Letteratura/Istituzione/2-14

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca


Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

0:01 - 0:02 - 1:01 - 1:02 - 1:03 - 1:04 - 1:05 - 1:06 - 1:07 - 1:08 - 1:09 - 1:10 - 1:11 - 1:12 - 1:13 - 1:14 - 1:15 - 1:16 - 1:17 - 1:182:01 - 2:02 - 2:03 - 2:04 - 2:05 - 2:062:07 - 2:08 - 2:09 - 2:10 - 2:11 - 2:12 - 2:13 - 2:14 - 2:15 - 2:16 - 2:17 - 3:01 - 3:02 - 3:03 - 3:04 - 3:053:063:07- 3:08 - 3:09 - 3:10 - 3:113:12 - 3:133:14 - 3:15 - 3:16 - 3:17 - 3:18 - 3:19 - 3:20 - 3:21 - 3:22 - 3:23 - 3:24 - 3:25 - 4:01 - 4:02 - 4:03 - 4:04 - 4:05 - 4:06 - 4:07 - 4:08 - 4:09 - 4:10 - 4:11 - 4:12 - 4:13 - 4:14 - 4:15 - 4:16 - 4:17 - 4:184:19 - 4:20

 

CAPITOLO XIV

LE DUE NATURE DEL MEDIATORE FORMANO UNA PERSONA UNICA

1. L'affermazione che la Parola è stata fatta carne (Gv. 1.14) non deve essere intesa nel senso che essa sia stata convertita in carne o confusamente mescolata alla carne, ma che ha assunto nel ventre della Vergine un corpo umano, facendosene un tempio in cui abitare. E colui che era figlio di Dio è stato fatto figlio dell'uomo non con una confusione delle sostanze ma nell'unità della persona; vale a dire ha congiunto ed unito la propria divinità con l'umanità che ha assunto, di sorta che ciascuna delle due nature ha conservato le sue caratteristiche, e tuttavia Gesù Cristo non ha due persone distinte ma una sola.

È possibile trovare nelle cose umane una similitudine a questo mistero? Il paragone con l'uomo appare adatto: lo vediamo infatti composto di due nature, ciascuna delle quali non è però confusa con l'altra al punto da perdere le proprie caratteristiche. L'anima non è il corpo, né il corpo è l'anima: si attribuisce all'anima quello che non può riferirsi al corpo; e al corpo quel che non può riferirsi all'anima; e all'uomo completo quel che non può competere né all'una né all'altra parte. Inoltre i tratti particolari all'anima sono trasferiti al corpo e dal corpo all'anima reciprocamente. Tuttavia la persona composta di queste due sostanze è un solo uomo e non parecchi. Questa formula indica l'esistenza di una natura nell'uomo composta di due nature unite e nondimeno lasciando sussistere tra esse differenza.

La Scrittura parla in questo modo di Gesù Cristo: talvolta essa gli attribuisce quanto può essere riferito solo all'umanità, talvolta quanto compete specificamente alla divinità, talvolta quanto si addice alle due nature congiunte e non ad una sola. Ed esprime anzi questa unione delle due nature in Gesù Cristo con tanta pregnanza da comunicare all'una quanto appartiene all'altra. Questo modo di esprimersi è stato definito dagli antichi dottori: "comunicazione delle proprietà"

2. Tutto questo potrebbe suonare puramente ipotetico non disponessimo di numerosi passi della Scrittura per dimostrare che nessuna delle nostre affermazioni è frutto del pensiero umano.

La dichiarazione di Gesù, secondo cui egli esiste prima di Abramo (Gv. 8.58) non può riferirsi alla sua umanità. Spiriti ingannatori travisano, è vero, questa frase interpretandola nel senso che Cristo sarebbe esistito prima di tutti i secoli in quanto era già predestinato redentore nella mente del Padre e riconosciuto come tale dai credenti. Ma dato che Cristo distingue in modo esplicito la propria essenza eterna dalla propria manifestazione temporale nella carne e vuol mostrarsi superiore ad Abramo per la propria antichità, non v'è dubbio che attribuisce a se stesso quanto è proprio della divinità.

