Letteratura/Grazia che abbonda/06

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Indice generale

GRAZIA CHE ABBONDA AL PRIMO DEI PECCATORI (di John Bunyan, 1666)

Capitoli: 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12

 

Nuovo contrasto tra la fiducia nella grazia e le tentazioni alla disperazione


123) Oltre che di questi insegnamenti attraverso la Sua divina Parola, il Signore si servì anche di due cose per rafforzare la mia fede: gli errori dei quaccheri, e la colpa del peccato. Come i quaccheri si opponevano alla verità divina, così Dio mi rafforzava maggiormente in essa, conducendomi alle Scritture che mirabilmente la confermavano.

124) Gli errori che quella gente commetteva allora erano i seguenti: essi sostenevano:
1) che le Sacre Scritture non erano la Parola di Dio;
2) che ogni uomo al mondo possedeva lo Spirito di Cristo, la grazia, la fede, ecc.;
3) che Gesù Cristo, con la sua crocifissione e morte 1.600 anni fa, non aveva soddisfatto la giustizia divina per i peccati dell'umanità;
4) che la carne e il sangue di Gesù Cristo erano riservati ai santi;
5) che i corpi dei buoni e dei cattivi che sono sepolti nel cimitero non risorgeranno;
6) che la resurrezione è già stata compiuta per i buoni;
7) che quell'uomo Gesù, che fu crocifisso tra due ladroni sul monte Calvario, nella terra di Canaan, vicino a Gerusalemme, non era asceso al di sopra del cielo stellato;
8) che quello stesso Gesù, che era morì per mano degli Ebrei, non sarebbe ritornato l'ultimo giorno a giudicare come uomo tutte le genti, ecc.

125) Molte altre cose vili e spregevoli mi erano in quei giorni insinuate da coloro dai quali io ero trascinato ad una più stretta indagine delle Scritture; attraverso i loro lumi e la loro testimonianza, io ero non solo illuminato, ma anche grandemente rafforzato e confortato nella verità. Inoltre, come ho detto, ero molto aiutato dalla colpa legata al peccato, poiché, ogni volta che questo cadeva su di me, il sangue di Cristo lo rimuoveva sempre, ed anche dolcemente secondo le Scritture. Oh, amici, implorate da Diodi rilvelarvi Gesù Cristo, "non c'è nessuno che insegni come lui".

126) Sarebbe troppo lungo raccontarvi nei particolari come Dio mi immerse in tutte le cose di Cristo, e come egli, che poteva farlo, mi condusse alle sue parole; e come le palesò a me, le fece risplendere davanti ai miei occhi, e fece sì che esse dimorassero in me e mi confortassero sempre più, con la sua esistenza, con l'esistenza di suo figlio, dello Spirito, della Parola e dell'Evangelo.

127) Vi ripeterò solo questo, che vi ho già detto prima, che in generale gli piacque seguire questa linea con me: prima permettere che io fossi tormentato da tentazioni, e poi palesarmi le sue rivelazioni. Talvolta io ero sotto la grave colpa del peccato, prostrato al suolo da essa, ed allora il Signore mi mostrava la morte di Cristo, e cospargeva la mia coscienza con il Suo sangue, affinché scoprissi, prima ancora di esserne consapevole, che in quella stessa coscienza in cui fino a quel momento regnava ed infuriava la Legge, avrebbe riposato e dimorato la pace e l'amore di Dio attraverso Cristo.

128) Ora io pensavo di aver avuto dal Cielo una prova della mia salvezza con molti sigilli d'oro, e tutto era chiaro davanti ai miei occhi; ora potevo ricordare con consolazione queste e altre manifestazioni della grazia; e desideravo a lungo e con ardore che venisse l'ultimo giorno, per poter essere infiammato per sempre dalla vista, dalla gioia e dalla comunione di colui il cui capo era stato coronato di spine, il cui volto era stato coperto di sputi, il cui corpo era stato martoriato, la cui anima era stata offerta in cambio dei miei peccati. Mentre prima mi trovavo continuamente tremante alla porta dell'inferno, ora mi sembrava di essermene talmente allontanato, che a mala pena potevo scorgerla quando mi voltavo indietro; oh, pensavo, se almeno avessi ottant'anni, per poter presto morire, e perché la mia anima potesse raggiungere il suo riposo.

129) Ma prima che io potessi allontanarmi a tal punto dalle mie tentazioni, provai l'ardente desiderio di conoscere l'esperienza di qualche pio uomo del passato, che ne avesse scritto centinaia di anni prima che io nascessi; infatti, a proposito di quelli che avevano scritto ai giorni nostri, io pensavo (ma ora chiedo loro perdono) che essi avessero trascritto solo le esperienze altrui; oppure, servendosi della loro abilità e talento, che avessero studiato di rispondere alle obbiezioni che essi riscontravano in altri, senza approfondirle personalmente.

Ebbene, dopo averlo tanto desiderato, Dio, nelle cui mani sono tutti i nostri giorni e le nostre vie, mi mise in mano un libro di Martin Lutero, il suo commento sulla «Lettera ai Galati», un libro così vecchio che quasi cadeva a pezzi, se appena lo sfogliavo. ra io ero molto compiaciuto che un libro così vecchio fosse caduto in mano mia; e non appena lo ebbi scorso un poco, ritrovai la mia condizione nelle esperienze dell'autore, e trattata così ampiamente e a fondo, come se il libro fosse uscito dal mio cuore: la qual cosa mi meravigliò, poiché pensai che quell'uomo non poteva sapere nulla dei Cristiani di ora, ma necessariamente scriveva e parlava di esperienze del passato.

130) Inoltre, trovai che l'autore dibatteva in questo libro con molta serietà l'insorgere di alcune tentazioni, quali la bestemmia, la disperazione e simili, dimostrando che la legge di Mosè, come il demonio, la morte e l'inferno, hanno una gran parte in queste tentazioni; la qual cosa dapprima mi risultò molto strana, ma dopo averla considerata attentamente, trovai che rispondeva a verità. In questa sede non mi propongo niente di particolare, solo mi sembra di dover palesare a tutti gli uomini che io preferisco questo libro di Lutero (all'infuori della Sacra Bibbia) a tutti i libri che io abbia mai visto, perché lo ritengo oltremodo adatto ad una coscienza ferita.

