Accumulare tesori: per cosa? (Matteo 6:19-21)

Domenica 31 Dicembre 2023 – Prima domenica dopo Natale

(Servizio di culto completo con predicazione, 52′ 06″)

(Solo predicazione, 29′ 42″)

Come i Ferengi ?

Gene Roddenberry, ideatore, sceneggiatore e produttore della serie televisiva di fantascienza Star Trek, vi inserisce nel 1987 una specie di extraterrestri umanoidi chiamati i Ferengi [1]. La loro storia e caratterizzazione sono state poi sviluppate successivamente negli episodi della serie dal 1993. Come le altre specie di alieni immaginate in questa serie di telefilm, i Ferengi hanno un carattere particolare che in realtà rappresenta quello di molti umani, cioè un’irrefrenabile ed odiosa avidità che costituisce l’aspetto principale della loro specie. Privi di qualunque scrupolo morale, anche verso la loro stessa razza, il loro stile di vita è fondato sull’acquisire ricchezza e sempre di più. Essi mettono al di sopra di tutto, come il loro “valore” più importante il desiderio di guadagno. Nella serie “Deep Space Nine” compare il personaggio Ferengi di nome Quark. Una sua celebre frase recita: “Il profitto è più importante della pace”. Quando Quark pronuncia queste parole, lo fa con una convinzione intransigente, sottolineando che per i Ferengi, l’accumulo di ricchezza ha la precedenza su valori come la pace e la cooperazione. Nella loro società, infatti, l’avidità è considerata virtuosa, e la competizione per ottenere ricchezza è spietata. Questo crea un ambiente in cui l’etica e la moralità vengono sacrificate sull’altare del guadagno personale. L’immoralità di questa mentalità è evidente nel modo in cui le relazioni interpersonali diventano transazioni commerciali, e la fiducia è sostituita dal sospetto.

Una simile società come potrebbe di fatto durare? È destinata all’auto-distruzione. Indubbiamente questa è una parabola del comportamento umano. Non è forse questa caratteristica un “valore” dei moderni plutocrati e oligarchi (ad esempio dell’industria bellica) che sembrano non averne mai abbastanza di profitti e potere ottenuti a qualunque costo? Quanti, anche a livello più basso, e magari atteggiandosi da benefattori, fanno del guadagno il loro stile di vita e persino vengono proposti dai media come modelli da imitare?

Quali sono i vostri valori ultimi? Sono valori costruttivi e durevoli? La vostra vita è investita su ciò che durerà per sempre oppure su cose incerte e transitorie?

L’appello di Gesù

Nel contesto del “Sermone sul monte” come riportato dall’evangelista Matteo, il Salvatore Gesù Cristo, rivolgendosi alle folle che erano venute per ascoltare il Suo insegnamento e pure a noi oggi, fra le molte altre cose delle quali i suoi discepoli prendevano accurata nota, diceva:

“(19) Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano, (20) ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano e dove i ladri non scassinano né rubano. (21) Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6:19-21).

Il nostro rapporto con i beni materiali, le ricchezze, il denaro, era spesso oggetto dell’attenzione dell’insegnamento di Gesù. Questo testimonia come essi siano, quando non sono considerati dalla prospettiva di Dio, una delle più grandi forze corruttrici della nostra umanità e origine di innumerevoli mali. Gesù, però, così dicendo, non si faceva promotore del pauperismo, come spesso si crede. Il termine “pauperismo” [2] nella storia e nella dottrina cristiana si riferisce a una forma di vita basata sulla povertà volontaria che ha radici nelle tradizioni ascetiche e monastiche, dove i seguaci rinunciano volontariamente ai beni materiali per perseguire, a loro dire, una vita spirituale più profonda. Il pauperismo non è la risposta a quanto Gesù qui ci insegna, ma nasce fondamentalmente da un equivoco. Questo è il primo punto di cui vorrei parlare per comprendere questo testo.

Cielo e terra non sono categorie spaziali

Notiamo prima di tutto come Gesù, il Salvatore, in questo testo dica: “Non vi fate tesori sulla terra … ma fatevi tesori in cielo”.

