Letteratura/Grazia che abbonda/07

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Indice generale

GRAZIA CHE ABBONDA AL PRIMO DEI PECCATORI (di John Bunyan, 1666)

Capitoli: 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12

 

Graduale risalita verso la sicurezza di vita nella fede


189) Ora avevo la speranza che il mio peccato non fosse imperdonabile, e potevo aspirare ad ottenere il perdono. E come si prodigò Satana per farmi ricadere nella disperazione! Ma non ci riuscì in nessun modo, né quel giorno, né gran parte di quello successivo, poiché quella frase stava salda dietro di me come il palo di sostegno di un mulino. Tuttavia, verso la sera del giorno successivo, sentii che quelle parole incominciavano ad abbandonarmi, e a sottrarmi il loro sostegno: perciò ritornai ai miei vecchi timori, ma con molto malanimo e irritazione, poiché temevo il dolore della disperazione; e neppure la mia fede poté trattenere più a lungo quelle parole.

190) Ma la sera del giorno seguente, essendo in preda a molti timori, andai a cercare il Signore; e mentre pregavo, gridavo, e la mia anima lo invocava ardentemente con queste parole: "Da tempi lontani il SIGNORE mi è apparso. «Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà»" (Gr. 31:3). Lo avevo appena detto, che mi ritornarono con dolcezza queste parole, come una eco o una risonanza: « Ti ho amato di un amore eterno ». Allora andai a letto in pace; ed anche quando mi svegliai, il mattino dopo, quelle parole erano fresche nella mia anima, ed io potevo prestar loro fede.

191) Ma il tentatore non mi abbandonava: per almeno cento volte in quel giorno tentò di spezzare la mia pace. Oh, i combattimenti e i conflitti che io dovetti sostenere! Lottai per non lasciarmi sfuggire quelle parole, mentre quelle di Esaù mi balenavano davanti agli occhi, come un lampo; per venti volte in un'ora mi sollevai e mi prostrai. Tuttavia Dio mi risollevò, e impresse le sue parole nel mio cuore: da esse io trassi per parecchi giorni molta dolcezza e confortevoli speranze di perdono. Infatti questo mi fu palesato: « Io ti amavo mentre tu commettevi questo peccato, ti ho amato prima, ti amo ancora e ti amerò sempre».

192) Tuttavia io consideravo il mio peccato oltremodo barbaro, e ignobilmente delittuoso, e non potevo che concludere, con gran vergogna e stupore, che avevo orribilmente insultato il figlio di Dio: perciò sentivo la mia anima disposta ad amarlo ed a compiangerlo grandemente, e le mie viscere a prostrarsi davanti a lui, poiché vedevo che egli mi era ancora amico, e mi ricambiava il male con il bene; l'amore e l'affetto, che allora ardevano in me verso il mio Signore e Salvatore Gesù Cristo, producevano in me un così grande e bruciante desiderio di vendetta su me stesso per l'ingiuria che gli avevo fatto, che, per parlare come sentivo allora, se avessi avuto mille galloni di sangue nelle vene, l'avrei volentieri versato tutto agli ordini e ai piedi di questo mio Signore e Salvatore.

193) E mentre ero concentrato a riflettere su come amare il Signore e esprimergli il mio amore, mi sopraggiunsero queste parole: «Se tieni conto delle colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso di te è il perdono, perché tu sia temuto» (Sl. 130:3,4). Queste parole suonavano dolci alle mie orecchie, specialmente le ultime, perché mi facevano sapere che c'è perdono presso il Signore, perché egli possa essere temuto : cioè, come allora io le interpretai, perché egli possa essere amato, e tenuto in riverenza; e mi fu palesato che il gran Dio aveva riposto una così gran stima nell'amore delle sue povere creature, che, piuttosto che essere privo del loro amore, avrebbe perdonato le loro trasgressioni.

194) Ed ora queste parole trovavano adempimento in me, ed io ne ero rinvigorito: «Allora essi si vergogneranno e saranno confusi, e non apriranno mai più la bocca per la vergogna, quando io mi sarò placato con te per tutto quello che hai fatto, disse il Signore Dio» (Ez. 16:36). Così la mia anima a quel tempo fu libera da ulteriori tormenti e sgomenti per la colpa che avevo commesso (ed allora pensavo che sarebbe stato così per sempre).