131) Ed ora scoprivo che, come pensavo, amavo Cristo teneramente. Mi sembrava che la mia anima e i miei sentimenti aderissero totalmente a lui. Io provavo per lui un amore ardente come il fuoco, e pensavo, come diceva Giobbe, che sarei morto nel mio nido; ma presto scoprii che il mio grande amore era poca cosa e che, pur pensando di avere un amore così ardente per Gesù Cristo, potevo perderlo ancora una volta per un nonnulla. Dio sa come umiliarci, e sa sottrarre l'orgoglio all'uomo. Poco dopo questo mio amore fu messo alla prova di proposito.

132) Infatti, dopo che il Signore mi aveva tanto graziosamente liberato dalle mie gravi e dolorose tentazioni, e tanto dolcemente mi aveva immerso nella fede del suo santo Vangelo, e mi aveva dato una consolazione così grande e una benedetta prova celeste, suscitando il mio interesse verso il suo amore per mezzo di Cristo, il tentatore ritornò a me, e con una tentazione più crudele e terribile delle precedenti.

133) Questa consisteva nel rinunciare al santissimo Cristo, e separarmi da lui, cambiandolo con le cose di questo mondo, con una cosa qualunque; questa tentazione incombette su di me per un anno, e mi perseguitò con tanta insistenza, che io non ne fui liberato nemmeno un giorno al mese, e talvolta nemmeno un'ora in molti giorni, a meno che non dormissi.

134) E sebbene io fossi persuaso che quelli che possedevano effettivamente Cristo (come speravo che fosse di me, con l'aiuto della sua grazia) non potevano perderlo per sempre, («non si vendan le terre per sempre, poiché la terra è mia» dice il Signore, Le. 25:23), tuttavia ero continuamente oppresso dalla considerazione che io avevo dentro di me un tale pensiero contro un Cristo, un Gesù che aveva fatto per me tutto quello che aveva fatto; eppure non avevo quasi altri pensieri che non fossero blasfemi.

135) Ma né la mia avversione per quel pensiero, né il desiderio e il tentativo di resistere ad esso riuscirono minimamente a scuoterne od abbatterne la forza e la continuità; infatti, in tutto quello che pensavo esso si frammischiava a tal punto, che non potevo consumare il cibo, chinarmi a raccogliere uno spillo, tagliarmi un bastone, o gettare gli occhi su una cosa o l'altra, senza che mi aggredisse questa tentazione: «Vendi Cristo per questo o per quello; vendilo, vendilo».

136) Talvolta questo pensiero «Vendilo, vendilo» mi percorreva la mente per cento volte; e contro di esso, posso ben dirlo, per ore intere sono stato costretto a resistere, piegando e forzando la mia mente, forse per timore che, prima che me ne rendessi conto, mi insorgesse nel cuore qualche cattivo pensiero, che potesse assecondarlo. Inoltre, il tentatore talvolta mi faceva credere che io vi avessi acconsentito,
nel qual caso io mi sentivo alla tortura per giorni interi.

137) Questa tentazione mi aveva procurato tali e tanti timori che io a volte potessi assecondare un tale pensiero ed esserne sopraffatto, che, per effetto della forza che poneva la mia mente nell'ostacolare e resistere a questa empietà, il mio stesso corpo veniva posto in azione o in movimento, e faceva l'atto di respingere e scacciare con le mani o i gomiti; e con la stessa velocità con cui il distruttore diceva «vendilo», io continuavo a rispondere «non lo farò, non lo farò, non lo farò, neppure in cambio di migliaia di mondi»; e temevo, in mezzo a questi assalti, di stabilire un prezzo troppo basso, perché a mala pena sapevo dov'ero, o come potevo fare per ritornare calmo.

138) A quei tempi, egli non mi lasciava neppure consumare il cibo in pace: quand'ero a tavola, dovevo andarmene a pregare, lasciando il cibo all'istante, tanto era simulatamente santo questo demonio. Quand'ero tentato in questo modo, dicevo tra di me: «Ora sto mangiando, lasciami finire». «No», rispondeva egli, «devi farlo ora, o dispiacerai a Dio e farai uno spregio a Cristo». Ero molto tormentato da tutto ciò; e, a causa della colpevolezza della mia natura (immaginando che queste cose fossero impulsi che provenivano da Dio) mi rifiutavo di eseguire quell'ordine, quasi per negare Dio; ed allora ero altrettanto colpevole per non aver assecondato una tentazione del demonio, che se avessi infranto veramente la legge di Dio.

139) In breve, un mattino, mentre giacevo nel mio letto, fui come tante altre volte assalito ferocemente da questa tentazione, di «vendere Cristo e separarmi da lui»; e quell'empio suggerimento «vendilo, vendilo» continuava a percorrere la mia mente, e la stessa velocità con cui si parla. Contro di esso, sempre nella mia mente, io risposi, come le altre volte: «No, no, neppure per migliaia di mondi, ecc.», per lo meno venti volte di seguito; ma alla fine, dopo molto lottare fino quasi ad essere senza fiato, percepii questo pensiero che mi passava per la mente « Lascialo andare se vuole!»; e mi parve inoltre che il mio cuore vi consentisse liberamente. Oh, la diligenza di Satana! oh, l'inutile lotta di un cuore umano!

140) La battaglia era vinta, ed io caddi giù, come un uccello abbattuto dalla cima di un albero, con un senso di grande colpa e di terribile disperazione; uscito dal letto, me ne andai desolatamente per la campagna. Io credo che Dio giudichi con un cuore tanto severo quanto un mortale può sopportare: per cui, per la durata di due ore, io mi sentii come un uomo privato della vita, senza possibilità di recupero, e legato ad una eterna punizione.

141) Inoltre, fui afferrato da quel passo biblico che dice: "...che nessuno sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura. Infatti sapete che anche più tardi, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto, sebbene la richiedesse con lacrime, perché non ci fu ravvedimento" (Ebr. 12:16,17).

142) Ora io mi sentivo come legato, e chiuso al giudizio a venire; per ben due anni non albergarono in me nient'altro che dannazione, e attesa della dannazione; proprio così, nient'altro che questo dimorava in me, salvo pochi momenti di sollievo, come vedrete in seguito.

143) Quelle parole bibliche erano per la mia anima come ceppi d'ottone; ed al continuo suono di esse io continuai a vivere per parecchi mesi. Ma un giorno, intorno alle 10 o le 11, mentre passeggiavo lungo una siepe, Dio sa quanto pieno di dolore e di colpa, compiangendo me stesso per la mia dura sorte (per essere preda di tali empi pensieri), improvvisamente fui colpito da questa frase: «Il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato » (1 Gv. 1:7).

