Letteratura/Da Pietro al papato/Capitolo Secondo

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CAPITOLO SECONDO: IL «TU SEI PIETRO» NELLA SEZIONE COMUNE

I testi comuni

Abbiamo già osservato come Matteo riferisca alcuni episodi petrini che non appaiono altrove; il passo più importante sul quale è sorta un'immensa produzione letteraria riguarda l'aggiunta da lui introdotta dopo la confessione di Pietro a Cesarea (Matteo 16, 17-19). Ecco l'episodio di Cesarea come viene presentato dai tre sinottici nella parte loro comune, che qui studierò per primo, rimandando in seguito l'esame della aggiunta mattaica:

Marco 8:27-29

"7 Poi Gesù, con i suoi discepoli, se ne andò verso le borgate di Cesarea di Filippo e, cammin facendo, domandò ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che io sia?”. 28 Ed essi risposero: “alcuni, Giovanni il battista; altri, Elia; e altri, uno dei profeti”. 29 Egli domandò loro: “E voi, chi dite che io sia?”. E Pietro rispose: “Tu sei il Cristo”.

Matteo 16:13-16

13 Poi Gesù, venuto nelle parti di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?”. 14 Essi risposero: “alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti”. Ed egli disse loro: “E voi, chi dite che io sia?”. 15 Simon Pietro, rispondendo, disse: 16 “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.

Luca 9:18-20

18 Mentre egli stava pregando in disparte, i discepoli erano con lui ed egli domandò loro: “Chi dice la gente che io sia?”. 19 E quelli risposero: “alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; e altri, uno dei profeti antichi risuscitato”. 20 Ed egli disse loro: “E voi, chi dite che io sia?”. E Pietro, rispondendo, disse: “Il Cristo di Dio”.

Si tratta di uno stesso episodio?

Contro l'interpretazione più ovvia, che vi vede un medesimo episodio, l'ex rabbino E. Zolli, convertitosi al cattolicesimo, poggiando su di un concetto troppo rigido di ispirazione, sostenne che dai particolari diversi dei tre sinottici si deve concludere a tre episodi diversi della vita di Gesù, con i quali il Maestro avrebbe ripetutamente cercato di meglio illuminare i suoi discepoli (1) . Tuttavia, come già ebbi occasione di mostrare altrove questa opinione è insostenibile (2) . Le principali ragioni per la distinzione degli episodi si riducono a tre: diversità di luogo, diversità di ragionamento, diversità di confessione. Ma gli agiografi non erano dei semplici copisti riproducenti alla lettera le parole altrui e gli episodi della vita di Cristo; essi conservavano una certa elasticità d'espressione, si adeguavano alla cultura dei lettori che intendevano catechizzare e presentavano i racconti secondo la visuale propria di ciascuno.

a) Il luogo

Per Marco e Matteo si tratta di Cesarea di Filippo, una città ricostruita nel I secolo d.C. da Filippo (4-34 d.C.), tetrarca della Gaulanitide e della Traconitide, accanto alle sorgenti del Giordano; distante circa 66 Km da Damasco, essa è ora abitata da circa duecento famiglie arabe (3) . Il suo nome attuale, Banjas , si ricollega al dio Pan che era venerato in una delle grotte vicine. Tale città giaceva di fatto in un luogo solitario, per cui non vi è motivo di ritenere che la relazione lucana narri un episodio diverso da quello riferito dai sinottici (4) .

L'omissione del nome da parte di Luca si spiega con la teologia geografica del terzo Vangelo; infatti l'ultimo nome proprio ricordato da Luca è Betsaida (Luca 9, 10), più avanti tutta l'attenzione dell'evangelista sembra concentrarsi su Gerusalemme, dove Gesù deve subire il suo martirio.

Per questo Luca fa svolgere tutto il restante Vangelo in un lungo viaggio di Gesù verso Gerusalemme, nel quale incorpora quasi tutti gli eventi della vita di Gesù (Luca 9, 51 - 19, 48). Poi dopo la morte e la resurrezione nella città santa, la buona novella si sparge gradatamente da Gerusalemme, poi ad Antiochia, passando per la Samaria, e infine verso i confini del mondo (Atti). Ciò che non collima con questo schema di geografia teologica viene omesso (ad esempio le apparizioni di Cristo in Galilea che farebbero evangelizzare questa regione prima della più vicina Samaria) o presentato senza indicazione di luogo. Il fatto stesso che Luca presenti il racconto della confessione dopo aver ricordato Betsaida – che si trovava a nord -est del lago di Tiberiade secondo i risultati più recenti – ed era stata pur essa ricostruita da Filippo, ci fa comprendere che anche qui la confessione petrina avvenne nel territorio appartenente al tetrarca, dove appunto si trovava Cesarea, che era davvero un « luogo solitario » (5) . Il nome è omesso solo perché, se fosse nominato farebbe allontanare Gesù da Gerusalemme anzichè farlo avvicinare, secondo lo schema geografico del suo Evangelo.

