Predicazioni/Marco/ I paradossi di Gesù: essere disposti a perdere per trovare ciò che più conta

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I paradossi di Gesù: essere disposti a perdere per trovare ciò che più conta

La locuzione “Mors tua, vita mea” (la tua morte è la mia vita) caratterizza sempre di più la vita a livello personale, sociale e internazionale di questo mondo. Quella competizione che cerca l’annientamento dell’avversario (o presunto tale) non conosce più remore. Per acquisire dominio “tutto è consentito” . Quanto ci guadagnerà chi adotta questo principio? A tutto questo si contrappone il paradosso affermato dal Salvatore Gesù Cristo che dice:  “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell'evangelo, la salverà” (Marco 8:35). Come comprendere, valutare ed applicare quanto Gesù ci dice? Lo vediamo oggi.

Mors tua vita mea

Conoscete l’antica locuzione latina: “Mors Tua Vita Mea” [1] (“la tua morte è la mia vita”)? Alcuni suppongono che questa frase fosse pronunciata dai gladiatori dell’antica Roma che si apprestavano a combattere nell’arena: uno dei due per sopravvivere doveva uccidere l’avversario. Allora pare che gli spettatori si divertissero molto a quello “spettacolo”. La dignità umana della singola persona non contava. Ognuno era una sorta di “vuoto a perdere” in balia del più forte. Quello, infatti, era “lo stile di vita” della società pagana di quel tempo.

Quel tempo? - direste voi. No, in effetti è pure quello che succede oggi, sia a livello individuale come a livello nazionale e internazionale - solo che succede in maniera “più raffinata” coperta dalle ipocrite “buone intenzioni” dell’umanesimo.

Di fatto, l’espressione “mors tua - vita mea” è usata a tutt’oggi per riferirsi a un comportamento caratterizzato da opportunismo e spietato cinismo:  il tuo fallimento e distruzione è necessario per il mio successo. In altri termini: sacrifico te per salvare me; ti reco un danno per ottenerne io un vantaggio.

Questo ignobile principio, che alcuni riescono persino a giustificare, pesca nel fondo dell’inconscio umano della nostra natura corrotta e decaduta, nell’individualismo di cui siamo pregni, e ci fa desiderare che se aspiriamo a un posto, a una vittoria, ad un concorso, basterà procurarsi o augurarsi la scomparsa dei nostri avversari e così ...diventeremo i primi della lista! Quest’idea viene rappresentata continuamente nei film contemporanei, dove “l’eroe” è la persona più spietata e senza scrupoli.

Questa idea egocentrica è incarnata nell’attuale scontro politico, economico e militare fra nazioni, blocchi di nazioni, gruppi di potere che ritengono di essere “illuminati”, o potenti ditte multinazionali che aspirano all'egemonia, al controllo monopolistico a livello globale. Per dominare devono distruggere l’avversario, o il potenziale avversario. L'aspirazione all'egemonia, infatti, implica il desiderio di dominare o influenzare in modo predominante gli affari internazionali e quindi ottenere per loro “il massimo profitto”. Tutto questo inevitabilmente porta a scontri politici, economici e militari dove le nazioni competono per risorse, influenza o controllo globale, rubandosele a vicenda.

“Mors tua - vita mea” si contrappone, in geopolitica, al multilateralismo [2], all’auspicabile e sensata collaborazione internazionale e che promuove il rispetto del principio di non aggressione e dell’interesse collettivo [3] - ciò che in pratica ripudia ogni pretesa di egemonia e imperialismo. Questo, sicuramente, è un modo di vedere le cose molto diverso dal primo perché implica un auto-limitazione (umiltà e minori profitti) per salvaguardare la dignità di ogni persona o nazione. Il multilateralismo è, invece,  un approccio che promuove la cooperazione tra molte nazioni che si rispettano reciprocamente attraverso i trattati, gli accordi, e i patti. Si basa sull'idea che i problemi globali richiedano soluzioni condivise e che la collaborazione sia nell'interesse di tutti  rinunciando ad ogni ambizione egemonica Questa considerazione razionale, però, pare non conciliarsi molto con l’arroganza dell’animo umano corrotto e decaduto che, amplificato in nazioni e gruppi monopolistici, pur di dominare, non ha scrupolo alcuno verso niente e nessuno. L’uno vorrebbe “fare le scarpe” all’altro...