Non si riferiscono alla natura umana di Cristo l'espressione "primogenito di ogni creatura "adoperata da san Paolo, il quale afferma che egli è esistito prima di ogni cosa e ogni cosa sussiste per mezzo di lui (Cl. 1.15); né la dichiarazione di aver avuto la sua gloria insieme al Padre prima che il mondo fosse creato (Gv. 17.5) , né di essere all'opera assieme con il Padre fin dal principio (Gv. 5.17). Queste affermazioni vanno riferite tutte alla divinità.

Appartiene alla sola natura umana l'essere chiamato "servo del Padre " (Is. 42.1e altri passi) , l'essere cresciuto, a detta di san Luca, in statura e in sapienza davanti a Dio e davanti agli uomini (Lu 2.52) , la dichiarazione di non cercare la propria gloria (Gv. 8.50) , di ignorare la data dell'ultimo giorno (Mr. 13.32) , di non parlare da se, di non compiere la propria volontà (Gv. 14.10e 6.38); l'affermazione di Giovanni di averlo visto e toccato (1 Gv. 1.1; Lu 24.39). Infatti essendo Dio non può aumentare né diminuire, fa ogni cosa per amor del proprio nome, nulla gli è nascosto, ordina e dispone tutto a proprio piacimento, è invisibile e non può essere toccato. Tuttavia Cristo non attribuisce queste cose alla sola natura umana, ma le assume in quanto mediatore.

La comunicazione delle proprietà è dimostrata dalle affermazioni di san Paolo: Dio ha acquisito la Chiesa con il proprio sangue (At. 20.28); il Signore della gloria è stato crocifisso (1 Co. 2.8); come pure nella citazione già menzionata di san Giovanni secondo cui la Parola di vita è stata toccata. Infatti Dio non ha sangue, non può soffrire, non può essere toccato con le mani. Ma in quanto Gesù Cristo vero Dio e vero uomo, è stato crocifisso e ha sparso il proprio sangue per noi, quanto è avvenuto nella sua natura umana è riferito alla divinità, impropriamente, ma non senza ragione.

Esempio analogo è la dichiarazione di san Giovanni che Dio ha dato la vita per noi (1 Gv. 3.16; evidentemente quanto è proprio dell'umanità viene comunicato all'altra natura. Parimenti quando Gesù, ancora vivente, diceva che nessuno mai era salito al cielo se non il figlio dell'uomo che era nel cielo (Gv. 3.13) , è evidente che non era stato in cielo, secondo la natura umana con la carne che aveva rivestito; ma dato che era Dio e uomo e che le due nature erano unite, attribuiva all'una quanto apparteneva all'altra.

3. I passi in cui è fatto menzione delle due nature unite sono i più chiari ed i più adatti a mostrare quale sia la vera realtà di Gesù Cristo. L'evangelo di san Giovanni ne è pieno. Vi leggiamo che Cristo ha ricevuto dal Padre autorità di rimettere i peccati (Gv. 1.29) , di risuscitare i morti, di dare giustizia, santità e salvezza, di essere stabilito quale giudice sui vivi e sui morti ed essere onorato come il Padre (Gv. 5.21-23); definizioni quali: la luce del mondo (Gv. 9.5) , il buon pastore, la sola porta e la vera vite (Gv. 10.9-11; 15.1) non caratterizzano né la sola divinità né la sola umanità. Il figlio di Dio ha goduto questi privilegi quando fu manifestato nella carne, sebbene li possedesse Cl. Padre prima della creazione del mondo; ma tali privilegi non potevano competere ad un uomo che fosse solamente uomo.

In questo senso bisogna intendere la dichiarazione di san Paolo che Gesù Cristo, avendo adempiuto il suo compito di giudice, all'ultimo giorno renderà il potere a Dio suo Padre (1 Co. 15.24). È certo che il regno del figlio di Dio che non ha avuto principio, non avrà neanche fine. Ma siccome è stato umiliato nella carne e, prendendo figura di servo, si è annichilito e, avendo perduto la propria dignità visibile, si è assoggettato a Dio suo padre per obbedirgli (Fl. 2.8) e, dopo aver subito l'assoggettamento è stato coronato di gloria e di onore (Eb. 2.7) , esaltato alla suprema dignità onde ogni ginocchio si pieghi dinanzi a lui (Fl. 2.10) , così, parimenti, restituirà al Padre l'imperio e la corona della gloria e tutto quello che gli è stato dato in quanto mediatore, onde Dio sia ogni cosa in tutto (1 Co. 15.28). Infatti gli è stato dato questo potere perché il Padre eserciti il potere per mezzo suo. In questo senso è detto che siede alla destra del Padre: questo è limitato nel tempo fino a quando goderemo della visione diretta della divinità.

