Predicazioni/Efesini/Il progresso di cui abbiamo bisogno

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Il progresso di cui abbiamo bisogno

Il progresso tecnico è scientifico è oggi sempre più rapido e alimenta il mito ancora molto popolare dell’evoluzione dell’umanità “verso il meglio”. L’enciclopedia Treccani così definisce il progresso: “Sviluppo verso forme di vita più elevate e più complesse, perseguito attraverso l’avanzamento della cultura, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, dell’organizzazione sociale, il raggiungimento delle libertà politiche e del benessere economico, al fine di procurare all’umanità un miglioramento generale e un grado maggiore di liberazione dai disagi”. Seppure sia vero che esiste un progresso tecnico scientifico, tutto questo non va affatto di pari passo con il progresso morale e spirituale dell’umanità. L’essere umano si porta dentro un principio di malvagità che vanifica ogni altro progresso. Di fatto, il progresso tecnico-scientifico non fa che amplificare i mostri che abbiamo dentro di noi. Non c’è da aspettarsi altro da creature decadute moralmente e spiritualmente quali noi siamo. Il “pessimismo antropologico” della Bibbia è quanto mai realistico e appropriato. Dio, però, non ci ha lasciato in balia dei nostri mostri, perché un autentico progresso morale e spirituale è possibile, per Sua grazia quando ci affidiamo al Signore e Salvatore Gesù Cristo e diventiamo Suoi discepoli.

Riconoscenza per un reale progresso

Gli apostoli stessi di Cristo esprimono nei testi del Nuovo Testamento la loro gioia e riconoscenza perché hanno “toccato con mano” le sostanziali trasformazioni morali e spirituali avvenute fra coloro ai quali hanno annunciato e coltivato l’Evangelo. Non si tratta però che di un inizio: il lavoro da fare è ancora molto perché in Cristo essi possono e devono progredire molto di più ancora. Questo è ciò che esprime l’apostolo Paolo nella lettera ai cristiani di Efeso, nel breve testo che oggi esaminiamo.

“Perciò anch'io, avendo udito parlare della fede vostra nel Signor Gesù e del vostro amore per tutti i santi, non resto mai dal render grazie per voi, facendo di voi menzione nelle mie orazioni, affinché l'Iddio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per la piena conoscenza di lui, 18ed illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza Egli v'abbia chiamati, qual sia la ricchezza della gloria della sua eredità nei santi, 19e qual sia verso noi che crediamo, l'immensità della sua potenza” (Efesini 1:15-19).

Il successo della comunità cristiana di Efeso

L’Apostolo elogia la comunità cristiana di Efeso per quelli che potremmo chiamare i loro “successi spirituali”. Quali sono? Il loro numero di convertiti, proseliti e battesimi? Nel loro pubblico riconoscimento quanto a influenza sociale e potere? Oppure per avere conseguito lo status di “culto ammesso” e l’approvazione delle autorità? Forse nella magnificenza degli edifici di culto da loro costruiti - segno che Dio li ha fatto dono di prosperità materiale? No.

Questi successi spirituali hanno a che fare con la qualità della loro vita cristiana. Essi consistevano nel fatto, in primo luogo, che fra di loro era viva e operante la fede nell’insegnamento e nell’opera del Signore e Salvatore Gesù Cristo. La parola greca qui usata per fede, cioè pistis, significa fiducia, affidarsi a - la risposta delle persone all’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo. In altre parole, Paolo ringrazia Dio per la fede di questi cristiani di Efeso nel Signore Gesù, per la fiducia che hanno riposto in Lui e di come essa stia cambiando e determinando la loro vita. 