Non si può dire che la preghiera ricordata solo da Luca ci obblighi a riconoscervi un episodio diverso da quello degli altri sinottici: spesso Luca aggiunge di suo nel Vangelo la preghiera di Gesù per sottolineare l'importanza dell'evento (6) .

b) Il colloquio

Le variazioni che vi si trovano sono puramente psicologiche o stilistiche, quali si riscontrano sempre presso persone che non riferiscono alla lettera le parole altrui. Il « che dicono gli uomini » è cambiato in « le turbe » da Luca, perché questo vocabolo indicava meglio la «gente» che era stata in contatto con Gesù, che non il termine generico di «uomini», il quale per sé indica il genere umano nella sua totalità in quanto distinti dagli animali. Anche il « risorto » aggiunto ad « uno dei profeti» è usato da Luca per chiarire ai Gentili, alieni dal concetto di resurezione, come mai si potesse pensare che un antico profeta già defunto fosse tornato su questa terra.

Anche il cambiamento del « Figlio dell'uomo » (Matteo) nel pronome « io » (Marco e Luca) si spiega con il semplice fatto che l'espressione « Figlio dell'uomo », pur essendo talora sinonimo di Messia (7) , non di rado si riduceva ad avere un semplice valore pronominale. Che tale sia il caso nel passo presente risulta dal fatto che Gesù non può aver chiesto che cosa pensassero le turbe del Messia, poiché in tal caso la risposta sarebbe stata diversa, ma che cosa esse pensassero di lui (cfr pire Marco 8, 31 e Luca 9, 21 con Matteo 16, 21).

Anche il richiamo delle voci circolanti su Gesù non è altro che una esplicitazione più o meno ricca del medesimo concetto. Per alcuni, ad esempio Erode, in cui si mescolavano vari sentimenti e rimorsi per la decapitazione del profeta e le credenze farisaiche o pagane riguardanti la resurrezione e la reincarnazione dei morti, Gesù era il redivivo Battista (cfr Marco 14, 1 s). Per altri egli era semplicemente uno dei profeti antichi, forse lo stesso Elia che tanta risonanza godeva nell'apocalittica giudaica; trasferito da Dio in cielo, secondo le idee rabbiniche sarebbe dovuto riapparire negli ultimi giorni (8) . Anche l'Ecclesiastico presentava Elia come colui che era « riservato per le prove future, per placare la collera prima che divampasse, per ricondurre il cuore del padre verso il figlio, per ristabilire la tribù di Giacobbe » (Eccli 48, 10). Gesù correggendo i falsi concetti messianici del suo tempo, identificò Elia con il Battista, non perché costui fosse la reincarnazione del primo, ma perché del precedente possedeva «lo Spirito e la potenza» (9) .

Matteo, all'enumerazione precedente, aggiunge anche la figura di Geremia, colui che, pur avendo occultato, secondo la leggenda giudaica, il fuoco sacro, l'altare e la tenda del Convegno in una grotta prima del saccheggio di Gerusalemme, non assunse mai una posizione di rilievo nell'apocalittica giudaica (2 Macc 2, 1-8). Era però logico che il popolino pensasse che Geremia – già apparso in visione a Onia per consegnargli una spada aurea (2 Macc 15 13-16) – dovesse riapparire prima del Cristo onde svelare la grotta e ridonare agli Ebrei gli oggetti necessari al culto.

c) La confessione di Pietro (10)

Pur nella diversità dei vocaboli il concetto è perfettamente identico provando l'unicità dell'episodio. La forma più semplice è quella di Marco, che attraverso la frase lucana, raggiunge la sua espressione più vasta in Matteo.

a) Tu sei il Cristo (Marco 8, 29) b) Tu sei il Cristo di Dio (Luca 9, 20) c) Tu sei il Cristo, il Figlio dell'Iddio vivente (Matteo 16, 16) L'appellativo « vivente » non è altro che una specificazione assai usata nella Bibbia per indicare il vero Dio, ben diverso da tutti gli altri idoli muti e privi di vita (11) . Come Dio è vivente e dà vita, così anche suo Figlio diviene datore di vita per cui anche il credente, innestato al Cristo, si trasforma in un «sasso vivente» nell'edificio della Chiesa (cfr 1 Pietro 2, 4-5).

L'appellativo « Figlio di Dio » è solo una esplicazione del vocabolo Cristo, aggiunta da Matteo in tempo posteriore, in armonia con lo sviluppo teologico del suo tempo, per rendere più enfatica la professione di fede attuata da Pietro. Tuttavia anche se si volesse supporre che davvero Pietro abbia aggiunto lui stesso le parole « Figlio di Dio », tralasciate dagli altri sinottici, non ne deriverebbe che egli ne abbia compreso tutte le implicanze. Nei sinottici « Cristo » e « Figlio di Dio » sono espressioni intercambiabili ed esprimono più la messianicità di Gesù che non la sua divinità. Infatti talora per indicare che Gesù è il Cristo si usa la frase « Figlio di Dio », confermando in tal modo la sinonimia dei termini (12) . In quanto espressioni intercambiabili, al mattaico: « Salvato se sei il Figlio di Dio » corrisponde il lucano « Salvati, se sei il Cristo » (13) . Anche dopo essere stato proclamato « Figlio di Dio» da Pietro, Gesù proibisce ai discepoli di annunziare che egli era il « Cristo » (Matteo 16, 16-20). Quando i demoni affermano che Gesù è « Figlio di Dio ». Gesù proibisce loro di dire ch'egli è il Cristo (Luca 4, 41). Anche presso gli apocrifi il Messia è talora chiamato « il mio Figlio, il Messia » (14) . Dobbiamo quindi stare cauti nell'inferire implicazioni teologiche conformi alla mentalità odierna, da termini allora intesi in modo ben più semplice (15) .

