Quando gli increduli bestemmiano a causa nostra (Romani 2:17-29)?

Domenica 28 Gennaio 2024, quarta dopo l’Epifanìa

(Culto completo con predicazione, 55′ 45″)

(Solo predicazione, 28′ 53″)

Come fuoco distruttore 

La parola, come ogni strumento di comunicazione, può essere usata sia per il bene che per il male, sia per benedire come per maledire. Attizzata dalla malvagità umana, essa può fare molti danni. Come dice l’apostolo Giacomo: La lingua è come un fuoco. È come una cosa malvagia messa dentro di noi, e che porta il contagio in tutto il corpo. Essa infiamma tutta la vita con un fuoco che viene dall’inferno (…) Essa è cattiva, sempre in movimento, piena di veleno mortale” (Giacomo 3:6-8 TILC). Dice ancora la Scrittura: Morte e vita sono in potere della lingua” (Proverbi 18:21). Essa non è quindi mai né “indifferente né “neutrale”. Già oggi si fanno concreti e indiscriminati danni, spesso fatali a tante creature umane, fatte ad immagine di Dio, sin dal momento del loro concepimento, ma altrettanti danni, anche gravi, ne può fare la diffamazione, la calunnia, l’ingiuria, l’offesa verbale e c’è chi di questo ne gode.

Se però l’odio verso il prossimo, anche solo verbale, può essere davvero spietato, l’odio verso Dio in molte persone non è da meno. Esso può assumere diversi aspetti, fra i quali quello della bestemmia. Che cos’è la bestemmia? È ogni espressione ingiuriosa e irriverente contro Dio, le cose sacre e contro varie espressioni della religione – un parlare oltraggioso contro Dio, Creatore e Signore. La bestemmia può diventare persino un comune intercalare del discorso simile a quello delle sconvenienti espressioni volgari che riempiono la bocca di tanti. Come dice l’Apostolo: “Come si addice a dei santi, né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia sia neppure nominata fra voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti, ma piuttosto rendimento di grazie” (Efesini 5:3-4). Si tratta di molto di più che maleducazione, perché le volgarità e la bestemmia, su istigazione di Satana, nasce dal corrotto cuore umano. Odiando Dio e quanto è buono ai Suoi occhi, la creatura umana decaduta vuole essere Dio e legge a sé stessa.

La bestemmia causata dai credenti? 

Potrebbe però la bestemmia, nelle persone increduli, essere motivata anche dalla cattiva testimonianza data nel mondo dallo stesso popolo di Dio? Potrebbe la bestemmia nei non credenti essere anche una reazione causata dall’incoerenza ed ipocrisia di tanti che si dichiarano credenti? Tristemente si, ed è una circostanza menzionata nella Bibbia stessa, come nel brano che vorremmo considerare oggi. Si trova nel secondo capitolo della lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Roma. Ascoltiamolo.

“Ora, se tu ti chiami Giudeo, ti riposi sulla legge, ti glori in Dio, conosci la sua volontà, distingui la differenza delle cose essendo istruito dalla legge e ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, educatore degli insensati, maestro dei fanciulli, perché hai nella legge la forma della conoscenza e della verità, come mai, dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu, che predichi che non si deve rubare, rubi? Tu, che dici che non si deve commettere adulterio, commetti adulterio? Tu, che detesti gli idoli, saccheggi i templi? Tu, che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge? Infatti, come è scritto: “Il nome di Dio, per causa vostra, è bestemmiato fra i Gentili”. La circoncisione è certo utile, se tu osservi la legge, ma, se tu sei trasgressore della legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. Se l’incirconciso osserva i precetti della legge, la sua incirconcisione non sarà essa reputata circoncisione? Così colui che per natura è incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un trasgressore della legge. Poiché Giudeo non è colui che è tale all’esterno né la circoncisione è quella esterna, nella carne, ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini ma da Dio” (Romani 2:17-29).