144) Ora la mia anima incominciava a trovar pace, e mi sembrava che il tentatore fosse distolto da me, come se si vergognasse di quello che aveva fatto. Nello stesso tempo mi vedevo rappresentati i miei peccati e il sangue di Cristo, in modo tale che quelli, paragonati a questo, erano come il piccolo sasso che avevo davanti nei confronti del vasto campo che vedevo davanti agli occhi. Questo mi diede un certo incoraggiamento per due o tre ore: e in quello stesso tempo mi parve di vedere, in fede mia, il figlio di Dio soffrire per i miei peccati. Ma questa visione non durò a lungo, ed allora il mio spirito sprofondò di nuovo in uno smisurato senso di colpa.

145) Ma la causa di ciò risiedeva principalmente nel passo biblico suddetto, riguardante Esaù che aveva venduto la sua primogenitura; infatti quel passo occupava la mia mente tutto il giorno, tutta la settimana, tutto l'anno, e mi abbatteva a tal punto che non riuscivo a sollevarmi; e quando cercavo sollievo in qualche altro brano della Bibbia, sentivo risuonare dentro di me sempre quelle parole: «Voi sapete che, quando volle poi ottenere la benedizione, fu respinto; e quantunque con lacrime la richiedesse, non ebbe alcun effetto il suo tardo pentimento».

146) Talvolta, in verità, ero sfiorato da quel passo di Luca (22:31) che dice: «Ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno»; ma esso non sostava in me, e neppure potevo, quando consideravo la mia condizione, trovare dei motivi per pensare minimamente che ci fosse in me la radice di quella grazia, avendo io peccato come avevo peccato. Fui lacerato e torturato aspramente, per giorni e giorni.

147) Allora, con cuore triste e attento, incominciai a considerare la natura e la portata dei miei peccati, e a ricercare nella Parola di Dio se potevo scorgere in qualche luogo una parola di promessa, o qualche frase incoraggiante, dalla quale potessi trarre sollievo. Perciò incominciai a meditare sul terzo capitolo di Marco, al punto in cui dice: «Saranno rimessi ai figli degli uomini tutti i peccati e le bestemmie che avranno pronunciate» (3:28). Questo passo, a prima vista, conteneva una grande e gloriosa promessa di perdono, anche di grandi colpe; ma, considerandolo più attentamente, pensai che dovesse piuttosto intendersi riferito più a quelli che, in una condizione naturale, avevano commesso delle colpe, che non a me, che non solo avevo ricevuto luce e misericordia, ma che, opponendomi ad esse, avevo disdegnato Cristo.

148) Pertanto temevo che questo mio empio peccato potesse essere quell'imperdonabile peccato, del quale Marco così parla in quello stesso capitolo: «chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno». Ed io ero portato a dar credito a ciò, anche a causa di quel passo degli Ebrei riguardante Esaù: «Voi sapete che, quando volle poi ottenere la benedizione, fu respinto; e quantunque con lacrime la richiedesse, non ebbe alcun effetto il suo tardo pentimento». Queste parole non mi abbandonavano mai.

149) Ed ora io ero un peso e un terrore per me stesso: mai come ora avevo saputo cosa significasse essere stanco di vivere, e tuttavia temere di morire. Oh, come sarei stato felice di essere chiunque altro diverso da me! Qualunque cosa diversa da un uomo! E in qualunque condizione che non fosse la mia. Infatti, il pensiero che passava con maggiore frequenza nella mia mente, era che ritenevo impossibile essere perdonato della mia colpa, e salvato dall'ira a venire.

150) Allora incominciai a tormentarmi per richiamare indietro il tempo perduto, desiderando infinite volte che dovesse ancora venire il giorno in cui io sarei stato tentato a commettere un tale peccato; e concludevo con grande sdegno contro il mio cuore e contro tutti gli attacchi subìti, che avrei preferito essere fatto a pezzi piuttosto che ritrovarmi consenziente; ma, ahimé, questi pensieri, desideri, decisioni arrivavano troppo tardi per aiutarmi. Mi aveva attraversato il cuore il pensiero che Dio mi aveva abbandonato, ed io ero caduto. «Ah, chi mi renderà come ai mesi di prima, come ai giorni in cui Dio mi proteggeva» (Giob. 29.2).

151) Allora ancora una volta, essendo restio e mal disposto a perire, incominciai a paragonare i miei peccati con quelli degli altri, per vedere se potevo trovare che qualcuno di quelli che si erano salvati si erano comportati come me. Così io considerai l'adulterio e l'assassinio di Davide, e li trovai crimini nefandi, e per di più commessi dopo aver ricevuto la luce e la grazia; tuttavia, pensandoci bene, mi resi conto che le trasgressioni di Davide erano solo contrarie alle leggi di Mosè, da cui il Signore Gesù Cristo, con il consenso della Sua Parola, poteva esonerarlo; ma le mie erano contro il Vangelo, contro il suo mediatore: avevo venduto il mio salvatore.

152) Di nuovo mi sentivo alla tortura quando consideravo che, oltre ad essere posseduto dalla colpa, ero così privo di grazia, così stregato; e pensavo: che cosa è peccato se non questo? Sarà senz'altro la «grande trasgressione»? (Sl. 19:13). Quell'empietà toccherà la mia anima? (Gb. 5:18) Quali pungoli trovavo in tutte queste Scritture!

153) Ma come, pensavo, c'è solo un peccato imperdonabile? Un solo peccato che rende l'anima irraggiungibile dalla misericordia divina, e io devo essere colpevole di questo? Deve proprio essere così? C'è un solo peccato, in mezzo a tanti milioni di peccati, per il quale non c'è perdono, ed io devo commettere proprio questo? Oh, infelice peccato! oh, infelice uomo! Questi pensieri tormentavano e confondevano talmente il mio spirito, che non sapevo cosa fare: talvolta pensavo che mi avrebbero fatto uscire di senno; e, per aggravare ancora la mia infelicità, ero ossessionato dalle solito parole: «Voi sapete che, quando volle poi ottenere la benedizione, fu respinto». Oh, nessuno all'infuori di me conosce il terrore di quei giorni!

