Letteratura/Legge/07

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Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

VII
IL SETTIMO COMANDAMENTO

1. IL MATRIMONIO

Lo scopo del settimo comandamento: “Non commetterai adulterio”, è proteggere il matrimonio. È importante, perciò, analizzare il significato biblico di matrimonio per poter comprendere il significato delle leggi che governano la sua violazione. L’istituzione del matrimonio in Eden (Ge. 2:18-25) descrive il significato del matrimonio in relazione all’uomo; questo sarà considerato successivamente. Al presente, deve essere prima compreso a analizzato il significato del matrimonio in relazione a Dio.

Mentre il matrimonio è per questa terra, visto che in cielo non si sposa e non si da in sposa (Mt. 22:29,30), nondimeno è in relazione al Dio trino ed è da Lui governato, come lo sono tutte le cose. La grande dichiarazione di questo fatto è Efesini 5:21-23, che comincia col comandamento generale “sottomettetevi gli uni gli altri nel timore di Dio” che la Versione Berkeley rende: “Siate sottomessi gli uni agli altri per reverenza a Cristo”. Su questo Calvino ha commentato:

Dio ci ha legati l’uno all’altro così saldamente che nessun uomo dovrebbe premurarsi d’evitare la soggezione; e dove regna l’amore, verranno resi servizi reciproci. Io non esento re e governatori, la cui autorità stessa è detenuta per il servizio della comunità. È altamente convenevole che tutti siano esortati ad essere sottoposti l’un l’altro quando tocca a loro.[1]

In questo modo, si afferma un principio generale di servizio, e il matrimonio è poi citato come illustrazione di questo principio. Come notò Hodge: “L’apostolo ordina la reciproca obbedienza come dovere cristiano, v.21. Sotto questa intestazione egli tratta dei reciproci doveri di mariti e mogli, genitori e figli, padroni e e servi.”[2] Lungo i secoli l’uomo è stato in rivolta contro questa necessità di soggezione e servizio e ha invece sognato il potere autonomo. Il giovane Luigi XIV espresse il proprio piacere per questo concetto al Duca di Gramont, nel 1661:

Luigi:

Ho appena letto un libro che mi ha deliziato

Gramont:

Quale, Sire?

Luigi:

Calcandille. Mi è piaciuto trovare in esso il potere arbitrario nelle mani di un uomo, tutto veniva fatto da lui o su ordini suoi, senza che egli dovesse rendero conto della proprie azioni a nessun uomo, e ciecamente obbedito da tutti i suoi soggetti senza eccezione. Tale potere sconfinato è l’approccio più vicino a quello di Dio, Che ne pensate, Gramont?

Gramont:

Sono compiaciuto che Vostra Maestà si sia messo a leggere, ma vorrei chiedere se ha letto tutto Calcandille?

Luigi:

No, solo la prefazione.

Gramont:

Bene allora, Vostra Maestà lo legga tutto, e quando l’ha terminato, veda quanti imperatori turchi sono morti nel loro letto e quanti sono morti di morte violenta. In Calcandille c’è ampia prova che un Principe che può fare tutto ciò che gli piace non dovrebbe mai essere così sciocco da farlo. [3]

Con l’anarchismo, questo sogno di possedere potere autonomo è diventata la speranza di un gran numero di persone.

Questo principio generale di soggezione e servizio è radicato in ben di più che l’interdipendenza degli uomini; anzi, è fondato nella fede teocratica. Gli uomini sono sottoposti reciprocamente e in mutuo servizio (Ef. 5:22-29), non perché lo richiedano le necessità umane, ma nel timore di Dio e in obbedienza alla sua parola-legge. L’interdipendenza umana esiste perché la previa dipendenza da Dio richiede l’unità della sua creazione sotto la sua legge.

In più, poiché l’uomo non è Dio, l’uomo è un soggetto, un soggetto primariamente ed essenzialmente a Dio, e ad altri solo nel Signore. Se l’uomo rigetta la sua soggezione a Dio e asserisce la propria autonomia, non guadagna con ciò l’indipendenza. La soggezione dell’uomo all’uomo continua nei gruppi pagani, Marxisti, Fabiani, socialisti, anarchici, atei, ma questa soggezione è lì senza le restrizioni della legge di Dio. La soggezione biblica di uomo a uomo, e di una moglie a suo marito, è su ogni punto governata e limitata dalla previa e assoluta soggezione a Dio, di cui tutte le altre soggezioni sono aspetti. In questo modo, la previa e assoluta signoria di Dio limita e condiziona ogni situazione dell’uomo e non consente trasgressione senza arrecare offesa. Negare il principio biblico della soggezione è pertanto aprire la porta al totalitarismo e alla tirannia, perché a quel punto non rimane più alcun controllo sul desiderio dell’uomo di dominare e di usare i suoi consimili. Il principio biblico della soggezione condiziona ogni relazione col previo requisito e giurisdizione totale di governo della legge di Dio, talché tutte le relazioni sulla terra sono limitate e controllate dalla parola-legge di Dio. In questo modo, le mogli non sono poste in schiavitù dal comando biblico di sottomissione (Ef. 5:22) ma anzi sono stabilite nella libertà e sicurezza di una relazione ordinata da Dio.