Nel contesto, l’apostolo Paolo qui rivolge il suo discorso agli ebrei di Roma, i primi ai quali era stato rivolto il messaggio dell’Evangelo. Molti di loro avevano accolto Cristo Gesù come il Messia, il Salvatore promesso, ma ritenevano che la salvezza davanti a Dio dipendesse in larga misura anche dall’osservanza delle leggi morali e cerimoniali trasmesse da Dio a Mosè. Confrontandole con lo stile di vita dei pagani, essi si vantavano dei criteri morali superiori di cui erano portatori ma, contesta loro l’Apostolo, davvero ne erano coerenti nella loro vita pratica? Oppure trovavano sempre modo di disattendere tale legge causando così il disprezzo nella società circostante verso Dio? La loro ipocrisia non passava inosservata!

In questo testo Paolo cita Isaia 52:5 per ribadire il suo punto, cioè che “Tu, che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge” (2:23). Quando il profeta Isaia scriveva, il nome, cioè la reputazione del Dio d’Israele era deriso dalle altre nazioni perché il Suo popolo era oppresso e non sembrava proteggerli come essi dichiaravano. Al contrario, Paolo ora dice che Dio è disonorato dalle stesse loro azioni. Violando di fatto la legge di Mosè, essi facevano sì che Dio avesse una cattiva reputazione tra i pagani, le altre genti. Vedendo come essi infrangevano la legge datagli da Dio disprezzando e danneggiando gli altri, i pagani rispondevano parlando in modo blasfemo del Dio di Israele e dei cristiani. Questo indubbiamente evidenzia un punto importante che si applica anche ai credenti in Cristo, oggi. Quando coloro che affermano di essere cristiani si comportano in modo incoerente all’insegnamento di Cristo, Dio stesso è disonorato. I non credenti vedono quei peccati e ne attribuiscono la colpa alla nostra fede.

Come Paolo ha chiarito in precedenza in questa lettera, certo questa non è una scusa valida per rifiutare la verità (Romani 1:18–20). Tuttavia, coloro che rivendicano il nome di Dio devono essere estremamente attenti al tipo di reputazione che creano in questo mondo. Il punto su cui Paolo si sta concentrando è che nessuno osserva perfettamente la legge di Mosè (Romani 3:10), neppure il più diligente fra i credenti, perché la via della salvezza passa solo attraverso la giustizia di Cristo e la santificazione conseguente nei credenti. Tutti di fatto sono in qualche modo trasgressori della legge di Dio e spesso recano disonore a Dio attraverso la loro stessa vantata religiosità. Tutti meritano il giudizio di Dio a causa dei loro peccati, sia i pagani che i benpensanti (ma malfacenti) di tradizione ebraica. La legge, di fatto, serve in primo luogo a mettere in evidenza il peccato, quindi la nostra salvezza deve provenire da un’altra fonte. Quella fonte è la fede in Cristo: “… non c’è distinzione, difatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Romani 3:23-24).

L’ipocrisia di una vantata religiosità 

Il nostro testo dice: Infatti, come è scritto: ‘Il nome di Dio, per causa vostra, è bestemmiato fra i Gentili’” (Romani 2:24). Gli israeliti a cui si riferiva l’apostolo Paolo non erano gli unici che vantassero ipocritamente della loro presunta “superiorità morale”. Di questi atteggiamenti oggi ne abbiamo in abbondanza anche in altri contesti.  Pensiamo all’ipocrisia di chiese istituzionali o organizzazioni religiose che parlano di moralità, amore, pace, diritti umani, rispetto delle regole, ecc. Non solo questi sono discorsi impotenti a fare rispettare questi princìpi, ma ampiamente li contraddicono nei loro stessi ranghi, nascondono abusi o persino li giustificano. Vantano per sé stesse grandi cose contrapponendosi a religioni e culture diverse dalla loro verso le quali mandano missionari, ma… Pensiamo poi all’ipocrita arroganza di una civiltà come quella occidentale basata (almeno a parole) su principi giudeo-cristiani e che osa vantare superiorità rispetto ad altre culture e religioni. Pretende di “esportare democrazia”, “pace” o persino “libertà”! È davvero così? Le sue ampie incoerenze suscitano piuttosto l’odio degli altri che così bestemmiano il nome di Dio – per causa nostra. Le espressioni del nostro testo possono così essere applicate anche a noi. Passiamole in rassegna.