154) Dopo di ciò, giunsi a considerare il peccato che Pietro commise rinnegando il suo maestro; e veramente io sentii che questo peccato era più vicino a me di qualsiasi altro che potessi trovare. Infatti egli aveva rinnegato il suo Salvatore come me, e dopo aver ricevuto luce e misericordia; non solo, ma anche dopo essere stato ammonito. Inoltre pensavo che egli aveva commesso questo peccato due volte, pur avendo avuto il tempo di rifletterci fra l'una e l'altra. Ma, sebbene mettessi insieme tutte queste circostanze, per vedere se mi fosse possibile trovare aiuto, dovetti concludere che il suo peccato non era altro che «una negazione del suo Maestro », mentre il mio era (la vendita del mio Salvatore ». Perciò decisi dentro di me che ero più vicino a Giuda, che non a Davide o Pietro.

155) Ancora una volta, il mio tormento mi infiammava e mi torturava: sì, mi macinava come se dovesse ridurmi in polvere, facendomi notare la clemenza di Dio verso gli altri, mentre io ero caduto nella trappola. Infatti, considerando i peccati degli altri uomini, e paragonandoli con i miei, potevo vedere chiaramente come Dio li proteggesse, nonostante la loro malvagità, e non li lasciasse diventare figli della perdizione, come invece aveva fatto con me.

156) Quanto apprezzava la mia anima a quel tempo la protezione che Dio aveva concesso al suo popolo! E come vedevo procedere sicuri quelli che Dio aveva circondato di essa! Erano sotto la sua vigilanza e la sua speciale provvidenza; e sebbene essi fossero per natura altrettanto malvagi che me, tuttavia, egli, poiché li amava, non permetteva che cadessero fuori della portata della sua misericordia; io, invece, ero irrimediabilmente perduto : egli non mi proteggeva, non mi custodiva, ma permetteva che io, che ero un reprobo, cadessi com'ero caduto. Quei testi benedetti che parlavano di «Dio che custodisce il suo popolo» splendevano come il sole ai miei occhi, sebbene non per confortarmi, ma per mostrarmi la felice condizione e l'eredità di quelli che il Signore aveva benedetto.

157) Ora io constatavo che, non solo la mano di Dio era presente in tutte le provvidenze e le elargizioni di cui erano colmati i suoi eletti, ma anche in tutte le tentazioni che essi avevano di peccare contro di lui, non per istigarli alla malvagità, ma per metterli alla prova con tentazioni ed affanni; ed anche per lasciarli per un po' di tempo in preda a quei peccati, non per esserne distrutti, ma solo per essere resi più umili. E con questo non intendeva escluderli, ma anzi porli sulla strada della sua rinnovata misericordia. Quale amore, quale sollecitudine, quale gentilezza e clemenza vedevo ora mescolarsi ai più severi e terribili sistemi adottati da Dio nei confronti del suo popolo! Egli aveva permesso che Davide, Ezechiele, Salomone, Pietro ed altri peccassero, ma non che cadessero in peccati imperdonabili, e meritassero l'inferno per aver peccato. Oh, pensavo, questi sono gli uomini che Dio ha amato; questi sono gli uomini che Dio, sebbene li punisca, tiene in salvo accanto a lui, e che fa dimorare all'ombra dell'Onnipotente. Ma tutti questi pensieri mi aggiungevano dolore, tormento e orrore, poiché qualunque cosa pensassi mi risultava micidiale: se pensavo a come stavo precipitando, mi sentivo morire. Tutto contribuiva al meglio di quelli che erano chiamati, secondo il suo intento; ed io pensavo che nel mio caso tutto contribuiva al mio danno e alla mia eterna rovina.

158) Ancora una volta, io incominciai a paragonare il mio peccato a quello di Giuda, per vedere se potevo trovare che il mio differiva dal suo, veramente imperdonabile; e pensavo che se il mio fosse stato anche impercettibilmente diverso dal suo, la mia anima si sarebbe trovata in una condizione davvero felice. E, ben considerando, trovai che Giuda aveva commesso il suo intenzionalmente, mentre al mio io avevo opposto preghiere e lotte; inoltre, il suo era stato commesso dopo una meditata decisione, il mio con una fretta terribile, all'improvviso. Per tutto quel tempo, io mi agitavo avanti e indietro, come una locusta, ed ero sbattuto dalla preoccupazione al dolore; e continuamente udivo le parole riguardanti Esaù risuonare nelle mie orecchie, con tutte le loro spaventose conseguenze.

159) Le considerazioni su Giuda e il suo peccato costituirono per un po' un certo sollievo per me; infatti constatavo che, quanto alle circostanze, non avevo peccato così vergognosamente come lui; ma questo pensiero se ne andò presto, avendo io considerato fra di me che ci poteva essere più di un modo per commettere un peccato imperdonabile; ed anche che ci potevano essere diversi gradi per questa, come per le altre trasgressioni; perciò, per quello che potevo capire, questa mia colpa era tale da non essere mai perdonata.

160) Mi vergognavo sovente di essere simile ad un uomo turpe come Giuda, e pensavo come sarei stato inviso a tutti i Santi il giorno del giudizio, a tal punto che, non appena vedevo un uomo che io ritenevo avesse una coscienza pura, sentivo il mio cuore tremare in sua presenza. Oh! Ora mi rendevo conto che era motivo di vanto procedere con Dio, e che era una grazia poter esibire al suo cospetto una coscienza monda.

161) A quel tempo, io ero molto tentato di soddisfare me stesso, accogliendo false opinioni: che non ci sarebbe stato il giorno del giudizio, che noi non saremmo risorti, e che il peccato non era poi una cosa tanto grave. E il tentatore mi suggeriva: «Se invece è tutto vero, pensare altrimenti ti è di sollievo in questo momento. Se tu devi perire, non tormentarti così in anticipo, scaccia dalla tua mente i pensieri di dannazione, occupandola con quelle conclusioni che gli atei e i «Ranters» usano per trovare aiuto».

162) Ma, ahimé, quando questi pensieri mi attraversavano il cuore, era come se la morte e il giudizio fossero a un passo da me! Mi sembrava che il Giudice fosse alla mia porta, mi sentivo come se fosse già arrivato il giorno del giudizio, cosicché i suggerimenti del tentatore non sortivano alcun effetto. Da tutto ciò traggo la conclusione che Satana usa qualunque mezzo per tenere l'anima lontana da Cristo. Egli non ama il risveglio dello spirito: l'ostinazione, la cecità, l'oscurità e l'errore sono il regno e la dimora del maligno.