C’è un equivoco di fondo quando incontriamo nella Bibbia i termini  “cielo” e “terra”. Essi non devono essere interpretati in maniera dualistica come saremmo tentati di fare e troppo spesso è avvenuto nel corso della storia del cristianesimo. “Terra” e “cielo” non sono categorie spaziali come se con essi si intendesse “quaggiù” contrapposto a “lassù”. Come non ha a che fare con chi sogna di lasciare fisicamente questa terra per intraprendere fantascientifici “viaggi interstellari”, così non ha a che fare con la distinzione fra “concreto” e astratto”, fra “materiale” e “spirituale”. Questo non suggerisce alcuna mistica o “francescana” fuga dalla realtà come chi pensa di staccarsi dal mondo sensoriale per accedere alla trascendente “dimensione di Dio”.

Non si tratta di “rinunciare a questo mondo” per magari “entrare in monastero” e “dedicarsi alla preghiera”; non si tratta di abbandonare “la vita secolare” per una “vita consacrata” e clericale, non si tratta di ignorare le cose di questo mondo per dedicarsi a “cose spirituali”. Questo è un appello a guardare alla realtà da una diversa prospettiva, la prospettiva di Dio e dei Suoi eterni valori. Gesù ci fa rimanere nella concretezza di questo mondo per gestire la nostra vita e gli affari di questo mondo non secondo criteri egocentrici, ma secondo i criteri e i valori “del cielo” cioè quelli permanenti di Dio.

Non ho prima usato il termine “francescano” a caso. Francesco di Assisi, contestando il padre, ricco mercante, si era spogliato dei beni di questo mondo lasciandoli ad altri per “predicare il vangelo” seminudo e vivendo di elemosine. Non è questo che Dio chiedeva a lui e a noi di fare. Egli doveva semmai gestire le ricchezze di famiglia secondo l’espressa volontà di Dio, secondo i principi e valori di Dio – non necessariamente privandosene. L’Evangelo non lo chiamava ad abbandonarle ma ad amministrarle in modo diverso, prendendo coscienza dei danni che comporta, a sé stessi e agli altri, il non farlo – e ravvedendosene. Quando Gesù diceva all’uomo ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’ vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi” (Matteo 19:21) Gesù voleva soprattutto che lui prendesse coscienza che “il suo cuore” era nell’egoistica acquisizione di beni per sé stesso e non secondo la volontà rivelata di Dio, quella che lo chiamava piuttosto a vivere in maniera “estroversa” per compiacere Dio e per il bene dell’intera società – in questo consiste il seguire Gesù.  

Pure la materia di questo mondo, infatti, “la terra”, è creazione di Dio e noi non siamo stati creati come “puri spiriti” ma “dalla polvere della terra” animata da Lui per “camminare secondo le Sue vie. Ricordate che cosa diceva Mosè al popolo di Israele? “E ora, Israele, che cosa chiede da te l’Eterno, il tuo Dio, se non che tu tema l’Eterno, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu lo ami e serva all’Eterno tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua” (Deuteronomio 10:12). Infatti, Dio è “colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi” (Atti 4:24). Egli è “Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra” (Atti 17:24). Dio è Signore, il Cristo è Signore, e confessarlo come “nostro Signore” vuole dire vivere molto concretamente in questo mondo utilizzando quanto Egli ci dona attraverso il nostro lavoro secondo la Sua volontà.

I mali dell’accumulazione  fine a sé stessa

I personaggi di fantasia di Star Trek come i Ferengi erano intenzionalmente rappresentazioni dell’odioso e immorale comportamento dell’umanità. Quando il personaggio Quark proclama con fervore che il profitto è prioritario sulla pace, trasmette non solo un’ossessione distorta per la ricchezza molto comune fra i potenti di questo mondo, ma anche un disprezzo evidente per i valori nobili e  gli ideali spirituali che definiscono l’umanità, come la pace, la giustizia, la solidarietà e il rispetto verso ogni vita. Questo atteggiamento odioso è palpabile nella sua mancanza di scrupoli e nell’indifferenza verso il benessere collettivo. Nella società Ferengi (la nostra!) società l’avidità diventa una forza distruttiva, alimentando come fa comportamenti egoistici e ingiustizia. La competitività spietata del neo-liberismo [3] capitalista (anche detto turbo-capitalismo) [4] e la mancanza di considerazione per gli altri creano un ambiente ostile e odioso. Le relazioni sono ridotte a transazioni commerciali, e l’onestà sacrificata sull’altare del guadagno personale. La Bibbia dice: “Poiché l’amore del denaro è radice di ogni specie di mali e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono inflitti molti dolori” (1 Timoteo 6:10).