Il rimprovero di Pietro

Dopo questa professione di fede, Gesù passò a chiarire che egli, pur essendo il Messia, doveva attuare una missione ben diversa da quella che usualmente gli Ebrei si attendevano. Egli avrebbe dovuto passare per la sofferenza e il dolore; subire il rifiuto a Gerusalemme, il centro della vita religiosa, da parte degli organi rappresentativi giudaici (anziani, capi sacerdoti, scribi); alla sua morte sarebbe tuttavia successo il trionfo della resurrezione. Mentre tutti e tre i sinottici s'accordano nel riferire questa predizione, Matteo e Marco vi aggiungono pure l'opposizione di Pietro a tale visione di dolore (« Lungi da te questo ») e il successivo rimprovero di Gesù che lo scaccia, come già aveva scacciato Satana, allorché voleva rimuoverlo dalla sua missione: « Via da me Satana. I tuoi sentimenti non sono quelli di Dio, bensì quelli degli uomini » (16) .

L'elogio proprio di Matteo

Nel racconto precedente, comune a tutti e tre i sinottici, Matteo aggiunge il proprio elogio e la promessa di Gesù a Pietro, che così suonano:

Prendendo la parola Gesù gli disse: « Tu sei beato, Simone Barjona: perché non è la carne né il sangue che te l'hanno rivelato, bensì il Padre mio, che sta nei cieli; e io ti dico: Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa, le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del Regno dei cieli. Ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e ciò che scioglierai sulla terra sarà slegato nei cieli » (Matteo 16 17-19)

Prima di analizzare il senso mi sia permesso richiamare alcuni problemi collaterali:

Genuinità del passo

a) Il problema

Fu solo verso la fine del secolo scorso che si prese a negare l'autenticità di questo brano esclusivo di Matteo (17) . Il Cristo credendo imminente la venuta del regno escatologico finale, non poteva preannunciare la comparsa della «Chiesa» che ne è una fase intermedia. Secondo la frase suggestiva di A. Loisy: « Gesù ha predicato il Regno di Dio, e ne è balzata fuori la Chiesa » (18) . Il Loghion, messo in bocca a Gesù più tardi, sorse probabilmente a Roma nel II secolo (non è infatti citato prima del 190) e costituì il primo passo verso l'autorità della Chiesa romana (19) .

Il Harnack, poggiando sulla presunta lezione del Diatessaron di Taziano, anziché respingere tutto il «loghion» («detto») di Cristo, si limitò ad eliminare le parole: « Su questa pietra edificherò la mia chiesa » ed a modificarne il pronome « su di essa » ( autès ) in « su di te » ( sou ). In tal modo la frase si ridurrebbe alla promessa di immortalità dell'apostolo Pietro da parte di Gesù « Tu sei Pietro e le porte dell'Ades non prevarranno su di te » (20) .

Più tardi i critici tornarono ad ammettere la genuinità del detto, sia per il suo colorito semitico (J. Jeremias), sia per la inscindibile connessione esistente tra il Figliuol dell'Uomo e i Santi del Nuovo Israele (Kattenbusch), sia perché la parola «ecclesia» non esprime ancora la Chiesa del II secolo, ma equivale al « resto d'Israele » già predetto dai profeti dell'Antico Testamento (Schmidt) (21) .

Una seconda reazione ebbe inizio nel 1941 con gli scritti del Bultmann, il quale pur ammettendo l'antichità del loghion, comprovata dalla sua impronta semitica, ne negò l'origine dal Cristo, perché questi intendeva dare inizio a un regno escatologico futuro, non a una Chiesa immediatamente realizzabile (22) . W. C. Kümmel, pur ammettendo che il futuro regno escatologico sia già in un certo qual senso anticipato con il Cristo, negò che tale anticipazione sarebbe dovuta continuare nella Chiesa. Fu solo più tardi, che i primi cristiani, vedendo il ritardo della parusia, pensarono che il regno escatologico fosse già anticipato non solo nel Cristo, ma anche nella Chiesa; a loro quindi, ma non a Gesù, risale il detto « Tu sei Pietro » (23) .

Più recentemente il critico A. Oepke tornò a difenderne la genuinità insistendo sul fatto che la frase, corrispondendo alle idee messianiche contemporanee circa il « nuovo popolo di Dio », poteva essere espressa anche da Gesù (24) . Oggi i critici si dividono in due gruppi di pari forza di cui gli uni difendono la genuinità del brano mattaico, mentre gli altri la negano.

b) Regioni favorevoli all'autenticità

Non fa più difficoltà oggi la sua omissione in Marco e Luca, dal momento che i loghia di Gesù circolavano all'inizio in gran parte isolati, come appare dall'apocrifo Vangelo di Tommaso recentemente scoperto a Nag Hammadi in Egitto (25) .