195) Ma prima che passassero alcune settimane, io ricominciai a scoraggiarmi, temendo che, nonostante tutto quello che avevo assaporato, alla fine sarei stato ingannato e distrutto : infatti mi si impresse forte nella mente la considerazione che, qualunque conforto e pace io pensassi di ottenere da quelle parole che mi promettevano la vita, tuttavia, a meno che non trovassi nelle Scritture concordanza e consenso al mio sollievo (e quanto mi abbandonai ed aggrappai a questo pensiero), temevo di imbattermi alla fine in una frase come questa: «La Scrittura non può essere annullata» (Gv. 10.35).

196) Allora il mio cuore ricominciò a soffrire e a temere di incorrere in una delusione definitiva. Perciò, con tutta la serietà possibile, presi a considerare il mio recente conforto, e a considerare se uno che aveva peccato come io avevo fatto potesse con fiducia contare sulla lealtà di Dio, quale appariva dalle parole dalle quali io ero stato confortato, e sulle quali mi ero appoggiato; ma ora mi giungevano alla mente questi passi: «Infatti quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo futuro, e poi sono caduti, è impossibile ricondurli di nuovo al ravvedimento perché crocifiggono di nuovo per conto loro il Figlio di Dio e lo espongono a infamia» (Ebr. 6:4-6). «Infatti, se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati; ma una terribile attesa del giudizio e l'ardore di un fuoco che divorerà i ribelli» (Eb. 10:26,27). «Nessuno sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura. Infatti sapete che anche più tardi, quando volle ereditare la benedizione, fu respinto, sebbene la richiedesse con lacrime, perché non ci fu ravvedimento» (Eb. 12:16,17).

197) La parola del Vangelo era scacciata a forza dalla mia anima, cosicché non potevo trovare nella Bibbia nessuna promessa né incoraggiamento; e queste parole agivano sul mio spirito per tormentarmi: «Non ti rallegrare, o Israele, fino all'esultanza, come i popoli; perché ti sei prostituito, abbandonando il tuo Dio; hai amato il compenso della prostituzione su tutte le aie da frumento!» (Os. 9.1). Infatti io vedevo che vi era motivo di gioia per quelli che si tenevano uniti a Gesù; ma quanto a me, mi ero escluso da solo con i miei peccati, e mi ero privato di tutti i possibili appigli ai sostegni del prezioso Verbo di vita.

198) E veramente mi sentivo sprofondare in un abisso, coma una casa le cui fondamenta sono state distrutte. In questa condizione, mi paragonavo a un fanciullo caduto in un, pozzo, il quale, pur potendo fare qualche tentativo per tenersi a galla, tuttavia, non potendo trovare appigli né per le mani né per i piedi, alla fine doveva morire. E non appena questo nuovo assalto ebbe aggredito la mia anima, mi si affacciò alla mente un altro passo biblico: «Questo avverrà per molti giorni» (Dan. 10.14). Dovetti constatare che era davvero così: infatti io non potei essere liberato o ricondotto alla pace, finché non furono trascorsi due anni e mezzo. Ma quelle parole, sebbene in se stesse scoraggianti per me che temevo che la condizione in cui mi trovavo sarebbe durata in eterno, costituirono a momenti un aiuto e un sollievo.

199) Infatti, pensavo, molti giorni non significa per sempre; molti giorni avranno una fine; perciò, sapendo che dovevo essere tormentato non alcuni, ma molti giorni, ero contento che fosse soltanto per molti giorni. Così potevo ogni tanto risollevarmi e darmi un po' di aiuto; infatti, ogni volta che mi raggiungevano quelle parole, subito pensavo che il mio tormento sarebbe stato lungo, e tuttavia sporadico, poiché non potevo sempre pensarci, e neppure trarne un aiuto se ci avessi sempre pensato.

