che Dio accetta. In altre parole, desiderio e motivazioni sono rilevanti nel valutare azioni, come pure le azioni in sé stesse: "Se infatti c'è la prontezza d'animo, uno è accettevole secondo quello che ha e non secondo ciò che non ha" (2Corinzi 8:12).

Matteo 15:1-9

Nel brano di Matteo 15:1-9 Gesù mette in contrapposizione l'insegnamento della Parola di Dio con quella delle tradizioni umane. Egli ci porta a concentrare la nostra attenzione sul modo in cui i Farisei e gli esperti della Legge, per evitare di dover sostenere i propri genitori facessero uso delle prescrizioni al riguardo dei beni consacrati a Dio (vv. 3-6). Egli mette in evidenza come questo fosse del tutto ipocrita (v. 7). Egli pure afferma che i Farisei e gli esperti della Legge insegnassero regole stabilite dagli uomini. E' perfettamente possibile che sotto l'influenza di un tale insegnamento alcuni certo potessero consacrare a Dio beni in modo non ipocrita, ma che non fossero stati in grado di far uso di quel denaro per sostenere i propri genitori. in queste circostanze, se essi fossero stati consapevoli della necessità di utilizzare il denaro altrimenti consacrato a Dio per aiutare i loro genitori, si sarebbero trovati in un dilemma, in un caso di coscienza. Non onorare la promessa di un voto fatto a Dio è una questione seria (Ecclesiaste 5:1-7). D'altro canto, infrangere il comandamento di onorare i propri genitori è una questione altrettanto seria. eccoci così ancora di fronte ad una situazione di conflitto fra due obblighi. Sembra chiaro dall'insegnamento del Signore che si tratta di una di quelle situazioni dove il voto avrebbe potuto essere infranto<ref>. La questione dei voti è una dove possono facilmente sorgere gli intrecci di coscienza e dove devono essere operate scelte sul male minore. Un cristiano che abbia determinati obblighi finanziari verso un certo numero di creditori, potrebbe certo essere in grado di onorare questi obblighi e, al tempo stesso, gli obblighi verso la sua famiglia. Se è facilmente influenzabile emotivamente, egli potrebbe partecipare ad un incontro dove vengono presentati certi bisogni del mondo in via di sviluppo o bisogni dell'opera dell'Evangelo, che lo conducono là e poi promette loro del denaro. Il mattino seguente, però, egli si rende conto di non potere onorare quella promessa e pagare i suoi creditori. Naturalmente, egli ha sbagliato promettendo ad alcuni denaro che dovrebbe piuttosto destinare ai primi. Ora egli deve affrontare il dilemma di onorare la sua promessa ma di non potere onorare i suoi obblighi finanziari verso i suoi creditori, o, al contrario, di pagare i suoi creditori e non onorare la sua promessa. Nelle circostanze del male minore, per quanto sia un male, sarebbe meglio per lui pagare i suoi creditori ma non onorare la sua promessa. La ragione è la seguente: i suoi creditori hanno un diritto prioritario al suo denaro e, stando così le cose, egli prometteva effettivamente ai secondi denaro che non era il suo, per quanto andasse ad una missione o simili. Chiaramente egli dovrebbe cercare di spiegare questo piuttosto che semplicemente non onorare la promessa. In altre parole, anche quando bisogna scegliere il male minore, il modo in cui lo si fa è della massima importanza. La questione dei voti era diventata particolarmente acuta al tempo della Riforma. In particolare, potevano coloro che avevano fatto il voto del celibato infrangere quel voto e sposarsi? Sebbene non vi sia alcun comando a sposarsi, c'è l'insegnamento biblico che dice che non tutti hanno il dono della continenza (1Corinzi 7:8-9). Naturalmente, ogni cristiano, che abbia o meno il voto della continenza, è chiamato ad essere casto. Nel caso, però, di coloro che non hanno il dono della continenza, persistere ad essere single può ben portare ad "ardere" (v. 9). In tali situazioni, un voto di celibato permanente va contro il consiglio biblico che afferma essere meglio sposarsi che ardere. Stando così le cose, sarebbe quindi un male minore infrangere tale voto piuttosto che onorarlo e esporsi ad "ardere". Allo stesso modo, una coppia che, per ignoranza, avesse fatto voto di astenersi in modo perpetuo dai rapporti sessuali, sarebbe come far voto di qualcosa che è contrario all'insegnamento di Paolo in 1Corinzi 7:1-7. Ancora, questo voto dovrebbe essere infranto.</ref>.

