Predicazioni/Efesini/Denunciare le malefatte è anche nostra responsabilit

Da Tempo di Riforma Wiki.
Versione del 11 mar 2023 alle 21:06 di Pcastellina (discussione | contributi)
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


Denunciare le malefatte è anche nostra responsabilità

La denuncia è un compito essenziale del giornalismo che svolge un ruolo fondamentale nel garantire la trasparenza e l'accountability della società. Attraverso la denuncia, il giornalista può aiutare a promuovere la giustizia, l'uguaglianza e il rispetto dei diritti umani, contribuendo in modo significativo al miglioramento della vita delle persone. La denuncia delle “opere infruttuose delle tenebre”, però non è solo compito dei giornalisti, ma di ogni cristiano! Lo considereremo oggi dal testo di Efesini 5:8-14 comprendendone prima il contesto e poi l’attualità.

Il compito dei giornalisti autentici

La funzione del giornalista nella nostra società è in crisi perché oggi la stampa (nei principali mass-media) è largamente corrotta. Essa, cioè, si è ridotta praticamente ad essere un’altoparlante del potere costituito, a diffondere solo quanto il potere gradisce ed in funzione delle sue mire. Non così il vero giornalista. Uno dei compiti principali del giornalista è quello di informare il pubblico in modo oggettivo su eventi, situazioni e problemi che possono avere un impatto sulla società. Inoltre, questo è pure importante, suo compito non è la semplice divulgazione delle notizie, ma quello della denuncia.

La denuncia si riferisce alla rivelazione di comportamenti, eventi o situazioni che violano i diritti umani, la legge o l'etica. Il giornalista ha il compito di scoprire e divulgare informazioni che altrimenti sarebbero nascoste al pubblico. In molti casi, la denuncia fatta dal giornalista può portare alla luce casi di corruzione, abusi di potere o violazioni che altrimenti sarebbero rimasti impuniti. La denuncia può anche avere l'effetto di sensibilizzare il pubblico su questioni importanti che richiedono attenzione. Il compito della denuncia richiede di fatto al giornalista di svolgere un lavoro investigativo accurato, di utilizzare fonti affidabili e di presentare le informazioni in modo obiettivo e trasparente. La denuncia può comportare anche rischi personali per il giornalista, come minacce, intimidazioni o attacchi fisici, l’arresto e il carcere e persino l’assassinio. Lo dimostra il caso di Julian Assange che ha messo in luce le pratiche di tortura e altri abusi commessi da militari statunitensi in Iraq e in Afghanistan. Ci sono molti casi nel mondo di giornalisti perseguitati, sotto ogni regime. Il caso di Julian Assange rappresenta una sfida per il diritto alla libertà di stampa e alla denuncia giornalistica, e solleva importanti questioni etiche, legali e politiche sulla responsabilità dei giornalisti di denunciare le violazioni dei diritti umani e degli abusi di potere, nonché sulla protezione delle loro fonti e sulla loro responsabilità di rendere pubbliche informazioni riservate.

La denuncia di ciò che la Bibbia chiama le “opere infruttuose delle tenebre”, però, non è solo compito dei giornalisti, ma quello di ogni cristiano, cioè di coloro che sono stati liberati “dal potere delle tenebre” e sono stati “trasportati nel regno del suo amato Figlio” (Colossesi 1:13). Considereremo oggi, così, il compito che abbiamo della denuncia come ne parla la lettera agli Efesini al capitolo 5. Ascoltiamolo:

“... perché già eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce, poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità, esaminando che cosa sia accetto al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, anzi piuttosto denunciatele, poiché è vergognoso perfino parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono riprese dalla luce, diventano manifeste, poiché tutto ciò che è manifesto è luce. Perciò dice: “Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo t'inonderà di luce” (Efesini 5:8-14).

 La base abilitante del nostro servizio 

Qual é la base sulla quale si fonda il servizio al quale siamo chiamati in questo mondo come cristiani? Lo vediamo dal contesto nel quale si colloca questo brano, vale a dire la trasformazione che avviene in coloro che hanno accolto la chiamata di Gesù a diventare suoi discepoli. Nella sua lettera ai cristiani di Efeso, l’apostolo aveva già avuto modo di mettere a confronto la vita che avevano prima di accogliere Gesù come loro Salvatore e Signore. Essi erano “morti nelle colpe e nei ... peccati” (2:1), ma Dio, nella sua misericordia e amore li ha “vivificati con Cristo ...  risuscitati con lui e con lui li ha fatti sedere nei luoghi celesti in Cristo Gesù” (2:4-6). Essi erano ignoranti e duri di cuore, ma hanno “imparato ... a spogliarsi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici, a essere invece rinnovati nello spirito della mente e rivestire l'uomo nuovo che è creato all'immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (4:22-24). Paolo li ha chiamati ad essere “... imitatori di Dio, come suoi cari figli”. Questo esige di “camminare nell’amore” (5:2) e “come si addice a dei santi né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia sia neppure nominata fra voi” (5:3).  Li ha avvertiti che le persone immorali, impure, avide o idolatre non avranno alcuna: “eredità nel regno di Cristo e di Dio” e quindi li esorta dicendo: "Non siate dunque loro compagni" (5:7). In una parola: come si direbbe oggi, essi, i cristiani, non sono più “servi del sistema” di questo mondo. Per quel sistema sono dei disertori, dei traditori, ed ora servono il Regno di Dio, dove Cristo è Re.