“Ora, se tu ti chiami Giudeo” (17 a), si potrebbe rendere come: “Ora se tu ti dici di essere cristiano, ebreo, esponente della civiltà occidentale… Di fatto, secondo l’insegnamento biblico “non tutti i discendenti da Israele sono Israele … Non i figli della carne sono figli di Dio” (Romani 9:6,8). Israele è soprattutto una realtà spirituale, così come una realtà spirituale è la Chiesa di Cristo, quella dei veri credenti, conosciuti a Dio soltanto, da distinguersi dagli ipocriti. L’appartenenza formale ad una chiesa o ad una religione, in sé stessa non vuol dire nulla. Vi sono veri e falsi cristiani, veri e falsi ebrei, o in politica, veri e falsi democratici. Come diceva Gesù stesso, nel “campo di Dio” il “buon grano” è frammisto a zizzania (Matteo 13:24-30) e sradicare quest’ultima per il momento non è possibile.

Tu “… ti riposi sulla legge, ti glori in Dio, conosci la sua volontà, distingui la differenza delle cose essendo istruito dalla legge” (17b, 18). Se tu “ti riposi sulla legge”, cioè “ti ritieni sicuro del favore di Dio perché possiedi la sua legge e ti glori di aver per tuo Dio, l’Iddio solo vero, creatore dei cieli e della terra, il quale ha stretto il suo patto con Israele”. Se tu conosci la sua volontà, quella che alle creature umane importa di conoscere, cioè quella di Dio rivelata nella sua legge, e discerni la differenza delle cose, cioè il bene dal male, nei casi concreti della vita quotidiana, essendo ammaestrato dalla legge… Ossia, se tu che possiedi la legge rivelata, invece d’esserne quello che l’osserva, ne sei di fatto il trasgressore. Non immaginare che solo possedendola tu potrai esser giustificato!

Tu “… ti persuadi di essere guida dei ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre”. I «ciechi», «coloro che sono nelle tenebre» indica i pagani in quanto privi della luce della rivelazione. Questa era la missione cui era destinato Israele, se ne fosse rimasto fedele: guidarli verso la verità. Doveva essere al servizio di Dio in questo mondo, luce delle genti. Certo non con una semplice conoscenza intellettuale, bensì con la conoscenza unita al visibile “commento” della vita pratica. Nella sua maggioranza, però, esso aveva fallito a tanta missione, ma il vuoto vanto lo aveva conservato.

Tu che ti vanti di essere “educatore degli insensati, maestro dei fanciulli” (20 a). I proseliti venivano chiamati «fanciulli» dai Giudei, un’altra designazione dei pagani considerati nel loro stato d’inferiorità religiosa, bisognosi d’essere ammaestrati nei primi elementi della verità. Gesù, però, diceva: “Non fatevi chiamare ‘maestri’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo” (Matteo 23:10 CEI74). La funzione a cui Dio chiamava e chiama il Suo popolo è quella di servire umilmente la Sua causa nel mondo con l’esempio e paziente istruzione, non atteggiandosi a “sappiamo tutto noi” e a pretendere di essere riveriti.

Tu che: “… hai nella legge la forma della conoscenza e della verità” (20b), O “formula”, cioè la sua precisa delineazione, l’espressione esatta. La verità delle cose è formulata con precisione nella legge rivelata da Dio a Mosè, e questo con maggiore precisione di quella della legge naturale. Ne hai però veramente compresa la funzione, destinata in primo luogo a rilevare la corruzione del tuo cuore e trasgressioni, e condurti al ravvedimento ed alla fede nella Persona ed opera del Salvatore Gesù Cristo?

