Storia/Uso e abuso del Semper Reformanda

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


Uso ed abuso del "Semper Reformanda"

Uno dei motti principali della Riforma protestante si riassume nell’espressione latina “Semper Reformanda”, abbreviazione di: "Ecclesia reformata quia semper reformanda est", vale a dire, parafrasandolo, “La chiesa, anche se riformata, ha bisogno di essere sempre riformata". Questo motto fa riferimento al principio che la chiesa debba continuamente riesaminare sé stessa, per mantenersi sempre fedele, nell'azione e nella dottrina, confrontandosi costantemente con l’insegnamento della Parola di Dio [1].

Questa locuzione, però, non risale alla Riforma del XVI secolo in quanto tale, ma al movimento del Pietismo [2], all’interno della Chiesa riformata olandese.nel XVII secolo. E in quel contesto, infatti che nasce la Nadere Reformatie [3] (l’ulteriore Riforma). Il motto “Semper Reformata” appare per la prima volta pubblicato da Jodocus van Lodenstein, in un libro di letture devozionali dal titolo: Beschouwinge van Zion [4] (Contemplazione di Sion), Amsterdam, 1674, e da lì diventa sempre più popolare. Il Van Lodenstein è una figura importante nel Pietismo riformato olandese. Secondo questo autore e gli esponenti di questo movimento, la Riforma aveva riformato la dottrina della chiesa, ma la vita e la pratica del popolo di Dio, di ciascun credente, aveva sempre bisogno di confrontarsi continuamente con la Parola di Dio, e questo per conformare effettivamente ad essa ogni aspetto della vita. Inoltre, costante è la necessità per la chiesa di “correggere la rotta” per evitare la deriva morale e spirituale [5] in cui incorre chi (chiesa o singolo credente che sia) non si attiene all’insegnamento biblico così com’è definito con precisione dalle Confessioni di fede e dai catechismi della Riforma. Quando “la forma” dottrinale, morale e spirituale viene “de-formata”, lo Spirito Santo la “ri-forma” efficacemente attraverso le Sacre Scritture, rilette, riscoperte e ri-applicate. Il Van Lodenstein e i suoi colleghi non privilegiavano tanto “l’esperienza” in quanto tale rispetto alla “arida ortodossia” (come talvolta si descrive la protesta del Pietismo - come se per questo avesse disprezzato la dottrina), ma difendeva l’ortodossia riformata, promuovendone l’effettiva e non formale applicazione alla vita della chiesa e di ogni singolo credente. Questo è rilevabile pure dall’enfasi esperienziale del Catechismo di Heidelberg [6] che congiunge sapientemente dottrina e vita.

Ritenuto oggi ampiamente come una delle caratteristiche fondamentali di una chiesa autenticamente protestante accanto ai famosi “Cinque sola della Riforma” [7], l’interpretazione di questo motto viene oggi, però, molto spesso distorta per farle affermare cose che non solo non erano quelle originalmente intese, ma che contraddicono palesemente gli altri princìpi della Riforma. Il “Semper Reformanda” viene, per esempio invocato, spesso e volentieri, da protestanti di tendenza liberale per giustificare, di fatto, qualsiasi loro innovazione, revisione o allontanamento dall’ortodossia confessionale (che viene così relativizzata) in nome di una presunta “evoluzione del pensiero” o “cambiamento delle circostanze”. In nome di questo principio si vorrebbe persino talvolta giustificare l’allontanamento dai principi storici di base della fede cristiana come sono contenuti nei Credo ecumenici, oppure la loro radicale revisione. Questo fraintendimento ed abuso del “semper reformanda”, presuppone, in chi lo perpetra, il relativismo dottrinale, esso stesso concetto quanto di più lontano ed incoerente vi possa essere con i presupposti identitari della fede riformata storica. Esso rivela, di fatto, come il pensiero liberale sia pesantemente condizionato dalla filosofia evoluzionista.

Il “Semper reformanda” diventa così il motto di chi si vanta di essere “aperto” a muoversi al di là dalla fede e dalla pratica confessata nei nostri canoni dottrinali. Ci dicono: “Come potrebbero mai confessioni e catechismi scritti nel XVI e nel XVII secolo guidare la nostra dottrina, vita e culto nel XXI secolo?”. Questa contestazione, però, sorge da chi non solo equivoca l’origine e la funzione del canoni dottrinali della Riforma, ma da chi ha sostanzialmente alterato i presupposti stessi della fede cristiana storica sui quali essa stata fondata, vale a dire le Sacre Scritture come espressione immutabile della Parola di Dio ed interpreti di sé stesse.