In secondo luogo, Paolo ringrazia Dio per l’amore che essi manifestano per tutti coloro che Gli appartengono, coloro che Dio ha raccolto nella comunità cristiana. Allora “santi” venivano chiamati tutti i cristiani. L'idea dei “santi”, infatti, affonda le sue radici nell'Antico Testamento. Dio è santo e tutte le cose associate a Dio (incluso il popolo eletto di Dio) sono sante a causa della loro associazione con Dio (Deuteronomio 28:9; Isaia 62:12). Quindi, in questo versetto, Paolo usa la parola hagioi (santi) per indicare i seguaci di Cristo. Nel contesto di questo versetto, Paolo celebra l'amore di questi cristiani di Efeso gli uni per gli altri e per altri fratelli e sorelle cristiani, ovunque si trovino. Di quale amore si tratta? Delle due parole greche usate nel Nuovo Testamento per amore (agape e philos), agape è chiaramente predominante, comparendo cinque volte più spesso di philos. L' amore agape (caritas, in latino, da cui “carità”) è più un "fare" che “un sentire". Non è necessario che approviamo le azioni della persona che amiamo, né che godiamo la sua compagnia. Ci richiede di agire a favore di quella persona, di dimostrare il nostro amore in qualche modo pratico. La comunità cristiana era diventata una il luogo in cui si manifestava l’amore come completa dedizione agli altri, e questo la differenziava dalla società pagana. L'amore agape è il primo dei frutti dello Spirito Santo (Galati 5:22) ed è la più grande delle virtù cristiane: “La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non sospetta il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. (...) Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità” (1 Corinzi 13:4-7,13). 

L’aspirazione a progredire sempre

L’Apostolo, però, non cessa di pregare intercedendo presso Dio in loro favore. Perché? Perché la vita cristiana deve essere un processo di crescita costante. Per quanto si siano conseguiti successi a livello personale e comunitario, vi deve essere un progresso costante nella qualità del discepolato, una tensione a fare sempre meglio, e questo in ogni ambito della vita cristiana. Questo progresso è sia un requisito che un dono di Dio.

Sapienza e intelligente discernimento

In quali aree si dovrà sviluppare questo progresso, secondo quanto qui l’apostolo menziona? “...affinché l'Iddio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per la piena conoscenza di lui”.

Benché in alcune traduzioni “spirito” venga riportato con l’iniziale maiuscola  (“lo Spirito della Sapienza”, così Diodati), dato che la parola pneuma ("spirito") appare qui senza l'articolo determinativo esso non si riferisce allo Spirito Santo in sé. Paolo sta pregando che questi cristiani di Efeso abbiano uno "spirito di sapienza", vale a dire la disposizione, lo stato d'animo, la condizione emotiva, l’atteggiamento mentale di coloro che perseguono sapienza in tutto il loro modo di vivere, e questo, atto a determinare e condizionare il modo di pensare, d'essere e di agire. Gli antichi greci apprezzavano la sapienza e la cercavano attraverso le riflessioni filosofiche. Tuttavia, per Paolo, Dio è la fonte di ogni sapienza, la Sua Legge e il Suo modo di agire. Ecco che cosa dobbiamo “investigare” costantemente per acquisire la sapienza della vita. La sapienza di Dio si manifesta spesso in modi che ci sembrano strani e persino folli. Ad esempio, la sapienza di Dio si è manifestata nella nascita di un bambino in una piccola stalla di una cittadina di un paese insignificante. La sapienza di Dio si è manifestata nel sacrificio di Cristo sulla croce di Cristo. Tali cose potrebbero sembrare folli alla maggior parte delle persone, ma "la pazzia di Dio è più savia degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1 Corinzi 1:25); “Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i savî; e Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti” (1 Corinzi 1:27). Investighiamo noi costantemente la sapienza di Dio?

L’Apostolo prega affinché i cristiani di Efeso abbiano pure “uno spirito di rivelazione”, che nell’originale greco è apokalypsis  nella conoscenza di lui”. Un’apokalypsis è una rivelazione o svelamento. Suggerisce non solo l'apparire di qualcosa di nuovo, ma anche la capacità d'interpretare o comprendere ciò che si vede. Molti fra noi subiscono gli avvenimenti del nostro tempo senza comprendere le dinamiche di ciò che accade, il loro significato complessivo, in prospettiva. Non lo vedono, lo ignorano, e questo può essere molto grave per dei cristiani che devono avere intelligenza sulla realtà e agire di conseguenza. Gesù

“Diceva … alle turbe: Quando vedete una nuvola venir su da ponente, voi dite subito: Viene la pioggia; e così succede. E quando sentite soffiar lo scirocco, dite: Farà caldo, e avviene così. Ipocriti, ben sapete discernere l'aspetto della terra e del cielo; e come mai non sapete discernere questo tempo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Luca 12:54-57). Saper discernere e giudicare, dunque. Lo sappiamo fare? 