Se tu, quindi,  porti il nome di “amico di Dio”, ti persuadi d’essere così e poi nel fatto violi la legge, ben lungi dall’essere giustificato, sarai condannato più severamente. La vivacità del sentire di Paolo in presenza delle incoerenze del  moralista che vanta sì altamente la sua superiorità, lo spinge ad apostrofarlo ancora più direttamente, ad investirlo con una serie di domande che sono altrettante accuse destinate a fiaccare il suo orgoglio…

“… come mai, dunque, tu che insegni agli altri non insegni a te stesso?” (21 a). Che incoerenza è questa? Diceva Gesù rispetto ai Farisei: “Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno(Matteo 23:3). Come mai non applichi a te stesso gli insegnamenti che tu dai agli altri? Dando una testimonianza incoerente, vanifichi tutto ciò che fai.

“Tu, che predichi che non si deve rubare, rubi?” (21 b). Si può giungere a rubare “legalmente” imprestando denaro ad interesse da usura, frodando il prossimo o facendo come “le nazioni cristiane” che depredano “il terzo mondo” attraverso il colonialismo imposto con la forza? Sorprende poi che esse ti odino e non apprezzino la tua religione?

“Tu, che dici che non si deve commettere adulterio, commetti adulterio?” (22 a). Con la facilità con cui pratichi il divorzio ed anche colla licenza dei tuoi costumi, tu contamini la santità del matrimonio che dici di onorare.

“Tu, che detesti gli idoli, saccheggi i templi?” (22 b). Il popolo di Dio doveva avere in orrore l’idolatria, ma attratto dall’amore dell’oro e dell’argento che ricopriva le statue od anche riempiva i tesori ricchissimi dei santuari pagani, se non depredava direttamente i templi, si faceva volentieri ricettatore degli oggetti sacri rubati. Era così complice dei depredatori sacrileghi. L’amore per il denaro e del potere è pure idolatria. Quante altre cose noi idolatriamo e giustifichiamo? 

“Tu, che ti glori della legge, disonori Dio trasgredendo la legge?” (23), del possesso di essa, disonori Iddio trasgredendo la legge? La disubbidienza del popolo di Dio alla Sua legge morale è un disonore inflitto al Dio che adora agli occhi delle popolazioni con cui veniva a contatto. Ecco così che “Il nome di Dio, per causa vostra, è bestemmiato fra i Gentili” (24). Come potresti figurarsi di sfuggire al giudizio di Dio?

Forma o sostanza?

Nell’ultima parte del nostro testo l’Apostolo attacca un altro aspetto dell’ipocrisia, quella del formalismo religioso, il cerimonialismo: “Poiché Giudeo non è colui che è tale all’esterno né la circoncisione è quella esterna, nella carne, ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini ma da Dio” (2:28-29). Davano importanza alle forme e non alla sostanza, alla lettera e non allo spirito che doveva animarle, all’approvazione sociale e non all’approvazione di Dio. Quanti sono ancora oggi coloro che danno massima importanza alle forme, ai riti, all’esteriorità e non si preoccupano di coltivare la trasformazione autentica del cuore delle persone e dei rapporti fra le persone – e questo in ogni tipo di chiesa! L’esecuzione cerimonie non servivano loro nulla davanti a Dio. Così nemmeno noi oggi. L’Apostolo dice chiaramente nell’epistola ai Galati: “Poiché tanto la circoncisione quanto l’incirconcisione non sono nulla; quello che importa è l’essere una nuova creatura” (Galati 6:15). Se manca questo, sorprende forse che gli increduli – che non sono stupidi – rifiutino la nostra fede ed arrivino persino a bestemmiare il nome di Dio?

