Storia/Storia dei Valdesi/Pietro Valdo

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II. PIETRO VALDO

Nella seconda metà del secolo XII viveva nella città di Lione un uomo chiamato Pietro Valdo. Pur non essendo in grado di precisare l'anno ed il luogo della sua nascita, gli storici s'accordano nell'opinione ch'ei non fosse lionese, ma che sia venuto da fuori a cercar fortuna nella industriosa città sulle rive del Rodano. Il fatto sta che in capo fa pochi anni il giovane Valdo era divenuto quello che la gente chiama «un uomo fortunato» e, come tale, si vedeva circondato di considerazione; grosso proprietario e ricco mercante, aveva preso moglie e l'affetto di due figliole era venuto ad accrescergli la gioia di vivere

La vita, invero, gli sorrideva. Valdo poteva dirsi felice, e, come tante persone nelle sue condizioni, non si preoccupava affatto della sorte dell'anima sua: godeva del proprio benessere e, simile al ricco stolto della parabola, credeva d'essere savio e avveduto pur dimenticando praticamente Dio e il prossimo e la morte e il giudizio avvenire.

Un tragico caso occorso ad un suo amico gli aprì gli occhi, facendogli comprendere che la vita non consiste soltanto in godimento materiale e che v'è qualche cosa di più reale e di più importante che il denaro. In un pomeriggio afoso della primavera 1173, mentre stava con- versando tranquillamente in compagnia di alcuni amici, uno d'essi colto da improvviso malore gli cadde morto ai piedi. Profondamente impressionato, Valdo pensò: “E che sarebbe di me, se dovessi comparire da un momento all'altro davanti a Dio?”. Fu quello il principio d'una crisi di coscienza che non fu superficiale né effimera ; anzi, via via che i giorni passavano, l'agitazione cresceva e diventava tormento. Di lì a poco, gli capitò di ascoltare sulla piazza un giullare che cantava alla folla commossa i casi pietosi di Sant'Alessio: una storia che oggi farebbe ridere la gente, ma che allora strappava le lacrime. Si trattava di un giovane patrizio romano che il giorno stessa delle sue nozze era fuggito in Oriente per far voto di povertà ; ritornato dopo alcuni anni, irriconoscibile per le patite macerazioni, pensò di bussare come un mendicante alla porta del suo proprio palazzo, per offrire ai desolati parenti l'occasione di fargli l'elemosina e di accumulare così tesori nel cielo: gli fu assegnato un misero giaciglio in un sottoscala, dove giacque per qualche tempo senza mai cedere alla tentazione di rivelare chi li fosse; soltanto dopo la sua morte lo si poté riconoscere da un segno che portava sotto i suoi miserabili cenci; e così ebbe, se non altro, solenne sepoltura.

Quella canzone impressionò Valdo così vivamente che invitò il giullare a entrare in casa sua e gli fece ripetere i versi che esaltavano la fede degli antichi, lamentando per contrasto la decadenza del secolo nonché la fragilità della vita.

Rimasto solo, il nostro mercante sentiva crescere vieppiù il suo turbamento, al pensiero di quell'esempio di povertà volontaria, di rinunzia ai beni terreni per servire il Signore. Perciò, l'indomani mattina se ne usciva frettolosamente di casa in cerca d'un teologo, cui esporre il suo stato d'animo e chiedere consiglio. Trovato che l'ebbe, gli domandò: « Qual via ho da seguire per salvare l'anima mia ? ». Il teologo incominciò a distinguere: per andare al cielo le vie erano diverse; e tirava per le lunghe, con molti ragionamenti. Ma Valdo non era disposto a perdersi nel labirinto della casistica; onde, interrompendolo: «La via più sicura, la più perfetta?». Il teologo questa volta rispose con le parole di Gesù al giovane ricco : « Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai e dallo ai poveri, ed avrai un tesoro nei cieli ; poi vieni e seguitami».

Ritornato a casa, Valdo decise di obbedire a tale ordine divino, non già per ritirarsi nella sterile solitudine d'un monastero, ma per seguire Gesù mediante un apostolato. Si aprì con la moglie e ne, calmò le apprensioni destinandole i beni immobili da lei preferiti; provvide all'educazione delle due figliuole, collocandole con larga dote in un'abbazia ; con il denaro che gli rimaneva — ed era ancora assai — restituì anzitutto gli interessi che aveva percepito dai suoi debitori (In quell'epoca l'interesse, a qualunque tasso, era condannato come usura, perché regnava il vecchio concetto scolastico che il denaro non produce nulla. Tal pregiudizio dopo il Medio Evo, col progresso dell'economia politica), e poi, principiando dalle Pentecoste (il 27 maggio), fece distribuire ai poveri tre volte alla settimana delle razioni di pane, carne ed altri cibi: e i poveri erano particolarmente numerosi quell'anno a motivo di una grande carestia che affliggeva tutto il lionese.

Né dimenticò il cibo che non perisce, col quale sempre più sentiva la necessità di nutrire l'anima sua. II nostro bravo mercante non capiva niente dell'evangelo che in chiesa si cantava, più che non si leggesse, e per giunta in latino; e perciò, desiderando ardentemente di leggerlo da sé, incaricò due ecclesiastici di tradurre dal latino nel dialetto del paese diversi libri della Sacra Scrittura, incominciando dai Vangeli e dai Salmi, e di farne diverse copie, aggiungendovi a guisa di commento varie sentenze tolte dagli scritti dei Padri.

