L’Evangelo come promozione della cultura della vita (Giovanni 10:7-15)

Domenica 31 Marzo 2024 – Pasqua di Risurrezione

(Culto completo con predicazione, 50′ 59″)

(Solo predicazione, 26′ 23″)

All’insegna della vita 

La fede cristiana autentica fa della vita la sua bandiera, essa opera all’insegna o sotto l’insegna della vita. Noi confessiamo, infatti, che Gesù Cristo è il Signore della vita. Non solo, infatti, Egli è Colui che, con la Sua risurrezione, trionfa sulla morte, ma Egli ha operato ed opera per sconfiggere la morte in ogni sua accezione. Egli crea vita, promuove vita, difende la vita, guarisce la vita, ristabilisce la vita, e, soprattutto per noi, impegna i Suoi discepoli in quella che potremmo chiamare “la cultura della vita”. Il Salvatore Gesù Cristo ha detto infatti: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano a esuberanza”.

Questa affermazione fondamentale del ministero di Gesù e di coloro che Lo seguono è contenuta nel vangelo secondo Giovanni nel testo sul quale vogliamo riflettere oggi – testo che comporta vaste implicazioni. Ascoltiamo quanto troviamo in Giovanni 10:7-15.

“Perciò Gesù di nuovo disse loro: “In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore. Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pastura. Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano a esuberanza. Io sono il buon pastore; il buon pastore depone la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga, e il lupo le rapisce e disperde. Il mercenario si dà alla fuga perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie e le mie mi conoscono, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre; e do la mia vita per le pecore” (Giovanni 10:7-15).

Il dono di una vita esuberante 

Nel capitolo 10 del vangelo secondo Giovanni, Gesù presenta Sé stesso e la Sua missione di Salvatore facendo largo uso di immagini che provengono dal mondo della pastorizia. Esse culminano nell’affermazione che dice: “Io sono il buon pastore; il buon pastore depone la sua vita per le pecore” (11).

Egli fa questa dichiarazione dopo avere contrapposto Sé stesso agli ingannevoli salvatori che si propongono in questo mondo e dicendo: “Tutti quelli che sono venuti prima di me, sono stati ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati … Il ladro non viene se non per rubare, ammazzare e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano a esuberanza” (Giovanni 10:8,10).

Quest’ultima affermazione dichiara che la vita, nel senso più ampio del termine, è in Cristo Gesù come suo unico e vero promotore. Essa ribadisce ciò che già aveva affermato il prologo di questo stesso vangelo quando, presentando Gesù come espressione suprema e ultima dell’eterna Parola di Dio creatrice, dice: “In lei era [è] la vita, e la vita era [è] la luce degli uomini” (1:4).

L’affermazione della vita in Cristo Gesù, vita creata, promossa, difesa e ristabilita, è contrapposta polemicamente alle pretese delle ingannevoli forze concorrenti che, di fatto, hanno come unico loro obiettivo finale solo distruzione e morte. Queste forze concorrenti vengono così smascherate, denunziate e sconfitte come “tenebre” che non riusciranno in alcun modo a sopraffare la luce di Cristo. Esse, di fatto, “non l’hanno sopraffatta” (1:5).

Secondo le testimonianze che ce ne danno i vangeli, dare, impartire vita, una vita “esuberante”, abbondante, sovrabbondante, una vita significativa, una vita durevole e “di qualità”, Gesù lo aveva ampiamente dimostrato in tutto il Suo ministero terreno nel Suo rapporto con la gente. Questo Egli opera ancora oggi per tutti coloro che Lo seguono con fiducia come Suoi discepoli.

Mentre in questo mondo prevale la “cultura della morte”, possiamo ben dire che tutto ciò che Gesù faceva e continua oggi a fare sia promuovere quella che potremmo definire una vera e propria “cultura della vita” in ogni ambito. Questa “cultura della vita” trova la sua rappresentazione e ispirazione più alta nell’annuncio centrale della fede cristiana, vale a dire quello della Sua risurrezione dalla morte. Essa è la vittoria che Egli ha riportato sul nemico ultimo dell’esistenza umana, la morte (1 Corinzi 15:26).