Applicazioni pratiche

Vi sono molte situazioni dove la dottrina del male minore è di fatto applicabile. Ne identificherò brevemente alcune che potrebbero sorgere nella vita pastorale e nella pratica ecclesiale.

Il primo esempio riguarda la proibizione di Paolo alle donne di esercitare autorità sugli uomini nel contesto ecclesiale.<ref>1Timoteo 2:11-12. questi versetti, naturalmente, sono stati oggetto di un acceso dibattito esegetico e teologico. Non mi occuperò di queste questioni che vanno al di là del presente studio. Presumerò, però, ciò che è stato persuasivamente affermato da numerosi studiosi, cioè che questa proibizione è radicata nella creazione e caduta e significa esattamente ciò che essa sembra significare</ref>. Immaginiamo che una coppia sposata lavori ad un progetto missionario pionieristico, che il marito lavori per stabilire una chiesa e che la moglie lavori con le donne. Non vi sono altri operatori cristiani nell'intera regione. Avviene un periodo di risveglio spirituale e centinaiadi persone sono improvvisamente portate nel regno di Dio. Notizia di esso raggiunge il paese da cui proviene quella coppia e il risultato è che pure altri missionari giungono in quel paese insegnando un vangelo distorti e deviante, il che non è affatto vangelo. E' assolutamente essenziale che quella giovane chiesa sia protetta da tali influenze negative. E' proprio a quel punto che il marito cade ammalato, ha bisogni di un'operazione chirurgica e dovrà passare molti mesi di convalescenza. Sua moglie è bene istruita nella Scrittura e ha una robusta comprensione della teologia e di come debba essere applicata. Forse che semplicemente dovrà permettere che quei falsi insegnanti si intromettano nella loro opera, sperando che mesi più tardi, il marito, ristabilito, affronti quel problema, oppure lei stessa inizia a predicare e ad insegnare a quei giovani credenti?

Sebbene il presente scrittore sia pienamente persuaso che il governo e l'insegnamento nella chiesa debba essere affidato esclusivamente ad uomini, si propone che questa situazione debba rietrare nella categoria del male minore. Il comando di prendersi cura del popolo di Dio e di amarci l'un l'altro, in queste circostanze, secondo me dovrebbe poter scavalcare la proibizione di una donna ad insegnare e ad avere autorità su un uomo. Naturalmente, la situazione non è l'ideale e si spera che con il tempo essa possa aggiustarsi nel modo migliore. La dottrina del male minore, ciononostante, permetterebbe questo corso d'azione.

Un secondo tipo di situazione riguarda le donne non sposate con figli. Nell'attuale clima in Occidente, è lungi dall'essere raro che una donna che sia in una relazione stabile con un uomo e che abbia avuto figli da lui, giunga alla conversione e che poi chieda il battesimo e essere membro di chiesa. La cosa appropriata da fare, naturalmente, è che quella donna sposi il suo partner. Se però quell'uomo, qualunque ne sia la ragione, si rifiuta di farlo? Questo scrittore ha conosciuto numerosi casi così. L'uomo è un buon padre per i suoi figli, provvede per loro finanziariamente, dà loro supporto emotivo ed è interessato in tutto ciò che li riguarda. Dalla loro parte, quei bambini sono devoti verso di lui e la loro madre. Quali sono le opzioni se quell'uomo non intende sposare quella donna? Consideriamole una per una.

La prima è che quella donna lasci il suo partner. questo significherebbe immediatamente che quei bambini non vivrebbero più con il loro padre e madre, ma con solo uno dei loro genitori. Si ubbidisce così ad un comando (non vivere con qualcuno con il quale non si sia sposati) ma fa saltare il modello biblico che i figli stiano con il loro genitori assieme. In effetti una tale decisione spezzerebbe una famiglia, con gli inevitabili risultati negativi conseguenti, non ultimi la sofferenza di bambini innocenti. Questo deve essere considerato contro il fatto che quell'uomo e quella donna sono marito e moglie solo di nome. in un caso conosciuto da questo scrittore, la madre ha persino assunto il cognome del padre, e i figli quello del padre. Questo è sicuramente una situazione di male minore: si propone che sarebbe un male minore per la coppia continuare a vivere assieme che dissolvere quella famiglia di fatto semplicemente perché non si sono sottoposti alla cerimonia del matrimonio. insistere altrimenti significherebbe dire che non essersi sottoposti a tale cerimonia, che può svolgersi in pochi minuti e che sarà registrata in un registro di matrimoni, è un male più grande che spezzare ciò che può comunque essere una famiglia felice, amorevole e provvidente. Questo, pare, è il classico caso di filtrare moscerini ed inghiottire cammelli.