163) Ora trovavo difficile pregare Dio, poiché la disperazione mi stava inghiottendo. Mi sembrava di essere trascinato da un turbine lontano da Dio, poiché sempre, quando invocavo la sua misericordia, sentivo risuonare dentro di me queste parole: «È troppo tardi, sono perduto. Dio ha lasciato che cadessi, non per la mia salvezza, ma per la mia condanna; il mio peccato è imperdonabile, ed io so che Esaù, dopo aver venduto la sua primogenitura, avrebbe voluto ricevere la benedizione, ma fu respinto». A quel tempo, mi imbattei nella terribile storia di quell'infelice mortale, Francesco Spira; e il libro che ne trattava fu per il mio spirito tormentato come il sale strofinato su una ferita fresca. Ogni frase di quella storia, ogni lamento di quell'uomo, con tutto il resto delle sue azioni e dei suoi dolori, come le sue lacrime, le sue preghiere, il suo stridor di denti, il suo torcersi le mani, i suoi contorcimenti e struggimenti sotto quella possente mano che Dio teneva su di lui, erano come coltelli e pugnali nella mia anima. Specialmente questa sua frase mi terrorizzava: «l'uomo conosce l'inizio del peccato, ma chi può limitarne i confini?». E poi ancora il solito passo biblico, quasi a conclusione di tutto, si abbatteva sulla mia coscienza come un fulmine rovente: « oi sapete che, quando volle poi ottenere la benedizione, fu respinto; e quantunque con lacrime la richiedesse, non ebbe alcun effetto il suo tardo pentimento».

164) Allora fui colpito da un gran tremore, tanto che, talvolta, sentivo per giorni interi il mio corpo e la mia mente agitarsi e vacillare sotto l'impressione del terribile giudizio di Dio, che si sarebbe abbattuto su coloro che avevano commesso quell'orribile e imperdonabile peccato. Inoltre sentivo una tale tensione e un tale bruciore allo stomaco, a causa di questo mio terrore, che mi sembrava in certi momenti che il mio sterno di spezzasse. Allora pensavo a quel passo riguardante Giuda: «Ed essendosi impiccato, il suo corpo si squarciò nel mezzo, sicché si sparsero tutte le sue viscere» (Atti 1).

165) Inoltre temevo che questo fosse il marchio che il Signore aveva impresso su Caino: un continuo terrore e tremore sotto il pesante fardello di colpa di cui lo aveva caricato per il sangue di suo fratello Abele. Così mi contorcevo e mi rattrappivo sotto il peso che incombeva su di me; ed esso mi opprimeva talmente che non potevo né star fermo né muovermi, né giacere né trovare riposo o quiete.

166) Tuttavia, questo verso mi si affacciava talvolta alla mente: «Egli ha avuto doni per i ribelli » (Sl. 6:18). I ribelli?, pensavo; ebbene certamente essi sono come un tempo soggetti al loro principe, anche quelli che, dopo aver giurato sottomissione al suo governo, hanno preso le armi contro di lui; e questa, pensavo, è proprio la mia condizione: un tempo io lo amavo, lo temevo e lo servivo; ma ora sono un ribelle; l'ho venduto, ho detto: « Che vada, se vuole ». Nonostante tutto, egli ha doni per i ribelli; e allora, perché non per me?

167) Su questo talvolta meditavo, lottando per impadronirmene, onde procurarmi un sia pur piccolo sollievo; ma ancora una volta il mio desiderio era frustrato, perché a forza ne ero tenuto lontano, come un uomo che sta andando al luogo dell'esecuzione, passando da un posto dove vorrebbe volentieri insinuarsi e nascondersi, ma non può.

168) Ancora una volta, dopo aver considerato nei particolari i peccati degli uomini santi, ed aver trovato che i miei li superavano, incominciai a pensare fra di me: «Poniamo il caso che io mettessi i loro peccati tutti insieme, e il mio contrapposto ai loro, non potrei trovare qualche incoraggiamento? Infatti il mio, sebbene più grande di uno qualunque di essi, dovrebbe essere pari a tutti i loro messi insieme, e allora c'è speranza: infatti quel sangue che ha avuto abbastanza potere per lavare tutti i loro, ne ha anche abbastanza per cancellare il mio, sebbene questo solo sia altrettanto grande, se non di più, di tutti i loro insieme». Di nuovo consideravo i peccati di Davide, di Salomone, di Manasse, di Pietro e degli altri grandi peccatori, e cercavo in tutti i modi, sia pure con lealtà, di aggravarli e appesantirli di molti dettagli; ma, ahimé, era tutto vano.

169) Pensavo che Davide aveva sparso sangue per coprire il suo adulterio, e con la spada dei figli di Ammon; e questo misfatto aveva certamente richiesto tempo e determinazione, il che costituiva una grossa aggravante al suo peccato. Ma allora questo pensiero si ritorceva contro di me: « ì, ma quelli erano solo peccati contro la legge, e per emendarli fu mandato Gesù; ma il tuo è un peccato contro il Salvatore, e chi ti salverà da questo?».

170) Allora meditai su Salomone, e su come peccò, amando donne straniere, abbandonandosi ai loro idoli, costruendo templi per essi, e tutto questo dopo esser stato illuminato, in età avanzata, dopo aver ricevuto copiosa misericordia; ma la stessa conclusione che mi aveva escluso dal caso precedente, mi escluse anche da questo, e precisamente: tutti questi erano peccati contro la legge, per i quali Dio aveva disposto un rimedio, ma io avevo venduto il mio Salvatore, ed ora non rimaneva altro sacrificio per i peccati.

171) Allora provavo ad aggiungere ai peccati di quegli uomini i peccati di Manasse, che innalzò altari agli idoli nella casa del Signore, si dette alla divinazione, usò incantesimi, praticò con maghi, fu lui stesso un mago, ebbe i suoi spiriti familiari, bruciò i suoi figli come sacrificio ai demoni, e fece scorrere per le strade di Gerusalemme sangue innocente. Questi, pensavo, sono peccati gravi, peccati di natura cruenta, eppure sempre mi ritornavano alla mente queste parole: « Nessuno di essi è della natura del tuo, tu ti sei separato da Gesù, tu hai venduto il tuo Salvatore! ».

172) Bastava questa sola considerazione ad uccidere continuamente il mio cuore: il mio peccato era direttamente contro il mio Salvatore, a tal punto che in cuor mio avevo detto di lui : «Che vada, se vuole». Oh, mi pareva che questo peccato fosse più grande di tutti i peccati di una regione, di un regno, del mondo intero, e tutti imperdonabili; eppure tutti quanti insieme non potevano eguagliare il mio, che li superava tutti.