La vita in Cristo è indubbiamente, per noi come Suoi discepoli, la nostra “bandiera” più autentica, quella che è piantata e sventola su ogni nuovo “territorio” che viene rivendicato a Dio dopo avervi scacciato l’usurpatore – bandiera che alla fine sarà piantata sull’intero creato. Vero è che, storicamente, è la croce di Cristo ad essere sempre stata rappresentata su ogni emblema e stendardo del movimento cristiano. La morte sacrificale di Cristo Gesù sulla croce, però, non è e non è stata mai fine a sé stessa. La morte di Cristo, la morte di quell’Uno, è espressione della grazia di Dio affinché “molti” vivano (Romani 5:15), la via dell’abnegazione, del dono di sé stessi per conseguire la vittoria della vita sulle forze della morte, lo “stile di vita” di Gesù che disse: “Io do la mia vita per le pecore” in loro favore. La croce di Cristo, difatti, è sempre per noi cristiani evangelici, in quanto simbolo, una croce che rimane vuota così come vuota è la tomba del Cristo. Il Cristo, infatti, non è rimasto in croce e nemmeno in una tomba. Come disse l’angelo della risurrezione a quelle donne che si erano recate per onorare la tomba di Gesù: “Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato, non è qui; ecco il luogo dove l’avevano posto” (Marco 16:6). Egli è il Risorto. Egli è veramente risuscitato dalla morte, “primizia” di tutti coloro che dormono nel sonno della morte (1 Corinzi 15:20).

Alla certezza vittoriosa della risurrezione di Cristo noi guardiamo come nostra suprema ispirazione allorché promuoviamo, così come siamo chiamati, la cultura della vita in ogni ambito della nostra esistenza contrapponendola alla cultura della morte.

I  tratti della cultura della morte

Qual è il carattere dei promotori della “cultura della morte”, quella alla quale noi intendiamo contrapporci? Essenzialmente è quello dell’usurpatore che domina sui regni di questo mondo e che così forma i suoi servi a propria immagine e somiglianza, l’omicida, l’assassino per antonomasia. Come aveva detto un giorno Gesù ai Suoi avversari: “Voi siete dal diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è bugiardo e padre della menzogna” (Giovanni 8:44).

Come sono giunte, delle creature umane. “figlie del diavolo”, ad assumere il suo carattere? Ribellandosi a Dio ed al Suo giusto ordinamento, volendo essere Dio e legge a sé stesse, esse tipicamente respingono Gesù e scelgono Barabba: “Ma voi rinnegaste il Santo e il Giusto, chiedeste che vi fosse concesso un omicida” (Atti 3:14). Difatti, come i servitori infedeli dell’uomo nobile di una parabola di Gesù, essi dicono, “Non vogliamo che costui regni su di noi” (Luca 19:14). Essi odiano il Cristo e tutti coloro che Gli appartengono e così di fatto assumono le caratteristiche immorali, menzognere ed omicide, del padrone al quale si sono sottomesse. Gli altri esseri umani per loro non sono più, così, fratelli e sorelle da amare e rispettare, ma concorrenti da sfruttare e sui quali prevalere e, se questi ultimi oppongono loro resistenza, da schiacciare senza pietà. Come dice l’apostolo Giovanni: “Chiunque odia suo fratello è omicida e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in sé stesso” (1 Giovanni 3:15).

Diventano pure a loro volta maestri di falsità, meritando così le parole di riprovazione dell’apostolo Giuda: “… costoro, facendo affidamento sui loro sogni, contaminano la carne, disprezzano l’autorità e calunniano le dignità.  (…) costoro parlano male di cose che non conoscono e si corrompono in quelle che, come bestie senza ragione, conoscono per istinto. Guai a loro! Perché si sono incamminati per la via di Caino e, per amor di lucro, si sono gettati nei traviamenti di Balaam e sono periti per la ribellione di Core” (Giuda 8-11).

Così, come dice Gesù nel nostro testo, essi diventano ladri, briganti, mercenari, gente che non si fa scrupolo a rubare, ammazzare e distruggere. Sono mercenari perché, per un lucro di una qualche sorta, accettano di compiere ogni nefandezza con sempre meno scrupoli. Sono ladri perché ambiscono ad impossessarsi di ciò che loro non appartiene e, dovunque passano lasciano dietro di sé solo una scia di morte e distruzione. Sono essenzialmente guerrafondai, come scrive l’apostolo Giacomo: “Da dove vengono le guerre e le contese fra voi? Non è forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi contendete e guerreggiate; non avete, perché non domandate; domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri” (Giacomo 4:1-3).