Si potrebbe obiettare che lo spezzare una famiglia di fatto sia una conseguenza cattiva piuttosto che un atto cattivo. La conseguenza cattiva è causata da un atto moralmente buono (la donna che rifiuta di continuare a vivere in stato non matrimoniale). <ref>Le nozioni di causa e conseguenza sono lungi dall'essere chiare e fanno sorgere questioni profonde e complesse. David Hume considerò dettagliatamente l'intera nozione di causa(zione), sostenendo che non vi possono essere connessioni necessarie fra eventi successivi (D. Hume, A treatise of Human Nature (London 1911), p. 163-164). La nozione di causa(zione) ha occupato la mente di avvocati e di filosofi legali, particolarmente rispetto al cosiddetto principio di "doppio effetto". Un trattato stimolante sulla nozione di causazione in campo legale, e che interagisce con le idee di Hume, si trova in H. L.A. Hart e A. M.Honore Causation in the Law (Oxford) Clarendon Press, 1959. Un'esposizione delle implicazioni della posizione dello Hume rispetto all'induzione si trova in Bertrand Russell The Problem of Philosophy (Oxford) OUP, 1967, cap. 6, mentre una critica della posizione del Hume è fornita da Nicholas Maxwell, Can There Be Necessary Connections Between Successive Events in Richard Swinburne (Ed.) The Justification of Induction (London) OUP, 1974. Per una critica del principio del doppio effetto, vedasi John Harris On Cloning (London) Routledge, 2004, pp. 130-131. Io rispondo all'argomentazione del Harris in un libro che alla data attuale è ancora in elaborazione sulla questione della vita e della morte.</ref>. Questa, però, è un'analisi superficiale della situazione. Qualunque sia il caso riguardo alle conseguenze negative, può essere facilmente sostenuto che si tratta di un atto cattivo per una donna lasciare il suo partner e quindi spezzare la sua famiglia di fatto e causare sofferenza emotiva nei figli. Questo non significa negare che sia stata lei a contribuire a creare la complessa situazione in cui si trova andando a vivere con quell'uomo. Si riconosce, però, che vi sono situazioni che era peccaminoso farle sorgere, ma che, essendo comunque presenti, sarebbe più peccaminoso ancora infrangere. Inoltre, vi possono essere situazioni che era peccaminoso farle sorgere ma che possono in seguito essere regolarizzate. Laddove, però, non sia possibile regolarizzare lo stato di fatto, può essere ancora più peccaminoso infrangere quel dato di fatto piuttosto che permettere che continui.

La questione può essere sollevata sul perché quell'uomo non voglia sposare quella donna. Strettamente parlando, questo non ci deve riguardare, può essere perrò utile rilevare come molto uomini possono uscire da famiglie spezzate e sentire che dato che i loro genitori erano sposati e divorziati, non vi sia ragione di sposarsi. Naturalmente, io non sarei d'accordo con un uomo che sostenga una tale posizione. Inoltre, è certamente una grave carenza di amore da parte sua non fare ciò che la sua partner desidera. Ciononostante, pur essendo da parte sua una carenza d'amore, questo non significa che egli non la ami e certamente non significa che egli non ami i suoi figli. La pratica pastorale esige che noi trattiamo con persone nella situazione in cui si trovano, non in quelle che noi vorremmo che fossero.

Serve anche rilevare che la situazione è anche più complessa di quella che ce se ne renda conto: perché se quella donna sposa quell'uomo, lei sposerebbe un incredulo. il tenore generale della Scrittura, come pure 1Corinzi 7:39, è che essa proibirebbe un tale matrimonio. Eppure, presumibilmente, coloro che pensano che lei dovrebbe sposare quell'uomo e che, se non può, dovrebbe lasciarlo, considerano un tale matrimonio come un male minore; è un male minore regolarizzare un dato di fatto sposandosi piuttosto che rifiutarsi di sposarsi perché quell'uomo è un incredulo.