200) Mentre quelle Scritture stavano davanti a me e rinnovellavano il mio peccato, il passo diciottesimo di Luca, insieme ad altri, mi incoraggiava a pregare; allora il tentatore mi aggredì di nuovo acerbamente, suggerendomi che né la misericordia di Dio, né il sangue di Cristo mi riguardavano e neppure potevano aiutarmi, a causa del mio peccato perciò era perfettamente inutile pregare. Ciò nonostante, pensai, io pregherò. Ma, disse il tentatore, il tuo peccato è imperdonabile. Ebbene, risposi, pregherò lo stesso. Ma non serve a nulla, disse lui. Ebbene, replicai, pregherò ugualmente. Così mi misi a pregare Dio; e mentre pregavo, pronunciavo parole di questo tenore: «O Signore, Satana mi dice che né la tua misericordia, né il sangue di Cristo sono sufficienti a salvare la mia anima; Signore, devo onorare te, credendo che tu vuoi e puoi, o lui, credendo che tu non vuoi e non puoi? Signore, io vorrei con tutto il cuore onorare te, credendo che tu vuoi e puoi».

201) E mentre stavo così davanti al Signore, mi venne alla mente quella frase biblica: «O uomo, grande è la tua fede» (Mt. 15.28); e fu come se qualcuno mi avesse battuto sulla spalla mentre ero inginocchiato davanti a Dio; tuttavia, non fui in grado di capire che la mia era stata una preghiera di fede, se non dopo sei mesi: infatti non potevo pensare di aver fede, o che ci fosse per me una Parola su cui esercitare la mia fede. Perciò continuai a restare inchiodato nelle fauci della disperazione, lamentando la mia triste condizione e gridando : «La sua misericordia se n'è andata del tutto? E per sempre?». E talvolta, mentre mi lamentavo con quelle parole, pensavo che esse sembravano chiedere se sì o se no; e temevo grandemente che la risposta fosse sì.

202) Ora non c'era nulla che io desiderassi più ardentemente che essere liberato da ogni dubbio al riguardo; e mentre ardevo dal desiderio di sapere se vi fosse speranza per me, queste parole mi percorsero la mente: «Dunque Iddio per sempre ci rigetta, né più si mostrerà a noi propizio? La sua clemenza è cessata del tutto? La sua promessa è svanita per sempre? Dimentico è Iddio di essere pietoso? Sottratta ha, nel suo sdegno, la sua bontà?» (Sl. 77:7,8,9); e mentre queste parole mi percorrevano la mente, mi sembrava di avere questa risposta: « È dubbio se è sì o no; forse è no ». Sì, mi sembrava che quelle domande avessero in sé una innegabile affermazione: che Dio non ci aveva rigettato, né lo voleva fare, ma che si sarebbe mostrato propizio; che la sua promessa non era svanita, e che egli non si era dimenticato di essere pietoso; e neppure ci aveva sottratta, sdegnato, la sua bontà; c'era qual cos'altro nel mio cuore, che ora non riesco a richiamare alla memoria, che, insieme a quelle parole della Bibbia, mi riempivano di dolcezza, e mi facevano concludere che la sua clemenza non poteva essere svanitaper sempre.

203) Ricordo che un'altra volta ero assillato dal dubbio, se il sangue di Cristo sarebbe stato sufficiente a salvare la mia anima. In questo dubbio io rimasi dal mattino fin circa le sette o le otto di sera; e finalmente, quando ero quasi distrutto dal timore che questo dubbio si impadronisse di me, all'improvviso risuonarono dentro di me le parole «Egli può»; ma mi parve che quel verbo «può » fosse pronunciato così forte dentro di me, mi sembrò una parola così grande, come se fosse scritta in lettere maiuscole; e diede una tale scossa ai miei timori e ai miei dubbi (intendo dire per il tempo che rimase dentro di me, cioè circa un giorno), come non era mai accaduto in tutta la mia vita, né prima né dopo quel fatto (Eb. 7:25).