Coloro, però che, per grazia di Dio, fanno parte del Suo popolo, rifiutano di ascoltare questa gente, non se ne lasciano coinvolgere in alcun modo,  riconoscendo e seguendo soltanto la voce del Buon Pastore. Essi non si lasciano abbindolare, perché sanno che: “…. il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23), cioè che la vita significativa ed eterna è solo quella vissuta in fiduciosa ubbidienza a Lui.

I tratti della cultura della vita 

È così che il popolo di Dio, coloro che a Lui appartengono, “piantata la bandiera della vita” nel proprio cuore, nella propria famiglia, nell’ambiente in cui vivono, conquistano per Lui spazi sempre più grandi vivendo le molteplici espressioni della cultura della vita, autentica espressione di quella che si potrebbe pure chiamare la civiltà cristiana autentica. La cultura della vita presenta molteplici aspetti e si contrappone all’oppressione politica, sociale o economica che porta alla privazione e alla sofferenza umana. Diffondendo una cultura della vita, Gesù offre a tutt’oggi liberazione e speranza a coloro che sono oppressi e sofferenti.

La cultura della vita significa essenzialmente onorare e proteggere ogni creatura umana senza distinzione dal concepimento alla morte naturale. Ogni essere umano è creatura di Dio dotato della dignità conferitagli dall’immagine e somiglianza di Dio che gli è stata impressa. Tant’è vero che il rispetto per ogni creatura umana è il corrispettivo del rispetto che dobbiamo avere per Dio. Alla domanda: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?”. Gesù dice: ‘Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua’. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a esso, è: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti’” (Matteo 22:36-40).

Questo implica che il diritto di disporre della vita di chiunque appartiene solo a Dio ed è per noi limitato dalla Sua legge morale suprema. Se già non c’è rispetto alcuno per Dio, non ci si può attendere che vi sia rispetto per le sue creature, nonostante le pretese dell’umanesimo secolare e le belle parole che usa. Esso infatti, con la sua conclamata “cultura dei diritti” distorce e pregiudica questo dovere con ragionamenti fallaci, giustificazioni pretestuose e complicazioni per eludere i suoi doveri (Ecclesiaste 7:29).

La cultura della vita è una visione del mondo che afferma il valore e la dignità di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale – e questo non si sottolineerà mai abbastanza. Si basa sul principio che la vita umana è sacra e che deve essere protetta e rispettata in ogni sua fase, che ha un valore intrinseco e deve essere rispettata e protetta sempre indipendentemente da età, stato di salute o circostanze. Essa implica protezione della vita innocente: l’impegno a difendere e proteggere soprattutto la vita degli individui più vulnerabili e indifesi, come i non ancora nati, i malati e gli anziani. Essa promuove una cultura che sostiene la solidarietà tra le persone e incoraggia l’aiuto reciproco e la cooperazione. Essa valorizza la famiglia come nucleo fondamentale della società e ambiente privilegiato per la crescita e lo sviluppo di ogni individuo. Essa si oppone al militarismo, alla diffusione della pratica dell’aborto e del suicidio assistito.

Promuovere la cultura della vita 

Promuovere la cultura della vita è dovere di ogni cristiano degno di questo nome. Vuol dire di fatto rispondere al vasto Grande Mandato di Gesù che dice: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Matteo 28:19-20). Questo non è solo appello al ravvedimento ed alla fede in Cristo, ma include promozione di programmi educativi nelle famiglie, nelle scuole e nella società. Vuol dire offrire sostegno e assistenza alle persone in situazioni di difficoltà, come malattie terminali o problemi di salute mentale. Vuol dire sostenere leggi e politiche che proteggono la vita umana in tutte le sue forme e il rispetto per ogni individuo. Vuol dire sostegno e patrocinio di iniziative per i diritti umani e la dignità della vita, partecipare a movimenti che promuovono la cultura della vita. Vuol dire sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi e le conseguenze della cultura della morte e la sua propaganda menzognera, promuovendo spirito critico, dialogo aperto e costruttivo, cooperazione.

In ultima analisi, promuovere la cultura della vita significa essere testimoni viventi ed esemplari dello stile di vita che ci insegna il Signore e Salvatore Gesù Cristo, il Buon Pastore che ha dato la Sua vita affinché coloro che Gli appartengono siano in questo mondo luce che sconfigge le tenebre e sale per dare sapore alla vita dell’intera umanità. E questo fino al giorno in cui il Signore Gesù, ritornando, come dice la Scrittura: “avrà rimesso il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna che egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi.  L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. (…) Quando ogni cosa gli sarà sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti” (1 Corinzi 15:24-28).

Paolo Castellina, 22 Marzo 2024