Ma c’è di più: Paolo sta pregando che Dio si riveli a questi cristiani di Efeso, che Dio renda loro possibile conoscere Dio più intimamente. Si tratta non solo di conoscere la teologia, ma include la comprensione della volontà di Dio per la nostra vita, specificatamente. La conoscenza che deriva dalla rivelazione di Dio è un dono di Dio per noi. Anche la sapienza è un dono, il dono di saper usare efficacemente quella conoscenza.

Illuminazione autentica

“...ed illumini gli occhi del vostro cuore”, chiede Paolo in preghiera. La parola oftalmologia (la branca della medicina che si occupa dell'occhio) deriva dalla parola greca che qui è usata opthalmos, che significa occhio. L’Apostolo usa la parola opthalmos (occhio) metaforicamente, è ovvio: il nostro cuore fisico non ha occhi… Tuttavia, parliamo dell'occhio come la lampada del corpo e la finestra dell'anima, e con questo intendiamo la visione spirituale. Gesù dice: “La lampada del corpo è l'occhio. Se dunque l'occhio tuo è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se l'occhio tuo è viziato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebre, esse tenebre quanto grandi saranno!” (Matteo 6:22-23).

Paolo usa anche la parola kardia (cuore) metaforicamente. In questo contesto, kardia si riferisce al centro del proprio essere, sia fisico che spirituale, ciò che rende l'individuo ciò che è, carattere, intelletto, personalità, ecc. Il classico “va dove ti porta il cuore” è un consiglio errato, perché “il cuore” può essere cieco, “non avere occhi” e portarti alla rovina. Il cuore deve essere illuminato, deve poter vedere dove sta andando e quindi discernere dove andare. Il termine “illuminare” (in greco photizo) è un'altra parola che ha a che fare con la luce. Significa illuminare o dare luce a qualcosa. Vi sono persone che si ritengono “illuminate” e che ambiscono controllare il mondo, ma che in realtà servono il malvagio “Lucifero”, che pretende di portare luce, illuminare la mente. Pensate alla tentazione primordiale di Eva e d’Adamo, dove “il serpente” vorrebbe “aprire loro gli occhi” sulle presunte malefiche intenzioni di Dio. Si tratta, però, di un inganno. Egli non porta né dà luce. Abbiamo bisogno, piuttosto, della luce di Dio. Quindi in questo versetto Paolo sta pregando che Dio apra gli occhi spirituali di questi cristiani in modo che i loro stessi esseri possano essere trasformati dalle intuizioni spirituali che solo Dio può fornire. L’apostolo Pietro scrive: “Abbiamo … la parola profetica, più ferma, alla quale fate bene di prestare attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga ne' vostri cuori” (2 Pietro 1:19). Avete voi l’intuizione spirituale formata dallo studio delle Sacre Scritture?

Consapevolezza delle grandi risorse a nostra disposizione

Noi non ci rendiamo mai abbastanza conto delle stupefacenti risorse a nostra disposizione in Cristo. Ecco così che l’Apostolo prega: “...affinché sappiate a quale speranza Egli v'abbia chiamati … e qual sia verso noi che crediamo, l'immensità della sua potenza”. 