Certo, l’ipocrisia dei credenti non può diventare un pretesto per l’incredulità o per non partecipare alle attività di una comunità cristiana, ma come non fare noi a questo riguardo un serio esame di coscienza? Nessuno è e sarà mai perfetto, oggi, ma la nostra testimonianza all’Evangelo deve poter essere della massima coerenza, per la gloria di Dio che, attraverso di essa, salverà altre anime e non, al contrario, le allontanerà. Come disse l’apostolo Giovanni: “Sono venuti alcuni nostri fratelli e hanno raccontato che tu ami la verità e vivi nella verità. Questo mi ha fatto un grandissimo piacere, perché la mia gioia più grande è sentire che i miei figli vivono nella verità” (3 Giovanni 3,4 TILC). Potrebbe dirlo di ciascuno di noi?

Paolo Castellina, 20 Gennaio 2024


Supplemento sul bestemmiare 

Gesù è accusato di bestemmiare

Gesù stesso viene accusato dagli scribi di assumersi le prerogative di Dio (in particolare il perdono dei peccati) e quindi di bestemmiare: “Costui bestemmia” (Matteo 9:3). Viene accusato dal sommo sacerdote di dire essere il Cristo, il Figlio di Dio: “Egli ha bestemmiato” (Matteo 26:65, Marco 2:7, Giovanni 10:36).

Molti Giudei, insultandolo e calunniandolo, “furono ripieni d’invidia e, bestemmiando, contraddicevano le cose dette da Paolo” (Atti 13:45; 18:6: Romani 3:8).

Gesù davanti al Sinedrio viene battuto e insultato: “E, bestemmiando, dicevano molte altre cose contro di lui” (Luca 22:65). Alla croce stessa i passanti lo ingiuriavano (bestemmiavano) scuotendo il capo (Marco 15:29), come pure: “Uno dei malfattori appesi lo ingiuriava” prendendosi gioco di Lui (Luca 23:39).

I ricchi oppressori ed increduli bestemmiano (insultano, si prendono gioco) della fede degli umili cristiani: “Non sono essi quelli che bestemmiano il buon nome che è stato invocato su di voi?” (Giacomo 2:7).

La bestemmia è disprezzare l’opera di Dio

Gesù dice che: “Ai figli degli uomini saranno perdonati tutti i peccati e qualunque bestemmia avranno proferita” ma non chi “bestemmiato contro lo Spirito Santo”, in quel caso “non ha perdono in eterno, ma è colpevole di un peccato eterno” (Marco 15:29, Luca 12:10).

“Fra questi sono Imeneo e Alessandro, i quali ho consegnati a Satana affinché imparino a non bestemmiare” (1 Timoteo 1:20).

Gli anticristi bestemmiano Dio

“E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle sue corna dieci diademi e sulle sue teste un nome blasfemo (…) Le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie e le fu dato potere di agire per quarantadue mesi (…) Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo. (…) Egli, in spirito, mi trasportò in un deserto e vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia e avente sette teste e dieci corna” (Apocalisse 13:1,5,6; 17:3).

Altri usi

Bestemmia è anche tradotta con “ingiuria” (Marco 15:29), “biasimo” (Romani 14:6, 1 Corinzi 10:30), “parlare male di” (1Pietro 4:4), “dire male di” (Tito 3:2).

La bestemmia come risultato di cattiva testimonianza

La cattiva testimonianza dei credenti di fronte agli increduli può indurli a bestemmiare Dio: “Infatti, come è scritto: Il nome di Dio, per causa vostra, è bestemmiato fra i Gentili’” (Romani 2:24).

Il ruolo della moglie nel mondo antico era una convenzione sociale da rispettare. Per le donne cristiane non farlo avrebbe potuto arrecare disprezzo per la dottrina cristiana: “… a essere assennate, pure, dedite ai lavori domestici, buone, soggette ai loro mariti, affinché la parola di Dio non sia bestemmiata” (Tito 2:5).Anche la schiavitù implicava nel mondo antico doveri da assolvere e rispetto dei padroni. Non farlo, per un cristiano, avrebbe potuto portarli a disprezzare il (buon) nome di Dio e la dottrina cristiana stessa: “Tutti coloro che sono sotto il giogo della servitù, reputino i loro padroni come degni di ogni onore, affinché il nome di Dio e la dottrina non siano bestemmiati” (1 Timoteo 6:1).