173) Ora mi accorgevo che la mia mente fuggiva da Dio, come dal cospetto di un giudice terribile: e il mio tormento consisteva nel fatto che non potevo sfuggire alla sua mano. «IL cosa terribile cadere nelle mani del Dio vivente» (Eb. 10). Ma, benedetta sia la sua grazia, questo passo biblico mi inseguiva con rapidi attacchi: «Io ho fatto sparire le tue trasgressioni come una densa nube, e i tuoi peccati, come una nuvola; torna a me, perché io ti ho riscattato» (Is. 44.22). Questo, in verità, mi veniva in mente quando fuggivo dal cospetto di Dio; poiché io lo sfuggivo, cioè la mia mente e il mio spirito lo sfuggivano; non potevo resistere a lungo alla sua altezza. Allora il sacro testo gridava: «Ritorna a me, che ti ho redento». Veramente questo mi faceva sostare un po', e guardare dietro di me, per vedere se potevo scorgere il Dio di grazia che mi seguiva con il perdono in mano; ma immediatamente tutto veniva avvolto e oscurato da quelle terribili parole: «Voi sapete che, quando volle poi ottenere la benedizione, fu respinto; e quantunque con lacrime la richiedesse, non ebbe alcun effetto il suo tardo pentimento». Perciò io non potevo ritornare, ma dovevo fuggire, sebbene talvolta risuonasse il grido : «Ritorna, ritorna», ed era come se si scavasse dentro di me; ma temevo di rinchiuderlo in me, per paura che non venisse da Dio, poiché quell'altro, come ho detto, continuava a risuonare nella mia coscienza: «Voi sapete che, quando volle poi ottenere la benedizione, fu respinto; ecc.».

174) Una volta, mentre passeggiavo avanti e indietro nel negozio di un pio uomo, compiangendomi per il mio triste e doloroso stato, inorridendo di me stesso per i miei empi e malvagi pensieri; lamentando inoltre la mia dura sorte, poiché commettevo un così grave peccato temendo grandemente che non sarei stato perdonato; pregando anche in cuor mio, che se questo mio peccato differiva da quello contro lo Spirito Santo il Signore me lo mostrasse; e mentre stavo per sprofondare nel terrore, improvvisamente mi parve che irrompesse dalla finestra un soffio di vento su di me, ma molto piacevole, e mi parve di udire una voce che diceva: «Hai mai rifiutato di essere giustificato ad opera del sangue di Cristo?». Ed allora tutta la mia vita di fede mi si palesò in un momento, ed in essa io potei vedere che non lo avevo mai fatto deliberatamente; così il mio cuore rispose lamentosamente: «No». Allora mi raggiunsero possenti queste parole divine: «Badate di non resistere a Dio che vi parla» (Eb. 12:25). Questa frase ebbe una strana presa sul mio spirito; portò luce con sé, e fece tacere nel mio cuore tutti quei tumultuosi pensieri che prima, a guisa di incontrollati mastini, ruggivano rabbiosamente, e facevano un orrendo rumore dentro di me. Mi mosti ò inoltre che Gesù Cristo aveva già operato un atto di grazia e di misericordia nei miei confronti, e che non aveva, come temevo, abbandonato e scacciato completamente la mia anima; sì, era una specie di rimprovero per essermi abbandonato alla disperazione; una specie di minaccia a guardarmi bene dal non basare la mia salvezza sul figlio di Dio, nonostante i miei peccati e la loro nefandezza. Ma io non sapevo definire la natura di questa strana disposizione, né di dove provenisse. E dopo vent'anni non sono ancora riuscito a farmi un giudizio in proposito. Pensai allora che sarei stato disposto a tutto in un momento come quello. Quell'improvviso vento impetuoso era come se un angelo fosse passato su di me; e questo fatto, insieme all'invocazione che tengo in serbo per il giorno del giudizio, mi procurò una gran calma nell'anima, e mi persuase che ci poteva essere speranza; mi mostrava che il mio peccato era imperdonabile come pensavo, e che tuttavia la mia anima aveva avuto il benedetto privilegio di ricorrere a Gesù Cristo per misericordia. Ancora non so bene che cosa dire a proposito di questa disposizione impartita al mio spirito; ed è questa la ragione per cui non ne ho parlato prima in questa sede. E anche ora la lascio da meditare agli uomini dotati di saggio discernimento. Io non pongo l'accento della mia salvezza su di essa, bensì sul Signore Gesù, con la sua promessa; tuttavia, poiché io sto qui svelando i miei segreti, ho pensato che non sarebbe stato inopportuno palesare questa mia esperienza, sebbene io non possa ora riferire esattamente come l'ho vissuta. Questa fragranza di conforto spirituale durò per circa tre o quattro giorni, poi ricominciai a diffidare e a disperarmi.

175) La mia vita continuava a star sospesa nel dubbio, non sapendo da che parte propendere: l'unico desiderio che la mia anima manifestava era di gettarsi ai piedi della grazia per mezzo di preghiere e suppliche. Ma come mi riusciva difficile ora trovare il coraggio di invocare misericordia da Cristo, contro il quale io avevo così vilmente peccato! Era veramente difficile, ripeto, cercare di guardare in faccia colui che avevo offeso così vergognosamente, così come rivolgermi a Dio con la preghiera, dopo averlo abiurato. Oh, la vergogna che mi accompagnava! Specialmente quando pensavo che mi accingevo a invocare da lui quella misericordia, che prima avevo tenuto in così poco conto. Mi vergognavo, sì, ed ero anche confuso, per aver commesso una tale infamia; ma vedevo che vi era solo una strada per me: dovevo andare da lui e umiliarmi, e pregarlo di avere, nella sua straordinaria clemenza, pietà di me, e misericordia per la mia sciagurata anima peccatrice.

176) Non appena il Tentatore se ne accorse, mi suggerì con veemenza che non dovevo pregare Dio, poiché la preghiera non serviva a niente nel mio caso, e neppure poteva recarmi alcun bene, poiché avevo respinto il mediatore, per mezzo del quale tutte le preghiere venivano presentate a Dio Padre favorevolmente, e senza il quale nessuna preghiera poteva essere ammessa alla sua presenza; per cui pregare ora non era altro che aggiungere peccato a peccato; sì, pregare ora, dopo aver visto che Dio ti aveva scacciato, era un modo per farlo adirare ed offenderlo più che mai.