Dio in Cristo ci chiama a diventare membri del regno di Dio per sperimentare l'adozione nella famiglia di Dio, per ottenere la salvezza e la speranza della vita eterna. La preghiera di Paolo per questi cristiani di Efeso, quindi, è che possano vedere chiaramente e comprendere pienamente la speranza che è inerente all'invito di Dio a far parte della famiglia di Dio. La cosa stupefacente è che “l’immensità della potenza” e della gloriosa forza di Dio viene messa a disposizione “a coloro che credono”. La gloria del Signore è stata rivelata alla sua nascita (Luca 2:9; Giovanni 1:14). I suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, avevano avuto il privilegio di vedere la gloria di Cristo sul Monte della Trasfigurazione (9:28-36). La croce di Cristo era necessaria perché potesse “entrare nella sua gloria” (Luca 24:26). Il Vangelo di Giovanni in particolare parla della croce come glorificazione di Cristo. Gesù ha parlato di un ritorno «con potenza e grande gloria» (Luca 21:27).

“... qual sia la ricchezza della gloria della sua eredità nei santi”. Per diventare santa, una persona deve separarsi da ciò che è comune. Essere santi significa essere "chiamati fuori" dal mondo peccaminoso in una relazione profonda e duratura con Dio in modo che la persona diventi più simile a Dio, più santa, meno come il mondo peccaminoso in generale. Paolo sta pregando che questi cristiani di Efeso sappiano "quali sono le ricchezze della gloria della sua eredità nei santi". Vuole assicurarsi che apprezzino la straordinaria natura delle benedizioni associate all'eredità che Cristo ha preparato per loro. Vuole che non prendano alla leggera questa eredità, ma piuttosto che traggano grande gioia dalla sua promessa. Il Nuovo Testamento tratta i seguaci di Cristo come figli e figlie adottivi di Dio. Mentre "adottato" potrebbe suggerire uno status di second'ordine, non è così quando Dio è il Padre adottivo. Paolo dice che "... siete tutti figliuoli di Dio, per la fede in Cristo Gesù” (Galati 3:26) e "Quanti sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono i figli di Dio... e se figli, allora eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo”. Nella lettera agli Efesini Paolo ha menzionato Cristo, «nel quale anche noi siamo stati assegnati in eredità» (1:11). Poi dice che “In lui voi pure, dopo aver udito la parola della verità, l'evangelo della vostra salvazione, in lui avendo creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio s'è acquistati, a lode della sua gloria«erano sigillati con lo Spirito Santo di promessa, che è pegno della nostra eredità” (1:13-14). Ora chiama questi cristiani a prendere atto delle “ricchezze della gloria della (loro) eredità”. Ora Paolo vuole che questi cristiani di Efeso (e noi) siano ancora più entusiasti della nostra eredità divina di quanto un vincitore della lotteria lo sarebbe per la sua nuova ricchezza. Le ricchezze della grazia di Dio per i Suoi sono veramente eccezionali. L'enfasi qui non è solo che Dio è potente, ma che è potente "verso noi che crediamo" — che Dio ha imbrigliato questo grande potere per il nostro beneficio — per effettuare la nostra salvezza nel tempo e per l’eternità. Proviamo a immaginare il potere divino che è entrato nella creazione dell'universo e poi immaginate come tutto quel potere sia diretto "verso noi che crediamo", rendendo possibile la salvezza di cui avevamo così disperatamente bisogno.

Conclusione

Ecco dunque come l’Apostolo, dopo aver “toccato con mano” la potenza dell’Evangelo predicato e coltivato, ne ringrazia e loda Dio. Coloro che ne hanno beneficiato, però, devono continuare a progredire moralmente e spiritualmente perseguendo sapienza e intelligente discernimento, maggiore luce sulla realtà in cui vivono e consapevolezza delle grandi potenzialità della grazia di Dio in loro. Molto più tardi i cristiani di Efeso non rimarranno fedeli a questo mandato, e dovranno essere duramente ripresi: “ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore. Ricordati dunque donde sei caduto, e ravvediti, e fa' le opere di prima; se no, verrò a te, e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se tu non ti ravvedi. (...) Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò a mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio” (Apocalisse 2:4-7). In quali di queste fasi della vita cristiana ci riconosciamo: i successi dell’Evangelo nella nostra vita? Il progresso qualitativo della nostra fede? L’abbandono negligente del nostro “primo amore”? Il Signore può e vuole che noi da Lui riceviamo “grazia sopra grazia”.

Paolo Castellina, 26 dicembre 2021