L'origine palestinese del loghion su Pietro appare dal suo colorito semitico: nome Barjona , espressione « carne e sangue », gioco di parole su « Pietro-pietra », possibile solo nell'aramaico Kefa (26) , dall'affinità del brano con un passo degli Inni trovati nei pressi di Qumrân (27) , dalla sua presenza solo in Matteo che è un Vangelo di origine palestinese.

La sua antichità è provata dal fatto che in esso non v'è ancora alcun cenno polemico a Giacomo, il quale nella tradizione posteriore entrò in concorrenza con Pietro (28) . Il loghion dev'essere anzi anteriore al 53 d.C. come si può dedurre dall'esame di un brano delle Omelie Pseudo-Clementine , risalente al tempo della polemica antipaolina svelata pure dall'epistola ai Galati (ca. 53 d.C.). In essa Pietro obietta a Paolo di essersi opposto al fondamento della Chiesa. E' contro la solida rocca e il fondamento della chiesa che ti sei eretto da avversario (29) . Queste parole utilizzano il detto « Tu sei Pietro» dimostrandone così la sua esistenza presso alcuni ambienti petrini che lo usavano nella loro diatriba antipaolina (ca 53 d.C.).

Penso che alla stessa conclusione si giunga leggendo l'epistola ai Galati, dove Paolo presenta la sua dignità apostolica in modo che non appaia per nulla inferiore a quella di Pietro (30) . Anche se, quando Paolo scrisse la sua lettera ai Galati (ca 63 d.C.), il Vangelo greco di Matteo non era ancora esistente, doveva però già circolare il detto di Gesù « Tu sei beato o Simone... », perché Paolo di fronte alla rivelazione di Pietro elogiata da Gesù (Matteo 16, 17 s), esalta la sua propria «rivelazione» ( apocàlupsis , Ga 1, 15-16), e afferma di non aver voluto consultare « carne e sangue» (Matteo 16, 17), vale a dire alcuna persona, fosse pure l'apostolo Pietro, per recarsi tosto in Arabia a meditare su quanto lui personalmente aveva ricevuto (31) .

Una conferma dell'intento apologetico dei primi due capitoli della epistola ai Galati appare anche dal fatto che per parificare se stesso all'apostolo «fondamento», Paolo anziché chiamare, come al solito, l'apostolo del giudaismo con il nome Cefa (cfr anche sotto al v. 11), qui, eccezionalmente, adopera il nome Pietro, che, etimologicamente, era meglio comprensibile ai suoi lettori greci (« roccia, rupe o sasso» ) (32) . Tutto ciò milita per la esistenza del loghion anteriormente al 53 d.C.

Vi sono poi indizi sufficienti per attribuire questo detto a Gesù Cristo (33) . L'espressione «Tu sei beato » ( makàrios ) ricorre spesso sul labbro di Gesù, sia in senso generico (Matteo 5, 3 ss) sia in senso individuale (34) . Il simbolismo delle chiavi è usato anche altrove da parte di Gesù (Luca 11, 52); la ripetizione di un'idea in tre strofe (Matteo 16, 17.18.19), riappare in altri passi sul labbro di Gesù (35) .

Il concetto poi di «assemblea» («ecclesia») per indicare il «nuovo popolo messianico» non fa più meraviglia ora, in quanto era corrispondente all'attesa di quel tempo, specialmente presso la comunità di Qumrân. Anche loro ammettevano che della loro comunità Dio aveva posto «la fondazione sopra la roccia» (36) ; al pari del proto martire Stefano, essi credevano di costituire «la comunità», la «chiesa» messianica (37) . Molti elementi militano dunque a favore dell'autenticità del Loghion, che quindi non si può più tanto facilmente respingere.

Occasione in cui il «detto» di Cristo fu pronunciato

Recentemente alcuni studiosi, sia protestanti che cattolici, pur ammettendo la genuinità del loghion, negano che si riallacci alla confessione di Pietro, perché manca nei passi paralleli di Marco e Luca. Anche il verbo « ti hanno rivelato », mancante dell'oggetto « ciò », fa vedere, secondo il Cullmann, che tale detto non doveva appartenere a questo contesto. Lo spostamento dei detti di Gesù era facile nei primi tempi della Chiesa, quando essi « circolavano isolati in collezioni prive di nesso con gli episodi storici della vita di Gesù » (38 ). L'evangelista Matteo, che ama raggruppare anche altri episodi e discorsi di Cristo(39 ), può aver ricollegato il detto di Gesù alla professione di fede da parte di Pietro per affinità di argomento e di forma (40 ). Secondo A. Leagault, Matteo avrebbe avuto l'intento apologetico di smorzare con tale detto la sgradita impressione lasciata dal rimprovero di Gesù a Pietro (41) .