Gli antichi hanno commesso l'errore di non considerare sufficientemente la persona del mediatore, nel leggere questi passi '; san Giovanni e così ne hanno oscurato il senso vero e naturale e sono incappati in molti equivoci. Adoperiamo quale chiave per una corretta comprensione la seguente massima: tutto quello che concerne l'ufficio di mediatore non è riferito semplicemente alla natura umana o a quella divina.

Gesù Cristo, dato che ci unisce al Padre pur nella nostra limitatezza e debolezza, regnerà fin quando sia apparso per giudicare il mondo. Ma dopo che saremo stati resi partecipi della gloria celeste per contemplare il vero volto di Dio, allora, avendo adempiuto il suo ufficio di mediatore, egli non sarà più ambasciatore di Dio suo Padre e si contenterà della gloria che aveva prima della creazione del mondo.

Il nome di "Signore "si attribuisce a Gesù Cristo per il fatto che costituisce una mediazione tra Dio e noi. San Paolo lo ha espresso dicendo: "C'è un Dio a cui appartengono tutte le cose ed un Signore mediante il quale sono tutte le cose " (1 Co. 8.6). Il dominio temporale suddetto gli è stato attribuito fino a che la sua maestà divina ci sia direttamente conoscibile; ed essa non sarà per nulla sminuita quando renderà l'imperio a suo padre, anzi avrà una ancor maggiore preminenza. Allora Dio non sarà più il capo di Cristo perché la divinità di Cristo splenderà perfettamente da sola, mentre ora è ancora nascosta come sotto un velo.

4. Questa osservazione servirà a risolvere molti dubbi, purché i lettori sappiano trarne profitto. Gli ignoranti, e persino alcuni non privi di cultura, si tormentano incredibilmente per queste formule attribuite a Cristo e che non si addicono né alla sua divinità né alla sua umanità. Dimenticano che esse si riferiscono alla sua persona, nella quale è manifestato quale uomo e quale Dio, e alla sua funzione di mediatore. Tutte le cose summenzionate si accordano benissimo assieme purché consideriamo questo grande mistero con il necessario rispetto.

Ma gli spiriti agitati e irrequieti mettono tutto a soqquadro. Accettano quanto è proprio all'umanità di Gesù Cristo per distruggerne la divinità; quello che compete alla divinità per distruggerne l'umanità; e quanto è detto delle due nature congiunte per smentire l'una e l'altra. Questo significa argomentare che Cristo non è uomo, dato che è Dio; e che non è Dio, dato che è uomo; e che non è né Dio né uomo dato che ha in se ambedue le nature.

Ne concludiamo dunque che Cristo, essendo Dio e uomo, composto di due nature unite e non confuse, è il nostro Signore ed il vero figlio di Dio, anche secondo l'umanità, ma non a motivo dell'umanità.

Dobbiamo respingere l'eresia di Nestorio il quale, scindendo più che distinguendo le nature di Gesù Cristo, immaginava un doppio Cristo. Al contrario la Scrittura ci dichiara esplicitamente che colui che dovrà nascere dalla vergine Maria sarà chiamato figlio di Dio (Lu 1.32) e che la Vergine stessa è madre del nostro Signore.

Bisogna ugualmente guardarsi dalla assurda teoria di Eutiche il quale, volendo sottolineare l'unità della persona in Gesù Cristo, distruggeva ambedue le sue nature. Abbiamo già menzionato molte testimonianze della Scrittura in cui la natura divina è distinta da quella umana: e sono tante da chiudere la bocca al più contenzioso. Quanto prima ne citerò altre per demolire questo errore. Ci basti per ora ricordarne una sola: Gesù Cristo non avrebbe definito il proprio corpo un "tempio " (Gv. 2.19) se la sua divinità non vi avesse abitato così come l'anima dimora nel corpo.