Intanto era continuata la regolare distribuzione di viveri, e il momento giunse in cui non gli rimase più nulla. Allora, il 15 agosto, regalando ai poveri nella via gli ultimi denari che gli avanzavano, Valdo gridò con forza alla gente che s'era adunata: «Non si può servire a due signori, a Dio e a Mammona!» (Matteo 6:24) . E siccome nella moltitudine c'era chi si beffava di lui, pretendendo ch'egli fosse fuori di senno, egli arringò il popolo e disse: «Amici e concittadini, io non sono fuori di senno come pensate; ma ho voluto vendicarmi d'un nemico che mi tiranneggiava : il denaro, il quale teneva nel mio cuore più posto che Dio, talché servivo alla creatura e non al Creatore. So che non pochi di voi mi biasimano ch'io faccia queste cose in pubblico, ma le faccio per due fini, cioè per voi e per me: per me, affinché da ora innanzi se alcuno mi vedrà tener denari dica pure che sono fuori di senno; per voi, onde impariate dal mio esempio a porre la vostra speranza in Dio anzi che nei beni perituri » [Chronicon anonymi canonici laudunensis; ap. Pertz., Mon. Germ. Script, XXVI, 447-449].

L'indomani Valdo, ormai ridotto all'estrema povertà, chiese ad un amico l'elemosina di un po' di pane. Ma la moglie di lui, saputo lo strano caso, corse all'arcivescovado a lagnarsi che il marito le facesse l'ingiuria di mendicare da altri il pane che essa non gli ricusava; onde Valdo prese dinanzi all'arcivescovo Guichard l'impegno di non ricevere il cibo da altri che dalla moglie.

Ma tale situazione non durò a lungo. In quell'epoca non si usava di spogliarsi così dei propri beni, senza fare contemporaneamente voto di povertà: il qual voto implicava quelli di castità e di obbedienza; implicava cioè l'osservanza dei Consilia evangelica che la Chiesa considerava come aggiunti ai precetti ordinari e suggeriva a chi volesse fiar qualche cosa di straordinario per raggiungere la perfezione,

Valdo, povero, si separò definitivamente dalla moglie; e, quanto al voto di obbedienza, egli si propose sinceramente di osservarlo, ma doveva tosto accorgersi che obbedire all'Evangelo non significava precisamente sottomettersi alla Chiesa.

Di casa in casa egli andava leggendo e spiegando l'Evangelo che aveva fatto tradurre in lingua volgare, spargendo parole di umiltà e di semplicità col gesto largo e fidente del seminatore. Gli ascoltatori divenivano facilmente seguaci, ed i seguaci si moltiplicarono rapidamente. Si radunavano ovunque, nelle vie come nelle case, e per seguitare il Cristo leggevano insieme la sua vita, vi si specchiavano e, convinti di peccato, si confessavano gli uni agli altri esortandosi a ravvedimento ed a vita nuova. Come Pietro Valdo, s'erano spogliati dei loro averi a beneficio dei miseri e, scevri d'ogni sollecitudine per l'avvenire, nutrivano la speranza, non solo di salvare l'anima loro, ma di far opera salutare per la cristianità riconducendo la fede alla purezza delle sue origini.

Umile, assai, circoscritto, il loro ideale di povertà volontaria era puro di spirito settario, alieno d'ogni passione politica e sociale: parlava alle coscienze. A due a due andavano proclamando: «Beati i poveri in ispirito, perché il regno dei cieli è loro !» (Matteo 5:3).

In Lione si chiamavano i Poveri di Cristo, ma ben si comprende che, non appena si sparsero fuori della città, venissero desinati col nome di Poveri di Lione.

Così la missione nasceva e si estendeva. Non andò molto, però, che Valdo dovette accorgersi di avere il clero  decisivamente contrario. Se l'era forse alienato in più modi. Prima di tutto, s'era disfatto del suo patrimonio senza donarne parte alcuna alla Chiesa. Poi aveva ferito i suoi ministri con la denunzia dei loro abusi. Per di più, si intrometteva nelle loro attribuzioni: quel suo leggere e spiegare in pubblico le Sacre Scritture sembrava cosa enorme, intollerabile. C'era chi lamentava ch'egli gettasse le perle ai porci ; c'era chi l'accusava di profanare lui stesso la santa religione con la sua parola incolta, laica, non iniziata ai metodi scolastici, e, sopratutto, non consacrata dall'autorità. Onde, sempre più sdegnate si levarono le proteste clericali e più fitte fioccarono le denunzie.

L'arcivescovo Guichard lo fece citare ed ammonì lui ed i suoi seguaci a desistere, minacciandoli di scomunica; ma Valdo replicò con fermezza le ripetutamente di avere l'obbligo sacrosanto di annunziare l'Evangelo, secondo l'ordine di Gesù Cristo. Visto l'atteggiamento così risoluto assunto da codesti «Poveri» e non trovando alcun argomento persuasivo per ridurli all'obbedienza, vale a dire al silenzio, l'arcivescovo finì col bandirli senz'altro dalla città.

Questo avveniva nell'anno 1176.