Certo, i canoni dottrinali storici delle chiese riformate non sono, di per sé, la nostra autorità ultima in materia di fede e di condotta, ma la Parola di Dio che essi riflettono. Interpretazioni “migliori” del testo biblico sono, in linea di principio, sempre possibili, ma esse devono essere dimostrabili persuasivamente tali sulla base di presupposti necessariamente omogenei con la fede che questi canoni ha generato. Di fatto, però, la maggior parte di chi oggi propone innovazioni dottrinali e morali spesso pretende di farlo sulla base di una “nuova luce” che avrebbe acquisito sul testo biblico e che, a sua volta, sorge da concetti che, a tutti gli effetti, alterano, sovvertono e relativizzano l’autorità stessa della Bibbia. Essi pretendono, infatti, altrettanto dogmaticamente, che il moderno approccio critico e “scientifico” sia tale da “ridimensionare” l’autorità della Bibbia, quella che si era da sempre ritenuta tale. Il risultato finale di questi “aggiornamenti” e “progressi” non è così tanto una riforma, ma una radicale ridefinizione ed alterazione della fede cristiana, operata sulla base di presupposti alieni alla fede millenaria del popolo di Dio; non riforma, dunque, ma revisione sostanziale. Tutto questo in nome del “progresso” o persino dell’azione dello “Spirito” che alcuni ritengono guidare trionfalmente la storia ma che, se fosse nel modo che essi immaginano, solo cadrebbe in contraddizione con sé stesso [8]. Con l’originale “Semper Reformanda” tutto questo non ha nulla a che fare. Che un tale revisionismo possa star bene ad alcuni è un fatto, ma non per chi intende preservare “la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre” per la quale l’Apostolo ci esorta a combattere strenuamente (Giuda 3).

Nel contesto del XVI secolo, il nostro abusato motto non era né liberale né conservatore, ma radicale, nel senso del ritornare “alle radici”. Questo era riflesso nel “Sola Scriptura”. La Riforma, infatti, non aveva interesse nel “cambiamento” fine a sé stesso. Come sostiene Calvino nell’opera “La necessità di riformare la chiesa” [9], i riformatori stessi erano accusati di essere degli “innovatori”, mentre era la chiesa medievale ad essere “innovativa” distorcendo, come faceva, sia il culto che la fede. La Riforma faceva appello al ristabilimento del Cristianesimo apostolico. La chiesa romana pretendeva di essere “sempre la stessa”, ma aveva accumulato una congerie di dottrine e di pratiche che erano sconosciute alla chiesa antica e al Nuovo Testamento stesso.

Importante è pure considerare come in "Ecclesia reformata quia semper reformanda est" il verbo “reformanda” sia passivo. Non è, infatti, che la chiesa sempre riformi sé stessa, oppure che i teologi ed i sinodi delle chiese possano decidere di riformare la chiesa per “adattarla ai tempi” o secondo quelle che percepiscono essere le loro convenienze. Spesso proditoriamente lo fanno, ma questa non è la riforma com’era originalmente intesa. In questo modo la chiesa diventa parte attiva, determinando essa la propria dottrina, culto e disciplina alla luce di sempre mutevoli contesti culturali e circostanze. Il progressivismo così diventa fine a sé stesso e la chiesa diventa specchio del mondo. È la chiesa, però, che sempre “viene riformata” dallo Spirito di Dio attraverso la Parola quando, di fronte alla deriva ed alla degenerazione di molte sue espressioni storiche, Dio stesso fa sorgere, inaspettatamente, tempi di risveglio [10]. E’ allora che le Sacre Scritture ritornano ad essere lette e prese sul serio come Parola di Dio ed è allora che singoli e chiese vengono trasformati. Il motto che ancora si vede scritto come insegna di molti edifici ecclesiastici protestanti, e che risale al tempo della Riforma del XVI secolo è: “Chiesa evangelica riformata dagli errori e dalle superstizioni umane” [11] (secondo l’insegnamento delle Sacre Scritture). Il concetto di “riforma permanente” che oggi di fatto molti protestanti liberali affermano, è l’esatto opposto. Essa diventa: “Chiesa evangelica riformata dagli errori e dalle superstizioni umane”, nel senso che sono gli errori e le superstizioni umane, fatte passare per “progresso”, che determinano, essi stessi, “la forma” della chiesa. Si dovrebbe con buon motivo quindi dire che siamo di fronte non a chiese riformate, ma a chiese deformate e conformate al mondo (per essere “più attuali” e “più rilevanti”!).

Un esempio, però, della giusta e ricorrente riforma, suscitata dallo Spirito di Dio, potrebbe essere quella emblematica che era avvenuta in Israele al tempo del re Giosia, dopo aver "ritrovato" il libro della Legge: "Quando il re udì le parole del libro della legge, si stracciò le vesti. Poi il re diede quest'ordine al sacerdote Chilchia, ad Aicam, figlio di Safan, ad Acbor, figlio di Micaia, a Safan il segretario, e ad Asaia, servitore del re: «Andate a consultare il SIGNORE per me, per il popolo e per tutto il regno di Giuda, riguardo alle parole di questo libro che si è trovato; poiché grande è l'ira del SIGNORE che si è accesa contro di noi, perché i nostri padri non hanno ubbidito alle parole di questo libro, e non hanno messo in pratica tutto quello che in esso ci è prescritto (...) Il re ordinò al sommo sacerdote Chilchia, ai sacerdoti del secondo ordine e ai custodi della porta d'ingresso, di togliere dal tempio del SIGNORE tutti gli arredi che erano stati fatti per Baal, per Astarte e per tutto l'esercito celeste, e li bruciò fuori di Gerusalemme nei campi del Chidron, e ne portò le ceneri a Betel ecc." (2 Re 22:11-13; 23:4). Altri re di Israele prima di lui avevano ritenuto di "aggiornare" la fede ai tempi e corrotto il culto, subendone però la severa condanna da parte di Dio.