Come dunque Nestorio fu giustamente condannato al concilio di Efeso, così anche Eutiche meritava la condanna che ha ricevuto al concilio di Costantinopoli come a quello di Calcedonia. Non è lecito confondere le due nature di Gesù Cristo più di quanto sia lecito separarle; bisogna distinguerle mantenendole unite.

5. È sorto nel nostro tempo un mostro, non meno pernicioso degli eretici antichi, chiamato Michele Serveto, il quale ha voluto immaginare al posto del figlio di Dio, non so qual fantasma composto dell'essenza di Dio, del suo Spirito, di carne e di tre elementi non creati.

In primo luogo egli nega che Gesù Cristo sia figlio di Dio se non in quanto è stato generato nel ventre della Vergine dallo Spirito Santo. La sua astuzia tende ad annullare la distinzione tra le due nature, in modo da vedere in Cristo una massa o mescolanza composta di una porzione di Dio e una dell'uomo, senza essere né Dio né uomo. L'assunto dei suoi discorsi è questo: prima che Gesù Cristo fosse manifestato in carne, vi erano in Dio solo ombre ed immagini la cui verità e il cui effetto hanno incominciato a realizzarsi solo quando la Parola ha incominciato ad essere figlio di Dio, al qual onore era predestinata.

Noi riconosciamo che il mediatore, nato dalla vergine Maria, è il figlio di Dio, propriamente parlando. Infatti se non lo fosse, Gesù Cristo in quanto uomo non sarebbe specchio della grazia inestimabile di Dio, avendo ricevuto la dignità di essere figlio unigenito di Dio. Tuttavia l'insegnamento della Chiesa rimane chiaro: egli deve essere riconosciuto figlio di Dio perché essendo prima di tutti i secoli Parola generata dal Padre, ha preso la nostra natura unendola alla propria divinità.

Questo è stato definito dagli Antichi unione ipostatica, intendendo dire con questa espressione che le due nature sono state congiunte in una sola persona. Questa formula è stata elaborata ed adoperata per combattere Nestorio, il quale immaginava che il figlio di Dio avesse abitato nella carne senza però essere divenuto uomo.

Serveto ci accusa di creare due figli di Dio perché affermiamo che la Parola eterna era già figlio di Dio prima di rivestire la carne. Come se noi affermassimo qualcosa di diverso da quanto la Scrittura afferma, e cioè che colui che era figlio di Dio è stato manifestato nella carne. Sebbene fosse Dio prima di essere fatto uomo, questo non significa che abbia poi ricominciato ad essere un nuovo Dio.

Neppure vi è assurdità nell'affermare: è apparso nella carne il Figlio di Dio, il quale era tale già precedentemente a causa della genitura eterna. È questo che l'angelo dice alla vergine Maria: "Il Santo che nascerà da te sarà chiamato figlio di Dio ",: intendendo dire che l'appellativo di Figlio, rimasto occulto sotto la Legge sarebbe stato da allora in poi manifestato apertamente. Con questo concorda l'asserzione di san Paolo secondo cui, essendo ora figli di Dio, possiamo invocare Dio in piena libertà e fiducia dicendogli: Abbà, padre (Ro 8.15).

I santi padri non sono forse stati inclusi nella schiera dei figli di Dio? Fondandosi su questa certezza hanno invocato Dio quale Padre; ma quando il figlio unigenito di Dio è stato manifestato nel mondo, questa paternità celeste è stata meglio conosciuta e per questo motivo san Paolo ha attribuito questo privilegio al regno di Gesù Cristo. Dobbiamo tuttavia tenere per certo il fatto che Dio è sempre stato padre degli uomini e degli angeli unicamente in relazione al suo figlio unigenito, specialmente degli uomini che giustamente odia a causa della loro iniquità, e che siamo figli per adozione mentre Gesù Cristo lo è per natura. Serveto replica che questa grazia deriva dal fatto che Dio aveva predestinato nella sua mente di avere un figlio che fosse capo di tutti gli altri. Rispondo che non è questione di prefigurazioni, come nel caso del sangue degli animali sacrificati, che simboleggiava la purificazione dei peccati; ma dato che i padri sotto la Legge non avrebbero potuto essere figli di Dio di fatto se la loro adozione non fosse stata fondata sul Capo, sarebbe privo di senso negargli quello che aveva in comune con le sue membra.