Questo fenomeno del tutto “umano” era ben conosciuto sin dall’antichità e rappresentato, per esempio, nelle tragedie greche. Un esempio classico si trova in Alcesti, la tragedia di Euripide [4]. Il re di Fere, Admeto, colpito da un morbo che non perdona, ottiene dagli dèi la grazia di non morire, purché trovi qualcuno disposto a morire al suo posto. Admeto si rivolge fiducioso ai genitori, vecchi come sono dovrebbero accettare il cambio, oramai hanno poco da perdere. Ma quelli non vogliono nemmeno sentirne parlare, la vita è cara a tutti, ai padri non meno che ai figli, ed essi non intendono rinunciare ai loro ultimi anni. Soltanto la giovane sposa, la tenera Alcesti, si offre di morire per il marito, da lei amato fino all’estremo sacrificio. Senonché poco dopo le esequie arriva il dio Ercole, che scende nell’Ade e riporta sulla terra l’eroica donna. Alcesti risuscitata torna dal marito e riprende la vita di sempre. Ma che vita potrebbe mai essere, al fianco d’un simile egoista marito?

Il paradosso di Cristo

Del tutto opposto a “Mors tua vita mea” è l’affermazione paradossale del Salvatore Gesù Cristo che dice:

“Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell'evangelo, la salverà” (Marco 8:35).

In pratica: non la mia vita a spese di altri, ma il sacrificio della propria vita per amore di Cristo e della salvezza di molti altri. Questo è “buona notizia” per tutti.

Leggiamo questo nel vangelo secondo Marco, ma lo stesso è riportato espressamente nei vangeli di Luca e di Matteo. Come tale manca in Giovanni e negli scritti apostolici, ma, evidentemente, è proclamata con parole diverse. Il primo a sacrificare la propria vita per salvare molte altre persone da una vita insensata e destinata al peggio è, infatti, Gesù stesso. Gesù, Dio con noi, offre in sacrificio morendo su una croce la sua vita per pagare lui il prezzo, le conseguenze, dei nostri peccati liberandocene - e questo accade a chiunque affida a Lui la propria vita. Trova così riconciliazione con Dio e una vita significativa ed eterna. Questo, però, non è tutto.

Come suoi discepoli siamo chiamati a vivere con i principi da lui insegnati perché il sommo e cieco egoismo di chi pensa di salvare sé stesso a spese degli altri è un inganno di prim'ordine che comporta la perdita della propria anima stessa, di fatto dell’umano, che, con quei principi è destinato all’autodistruzione. In questo già possiamo intuire chi suggerisca quest’idea nella nostra testa.

Il contesto immediato in cui vediamo questa affermazione di Gesù nel vangelo di Marco è così quello del discepolato cristiano. Allora Gesù elargiva nella società in cui viveva benedizioni sconfinate. Infatti, annunciando l’Evangelo, la Buona Notizia, l’apostolo Pietro metteva al centro dell’attenzione: “Gesù di Nazaret: come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza e come egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Dio era con lui” (Atti 10:38). Gesù guariva e liberava. Egli ristabiliva nella salute del corpo, della mente e dello spirito chiunque andasse a lui. Come non avrebbero potuto non volere, infatti, che un tale personaggio regnasse su di loro al posto dei politicanti del loro tempo che, invece di servire il popolo, pensavano solo ad ingrassare sé stessi e a dominare sfruttandoli senza ritegno?

Eppure questo “mondo ideale” non sarebbe venuto miracolosamente come la pioggia dal cielo - sebbene Gesù indubbiamente operasse miracoli. Questo regno, il Regno di Dio, sarebbe venuto attraverso uomini e donne che, impegnandosi come suoi discepoli, avrebbero adottato il suo stile di vita e diffuso il suo messaggio attorno a loro, messaggio di vita e di speranza. Prima di lasciare questo mondo, infatti, Gesù dice ai suoi discepoli, “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate” (Matteo 28:18-20).

Il valore dell’abnegazione 

“Va bene, ci stiamo! Tu vai avanti e noi ti seguiamo!”. È proprio allora che Gesù  li avverte e dice loro: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Marco 8:34). In altre parole: “Se uno mi vuole seguire stando dietro a me, deve rinunciare ad affermare sé stesso” (trad. Einaudi): quel regno non verrà senza il vostro attivo coinvolgimento nei valori che lo caratterizzano. Quello implica ciò che in italiano è chiamato “abnegazione”.

Che cos’è l’abnegazione? La virtù della "abnegazione" è una qualità morale e spirituale che implica un atto volontario di rinuncia a sé stessi, ai propri desideri, interessi e bisogni personali, nel nostro caso, per amore di Cristo ed al servizio della buona notizia del suo Evangelo. Questa virtù riflette un atteggiamento di sacrificio personale per il bene comune.