Non è quindi perché la cultura cambia sempre e noi dobbiamo essere all’altezza dei tempi, che la chiesa deve essere “semper reformanda”, ma perché abbiamo sempre bisogno di essere ri-orientati dalla Parola che sta sopra di noi, individualmente e collettivamente, che la chiesa non può stare ferma. Essa dev’essere una chiesa sempre in ascolto, in ascolto della Parola di Dio: “Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Romani 10:17). Personalmente e collettivamente la chiesa giunge all’essere tale e come tale è tenuta in vita dall’ascolto dell’Evangelo biblico. La Chiesa è sempre “quella che riceve” non solo i doni di Dio, ma anche la Sua correzione. Lo Spirito non ci conduce indipendentemente dalla Parola, ma ci fa ritornare al Cristo com’è rivelato dalla Parola. Dobbiamo sempre ritornare ad udire la Parola del nostro Pastore. Lo stesso Evangelo che crea la Chiesa, è lo stesso che la sostiene e la rinnova. La nostra conformità personale alla Parola che Paolo ci comanda in Romani 12 non sarà mai completa in questa vita, e lo stesso è vero per la chiesa nel tempo presente.

Questa prospettiva ci preserva certo dal rendere infallibile la tradizione, ma anche dall’ossessione di molti protestanti di cominciare sempre daccapo in ogni generazione. Quando la Parola di Dio è la fonte della nostra vita, la nostra fedeltà ultima non è al passato come tale, o al presente o al futuro, ma a quella Parola che, come disse Martin Lutero in un suo inno, sta al di sopra delle potenze terrene. Non dietro a noi, né davanti a noi, ma al di sopra di noi, regna il nostro sovrano Signore sul Suo corpo in ogni luogo e tempo. Quando invochiamo la frase: “La chiesa, anche se riformata, ha bisogno di essere sempre riformata secondo la Parola di Dio”, confessiamo di essere parte della chiesa, corpo di Cristo, e non semplicemente di noi stessi, e che questa chiesa è sempre creata e rinnovata dalla Parola di Dio e non dallo spirito dei tempi.

Bisogna, infine, anche dire che i protestanti liberali, che invocano questo motto per giustificare il loro asservimento allo spirito della nostra epoca, non siano per altro i soli ad abusare del concetto di “Semper Reformanda”. Lo usano anche alcuni evangelici conservatori per chiamarci a quella che ritengono essere una definizione “più larga” di ciò che significhi essere riformati. Guarda caso, però, la loro “apertura” di fatto vuole solo dire tollerare ed abbracciare antiche eresie già ampiamente confutate o altri aspetti dello spirito di questo mondo scambiati per opera dello Spirito di Dio [12]. A tutto questo i nostri canoni dottrinali riformati ci rendono attenti e ci proteggono. Comprendiamo, quindi, il senso originale del “Semper Reformanda”, ce ne avvaliamo con riconoscenza e ne contrastiamo ogni abuso.

Note
[1] Non “al messaggio evangelico”, concetto limitante.
[2] http://riforma.info/wiki/index.php?title=Teopedia/Pietismo
[3] http://riforma.info/wiki/index.php?title=Teopedia/Nadere_Reformatie
[4] http://goo.gl/4h0S37 come pure http://goo.gl/65j9y6
[5] Si può parlare di un processo di “entropia” della chiesa. “Secondo Martin Lutero la chiesa riformata non è tale se non conserva sempre la capacità di riformarsi. Se la chiesa ha bisogno di trasformarsi è perché è soggetta, come tutte le istituzioni umane, alla legge dell'entropia, ed è destinata a degenerarsi”. Cfr. http://www.torinovaldese.org/archivio/NEWS_TO_100421.html e sull’entropia vedasi: https://it.wikipedia.org/wiki/Entropia
[6] http://riforma.info/wiki/index.php?title=Heid
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Cinque_sola
[8] Dio di fatto guida la storia secondo i Suoi propositi verso il fine che Egli si è proposto, attraverso il Suo Spirito, ma non nel senso che questi immaginano, abbracciando senza discernimento ogni novità che si ritiene un progresso.
[9] http://www.swrb.ab.ca/newslett/actualNLs/NRC_ch00.htm
[10] Che non sono “programmabili”, ma che dipendono dalla sovranità provvidenziale di Dio.
[11] Come ancora si vede, per esempio, sul muro della chiesa riformata di Poschiavo (Svizzera)