177) Infatti Dio (diceva il tentatore) si è stancato di te in tutti questi anni, poiché non sei uno dei suoi: il tuo gridargli nelle orecchie non gli è risultato piacevole, perciò ti ha lasciato commettere questo peccato, per escluderti completamente dalla sua grazia; e tu vuoi ancora pregare? Con queste parole il demonio mi incalzava, ricorrendo anche a quella frase dei «Numeri» che Mosè aveva detto ai figli di Israele: «E poiché essi non vollero prendere possesso della terra promessa, egli li bandì per sempre da essa, sebbene essi lo implorassero piangendo» (Num. 14.36,37).

178) La stessa cosa è detta anche in un altro passo biblico: «L'uomo che pecca con l'inganno, sarà tratto dall'altare di Dio per farlo morire» (Es. 21.14); come accadde a Gioab per opera del re Salomone, quando pensò di trovare asilo presso di lui (1 Re 2:28, ecc.). Questi passi mi ferivano dolorosamente; e, ritenendo che il mio caso fosse disperato, pensavo fra di me che non mi restava altro che morire; e se così doveva essere, che si dicesse subito che costui era morto in preghiera ai piedi di Cristo. Allora, Dio sa con quanta difficoltà, mi avvicinai a Cristo in preghiera; e mi risultò tanto più difficile in quanto mi erano conficcate in cuore, come una spada fiammeggiante, quelle parole riguardanti Esaù, che invitavano a seguire le strade dell'albero della vita, se volevo impadronirmi di essa, e vivere.

179) Desideravo inoltre per me le preghiere del popolo di Dio, ma temevo che egli non li avrebbe ispirati a farlo; sì, tremavo dentro di me al pensiero che qualcuno di loro potesse dirmi seccamente che Dio gli aveva detto quelle parole che un tempo aveva detto ai Profeti a proposito dei figli di Israele: «Non intercedere a favore di questo popolo, poiché io l'ho respinto» (Ger. 11.14). E per quanto riguardava me, «non intercedere per lui, poiché io l'ho respinto». Sì, io pensavo che Dio lo avesse sussurrato a qualcuno di loro, soltanto che essi non osavano dirmelo, né io osavo chiederlo, per timore che, se fosse stato veramente così, sarei uscito completamente di senno. «L'uomo conosce l'inizio del peccato (diceva Spira), ma chi può limitarne i confini?».

180) Circa a quel tempo io ebbi occasione di aprire il mio cuore ad un anziano cristiano, e di raccontargli il mio caso. Gli dissi anche che temevo di aver peccato contro lo Spirito Santo; ed gli mi rispose che la pensava anche lui così. Perciò io trovai solo un blando conforto; ma, parlando un po' di più con lui, scopersi che egli, sebbene fosse un uomo pio, era estraneo ai conflitti con il demonio. Perciò mi rivolsi di nuovo a Dio quanto meglio potei per invocare ancora misericordia.

181) Allora il tentatore incominciò ad ingannarmi nella mia infelicità, dicendo che, avendo visto che mi ero così allontanato da Gesù Cristo, e avevo provocato l'ira di lui che avrebbe dovuto porsi fra la mia anima e le fiamme del fuoco divoratore, non mi rimaneva ormai che una strada: pregare che Dio Padre si facesse mediatore tra suo figlio e me, affinché noi ci potessimo riconciliare, ed io potessi trovare il lui quel celeste beneficio di cui godevano i suoi Santi benedetti.

182) Allora fui afferrato da quel passo biblico che dice: «Ma se egli decide, chi lo farà recedere?». Oh, io mi rendevo conto che sarebbe stato altrettanto facile persuaderlo a fare un nuovo mondo, un nuovo patto, o una nuova Bibbia, che pregarlo per una simile cosa; voleva dire persuaderlo che quello che avevo fatto era mera follia, e convincerlo ad alterare, ad annullare tutto il sistema di salvezza; ed allora queste parole mi straziavano l'anima: «E non vi è in nessun altro salvezza; non esiste infatti sotto il cielo altro nome dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati» (Atti 4.12).

183) A questo punto, le parole più libere, piene e graziose del Vangelo erano un gran tormento per me; sì, nulla mi affliggeva quanto il pensiero di Gesù Cristo: infatti il ricordo di un salvatore, che io avevo scacciato, mi conduceva alla mente l'infamia del mio peccato e la mia rovina per colpa di esso. Niente tormentava la mia coscienza come questo. Ogni volta che pensavo al Signore Gesù, alla sua grazia, al suo amore, alla sua bontà, alla sua gentilezza, alla sua dolcezza, alla sua mansuetudine, alla sua morte, al suo sangue, alle sue promesse, alle sue esortazioni, ai suoi conforti e alle sue consolazioni benedette, questi pensieri colpivano il mio cuore come tante spade; e, in aggiunta a queste mie considerazioni sul Signore Gesù Cristo, questi altri pensieri si facevano posto nel mio cuore: « Ahimé, questo è Gesù, il tenero Salvatore, il Figlio di Dio, dal quale tu ti sei separato, che tu hai trascurato, disprezzato e insultato. Questo è il solo Salvatore, il solo Redentore, l'unico che poteva amare i peccatori a tal punto da lavarli dai loro peccati nel suo preziosissimo sangue; ma a te non tocca niente che provenga da Gesù, tu lo hai allontanato da te, tu hai detto in cuor tuo Che vada, se vuole. Per questo ora tu sei separato da lui, ti sei staccato da lui. Contempla dunque la sua bontà, ma senza esserne partecipe». Oh, pensavo, che cosa ho perduto! Da che cosa mi sono separato! Di quale eredità ho privato la mia povera anima! Oh, è triste essere distrutti dalla grazia e dalla misericordia di Dio, far sì che l'Agnello, il Salvatore, si trasformino in leone e distruttore (Ap. 6). Inoltre tremavo, come ho già detto, al cospetto dei Santi di Dio, specialmente di quelli che lo avevano tanto amato, e che si erano fatti un dovere di procedere in questo mondo sempre in sua compagnia; infatti essi, sia con le parole che con il comportamento, e tutte le loro manifestazioni di tenerezza e di timore di peccare contro il loro prezioso salvatore, condannavano, incolpavano e aggiungevano tormenti e vergogna alla mia anima. « Il terrore di loro era su di me, ed io tremavo al cospetto di Dio » (Samuele).