La "abnegazione" è un termine che deriva dal latino "abnegatio", che significa "rinuncia" o "negazione". Questa virtù si manifesta quando una persona è disposta a mettere da parte i propri desideri, bisogni e interessi personali per dedicarsi al servizio degli altri, alla ricerca della verità o a un ideale più alto come la comunione con Dio e lo stabilirsi del suo Regno. Essa può manifestarsi in vari aspetti della vita, tra cui il servizio altruistico, la rinuncia a piaceri personali o materiali, la generosità e la compassione.

Quali sono i principi chiave dell’abnegazione?

(1) La abnegazione implica un reale sacrificio personale. Chi pratica questa virtù è disposto a subire un disagio, a rinunciare a gratificazioni immediate o a sopportare difficoltà in modo da soddisfare i bisogni o gli interessi degli altri.

(2) L’abnegazione è strettamente collegata all'altruismo, che è l'atteggiamento di mettere gli altri al primo posto. La persona che pratica la abnegazione considera il benessere degli altri come una priorità.

(3) L’abnegazione spesso coinvolge un alto grado di umiltà. Chi la pratica non cerca la lode o il riconoscimento personale per i propri sacrifici ma agisce silenziosamente e senza aspettarsi nulla in cambio.

(4) L’abnegazione può richiedere perseveranza, poiché potrebbero esserci sfide o resistenze personali da superare. Mantenere l'atteggiamento di rinuncia a lungo termine può richiedere una forte determinazione.

La “follia” di Dio 

L’apostolo Paolo definisce questo principio come “un odore di vita che conduce a vita”. Ma poi esclama: “E chi è sufficiente a queste cose?” (2 Corinzi 2:16). Buona domanda, questa, perché per la natura umana corrotta il minimo che si possa dire è che questo “viene difficile”. Ma, soggiungerebbe Gesù, “Agli uomini è impossibile, ma non a Dio, perché tutto è possibile a Dio” (Marco 10:27). Difatti, in Gesù e con Gesù Dio manda sui suoi autentici discepoli, coloro che Dio ha scelto, lo Spirito Santo che inizia a trasformare radicalmente la loro natura di peccatori per renderla conforme a Cristo.

Il mondo corrotto tutto questo lo considera una follia, un sogno irrealizzabile, Difatti, l’apostolo Paolo scrive: “Poiché la parola della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che siamo salvati, è la potenza di Dio (...) Poiché, visto che nella sapienza di Dio il mondo non ha conosciuto Dio con la propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. Poiché [alcuni] chiedono dei miracoli e [altri] cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso,  (...) scandalo e (...) pazzia, (...) Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Corinzi 1:20-25).

Quale altra reazione, però, ci si potrebbe aspettare da quella che Gesù stesso (come riporta lo stesso capitolo del vangelo) chiama: “questa generazione adultera e peccatrice” (Marco 8:38)? Chi sono, però, i veri “pazzi” o “folli” se non chi condivide lo spirito di questo mondo? Infatti: “chi vorrà salvare la sua vita, la perderà”. Gli altri, però, coloro che raccolgono la sfida del Salvatore Gesù Cristo, troveranno che “chi perderà la sua vita per amor mio e dell'evangelo, la salverà”.

Folli cercasi 

Ci sono tanti paradossi e contraddizioni in questo mondo, ma questo è un dato di fatto. Gli arroganti “dominatori di questo mondo” verranno svergognati e perderanno tutto, ma “quei folli” che avranno investito la loro vita nei valori di Cristo, per grazia di Dio, trionferanno su tutto e tutti. Ricordate le Beatitudini? Gesù disse: “Beati quelli che s'adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli. Beati voi, quando vi oltraggeranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi” (Matteo 5:9-11).

Una scrittice cristiana francese, Madeleine Delbrêl ebbe a scrivere:: “Mandaci, o Dio, dei folli […] Abbiamo bisogno di folli che accettino di perdersi per servire Cristo. Amanti di una vita semplice, alieni da ogni compromesso, decisi a non tradire, pronti a una abnegazione totale, capaci di accettare qualsiasi compito, liberi e sottomessi al tempo stesso, spontanei e tenaci, dolci e forti” [5].

Che il mondo possa trovarlo in noi, in voi che leggete o ascoltate, perché solo questo tipo di persone sono portatrici di buone notizie per questo mondo!

Paolo Castellina, 1 settembre 2023

Note