204) Ma un mattino, mentre ero di nuovo in preghiera, tremando per il timore che nessuna parola di Dio potesse aiutarmi, queste parole piombarono su di me: «La mia grazia è sufficiente». Al che mi parve di avere una pausa, come se ci potessero essere speranze. Che cosa meravigliosa quando Dio invia la sua parola! Infatti, circa due settimane prima, avevo meditato proprio sul passo biblico a cui si riferivano quelle parole, e pensavo che esso non avrebbe potuto accostarsi alla mia anima per confortarla; allora avevo gettato il libro in un accesso di collera, perché pensavo che non fosse abbastanza grande per contenermi; ma ora mi sembrava che avesse braccia di grazia così ampie, che non solo poteva racchiudere me, ma molti altri ancora.

205) Da quelle parole io fui sostenuto, sia pure con grossi conflitti, per circa sette o otto settimane: talvolta la mia pace andava e veniva venti volte al giorno; ora avevo conforto, e subito dopo tormento; ora ero in pace, e poco dopo ero tanto pieno di terrore e di colpa quanto un cuore avrebbe mai potuto sopportare; e questa non fu una esperienza sporadica, ma durò per tutte le sette od otto settimane; infatti il pensiero se la grazia fosse sufficiente, e il ricordo di Esaù che aveva rinunciato alla sua primogenitura, erano come i due piatti di una bilancia nella mia mente: a volte uno saliva al massimo, a volte l'altro, a seconda se ero in pace o tormentato.

206) Perciò continuai a pregare Dio che penetrasse più profondamente nel mio cuore con quel brano, per sapere se voleva aiutarmi ad applicare la frase tutta intera, poiché fino 'a quel momento non potevo; quello che egli mi dava, io raccoglievo, ma oltre non potevo andare, poiché per il momento mi aiutava solamente la speranza che ci potesse essere misericordia per me, «la mia grazia è sufficiente». E, sebbene la frase non andasse oltre, rispondeva alla mia prima domanda: sapere se ci fosse speranza. Tuttavia, poiché le parole «per te» erano state tralasciate, io non ero soddisfatto, e pregavo Dio che mi concedesse anche queste. E un giorno in cui mi trovavo ad una riunione di fedeli, pieno di tristezza e di terrore, poiché i miei timori mi avevano di nuovo aggredito con violenza, e mentre pensavo che la mia anima non era mai stata migliore di così, e che la mia situazione era oltremodo triste e spaventosa, improvvisamente irruppero dentro di me con gran forza queste parole: « La mia grazia è sufficiente per te, la mia grazia è sufficiente per te, la mia grazia è sufficiente per te », per tre volte di seguito; e mi parve che ognuna di esse fosse una possente parola per me, specialmente « la mia » e «grazia » e «sufficiente» e «per te»; esse allora erano, e talvolta sono ancora, di gran lunga più grandi di tutte le altre parole.

207) A quel tempo, il mio intelletto era così illuminato, che mi sentivo come se avessi visto il Signore Gesù guardarmi giù dal cielo attraverso il tetto, e indirizzarmi quelle parole; la qual cosa mi fece andare a casa in lacrime, spezzò il mio cuore, mi riempì di gioia, e mi prostrò come se fossi polvere; solo che questa gloria e questo conforto ristoratore non restarono a lungo con me; ma per diverse settimane mi incoraggiarono a sperare. Ma non appena se ne andò dal mio cuore il potente effetto di questa frase, l'altra riguardante Esaù mi aggredì come prima, cosicché la mia anima si trovò ad essere, ancora una volta, sospesa come i due piatti della bilancia, una volta su e una volta giù, ora in pace, e subito dopo di nuovo nel terrore.

208) Continuai così per molte settimane, talvolta confortato, talvolta tormentato; specialmente in certi momenti, il mio tormento era molto acerbo, poiché tutti quei passi della «Lettera agli Ebrei», che ho nominato prima, mi stavano davanti come le sole frasi che mi avrebbero tenuto lontano dal Cielo. Allora incominciai a pentirmi che un tale pensiero mi passasse per la mente; ed inoltre pensavo fra di me: «Ebbene, quanti passi della Bibbia sono contro di me? Soltanto tre o quattro; e Dio non può dimenticarseli, e salvarmi per tutti gli altri?». Talvolta ancora pensavo: «Oh, se non fosse per quei tre o quattro, come potrei essere confortato!», e mi trattenevo a stento dal desiderare che fossero esclusi dalla Bibbia.