 Una nuova condizione e le sue responsabilità 

Ecco così che l’Apostolo dice: “perché già eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce” (8). La luce e l'oscurità sono spesso usate sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento come metafore del bene e del male: caos e ordine, pericolo e sicurezza, gioia e dolore, verità e menzogna, vita e morte, salvezza e condanna. Notate che non dice che una volta vivevano nell'oscurità. Dice invece che "erano tenebre". L'oscurità non era a loro esterna ma interna: penetrava nel profondo del loro essere. Ma Cristo ha invertito questo, in modo che ora siano luce, in modo che la luce ora illumini le loro vite fino dal cuore della loro personalità. La loro vita è stata trasformata dalla luce di Cristo, che rappresenta la verità, la giustizia e la vita significativa ed eterna. Paolo afferma che i credenti sono diventati "luce nel Signore", sottolineando l'idea che la loro nuova identità in Cristo implica una vita illuminata dalla verità e dalla giustizia di Dio. Essi ora servono il Regno di Cristo e devono esserne all’altezza.

Essi sono: “Figli di luce”. L'espressione "essere figli di..." in senso morale deriva da un'immagine comune in molte culture che rappresenta l'idea che il comportamento di una persona riflette la sua discendenza o il suo lignaggio. Nelle culture antiche, il lignaggio familiare era molto importante e la discendenza da una determinata famiglia poteva conferire un certo status sociale o morale. Nella cultura ebraica, ad esempio, essere "figli di" qualcuno era un'immagine comune per rappresentare anche il comportamento morale e religioso. Nella Bibbia il termine "figli di Dio" viene utilizzato per descrivere coloro che hanno una relazione personale con Dio e che cercano di seguire i suoi comandamenti e le sue leggi. Allo stesso modo, il termine "figli del diavolo" viene utilizzato per descrivere coloro che seguono il male e il peccato. Questo consiglio non sarebbe necessario se fosse impossibile per questi cristiani di Efeso di tornare alle loro vecchie vie, ricadere nelle tenebre invece di camminare nella luce. Il tentatore non dorme mai, quindi la vita cristiana richiede una vigilanza costante.

Essere “figli di luce” comporta precise conseguenze, dei “frutti”. “... poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità” (9). E’ ciò che altrove l’Apostolo chiama “frutti dello Spirito”. ll fico produrrà fichi, come la vite produrrà uva e l'olivo produrrà olive. “Ogni albero si riconosce dal proprio frutto. Perché non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva dal rovo” (Luca 6:44). In altre parole, Dio ha creato il mondo in modo tale che il frutto prodotto da un albero è determinato dalla natura dell'albero, e il frutto prodotto da una persona è determinato dalla natura di quella persona. In Galati Paolo parla del frutto dello Spirito come "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fede, mansuetudine e autocontrollo" (Galati 5:22-23). Li contrappone ai frutti della natura irrigenerata: "adulterio, immoralità sessuale, impurità, lussuria, idolatria, stregoneria, odio, contesa, gelosia, scoppi d'ira, rivalità, divisioni, eresie, invidie, omicidi, ubriachezza, orge e cose del genere...” (Galati 5:19-21).

Come fare per produrre i “frutti della luce”? Come un albero, le sue radici devono spingersi fino all’acqua ed assorbirla. L’acqua è la Parola di Dio. Il testo di fatti dice: “... esaminando che cosa sia accetto al Signore” (10), ciò che a Lui è gradito, approvato, comandato. Si tratta di qualcosa di “proattivo”. Significa cercare, investigare, come pure imparare. Dio ha rivelato la sua volontà (ciò che gli è gradito) per quanto riguarda un ampio raggio di comportamenti della creatura umana. Egli l’ha fatto nelle Sacre Scritture, sia come comandi diretti (nella sua Legge) che negli esempi dei suoi fedeli e in modo supremo in Cristo. Il figliolo di Dio, quindi, esamina, ricerca le Scritture per conoscere la specifica volontà di Dio su una determinata questione, la impara, e la mette alla prova, cioè la pratica.

