Storia/Storia dei Valdesi/L'ordinamento e la propaganda dei valdesi prima della Riforma

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


IV.  L'ordinamento e la propaganda dei valdesi prima della Riforma 

Fino dalle prime origini, i Valdesi, così al di là come al di qua delle Alpi, costituirono non già una confraternita religiosa, simile a quelle non poche che allora sorgevano, ma una comunità avente la tendenza irresistibile ad emanciparsi dal giogo della Chiesa Romana, in virtù della propria regola di fede. Essi affermarono esplicitamente l’autorità sovrana della Sacra Scrittura, il dovere e il diritto di appellarsi dall'autorità ecclesiastica alla Parola di Dio come alla regola unica di fede, e il dovere che ne deriva di diffondere questa, mediante la lettura e la predicazione. Il principio fondamentale fu dunque quello apostolico: «Obbedire a Dio anziché agli uomini» ; il che doveva fatalmente significare: disobbedire alla Chiesa per seguire il Cristo e per condurre a Lui i credenti, mediante la libera predicazione dell'Evangelo.

Ben sentì la Chiesa papale quanto minaccioso fosse per lei questo principio, e si affrettò quindi a scatenare contro i Valdesi due ordini mendicanti che erano sorti per imitazione. Infatti, «come ad imitazione dei Poveri, di Lione sorsero i Poveri d'Assisi o frati minori, così ad imitazione dei predicatori valdesi nacquero i frati predicatori».

I ministri valdesi si chiamarono dapprima con termine biblico “perfetti”, e si distinguevano per gradazione successiva in diaconi, presbiteri o anziani e vescovi. Alla direzione generale era nominato un capo, chiamato «maioralis»; questi presiedeva il capitolo generale — detto «sinodo» dopo il secolo XVI — che si radunava almeno una volta all'anno nelle città più popolose e in occasione di qualche grande solennità religiosa,onde i convenuti non fossero osservati dalla popolazione.

Tosto, fin dal secolo XIII, il triplice ordine gerarchico dei «perfetti» venne sostituito dal ministero dei Barba, che fu il nome tipico dato daiValdesi ai loro conduttori spirituali. Il nome « barba » deriva dal latino della decadenza e corrisponde esattamente al vocabolo «barbanus» adoperato nel senso di «zio» nella lingua del Medio Evo, senso che ha conservato fino ad oggi nell'Italia settentrionale, e particolarmente nel Piemonte e nel Veneto dove, come anche in Grecia, designa sopratutto lo zio materno. Suscettibile, poi, d'un significato morale, diventa per estensione un titolo onorifico destinato ad ogni uomo rispettabile e autorevole. I Valdesi furono indotti a dare tale appellativo ai loro ministri, sia per esprimere l'affetto riverente che nutrivano per loro, sia per occultare in quei tempi di persecuzione la loro qualità di ministri, ma sopratutto perché volevano distinguersi dai cattolici romani e obbedire all'Evangelo, non dando loro il nome di Padri (Matteo 23:9). Perciò li chiamarono «Zii»!

Chi desiderava diventare ministro incominciava col frequentare durante alcuni anni una Scuola — come quella di Milano o di Prà del Torno — dove imparava a memoria gran parte del Nuovo Testamento; poi veniva consacrato al ministero e messo a fianco come «coadiutor», di un barba più anziano, chiamato «regidor». E

così a due a due i barba compievano i loro viaggi missionari in Italia o in Francia o in Germania, secondo le istruzioni ricevute dai «capitoli», soffermandosi negli ospizi.

Questi ospizi erano case che, in tutti i piccoli centri della missione, servivano d'albergo per i ministri itineranti e di luogo di riunione per i fedeli. Erano dirette da un rettore e vi abitavano alcune donne attempate, per il servizio, e talvolta qualche barba che vi teneva scuola.

Dopo il frugale pasto serale, vi si teneva il culto il quale consisteva nella lettura di brani della Parola di Dio alternata con spiegazioni, e nella preghiera, che era principalmente l'Orazione domenicale. Di canto, sacro non c'era da parlarne, se non altro perché il culto non doveva attrarre l'attenzione del vicinato.

I ministri ricevevano la confessione volontaria dei fedeli, ma non davano l'assoluzione direttamente; lasciando a Dio il giudizio dicevano: «Iddio ti assolva dei tuoi peccati ; ti scongiuro da parte sua di pentirtene e di sottometterti alla penitenza che ora ti prescrivo». E questa penitenza consisteva tutta in digiuno e preghiera.

Praticavano il battesimo per aspersione, amministrato ai bambini. Il sacramento dell’eucaristia lo celebravano in piedi, sotto le due specie del pane e del vino consacrati.

Quanto alle dottrine, la conoscenza dell'Evangelo aveva naturalmente indotto i primi Valdesi a rifiutarne alcune che la Chiesa Romana insegnava. Non ammettevano, per esempio, quella del purgatorio; dicevano che ci sono «due vie», quella della vita eterna e quella della morte; l'esistenza terrena è un purgatorio, e questo basta. Vane son dunque lei messe per i defunti, le indulgenze, i suffragi. Illusoria l'invocazione dei Santi. E così pure la Madonna dev'essere venerata ed imitata per le sue virtù cristiane, ma non adorata, perchè il culto va reso a Dio solo ; e giammai parola men che riverente verso la madre di Gesù è sfuggita ai Valdesi, anche quando era invocata contro di loro dai persecutori.