Andrò oltre: la Scrittura chiama gli angeli "figli di Dio "eppure la loro dignità non dipendeva dalla futura redenzione; bisogna dunque che Gesù Cristo li preceda nell'ordine, dato che è lui a unirli al Padre.

Riassumerò di nuovo brevemente la mia tesi, considerando gli uomini e gli angeli: essi sono stati creati all'origine del mondo avendo Dio quale Padre comune; ma secondo l'affermazione di san Paolo Gesù Cristo è stato sempre Capo e primogenito di ogni creatura per avere la preminenza su tutti (Cl. 1.15); di conseguenza se ne può concludere che il figlio di Dio esisteva prima della creazione del mondo.

6. Se la dignità di Figlio ha avuto origine allorché Cristo è apparso nella carne, ne consegue che è Figlio rispetto alla natura umana. Serveto e gli esaltati suoi pari vogliono che Gesù Cristo sia considerato figlio di Dio in quanto è apparso in carne, perché non potrebbe essere considerato tale senza la natura umana.

Vorrei sapere se lo considerano Figlio secondo tutte e due le nature? È ben questo che vanno blaterando ma san Paolo parla in modo molto diverso.

Riconosciamo che Gesù Cristo, nella sua umanità, è Figlio di Dio, non come i credenti solamente per adozione e per grazia, ma in modo reale e naturale e di conseguenza unico: e in questo modo è distinto da tutti gli altri. Dio fa l'onore, a quanti siamo rigenerati a vita nuova, di considerarci suoi figli; ma riserva a Gesù Cristo il titolo di Figlio vero e unigenito. E in qual modo sarebbe unico di fronte ad un tal numero di fratelli se non in quanto abbiamo ricevuto come dono quanto egli possiede per natura?

Questo onore lo estendiamo a tutta la persona del mediatore: colui che è nato dalla Vergine e si è offerto per noi sulla croce è veramente figlio di Dio, ma riguardo alla sua divinità, come insegna san Paolo, affermando che è stato scelto per servire l'Evangelo promesso da Dio riguardo al proprio figlio, generato dal seme di Davide secondo la carne, dichiarato figlio di Dio con potenza (Ro 1.1-4). Perché chiamandolo figlio di Davide secondo la carne aggiungerebbe poi che è stato dichiarato figlio di Dio, se non volesse indicare che questa dignità non dipende dalla natura umana ma ha un'origine diversa? Nello stesso senso l'Apostolo dice in un altro passo che Gesù Cristo ha sofferto per la debolezza della propria carne ed è riuscito per la potenza dello Spirito (2 Co. 13.4) , sottolineando la diversità tra le due nature.

Quei sognatori devono riconoscere, lo vogliano o no, che come Gesù Cristo ha ricevuto da sua madre la natura, a causa della quale è chiamato figlio di Davide, parallelamente riceve da suo Padre la natura che gli fa ottenere la qualifica di Figlio e che è distinta e diversa dalla sua umanità. La Scrittura gli attribuisce l'una e l'altra, chiamandolo ora figlio di Dio, ora figlio dell'uomo.

Per quanto riguarda questo secondo appellativo, non v'è motivo per cui non venga chiamato figlio dell'uomo secondo l'uso corrente della lingua ebraica, dato che discende dalla stirpe di Adamo. Sostengo al contrario che è chiamato figlio di Dio a causa della sua divinità e della sue eterna essenza. Non è meno corretto che sia chiamato figlio di Dio in riferimento alla natura divina, di quanto lo sia l'essere chiamato figlio dell'uomo in riferimento a quella umana.

Insomma, nel passo menzionato san Paolo vuole indicare che Gesù Cristo, generato dal seme di Davide secondo la carne, è stato dichiarato figlio di Dio; così come in un altro passo dice che sebbene sia disceso dagli Ebrei secondo la carne, è Dio benedetto in eterno (Ro 9.5). Se tutti e due i passi sottolineano la distinzione delle due nature, con quale giustificazione Serveto ed i suoi complici negheranno che Gesù Cristo, che è figlio dell'uomo secondo la carne, sia figlio di Dio rispetto alla natura divina?