209) Allora mi sembrava che Pietro, Paolo, Giovanni e tutti gli altri che l'avevano scritta mi guardassero con disprezzo, mi deridessero e mi dicessero « Tutte le nostre parole sono verità, ciascuna della stessa forza dell'altra; non siamo noi che ti abbiamo escluso, sei stato tu a gettarti via; non ti resta altro che imprimerti bene in mente queste nostre parole: - È impossibile, non rimane più alcun sacrificio per quei peccati - (Eb. 6). "Sarebbe stato meglio che non avessero conosciuto la volontà di Dio, piuttosto che, dopo averla conosciuta, rinnegare il santo comandamento che era stato loro trasmesso" (Ebr. 10). "Poiché le Scritture non possono essere infrante" (2 Pi. 2:21).

210) Essi, come i dignitari della città del rifugio, sarebbero stati i giudici di me e del mio caso, mentre sarei stato inseguito dal vindice di sangue, tremando alle loro porte per implorare la liberazione; e con infiniti dubbi e sospetti che mi chiudessero fuori per sempre (Gs. 20:3,4).

211) Ero terribilmente confuso, non sapendo cosa fare o come trovare una risposta soddisfacente alla domanda, se le Scritture avrebbero acconsentito alla salvezza della mia anima. Tremavo al pensiero degli Apostoli; sapevo che le loro parole erano veritiere, e che sarebbero durate per sempre.

212) Ricordo che un giorno mi trovavo in diverse disposizioni di spirito, e consideravo che esse dipendevano dalla natura delle diverse Scritture che mi venivano alla mente: se pensavo a quella riguardante la grazia, ero in pace; ma se pensavo a quella che parlava di Esaù, allora ero tormentato. «Signore, pensavo, se entrambe queste Scritture si incontrassero nel mio cuore contemporaneamente, mi domando quale di esse avrebbe il sopravvento su di me». E mi parve di desiderare che esse potessero giungermi tutte e due insieme; sì, chiedevo ardentemente a Dio che così accadesse.

213) Ebbene, dopo due o tre giorni, questo accadde veramente: esse irruppero su di me contemporaneamente, ed agirono e lottarono con violenza dentro di me per un po' ; alla fine, quella che riguardava la primogenitura di Esaù incominciò ad affievolirsi, a cedere fino a svanire; e prevalse quella sulla sufficienza della grazia, portando con sé pace e gioia. E mentre meditavo su di essa, mi sopraggiunse questo altro passo: «La misericordia trionfa del giudizio» (Gm. 2:13).

214) Questo fu per me oggetto di grande meraviglia, e sono pronto a credere che proveniva da Dio, poiché il ministero della legge e della collera doveva lasciar posto a quello della vita e della grazia; se infatti fu glorioso il ministero di condanna, quanto lo sorpassa, in gloria, il ministero della vita e della salvezza » (2 Cr. 3:8,9,10,11; Mr. 9:5, 6,7; Gv. 6:37). Inoltre, Mosè ed Elia dovevano entrambi sparire, e lasciare solo Cristo e i suoi Santi.

215) Anche queste parole visitarono con gran dolcezza la mia anima: «Tutti quelli che il Padre mi dà verranno a me; e colui che viene a me, non lo caccerò fuori» (Gv. 6:37). Oh, il conforto che ricevetti dalle parole «in nessun modo »! Era come se dicessero « per niente al mondo, qualunque cosa abbia fatto». Ma Satana tentò con ogni mezzo di strappare da me quella promessa, dicendomi che Cristo non intendeva me, o le persone come me, ma i peccatori di livello inferiore, che non avevano fatto quello che avevo fatto io. Ma io gli risposi: «Satana, in quelle parole non c'è una tale limitazione: colui che viene, non importa chi, colui che viene a me, io non lo caccerò in nessun modo». E inoltre ricordo bene che, nonostante tutti i mezzi che Satana usò per strappare da me quella Scrittura, non ottenne altro risultato che questa domanda: «Ma ti comporti in modo giusto?». Evidentemente, egli pensava che io sapessi molto bene che cosa significava comportarsi in modo giusto; infatti io sapevo che comportarsi in modo giusto voleva dire comportarsi come me, che ero un vile ed empio peccatore, ma mi gettavo ai piedi della divina misericordia, condannandomi da solo per i miei peccati; se mai Satana ed io lottammo, uno da una parte l'altro dall'altra, per il Verbo divino, fu proprio per quelle sante parole di Cristo. Oh, quanta fatica ci costò ! Era per le parole riferite da Giovanni, che noi così lottammo, a strattoni: Satana tirava e tirava; ma, Dio sia lodato, io ebbi la meglio riuscii a trarre qualche dolce vantaggio.