L'ipotesi precedente può accordarsi con l'ispirazione biblica; non sarebbe il primo caso in cui l'evangelista per ragioni teologiche o apologetiche sposta dei detti o degli eventi di Cristo (42) . Ma in tal caso bisognerebbe trovare una situazione più adatta della attuale presentata da Matteo, ciò che tentarono appunto di fare alcuni autori recenti. Così E. Stauffer ricollega tale detto alla apparizione di Gesù risorto a Pietro (43) ; Il Weiss alla confessione di Pietro a Cafarnao dopo la moltiplicazione dei pani (44) ; il Cullmann all'ultima Cena quando Cristo profetizzò il futuro rinnegamento di Pietro (45) . Non mi sembra tuttavia che le circostanze suggerite da questi autori siano migliori di quella che esiste nel Vangelo di Matteo.

L'omissione di Marco e Luca si potrebbe spiegare con il fatto che costoro non trovarono tale detto nella loro fonte storica, in quanto i detti di Gesù circolavano allora isolati dal contesto, come in una specie di antologia. Oppure si può anche pensare che, essendo il loghion ricollegato alla confessione di Pietro, di cui tesse un mirabile elogio, fu omesso da Marco perché non si confaceva alla progressiva manifestazione del segreto messianico da lui adottata. La confessione di Pietro – che è il punto centrale del Vangelo di Marco – è quivi narrata con il minor numero di parole: « Tu sei il Cristo », solo per avere l'occasione di insegnare che il messianismo di Gesù era ben diverso dall'aspettativa gloriosa dei suoi contemporanei, in quanto includeva l'obbedienza totale al Padre sino alla morte della Croce. Questo è il climax raggiunto dal secondo evangelista (46) . In tale contesto non v'era posto per esaltare la confessione del Cristo pronunciata da Pietro.

Luca poi, che in questo caso segue come fonte Marco, omette l'elogio di Cristo solo perché non la trovava nella sua fonte. Di più tale detto – ora fondamentale nel cattolicesimo romano – non era così importante a quel tempo, per cui poteva benissimo essere omesso, dato che nulla diceva di più di ciò che già era incluso nella precedente confessione petrina (47) .

Ad ogni modo a noi non interessa sapere quando Gesù abbia pronunciato tale detto; quel che più conta è il contesto nel quale è stato inserito da Matteo e dal quale esso riceve la sua luce interpretativa. In tal modo ci è possibile vedere quale significato la Chiesa primitiva abbia dato al detto di Gesù. Dal contesto vediamo che l'ispirato Matteo vi vede un collegamento con la fede in Cristo, prima proclamata da Pietro. E questo è sufficiente per conoscere l'insegnamento che con esso Matteo voleva donare ai suoi lettori (48) .