7. Si danno un gran daffare per sostenere la loro tesi e citano questi passi: Dio non ha risparmiato il proprio figlio (Ro 8.32); Dio ha detto all'angelo di chiamare figlio del Signore colui che sarebbe nato dalla Vergine (Lu 1.32). Non si inorgogliscano però in una argomentazione così futile e considerino assieme a me la validità delle loro tesi.

Se vogliono dedurre che Gesù Cristo, essendo definito Figlio di Dio quando è concepito, ha incominciato ad esser tale solo dopo quel momento, ne conseguirà che la Parola, che è Dio, avrà iniziato la propria esistenza solo dopo essere stata manifestata in carne, dato che san Giovanni afferma di annunciare la Parola che ha toccato con le proprie mani (1 Gv. 1.1). Se persistono nel sostenere questa tesi, come potranno spiegare l'affermazione del Profeta: "Tu o Betleem, terra di Giudea, piccola tra i distretti di Giuda, da te nascerà il governatore che presiederà sul mio popolo Israele; le cui origini rIs.lgono ai tempi antichi, ai giorni eterni " (Mi. 5.1) ?

Le argomentazioni di Serveto contro di noi si dissolvono come fumo. Questo non significa, in alcun modo, sostenere Nestorio, che si è fabbricato un doppio Cristo: ma dico che Gesù Cristo ci ha fatti figli di Dio con se, in virtù del fraterno legame che ha con noi, perché nella carne che ha assunto da noi è veramente figlio unigenito di Dio. E sant'Agostino saggiamente ricorda che è una prova eccezionale della grazia singolare di Dio il fatto che Gesù Cristo, in quanto uomo, sia pervenuto a così alto onore, che non avrebbe potuto meritare. Gesù Cristo ha dunque avuto l'onore di essere figlio di Dio, nella sua carne, anzi fin dal ventre della madre; e tuttavia non bisogna immaginare nell'unità della sua persona una mescolanza confusa che tolga alla divinità quel che gli è proprio.

Del resto il fatto che la Parola eterna di Dio sia sempre stata suo figlio e che dopo la sua manifestazione in carne, essa sia definita come suo figlio in varie maniere e sotto diversi aspetti non è più assurdo del fatto che Gesù Cristo stesso, a seconda dei casi, sia definito talvolta figlio di Dio e talvolta figlio dell'uomo.

Vi è ancora una tesi assurda di Serveto, che però non ci preoccupa affatto. Egli afferma che nella Scrittura l'attributo di Figlio non è mai dato alla Parola, prima della venuta del Redentore, se non simbolicamente.

Rispondo. Anche se l'affermazione di questa figliolanza è più oscura sotto la Legge, tuttavia abbiamo dimostrato chiaramente che Cristo non sarebbe Dio eterno se non fosse questa Parola eternamente generata dal Padre e, nella persona assunta di mediatore, questo attributo non gli si potrebbe attribuire se non fosse Dio manifestato in carne; ancor di più, Dio non potrebbe essere chiamato Padre fin dall'inizio se non vi fosse stata fin da allora una mutua corrispondenza con il Figlio unigenito, dal quale origina ogni parentela o paternità nel cielo e sulla terra (Ef. 3.15). La conclusione inevitabile è che sotto la Legge ed i Profeti Gesù Cristo non ha cessato d'essere figlio di Dio, sebbene questo appellativo non fosse molto usato nella Chiesa.

Se la disputa fosse di natura unicamente terminologica si potrebbe ricordare che Salomone, predicando l'infinita grandezza di Dio, afferma l'incomprensibilità sua e del Figlio; ecco le sue parole: "Dimmi il suo nome, se puoi, o il nome di suo figlio " (Pr 30.4). So che questa testimonianza non avrà gran peso presso gli ostinati; né mi ci affido completamente, ma serve a mostrare che quanti affermano Gesù Cristo essere stato figlio di Dio solo dopo aver rivestito la nostra carne, non fanno che cercar cavilli malignamente.

Bisogna anche notare che i dottori più antichi hanno sempre di comune accordo insegnato in questo modo ed è detestabile e ridicola impudenza da parte dei moderni eretici farsi scudo di Ireneo e Tertulliano, visto che ambedue riconoscevano che Gesù Cristo, finalmente apparso in modo visibile, era in precedenza figlio invisibile di Dio.