216) Ma nonostante tutti gli aiuti e le benedette parole di grazia, quelle riguardanti Esaù che aveva venduto la sua primogenitura continuavano, di tanto in tanto, ad affliggere la mia coscienza; infatti, sebbene fossi stato dolcissimamente confortato, e di recente, quando esse mi si affacciavano alla mente mi facevano temere, ancora una volta. Non potevo liberarmene del tutto, erano presenti in me ogni giorno; perciò tentai un'altra strada per cercare di approfondire la natura di questo pensiero blasfemo; intendo dire se dovevo prenderle in senso lato e dare a ciascuna di esse la forza naturale e la libertà che erano loro proprie; e dopo questa considerazione, trovai che, se erano prese in modo giusto, conducevano a questa conclusione: io avevo liberamente lasciato che Gesù Cristo facesse la sua scelta, se voleva essere il mio Salvatore o no, perché le parole colpevoli erano queste: «Lascialo andare, se vuole ». Allora la Scrittura mi diede la speranza: «Io non ti lascerò mai non ti abbandonerò» (Eb. 13.5). Oh, Signore, dissi io, ma io ti ho lasciato : e mi venne ripetuto : « ma io non ti lascerò». Di questo ringrazio ancora Dio.

217) Tuttavia, io temevo fortemente che potesse lasciarmi, e trovavo altremodo difficile credergli, visto che lo avevo così offeso; sarei stato felice se questo pensiero non mi si fosse mai affacciato, perché pensavo che avrei potuto con maggior facilità, libertà e larghezza, appoggiarmi alla sua grazia. Succedeva a me quello che era accaduto ai fratelli di Giuseppe: la colpa della loro empietà li riempiva spesso del timore che il loro fratello alla fine li disprezzasse (Ge. 50:15,16,17,18).

218) Ma fra tutte le Scritture nelle quali mi ero imbattuto fino allora, mi fu di grandissimo conforto il passo ventesimo di Giosuè, che parla dell'uccisore che fugge in cerca di rifugio : « E se il vindice di sangue, come dice Mosè, inseguirà l'uccisore, gli anziani della città di rifugio non lo consegneranno nelle sue mani; poiché egli ha ucciso il suo prossimo senza volerlo e senza mai averlo odiato per l'addietro ». Oh, benedetto sia il Signore per queste parole! Io ero convinto di essere l'uccisore; e che il vindice di sangue mi inseguisse, con mio grande terrore; ora mi restava soltanto da indagare se avevo diritto di entrare nella città del rifugio. Così io scoprii che non ne aveva diritto «quello che era in attesa di versare sangue»; non l'assassino volontario, ma chi ha ucciso senza premeditazione, chi ha versato sangue «per inavvertenza, non per malanimo, rancore o astio, ma involontariamente, e senza mai avere odiato il suo prossimo per l'addietro».

219) Perciò pensai di essere l'uomo che veramente doveva entrare, perché avevo ucciso il mio prossimo « senza volerlo, e senza mai averlo odiato per l'addietro ». Io non lo avevo odiato per l'addietro, no, io lo avevo pregato, ma ero stato pronto a peccare contro di lui; sì, e contro questa empia tentazione avevo lottato per dodici mesi; e quando mi aveva attraversato il cuore, era stato contro la mia volontà. Perciò pensavo che avevo diritto di entrare nella città, e gli anziani, cioè gli Apostoli, non mi avrebbero consegnato al vindice. Questo pensiero, naturalmente, mi era di grande conforto, e mi dava adito a molte speranze.