Note

  • 1. E. Zolli, La confessione e il dramma di Pietro , Roma, Figlie della Chiesa «Cor Unum», Viale Vaticano 62, 1964.
  • 2. F. Salvoni , La confessione di Pietro secondo E. Zolli , in «Ricerche Bibliche e Religiose» 1 (1966), pp. 353-363.
  • 3. Cfr G. Flavio , Ant. Giud. 18, 2, 1. E' detta di «Filippo» per distinguerla dalla Cesarea posta sul Mediterraneo, che era sede del procuratore romano.
  • 4. «Villaggi» (Marco) e «regione» (Matteo) indicano la stessa cosa, vale a dire il territorio contiguo alla città di Cesarea, ritenuta da Marco un complesso di villaggi.
  • 5. Sulla teologia della geografia lucana cfr F. Salvoni , Modern Studies in the Resurrection of Jesus , in «Restoration Quarterly» 5 (1961), pp. 88-99 (specialmente p. 98).
  • 6. Cfr l'aggiunta, da parte di Luca della preghiera anche in occasione della chiamata dei Dodici (Luca 6, 12); cfr Matteo 10, 1-4; Marco 3, 13-19.
  • 7. Cfr O. Cullmann , Christologie du N.T. , Neuchâtel 1958, pp. 118-166; A Feuillet , Les Fils de l'Homme de Daniel et la tradition biblique , in «Rev. Bibl.», 1953, pp. 170-202; R. Marlow , The Son of Man in Recent Journal Literature , in «Cath. Bibl. Quart.» 28 (1966, pp. 20-30.
  • 8. Ml 3, 23 oppure 4, 5 secondo altre numerazioni.
  • 9. Marco 9, 11-13 e Luca 1, 17. Per la figura di Elia nell'escatologia ebraica cfr J. Hering , Le royaume de Dieu et sa venue , 2 ediz.; Neuchâtel 1959, pp. 68-72.
  • 10. Cfr. G. Dalman , Worte Jesu , Leipzig 1898, 219-226. Cfr Th. de Kruijf , Der Sohn des lebendigen Gottes. Ein Beitrag zur Christologie des Matthäusevangeliums , Roma 1962; M.B.F. van Iersel , «Der Sohn» in den synoPietroischen Jesusworten. Christusbezeichnung der Gemeinde oder Seibstbezeichnung Jesu , Leida 1961, pp. 94-95.
  • 11. Cfr Giovanni 6, 57; Rm 9, 26; Os 2, 23; Gr 10, 6-10.
  • 12. Cfr Matteo 8, 29; 14, 23; 27, 40.43; Marco 3, 11; Luca 21, 70; Giovanni 1, 34.39; 11, 27; 19, 7.
  • 13. Matteo 27, 40; Luca 23, 35.
  • 14. 4 Esdra 4, 7.28. Cfr ivi 13, 32.37.52; Enoc 10, 5.2.
  • 15. Mi sembra questo un errore in cui è incorso S. Cipriani, nel suo studio La confessione di Pietro in Giov. 6, 69-71 (in « Pietro », o.c. pp. 93-111); nonostante le interessanti notizie e le deduzioni felici che vi si riscontrano, egli tende ad identificare la confessione di Cesarea presso i sinottici con quella di Giovanni 6, 69-71.
  • 16. Matteo 16, 23; Marco 8, 33 (per Satana cfr. Matteo 4, 9-10). L'episodio è narrato in Luca 9, 22; Marco 8, 31-33; Matteo 16, 21-23.
  • 17. Cfr Ortensio da Spinetoli , I problemi letterari di Matteo 16, 13-20 , in «Pietro», Brescia 1967, pp. 79-92.
  • 18. Loisy, L'evangile et l'Eglise, Paris 1902, p. 111.
  • 19. Così H. J. Holzmann , Handkommentar , t. l. ad locum. L'origine romana è stata suggerita da E. Bonaiuti , Storia del Cristianesimo , vol. I (Roma). La creazione del detto nel II sec. è sostenuta anche nel recente volume di P. Martinetti ( Gesù Cristo e il Cristianesimo , Milano, il Saggiatore, 1964, p. 83): « In esso (Vangelo di Matteo) ricorre il famoso detto di Gesù a Pietro: Tu sei Pietro, che è il linguaggio di un presbitero del II secolo, non certamente quello di Gesù. Ecclesiastica è la sua dottrina di fede, la sua concezione del Cristo; in esso già traspare l'inizio della disciplina ecclesiastica: le tendenze socialiste di Luca sono ripudiate; il sogno apocalittico comincia a svanire in un avvenire indefinito ».
  • 20. A. Harnack , Der Spruch über Petrus als Felsen der Kirche , in «Sitzungsberichte der Berl. Akad. der Wissenschaft» 1918, pp. 637-654. L'ipotesi fu combattuta da L. Fonk , Tu es Petrus , in «Biblica», 1 (1920), pp. 240-264; la supposta base tratta dal Diatessaron di Taziano fu confutata da S. Euringer , Der Locus classicus des Primatus (Matteo 16, 16) und der Diatessaron Text des heiligen Ephraim , in «Festgabe für A. Ehrhard», 1922, pp. 141 ss. Dal fatto che S. Efrem in un Commento al Diatessaron di Taziano (probabilmente del 170 d.C.) non parli della frase « Su questa pietra edificherò la mia chiesa », non si può inferire che in tale antica versione siriaca la frase mancasse.
  • 21. Kattenbusch , Der Quellhort der Kirchenidee , in «Festgabe für A. Harnack», 1921, pp. 142 ss; K.L. Schmidt , Das Kirchenproblem im Urchristentum, in «Theol. Blätter» 6 (1927), pp. 297 ss.; Idem , Die Kirche des Urchristentums , «Festgabe für Adolf Deissmann», 1927, pp. 259 ss.; A. Jeremias , Golgotha , 1926, pp. 68 ss. Si cfr F.M. Braun , Aspects nouveaux du problème de l'Eglise , Freiburg 1942, pp. 99ss.