Non commistione e denuncia 

Ed eccoci al versetto chiave: “Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, anzi piuttosto denunciatele” (11). Il cristiano non deve avere più nulla a che fare con il modo di pensare e di agire empio e riprovevole che prevvale oggi in questo mondo. Se ne deve chiaramente dissociare. L'espressione "opere infruttuose" si riferisce alle azioni o alle attività che non producono alcun risultato positivo o benefico a lungo termine per sé stessi o per gli altri. Queste opere possono essere caratterizzate da immoralità, malvagità, inganno o egoismo, e si oppongono ai valori della giustizia, dell'amore e della verità che sono promossi dalla luce di Cristo. L'idea è quella di evitare di essere corrotti o contaminati da tali comportamenti e di cercare invece di vivere secondo i valori della luce di Cristo. Gli Efesini avevano familiarità con le "opere infruttuose delle tenebre", perché le praticavano nel passato, ma, in Cristo, sono passati dalle tenebre alla luce (v. 8), quindi non è più appropriato per loro condividere opere oscure. Non hanno nulla da guadagnare in questo modo e molto da perdere. Se dovessero collaborare con opere oscure, quasi certamente troverebbero la loro reputazione contaminata e potrebbero persino trovare l'attrazione magnetica della tentazione così potente da tornare ad essere oscurità ancora una volta.

Non solo non devono avere a che fare con quelle opere, ma le devono denunciare, sottoporre a chiara e pubblica condanna. Paolo usa qui una parola che significa rimproverare, smascherare, condannare perché la legge morale di Dio quando è infranta non solo comporta gravi conseguenze negative, ma anche l’ira di Dio, la sua maledizione e finale condanna. Non basta che i cristiani se ne stiano in disparte, ma hanno la responsabilità di testimoniare della luce e di opporsi attivamente alle tenebre. Evangelizzare non significa solo parlare dell’amore di Dio in Cristo, ma anche della sua giusta ira, del giudizio incombente su chiunque trasgredisce la legge morale di Dio.

Certo, “... è vergognoso perfino parlare delle cose che costoro fanno di nascosto”  (12). L'idea qui, però, non è di tacere o coprire le azioni negative (solo già loro che vogliono “insabbiarle”), ma di esporle e correggerle con spirito di amore, di misericordia e di compassione, senza cadere in giudizi o condanne gratuite. Il richiamo di Paolo alla vergogna e all'indignità delle opere infruttuose delle tenebre non significa che si debba tacere su di esse, ma piuttosto che la loro denuncia e correzione debbano essere fatte in modo rispettoso e costruttivo. Inoltre, la denuncia di queste opere non deve essere fatta in modo indiscriminato o con spirito di vendetta, ma piuttosto con la volontà di portare le persone coinvolte sulla strada della giustizia e della verità, al Salvatore Gesù Cristo. Questo richiede saggezza, discernimento e prudenza, insieme all'amore e alla misericordia. Dobbiamo denunciare con fermezza, ma anche con l’intenzione di conquistare a Cristo i perduti, che è pronto a perdonarli attraverso la fede in Lui ed il ravvedimento. Inoltre, sicuramente dando noi per primi l’esempio di integrità verso Dio. Difficilmente, infatti, un cristiano può aspettarsi di opporsi alle tenebre con qualche effetto a meno che non abbia mantenuto una buona reputazione lui stesso per vivere nella luce. Un cristiano a cui piaccia sguazzare nel fango difficilmente può aspettarsi di persuadere altri a evitare di sguazzare nel fango.

Comportandoci dunque come “figli di luce”, sarà la nostra luce a dissipare le tenebre. I “figli delle tenebre” potranno anche reagire violentemente come fanno con i giornalisti scomodi, ma, conoscendo la verità non potranno più accampare scuse davanti a Dio quando gli compariranno davanti per essere giudicati e condannati.

L’Apostolo conclude questo paragrafo con: “Perciò dice: “Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo t'inonderà di luce” (14). E’ una celebrazione del  risveglio di cui quei cristiani sono stati fatti oggetto per grazia di Dio. Altri servitori dell’ideologia oggi prevalente amano riferirsi a sé stessi come “i risvegliati”. I veri risvegliati, però, sono coloro che Dio ha rigenerato portandoli alla fede in Cristo ed impegnandoli a testimoniare del suo modo di pensare e di vivere e denunciando l’andazzo di questo mondo! Questo versetto rappresenta un richiamo alla conversione e alla rinascita spirituale. L'invito a"risvegliarsi" e "risorgere dai morti" è un richiamo ad abbandonare le opere infruttuose delle tenebre e a cercare la luce di Cristo, il solo che possa illuminare e trasformare la vita di ogni creatura umana per la sua salvezza.

Paolo Castellina, 11 marzo 2023.