220) Tuttavia ero molto critico, poiché la mia sofferenza mi aveva reso tale che non sapevo esattamente su cosa potessi basarmi con sicurezza. C'era una domanda alla quale la mia anima desiderava
ardentemente avere una risposta: «È possibile che un'anima che abbia commesso il peccato imperdonabile possa ricevere in seguito un sia pur minimo conforto spirituale da Dio attraverso Cristo? ». E dopo aver a lungo riflettuto, la risposta era stata: «No, non è possibile», e per le seguenti ragioni:

221) Primo, perché quelli che hanno commesso quel peccato sono esclusi dall'essere partecipi del sangue di Cristo, e come tali, devono necessariamente essere privi del minimo fondamento di speranza, e quindi di conforto spirituale; «poiché non rimane più alcun sacrificio per tali peccati » (Eb. 10:26,27). Secondo, poiché sono esclusi dall'essere partecipi della promessa di vita: essi non saranno mai perdonati, né in questo mondo, né in quello a venire (Mt. 12:32). Terzo, il figlio di Dio li esclude anche dall'essere partecipi della sua santa intercessione, vergognandosi per sempre di ammetterli al cospetto del suo santo Padre, e degli angeli benedetti che stanno in Cielo (Mt. 8).

222) Quando ebbi considerato tutto ciò con grande ponderatezza, e non potei fare a meno di concludere che il Signore mi aveva confortato anche dopo il mio empio peccato, allora mi parve che potevo osare di affrontare quelle temibili e terribili Scritture, dalle quali ero stato per tutto quel tempo così spaventato, e sulle quali prima osavo a stento posare gli occhi (per cento volte avevo penato per trattenermi dal desiderare che non fossero nella Bibbia, perché pensavo che mi avrebbero distrutto). Ora incominciavo ad attingere qualche incoraggiamebto, ad avvicinarmi ad esse, a leggerle, a considerarle, e a pesare la loro portata e il loro significato.

223) E una volta incominciato, trovai che il loro aspetto era cambiato, poiché sembrava che non mi guardassero più così trucemente come prima. Per prima cosa, mi volsi verso il sesto passo dell'Epistola agli Ebrei, tremando dal terrore che potesse colpire me; e dopo aver ben riflettuto, trovai che la caduta di cui si parla era una «ribellione», cioè, secondo la mia interpretazione, l'abbandono e l'assoluta negazione del Vangelo, della remissione dei peccati per mezzo di Cristo : infatti da questo l'Apostolo inizia la sua discussione (I. 2,3). Inoltre, trovai che quelli di cui si parlava in quel punto erano esclusi per sempre da Dio e lasciati nell'ignoranza, nella durezza e nell'impossibilità di pentirsi: «È impossibile che si rinnovellino un'altra volta a penitenza». Da tutti questi particolari dedussi, a eterna lode di Dio, che il mio peccato non era quello di cui si parlava in quel punto. Prima di tutto, io ammettevo di essere caduto, ma non di essermi ribellato, cioè di non essermi allontanato dalla professione di fede in Gesù per la vita eterna. In secondo luogo, confessavo di aver oltraggiato Gesù Cristo con il mio peccato, ma non apertamente. Non lo avevo rinnegato di fronte agli uomini, né lo avevo accusato di essere inutile di fronte al mondo. In terzo luogo, non avevo riscontrato che Dio mi avesse scacciato, o mi avesse proibito di avvicinarmi a lui, sebbene avessi trovato davvero difficile accedere a lui con dolore e pentimento; sia benedetto Iddio per la sua imperscrutabile grazia.