8. Serveto ha accumulato molte orribili bestemmie che forse alcuni dei suoi discepoli non accetterebbero. Resta il fatto che chiunque non riconosce Gesù Cristo quale figlio di Dio nella sua carne, se messo alle strette manifesterà la sua empietà: considerare cioè Gesù Cristo quale figlio di Dio solo per il fatto che è stato concepito dallo Spirito Santo; come i Manichei hanno farneticato nel passato dicendo che l'anima di Adamo era un rampollo dell'essenza di Dio dato che leggevano: "Dio gli ha ispirato un'anima vivente " (Ge 2.7). Quei pasticcioni si fissano sul nome di Figlio al punto di non lasciare più alcuna differenza tra le due nature e blaterano confusamente che Gesù Cristo uomo è figlio di Dio perché è generato da Dio secondo la natura umana. E allora sarebbe abolita la genitura eterna di cui si parla altrove (Ecclesiaste 24.9); e quando si parlerà del mediatore la natura divina non sarà presa in considerazione oppure si immaginerà un fantasma al posto di Gesù Cristo uomo.

Sarebbe utile qui refutare tante illusioni enormi e perniciose di Serveto e di molti altri, in modo che il lettore ne fosse ammonito ad attenersi alla sobrietà ed alla modestia: ma mi sembra superfluo farlo dato che ho scritto un libro apposito.

Il riassunto dei loro errori è questo: il Figlio di Dio fin dal principio è stato una idea o un simbolo e da allora è stato predestinato a diventare l'uomo immagine dell'essenza di Dio. Alla Parola, che secondo san Giovanni è sempre stata vero Dio, questo miserabile sostituisce una manifestazione esteriore.

Serveto interpreta in questo modo la genitura di Gesù Cristo: vi è stata una volontà generata in Dio di aver un figlio, che ha avuto effetto quando è stato formato. Così mescola e confonde lo Spirito con la Parola: afferma infatti che Dio ha dispensato la Parola invisibile e lo Spirito sulla carne e sull'anima. Insomma, al posto della genitura sostituisce dei simboli che ha immaginato a suo piacimento. E vi aggiunge che vi è stato un figlio in ombra che è stato generato dalla Parola, alla quale attribuisce la funzione di seme.

Chi segue diligentemente le sue fantasie giunge alla conclusione che i porci ed i cani sono anch'essi figli di Dio, dato che sono creati dal seme originale della sua Parola. E mentre questo pasticcione considera Gesù Cristo composto di tre elementi non creati per sostenere che è generato dall'essenza di Dio, d'altra parte ne sottolinea talmente la primogenitura tra tutte le creature, da ritenere esservi la medesima divinità essenziale anche nelle pietre, a seconda del loro grado! Perché non lo si accusi di voler spogliare Gesù Cristo della sua divinità, afferma che la sua carne è costituita della sostanza stessa di Dio e che la Parola è stata fatta carne in quanto la carne è stata convertita nella sostanza di Dio. Di sorta che può accettare Gesù Cristo come figlio di Dio solo se la sua carne è originata dall'essenza divina ed e nuovamente convertita in divinità. Rimane così annullata la seconda persona che è in Dio e svanisce il figlio di Davide, che invece era stato promesso quale redentore. Serveto ripete spesso l'affermazione che il figlio di Dio è stato generato nella prescienza o nella predestinazione e finalmente è stato fatto uomo con la materia che risplendeva in Dio al principio formata di tre elementi e che infine è apparsa al primo albeggiare del mondo nella nube e nella colonna di fuoco.

Sarebbe troppo lungo rilevare come si contraddica ad ogni passo; ma ogni lettore cristiano comprenderà da questo compendio che quel cane mastino si propone, con le sue divagazioni, di spegnere ogni speranza di salvezza. Se infatti la carne fosse essa stessa divina, non potrebbe essere tempio della divinità; né possiamo avere un redentore se non è generato realmente secondo la carne, diventando vero uomo. Serveto, facendosi scudo delle parole di san Giovanni, afferma perversamente che la Parola è stata fatta carne; ma queste parole condannano l'errore di Nestorio come anche l'eresia di Eutiche che Serveto ha rinnovato; infatti san Giovanni non ha altro scopo che di stabilire l'unità della persona nelle due nature.