Valori da ridimensionare e reindirizzare

Non farsi tesori sulla terra vuol dire accumulare valori che tali sono, ma relativi e spesso ingiustamente conseguiti per fini egoistici e non considerando che vi sono valori più importanti di quelli.

Le ricchezze di questo mondo possono, infatti, diventare l’idolo che noi serviamo. Mammona è il termine aramaico usato nei vangeli che sta per ricchezza o possedimenti – di fatto lo stesso di una divinità pagana. Accumularlo per sé stessi è espressione di idolatria.  Le ricchezze di questo mondo possono diventare il padrone che determina la vita di chi le serve in esclusiva. Gesù dice: “Nessuno può servire a due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona” (Matteo 6:24).

L’apostolo Paolo pure scrive: “Poiché voi sapete molto bene che nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio” (Efesini 5:5). Il denaro, la ricchezza non è un male di per sé stesso, e neppure la sua accumulazione: dipende da come lo si usa: per noi stessi soltanto o per la gloria di Dio e la prosperità dell’intera società. È una necessità pratica, un valore, ma un “valore relativo” che possiamo utilizzare “a modo e a tempo”. Lo stesso Gesù, in una parabola, dice: “Io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste, affinché, quand’esse verranno meno, quelli vi ricevano nei tabernacoli eterni” (Luca 16:9). L’espressione originale tradotta con “ricchezze ingiuste” (o “disonesta ricchezza” CEI) è “ἐκ τοῦ μαμωνᾶ τῆς ἀδικίας” (notate qui ancora il termine “Mammona”). Che Gesù abbia detto questo ha scandalizzato alcuni. Il punto qui, però, non è che il denaro sia intrinsecamente malvagio, ma che spesso venga utilizzato in modo improprio fino a diventare uno strumento del male.

L’Apostolo scrive: “Quelli che vogliono arricchire cadono in tentazione, in inganno e in molte insensate e funeste concupiscenze, che affondano gli uomini nella distruzione e nella perdizione (…)  A quelli che sono ricchi in questo mondo ordina che non siano d’animo altero, che non ripongano la loro speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, il quale ci fornisce abbondantemente ogni cosa perché ne godiamo; che facciano del bene, che siano ricchi in buone opere, pronti a dare, a far parte dei loro averi, in modo da farsi un tesoro ben fondato per l’avvenire, per conseguire la vera vita” (1 Timoteo 6:6-10,17-19).

Le ricchezze sono quindi “incerte”, ma con esse possiamo fare generosamente del bene in vista di “un tesoro ben fondato per l’avvenire”. Qui non si tratta in questo modo di “guadagnarci la salvezza” perché la salvezza è per grazia attraverso la fede nell’opera efficace di Cristo. Il cristiano, però, guadagna onestamente e “traffica” le ricchezze di questo mondo facendo sì che esse diventino un tesoro per la gloria di Dio e per il beneficio di tutti. L’appello è ad essere generosi e misericordiosi nel suo utilizzo. Il personaggio evangelico di Zaccheo ne diventa l’esempio nel vangelo di Luca (19:1-10). Zaccheo, incontrando Gesù si ravvede dal suo comportamento disonesto e inizia a far uso del suo denaro per beneficare e non più per opprimere. Con i nostri beni possiamo “assistere Gesù”, com’è scritto: “Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre che assistevano Gesù e i suoi con i loro beni” (Luca 8:3).

L’accumulo fine a sé stesso come patologia

Da notare,infine, come l’accumulo di tesori terreni fine a sé stesso sia e una patologia che una mancanza di fede nella provvidenza di Dio.