Di ospizio in ospizio si recavano dunque i propagandisti valdesi, rivolgendosi così ai poveri come ai ricchi. La loro propaganda doveva necessariamente essere clandestina, e richiedeva somma prudenza non meno che ardimento; onde avveniva che simulassero qualche mestiere, perlopiù quello del merciaio ambulante.

Ecco una interessante descrizione fatta da un inquisitore verso il 1260.

Il merciaio arriva al castello; dopo di avere esibito alle dame anelli, veli ed altri ornamenti, ed al personale di servizio la sua merce più semplice, egli aggiunge: «Io ci avrei ancora delle gemme bellissime e molto preziose... ma non bisognerà tradirmi!». Rassicurato, prosegue: «Ho una perla così lucente, che per la sua virtù ogni uomo perviene a conoscere Dio. E ne ho un'altra così fulgida da accendere l'amore di Dio in ognuno che la possiede. Io parlo così al figurato, ma ciò che dico è la purissima verità». E lì, dinanzi ad un uditorio attento e incuriosito, il nostro merciaio si dà a recitare sentenze dell'Evangelo, fra le quali queste apostrofi di Gesù: «Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli dinanzi alla gente; ne vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare» (Matteo 22:13). «A chi pensi che siano dirette ?», domanda una voce. «E chi non l'indovina? Son dirette ai preti ed ai frati!». E si mette a esporre e commentare altre parole; poi conclude: «Orbene, noi stiamo con Cristo, perciò i Farisei ci perseguitano. Dicono e non fanno; insegnano comandamenti e tradizioni di uomini. Noi siamo contenti di persuadere la gente ad osservar la dottrina di Cristo e degli Apostoli. Le vie sono due: una è larga e mena alla perdizione, l'altra è stretta ma diritta e mena a vita eterna... Perché non scegliereste questa?» (Relazione dell'anonimo inquisitore di Krems,, residente a 'Passau, ap. Max. Bibl. P. P. XXV, col. 273).

Il medesimo inquisitore nella sua relazione segreta, ad uso dei suoi colleghi di polizia ecclesiastica, rende della vita morale dei Valdesi una testimonianza preziosissima, atta a sfatare le calunnie che sleali avversari non si peritavano di lanciare contro di essi: «Sì può riconoscerli — scrive egli — dai loro costumi e dai loro discorsi. Regolati, modesti, evitano lo sfarzo nei vestimenti, che son di stoffa né preziosa ne vile. Non trafficano per non esporsi a mentire, spergiurare e ad ingannare. Vivono del lavoro delle loro mani; i loro «maestri» stessi sono tessitori o calzolai; si contentano del necessario. Sono casti, sono sobri, non frequentano le bettole né i balli, perché non gustano siffatte frivolezze. Assidui al lavoro, pure trovano modo di studiare e d'insegnare. Si riconoscono anche dai loro discorsi, precisi e modesti; rifuggono da ogni maldicenza e da ogni parlare buffone sconcio, come dal mentire» (Inquisitore di Pàssau, ibidem, col. 263 e ss.).

Dal secolo XIII al XVI la propaganda valdese, sospinta da un ardente soffio missionario ed anche cacciata dalla bufera della persecuzione, si estese principalmente alle seguenti regioni.

La Boemia fu terreno oltremodo propizio, tanto che i Valdesi vi si stabilirono in moltissime località; poi, verso il 1430, si unirono agli Ussiti per costituire nel 1467 «l'Unità dei Fratelli», da cui derivò la Chiesa Morava e l'attuale riforma religiosa tceca.

L’Austria e ancor più la Germania furono altresì percorse in ogni senso, talché nel secolo XIII «non v'erra quasi contrada in cui codesta setta non avesse aderenti». Ma l'Inquisizione si mise all'opera e riuscì a soffocare là dissidenza, se non ad estirparne totalmente i germi; infatti, chi vorrà negare che la propaganda valdese non abbia in qualche modo preparato la Riforma di Lutero, spargendo fra le popolazioni germaniche la conoscenza e l'amore delle Sacre Scritture?

Quanto alla Francia, quantunque non meno di centomila Albigesi e Valdesi fossero stati massacrati al tempo della crociata bandita nel 1208 e che devastò la  Provenza durante una ventina d'anni), pure qualche nucleo di Valdesi riuscì a sottrarsi all'eccidio senza fuggire in esilio, sicché attorno ad essi nel corso dei secoli XIV e XV tornarono a raggrupparsi numerose e fiorenti comunità.

E passiamo in Italia. Dalla Lombardia il movimento valdese non tardò ad estendersi al Veneto ed al Piemonte, penetrando per lo più in ambienti già preparati dai Càtari; anche la Toscana e l’Umbria furono percorse dai barba i quali vi fondarono diversi centri viventi. Ma sopratutto l'Italia meridionale, cioè le Puglie, come chiamavano nel Medio Evo, vide sorgere prospere colonie valdesi. Risulta da processi inquisitoriali che Aquila, Manfredonia ed altre località erano residenza di barba molto autorevoli, tra cui il «Maioralis». In Calabria ai primi del secolo XIV venne fondata una colonia agricola tanto fiorente, che diede origine a due cittadine: San Sisto e Guardia, oltre a diversi villaggi. Assisteremo alla orrenda distruzione della colonia calabrese, nel secolo XVI.