  • 22. R. Bultmann , Die Frage nach der Echtheit von Mat. 16, 17-18 , in «Theologische Blätter», 20 (1941), pp. 265-275. Fu seguito da E. Hirsch , Frügeschichte des Evangeliums , Tübingen 1941, vol. II, p. 305; L.J. Cadoux , The Historic Mission of Jesus , London 1941, pp. 133-305.
  • 23. W. G. Kümmel , Kirchenbegriff und Geschichtebewusstsein in der Urgemeinde und bei Jesus , Uppsala 1943.
  • 24. A. Oepke, Der Herrenspruch über die Kirche, Mat 16, 17-19 in der neuesten Forschung , in «Studia Theologica» 2 (1948-1950), pp. 110-155. Secondo l'autore l'omissione è stata attuata dalla Chiesa ellenista influenzata da Paolo.
  • 25. Cfr F. Salvoni , Il Vangelo di Tommaso , in «Il Seme del Regno» 9 (1962), pp. 169-176. 219-266. 269-377 (specialmente pp. 274-277)
  • 26. Cfr N. Clavier , Pétros kai Pétra , in «Neutestamentliche Studien für A. Bultmann», Berlin 1954, pp. 101-103; J Ringger , Das Felsenwort, Zur Sinndeuteung von Mat 16, 18 von allem im lichte der Symbolgeschichte , in Roesle-Cullmann, Begegnung der Christen, Frankfurt am Main 1960, pp. 273-278.
  • 27. I Qumrân, Hodayòt 6, 26 che riporterò in seguito.
  • 28. Cfr F. Salvoni, Il Vangelo di S. Tommaso (vedi nota n. 25).
  • 29. Om 17, 13-19. Il brano successivo insiste invece sulla rivelazione avuta da Pietro (Matteo 16, 17): «Così anche a me il Figlio è stato rivelato mediante il Padre. Per questo io conosco per mia propria esperienza la potenza delle rivelazioni. Nel momento stesso in cui il Signore domandava: Che si dice ch'io sia? mentre io udivo gli altri due dare risposte differenti, questa potenza salì nel mio cuore, e io dissi, non so come: Tu sei il Figlio di Dio vivente » (Om 18, 1). Paolo non è espressamente nominato, ma si legge tra riga e riga, sotto il nome di Simon Mago (almeno in questo brano).
  • 30. Cfr Ga 1, 15s. Si leggano pure le considerazioni del capitolo seguente.
  • 31. I legami intimi con Matteo 16, 17 (e per Denis anche con il v. 18) furono rilevati da Albert M. Denis , (L'investiture de la fonction apostolique par l'apocalypse. Etude Thématique de Gal 1, 16 , in «Rev Bibl» 64, 1957, pp. 492-515) e da Refoulé ( Primauté de Pierre dans les evangiles , in «Revue de Sciences Religeuses» 98, 1964, pp. 1-41, specialmente pp. 15-21), ma per sostenere al contrario la dipendenza del v. 17 di Matteo 16 da Ga 1, 16, almeno nella sua forma attuale. Non penso necessario ricorrere a questa soluzione, sia perché il termine « carme e sangue » per indicare la persona umana, anche se non appare altrove nel Vangelo di Matteo, ricorre in Giovanni 6, 53 (cfr pure Enoc 15, 14 in Charles p. 198) e la « apocàlupsis » ( o rivelazione) è un termine usato anche altrove da Gesù (cfr Matteo 11, 25-27; Luca 10, 21-22); cfr H. Mertens , Lhymne de jubilation chez les synoPietroiques , Dis. Univ. Greg., Gembloux 1957. Le due espressioni possono quindi risalire benissimo a Gesù.
  • 32. Su rapporto di Ga 1-2 con Matteo 16, 16 ss cfr J. Jeremias , Golgotha und der Heilige Fels , in «Angelos» 2 (1926), p. 109. O. Cullmann , S. Pierre o. c. , p. 168, n. 7; per il nome Pietro anziché Cefas, cfr J. Chapmann , St Paule and the Revelation to St Peter, Mat XVI, 7 , in «Revue Benedectine» 20 (1912, pp. 133-147.
  • 33. E' evidente che qui intendiamo parlare a chi non ammette l'ispirazione biblica, perché per il credente questo problema non si pone nemmeno.
  • 34. Cfr Luca 6, 20.21.22. Per altri «macarismi» cfr Matteo 11, 6; 13, 16; 24, 46; Luca 11, 27; 14, 15; 23, 20; Giovanni 13, 17.20.29 ecc.
  • 35. Matteo 11, 7-9; 11, 25-30. Cfr J Jeremias , Golgotha und der heilige Fels , in «Angelos» 2 (1926), pp. 107 ss.; A. Oepke , o.c., pp. 150 s.
  • 36 I Qumrân, Hodayòt 6, 26.
  • 37. La Comunità di Qumrân era detta jachad , corrispondente alla enotés («unità») di Ef 4, 3.13 e alla koinonìa «comunione fraterna di At 2, 42. Stefano la chiama «synagoghé» in At 7, 38; cfr At 19, 32. Negli altri scritti neotestamentari il vocabolo ecclesia (da ek-kaléo, etimologicamente «chiamare assieme fuori da un gruppo») indica talora l'insieme delle chiese (Ef 1, 22; 1 Co 20, 32), talaltra un gruppo particolare di credenti che si riuniscono in una città (At 8, 1; 9, 31; 1 Co 1, 2s) o in una casa (Rm 16, 5); si può quindi parlare di chiese al plurale (Rm 16, 16). Il nome ekklesia può corrispondere a qahàl, o meglio édàh usato presso Qumrân (4 Q pesher Salm 37, 11.16), che sarebbe da tradursi con synagoghé («sinagoga» riunione) e che è pure la parola usata dagli scrittori siro-aramaici per designare la Chiesa. Cfr pure nello A.T. Es. 12, 3.19.47; Nm 16, 9; 27, 17; Es 34, 31 ecc. Cfr José M. Casciaro , El concePietroo de Ekklesia en el A.T. , in «Estudios Biblicos» 25 (1966), pp. 317-348; 26 (1967, pp. 5-38 (il concetto di Chiesa viene dall'A.T. anche se è difficile decidere fra qahàl e édàh).