224) Allora passai a considerare il decimo passo dell'Ep. agli Ebrei»; e trovai che il «peccato volontario » che vi è menzionato non è un qualunque peccato volontario, ma quello che rinnega Cristo e i suoi Comandamenti. Secondariamente, che deve anche essere commesso pubblicamente, davanti a due o tre testimoni, per rispondere di esso di fronte alla legge (Eb. 10:28). In terzo luogo, questo peccato non può
essere commesso se non con grande oltraggio allo spirito di grazia, disprezzando sia la dissuasione da quel peccato, che la persuasione per il contrario; ma il Signore sapeva che, sebbene il mio peccato fosse diabolico, non era compreso tra questi.

225) Affrontai poi il dodicesimo passo dell'Ep. agli Ebrei, quello riguardante Esaù che aveva venduto la sua primogenitura; e sebbene questo fosse quello che mi uccideva, e incombeva come una lancia su di me, tuttavia ora pensavo : primo, che la sua non era stata una decisione frettolosa, dettata dal continuo travaglio della sua mente, bensì un pensiero al quale aveva acconsentito, e che aveva messo in pratica di conseguenza e anche dopo qualche riflessione (Ge. 25). In secondo luogo, era stata un'azione pubblica, compiuta di fronte a suo fratello, se non di fronte a molti altri; il che rese il suo peccato molto più nefando. In terzo luogo, egli continuò a disprezzare la sua primogenita: «Egli mangiò e bevve, poi se ne andò. Fino a tal punto Esaù disprezzò la sua primogenitura». Sì, anche dopo vent'anni egli fu trovato che continuava a disprezzarla: «Ed Esaù rispose: Io ne ho abbastanza, fratello mio, tieni pure per te il tuo (bestiame) » (Ge. 33:9).

226) Ora, arrivato al punto che diceva che «Esaù aveva cercato un luogo di pentimento », io pensai: primo, questo non era a causa della primogenitura, ma della benedizione; questo risulta chiaro dall'Apostolo, ed è messo in evidenza dallo stesso Esaù, « mi tolse la mia primogenitura (cioè precedentemente); ed ora mi ha tolto anche la benedizione» (Ge. 27:36). In secondo luogo, dopo questa considerazione, mi rivolsi di nuovo all'Apostolo, per vedere quale poteva essere l'intenzione di Dio, nello spirito del Nuovo Testamento, nei riguardi del peccato di Esaù; e, secondo la mia opinione, l'intenzione di Dio era che primogenitura significava rigenerazione, e benedizione significava eredità eterna; a questo infatti sembrava alludere l'Apostolo, «A meno che non ci sia qualche empio, come Esaù, che per un po' di cibo vendette la sua primogenitura»: come se dicesse: «A meno che non ci sia uno in mezzo a voi che getterà via tutti quei benedetti principi di Dio che ora sono sopra di lui, per procurargli una nuova nascita, sempre che non diventi come Esaù, respinto in seguito, quando avrebbe voluto ereditare la benedizione».

227) Infatti ci sono molti che, nel giorno della grazia e della misericordia, disprezzano quelle cose che sono invero il diritto di nascita al Cielo, e che, quando verrà il giorno decisivo, grideranno forte come Esaù «Signore, Signore, aprici». Ma allora, come Isacco non volle pentirsi, così non si pentirà Dio Padre, ma dirà: « Io li ho benedetti, e benedetti saranno »; quanto a voi, « allontanatevi da me, voi tutti che avete commesso l'iniquità » (Ge. 27:32; Lu. 13.25,26,27).

228) Quando io ebbi riflettuto su queste Scritture e scoperto che interpretarle in questo modo non era contrario, bensì conforme ad altre Scritture, questo altro pensiero aumentò il mio incoraggiamento e conforto, ed inoltre inferse un duro colpo all'obbiezione che «le Scritture non si trovavano d'accordo sulla salvezza della mia anima». Ed ora rimaneva soltanto l'ultima parte della tempesta, poiché il tuono l'avevo lasciato dietro di me: rimanevano solo alcune gocce, che di tanto in tanto sarebbero cadute su di me; ma poiché i miei terrori e tormenti precedenti erano stati molto forti e dolorosi, spesso mi succedeva quello che accade a coloro che sono stati spaventati dal fuoco: credevo che ogni voce fosse fuoco, fuoco; e il minimo colpo feriva la mia fragile coscienza.