Presumiamo, però, che quella donna rimanga con quell'uomo. Forse che questo vorrebbe dire che non dovrebbe essere battezzata ed accettata come membro di chiesa? Su quale base si rifiuterebbe il battesimo e l'ammissione come membro di chiesa?<ref> Sebbene lo scrittore creda che sono credenti professanti dovrebbero essere battezzati, egli si rende conto come un argomento cogente, basato sulla teologia del patto, può essere sostenuto per il battesimo di figli di un credente, e crede che un convinto pedo-battista, che crede che egli battezzerebbe validamente un bambino, dovrebbe essere ammesso come membro di una chiesa che non ammetta il battesimo dei bambini, basta che il pedo-battista sia consapevole di questo e non cerchi di sovvertire la posizione della chiesa in cui si trova. Nell'attuale esempio, però, presumo che la donna non provenga da una famiglia di credenti e che non sia mai stata "battezzata" prima.</ref>. Dato il fatto che il Nuovo Testamento comanda il battesimo per coloro che siano giunti al ravvedimento ed alla fede, e che la chiesa ha il dovere di battezzare coloro che sono stati resi discepoli, si può solo concluderne che la sola ragione di rifiutare quel battesimo sarebbe che la sua indisponibilità a lasciare quell'uomo rende sospetta la sua professione di fede o così incoerente con una professione di fede cristiana che rifiutare il battesimo equivarrebbe ad un atto di esclusione disciplinare. Vi è sicuramente una differenza fra un credente professante che rifiuta di rendere ciò che i Puritani descrivevano come "ubbidienza universale", che è un elemento essenziale della vera conversione e la decisione coscienziosa di un vulnerabile giovane cristiano a fare ciò che essa crede che sia meglio per lei e i suoi figli in quelle circostanze. Una volta che si accetta che davvero lei è convertita e rende ubbidienza universale, anche se questo la costringe di fare la scelta del minor male, non significa forse questo che c'è l'obbligo per lei di farsi battezzare e per la chiesa battezzarla ed accoglierla come membro? E non sono forse le parole di Paolo in Template:Passi biblico di suprema rilevanza? Il fatto che lei desidera sposarsi ma non è in grado di farlo, non la porta forse nell'ambito del principio dichiarato in 2Corinzi 8:12, e non forse questo la distingue da qualcuno che adotti un'atteggiamento indifferente a riguardo del matrimonio?

Un'altra area dov'è applicabile la dottrina del male minore riguarda l'aspetto del rapporto fra le chiese. Uno può credere che un certo numero di dottrine siano insegnate nella Scrittura e che un'altra vera chiesa evangelica non lo faccia. Potrebbe, ciononostante esserci il caso che la dottrina del male minore sia applicabile: sarebbe un male più grande non aver comunione con tale chiesa evangelica di quanto sarebbe avervi comunione e compromettere la propria purezza dottrinale. Questa è un'area di straordinaria complessità: vi sono chiaramente situazioni in cui tale comunione potrebbe tanto compromettere la purezza dottrinale che sarebbe un male minore non aver comunione con tele chiesa. Non è possibile legiferare per ogni concepibile tipo di situazione, dato che vi saranno sempre circostanze dove è necessario porre su una scala di importanza principi che si applicano in ogni data situazione e che sono della massima importanza.

Conclusione

Le Scritture insegnano chiaramente una dottrina del male minore. Questa dottrina è stata riconosciuta per tutta la storia della chiesa. La ragione per tale dottrina è che in questo mondo decaduto sorgeranno sempre situazioni meno che ideali dove dobbiamo fare una scelta. In particolare sorgeranno situazioni dove l'ubbidienza ad un comando biblico condurrà inevitabilmente alla disubbidienza ad un altro comando biblico. In tali circostanze, bisogna scegliere a quale comando disubbidire. Tale scelta dovrà solo essere fatta in modo responsabile valutando il peso relativo del comando in questione. Sebbene questo richieda attenta esegesi e comprensione bene informata dell'etica biblica, questo non significa che tali questioni siano puramente teoriche ed accademiche, nel senso peggiorativo del termine. E' vero il contrario! La pratica pastorale e la vita della chiesa regolarmente ci presenterà questo tipo di situazioni, e dato che la società si sta muovendo sempre più lontano dai criteri di vita stabiliti da Dio resi noti sia dalla rivelazione generale che da quella particolare, questo tipo di situazioni saranno sempre più comuni. se pastori e predicatori devono aiutare il popolo di Dio che è loro privilegio guidare, insegnare, ed aiutare, allora per loro è essenziale comprendere la base biblica della dottrina del male minore ed i confini nei quali opera.

[fine]


Note <references />