  • 38. Si pensi ai detti contenuti nel Vangelo di Tommaso scoperto a Nag Hammadi in Egitto nel 1947. torma al testo
  • 39. Si pensi al carattere compilatorio dei discorsi di Gesù sul Battista (Matteo 11), sulle parabole del regno (Matteo 13) e sui Farisei (Matteo 23).
  • 40. Così A. Voegtle , Messiasbekenntniss und Petrusverheissung , in «Biblische Zeitschrift» 1 (1957), pp. 252-272; 2 (1958), pp. 85-103 (egli nota l'identità delle parole iniziali; pp. 101 ss).
  • 41. A. Legault , l'autenticité de Matteo 16, 11-19 et le silence de Marc et Luc , in «L'Eglise dans la Bible», Montréal 1962, p. 46.
  • 42. Si pensi anche solo alla cacciata dei profanatori del tempio posta da Giovanni all'inizio della vita pubblica di Gesù e dai sinottici alla fine.
  • 43. Cfr Giovanni 21; E. Stauffer , Zur Vor u. Frügeschichte des Primatus Petri, in «Zeitschr. f.Kirchengeschichte» 1943-1944, pp. 1 ss. (il passo è la riammissione di Pietro in quaLucaosa ch'egli già prima possedeva, non è quindi un posto adatto per il « Tu es Petrus »).
  • 44. Giovanni 6, 66; cfr B. Weiss , in Meyer Kommentar , 10 ed. 1920 a.l. Il contesto potrebbe andare bene, in quanto vi precede una confessione di Pietro circa il Cristo, ma non è migliore di quello mattaico; se contro Matteo vi è il silenzio di Marco e Luca, per Giovanni 6, v'è il silenzio di Giovanni. Bisognerebbe dire che l'evangelista ha taciuto di proposito tale detto per il fatto ch'egli intendeva esaltare nel suo Vangelo il « discepolo prediletto ».
  • 45. O. Cullmann , Pierre , o.c., pp. 164-165. Il Cullmann è tornato sull'argomento in L'apôtre Pierre, instrument du diable et instrument de Dieu. La place de Matteo 16, 16-19 dans la tradition primitive , in «New Testament Essays-Studies in Memory of T.W. Manson». Manchester 1959, pp. 94-105 (tuttavia il brano di Luca anche se presenta le parole « conferma i tuoi fratelli », più che esaltare Pietro, intende profetizzarne il rinnegamento).
  • 46. Marco 8, 31-33. T.A. Burkill , Misterious Revelation , Ithaca, Cornell University Press 1963. Raggiungiamo sia pure per conto nostro l'idea espressa da Ignace del Potterie ( La confessione messianica di Pietro in Marco 8, 27-33 , in «Pietro». Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, pp. 59-77). L'episodio sta di mezzo tra la rivelazione progressiva di Gesù (1, 14 - 8, 26) suddivisa in tre sezioni: Gesù con la folla e i Giudei (1, 14 - 3, 6); Gesù con i discepoli (3, 7 - 6, 6); Gesù si rivela ai suoi discepoli (6, 7 - 8, 26) e la parte seconda (8, 27 - 16, 8) nella quale il racconto è tutto vincolato verso la croce (cfr Ignace de la Potterie , De compositione Evangeli Marci , in «Verbum Domini» 44, 1966, pp. 135-141). La confessione di Pietro dopo aver raggiunto il suo apice riconoscendo il Cristo come Messia non è elogiata poiché l'autore, intendendo passare alla seconda parte, voleva mostrare come anche i suoi discepoli, Pietro compreso, non avessero capito la vera essenza del messianismo di Gesù.
  • 47. Molti cattolici si accontentano di sostenere la non corrispondenza del passo con la scena di Cesarea senza però indicarne meglio l'occasione in cui esso fu pronunciato da Gesù: così F. Refoulé. Primauté de Pierre dans les évangiles , in «Rech. de Sc. Rel.» 28 (1964), pp. 1-41; M Braendle , Neue discussion um das Felsenwort Matteo 16, 18-19, in «Orient» 27 (1963), pp. 172-176; E.F. Sutcliffe , St Peter's Double Confession in Matteo 16, 17-19 , in «The Heyth Journal» 3 (1962), pp. 31-42; K.L. Carrol , Thou Art Peter , in «Novum Testamentum» 6 (1963), pp. 268-276; Ortensio da Spinetol i, o.c. in «Pietro», pp. 79-92. Sono invece favorevoli per la scena di Cesarea S. Cipriani, Tu es Petrus. I Protestanti e il primato , in «Humanitas» 81 (1953). p. 1088; M. Overnay , Le cadre historique des paroles de Jésus sur la primauté de Pierre, in «Novera et Vetera» 28 (1953), pp. 220-229; H.H. Gundry , The Narrative Framework of Matteo 16, 17-19 , in «Novum Testamentum», 7 (1964), pp. 1-9.
  • 48. Si vede quindi come sia da accogliere con riserva la seguente asserzione di Ortensio da Spinetoli : «La Formgeschichte che ha isolato il testo della "promessa" dalla confessione di Pietro, ha reso difficile riferire alla fede dell'apostolo la funzione di roccia della Chiesa » (La portata ecclesiologica di Matteo 16, 18-19, in «Antonianum» 42, 1967, p. 360). A noi non interessa conoscere quando Gesù abbia pronunciato tale detto; a noi importa invece sapere come Matteo abbia interpretato questo detto isolato di Gesù e come lo abbia voluto connettere lui stesso al contesto di fede, dandoci l'interpretazione tradizionale e ispirata di tale detto.