184) Inoltre, il tentatore prese ad ingannare la mia anima in un altro modo, dicendo che Cristo, veramente, compativa il mio caso, ed era spiacente per la mia rovina; ma, in quanto avevo peccato e trasgredito, egli non poteva in nessun modo aiutarmi; infatti il mio peccato non era della natura di quelli dei peccatori per i quali aveva sparso sangue ed era morto, e neppure era compreso fra quelli di cui fu incolpato quando lo misero in croce; perciò, a meno che egli non scendesse dal Cielo e non morisse di nuovo per questo peccato, sebbene veramente avesse gran compassione di me, non poteva far nulla che mi potesse giovare. Queste cose possono sembrare ridicole agli altri, tanto più che erano ridicole in se stesse, ma per me esse erano riflessioni tormentose; ciascuna di esse accresceva la mia infelicità, se pensavo che Gesù Cristo aveva tanto amore da compatirmi non potendomi aiutare; e non pensavo che la ragione per cui egli non poteva aiutarmi non era perché i suoi meriti fossero deboli, o che la sua grazia e la sua salvezza fossero già state spese, ma perché, dovendo mantenersi fedele alla sua minaccia, non poteva estendere a me la sua misericordia. Inoltre pensavo, come ho già accennato, che il mio peccato non fosse compreso entro i limiti di quel perdono che era racchiuso in una promessa; e se non lo era, allora sapevo per certo che era più facile che la terra e il cielo scomparissero, piuttosto che io potessi ottenere la vita eterna. Le ragioni di tutti questi miei timori traevano origine dalla salda fede che io avevo nella stabilità del santo Verbo di Dio, e, inoltre, dal fatto che io ero male informato sulla natura del mio peccato.

185) Ma quanto aumentava il mio tormento pensare che io fossi colpevole di un peccato per il quale egli non era morto! Questi pensieri mi confondevano, mi imprigionavano e mi bloccavano lontano dalla fede a tal punto che non sapevo cosa fare; e quanto pensavo e speravo che egli sarebbe disceso un'altra volta, che l'opera di redenzione dell'uomo dovesse essere ancora compiuta da Cristo; e come lo pregavo e supplicavo di annoverare questo peccato fra gli altri per i quali era morto ! Ma ecco che un altro passo biblico sopraggiungeva a tramortirmi: « Cristo risorto da i morti non muore più; la morte non ha più alcun potere su di lui » (Rm. 6:9).

186) Così, per gli strani e insoliti assalti del tentatore, la mia anima era come un vascello infranto, sbattuto dai venti, e gettato talvolta a capofitto nella disperazione. Talvolta si scontrava con i patti costituiti, talaltra desiderava che il nuovo patto e le sue condizioni potessero trasformarsi e mutare, per quanto mi riguardava. E in tutto questo io ero come chi va ad urtare contro le rocce: ancor più rotto, disperso
• straziato. Oh, le impensate fantasie, i terrori, i timori che si accompagnano ad una totale applicazione della colpa, che cede alla disperazione! Questo è l'uomo che ha dimorato tra le tombe in mezzo ai morti; e grida continuamente lacerandosi con le pietre (Mr. 5:2,5). E, aggiungo io, tutto è vano: la disperazione non gli è di nessun conforto, il vecchio patto non lo può salvare. Sì, il cielo e la terra scompariranno prima che uno jota o un solo punto della Parola della legge della grazia cadano o vengano mutati di posto: di questo mi rendevo perfettamente conto, per questo gemevo. Tuttavia io trassi da tutto ciò un vantaggio, e precisamente una ulteriore conferma della certezza della via della salvezza, e che le Scritture erano il Verbo di Dio. Ora non so esprimere come allora mi resi profondamente conto della stabilità di Gesù Cristo, la roccia della salvezza dell'uomo: quello che era stato fatto non poteva essere disfatto, aumentato, alterato; mi accorgevo veramente che il peccato poteva condurre l'anima al di là di Cristo, specialmente il peccato imperdonabile; e guai a colui che lo commetteva, poiché il Verbo lo avrebbe escluso totalmente.

187) Così io continuavo a precipitare, qualunque cosa pensassi o facessi. Un giorno andai in un paese vicino, sedetti su una panca in una strada e caddi in una profonda meditazione del terribile stato a cui mi aveva condotto il mio peccato; e, dopo lunga riflessione, sollevai il capo, e mi parve di vedere che il sole che splende nel cielo mi desse a malincuore la sua luce, e che le pietre della strada e le tegole sulle case si mettessero contro di me, quasi come se volessero unirsi per bandirmi dal mondo: ero aborrito da loro, e ritenuto inadatto a dimorare tra di loro, od essere partecipe dei loro benefici, poiché avevo peccato contro il Salvatore. Oh, quanto ogni creatura era più felice di me! Infatti ognuna di esse manteneva salda la sua posizione, mentre io ero definitivamente perduto.

188) Allora, facendo irruzione nella amarezza della mia anima, dissi a me stesso, con un sospiro dolente: «Come può Dio consolare un infelice come me?». Lo avevo appena detto, che mi giunsero di rimando, come un'eco, queste parole: «Questo peccato non conduce alla morte». Al che io mi sentii come se fossi sorto da un sepolcro, ed esclamai: «Signore, come hai potuto trovare una parola come questa?». Infatti io ero pieno di ammirazione per quanto era appropriata, ed anche imprevista, una frase come questa. La convenienza delle parole, la loro tempestività, la forza, la dolcezza, la luce, la gloria che portavano con sé erano per me una meravigliosa scoperta. Ora mi erano scomparsi i dubbi su ciò su cui prima avevo tanto dubitato : il mio timore, fino ad allora, era che il mio peccato fosse imperdonabile, e che perciò io non avessi il diritto di pregare, di pentirmi, ecc.; o, se lo avessi fatto, che non mi sarebbe stato di nessun vantaggio o profitto; ma ora pensavo: se questo peccato non conduce alla morte, allora è perdonabile, perciò mi sento incoraggiato a rivolgermi a Dio tramite Cristo per avere misericordia, e a considerare la promessa del perdono come se fosse con le braccia spalancate per ricevere me come gli altri; ed era un gran conforto per il mio spirito sapere che il mio peccato era perdonabile, che non era un peccato che conduce alla morte (1 Gv. 5:16,17). Nessuno, se non chi per esperienza conosce il mio tormento, può dire quale sollievo pervenne alla mia anima con questa considerazione: era la liberazione dalle mie catene di prima, il riparo dalle mie tempeste di prima; ora mi sembrava di essere sullo stesso piano degli altri peccatori, e di avere il loro stesso diritto alla Parola e alla preghiera.