Il rapporto dell’avaro con il denaro, secondo Freud, è davvero legato allo “sterco”. Non lo sterco del demonio, ma le feci dell’uomo stesso… come una sorta di sua stitichezza! L’arte, la letteratura, il cinema ritraggono sempre un avaro caricaturale simile allo Scrooge di Canto di Natale di Dickens: vecchio, solo e incapace di relazionarsi al prossimo. Ma in quelle pose ridicole, c’è la chiave di una fragilità da cui non siamo estranei. L’avarizia non è altro che un campanello d’allarme di una paura patologica. Al pericolo dell’incontro con il mondo e al rischio dell’incontro con gli altri, l’avaro preferisce il rapporto stabile con la solidità della moneta, un possesso solitario ed egocentrico che non prevede relazione alcuna. Al termine della parabola del ricco stolto Gesù osserva: “Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio” (Luca 12:21).

Che cos’è l’avarizia se non una manifestazione della paura paralizzante della perdita? L’avaro ha terrore del futuro, accumula e non consuma per contrastare l’instabilità ventura, protegge il suo tesoro e così ha l’impressione di poter di controllare l’incertezza dell’avvenire. Risparmia oggi per poterne godere in un domani che non arriverà mai. L’avaro si mette al riparo dalle intemperie e dalle frustrazioni, si isola per proteggersi dal contatto con gli altri. Ma dietro la paura di perdere “la roba” c’è un ben più grande spauracchio. L’avaro è riuscito a sfuggire a tutte le perdite, ma non può sfuggire alla perdita ultima, la più temuta di tutte: quella della vita. Tutte le casseforti del mondo non bastano per esaudire il suo vero desiderio: trattenere la vita e sconfiggere la morte. Ecco la vera hybris, ecco il vero peccato di cui si macchia l’avaro: non accettare la condizione umana, rifiutare la propria mortalità, voler essere come Dio ed abusare di ciò che Dio mette a nostra disposizione o ci chiede di fare.

Conclusione

Il Salvatore Gesù Cristo, così, ci dice: “Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano, ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6:19-21).

Questo nostro mondo è pieno di tesori, naturali ed acquisiti, ma essi diventano futili e ci verranno portati via quando non sono utilizzati secondo i propositi che Dio ci pone di fronte, i Suoi propositi, quelli “del cielo”. L’Ecclesiaste dice: “Accumulai argento, oro, e le ricchezze dei re e delle province; mi procurai  (…) ciò che fa la gioia dei figli degli uomini: donne in gran numero. Così diventai grande, superai tutti quelli che erano stati prima di me (…). Di tutto quello che i miei occhi desideravano io non rifiutai loro nulla, non privai il cuore di nessuna gioia, poiché il mio cuore si rallegrava di ogni mia fatica (…). Poi considerai tutte le opere che le mie mani avevano fatto, e la fatica che avevo sostenuto per farle, ed ecco che tutto era vanità e un correre dietro al vento, e che non se ne trae nessun profitto sotto il sole” (2:8-11). Alla fine del suo libro egli però dice: “Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: ‘Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l’uomo’. Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male” (12:15-16).

Paolo Castellina, 23 dicembre 2023.

Note

[1] Sui Ferengi: https://it.wikipedia.org/wiki/Ferengi

[2] Pauperismo: https://it.wikipedia.org/wiki/Pauperismo_medievalehttps://www.uilpa.it/cose-il-neoliberismo/

[3] Neoliberismo: https://www.uilpa.it/cose-il-neoliberismo/  

[4] Turbocapitalismo: Il termine “turbocapitalismo” si riferisce a una forma estrema di capitalismo caratterizzata da un’elevata velocità e intensità nelle transazioni finanziarie e commerciali, nonché da una crescente influenza del denaro e della finanza sull’economia e sulla società. Questo concetto è stato utilizzato per descrivere l’era moderna del capitalismo globale, caratterizzata da rapidi cambiamenti, speculazione finanziaria e una maggiore disuguaglianza economica. Il turbocapitalismo vuole tutto per sé. Per questo non può tollerare la religione e il sacro. Il turbocapitalismo totalitario e no border si presenta come una struttura intrinsecamente teologica, monoteistica e religiosa. Infatti, pone come proprio fondamento assoluto il mercato divinizzato monoteisticamente e “vincola” (religat) tra loro gli esseri umani nel credo liberoscambista e nel nichilismo consumistico, raison d’être dell’insocievole socievolezza della smithiana commercial society globalizzata.