Senza la fede biblica, il solo fattore di sostegno nel matrimonio diventa il fragile legame dei sentimenti. Mary Carolyn Davies, nel suo poema “A Marriage”, scrisse:

Took my name and Took my Pride

Left me not much else beside,

But the feeling …that insures:

Sort of Joy at being yours.

Property! That’s what it meant.

Property! And we content!

Now you’re gone; and can I be

Anything but property?[4]

Dove il sentimento è la base del matrimonio piuttosto che un principio religioso, allora in ultima analisi il matrimonio diventa furto, ciascun partner che usa l’altro e poi se ne va quando non c’è niente di nuovo da guadagnarci. Ancora una volta Mary Carolyn Davies coglie l’impersonalità materialista delle relazioni sessuali divorziate dalla moralità biblica:

“Here is a woman,”
They’ll say to all men,
“A Little soiled by living,
A Little spoiled by loving,
A Little flecked,
A Little specked —”
Oh, they are forgiving.
To you who did the wrong, but still of me,
Like cabbage in a market, critically,
They’ll say: “Not quite as fresh as she should be.”[5]

Sentimenti romantici, mutuo sfruttamento, e auto-commiserazione diventano la sorte di quelli che riducono la relazione uomo-donna ad una di anarchica libertà dalla legge di Dio.

Il principio biblico della soggezione è gerarchico perché ci sono classi o livelli d’autorità, ma ciò non significa che tutti i livelli non siano direttamente e assolutamente responsabili a Dio nei termini della sua parola-legge. Secondo san Paolo: “Il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, ed egli stesso è Salvatore del corpo” (Ef. 5:23). Su questo principio fondante, san Paolo aggiunge: “Perciò, come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli ai loro mariti in ogni cosa” (Ef. 5:24). Il commento del Reverendissimo Alfred Barry su questi versi è qui d’interesse:

(23, 24) … Le parole “e” ed “è” sono erroneamente inserite, e la parola “perciò” è assolutamente un errore, che evade la difficoltà del passo. Dovrebbe essere: essendo Egli stesso il Salvatore del Corpo. Ma … Questa clausola, nella quale le parole “Egli stesso” sono enfatiche, nota (come se fosse una comparazione) che “Cristo” (ed Egli solo) è non solo il Capo, ma “Salvatore del Corpo”, cioè “del proprio corpo la Chiesa,” non solo educandola e governandola, ma per la sua unità infondendole la nuova vita della giustificazione e santificazione. Qui nessun marito può essere come Lui, e perciò nessuno può reclamare l’assoluta dipendenza di fede che di diritto appartiene a Lui. In conformità san Paolo aggiunge la parola: “ma”. Quantunque “sia così” e “così anche le mogli”, siano versioni accettabili.

La soggezione della chiesa è una soggezione volontaria, che scaturisce dalla fede nelle sue assolute sapienza e bontà, e da amore per il suo amore inenarrabile. Di qui capiamo (1) che la subordinazione della moglie non è quella dello schiavo, per compulsione e timore, ma una subordinazione che scaturisce da, e preserva la libertà; poi (2), che può esistere, o comunque durare, a condizione che ci siano sapienza e amore superiori nel marito; in terzo luogo (3), che mentre è come la subordinazione più alta in natura, non può essere egualmente perfetta in grado — mentre è reale “in ogni cosa” non può essere assoluta in nessuna. L’antitipo è, come al solito, più grande del tipo.[6]

Questa considerata affermazione manca il punto del passaggio nel fondare l’obbedienza sull’amore anziché sulla legge. L’obbedienza della moglie non è condizionale alle “superiori sapienza, bontà e amore del marito”; non c’è niente nella legge che indichi questo. L’interpretazione di Barry nega in effetti che l’affermazione di san Paolo sia la parola-legge di Dio: è presentata piuttosto come una descrizione del Barry delle relazioni matrimoniali. Lenski commette lo stesso errore. Egli commenta: “Questa è anche una volontaria auto-soggezione e non asservimento”.[7] Certamente, la soggezione di una moglie a suo marito non è schiavitù, né asservimento involontario. San Paolo non è interessato dei sentimenti, o del volontarismo della moglie: sta dichiarando la legge di Dio e presentando il suo significato. Discutere di legge senza citare il fatto che è legge è certamente esegesi strana, Richiede una curiosa cecità.

Ciò che san Paolo intende è che l’intero universo è uno di sottomissione all’autorità, e che il compimento di ciascun e di tutti gli aspetti è di assolvere i propri doveri nei termini di quella sottomissione. Essere sottomessa al marito in ogni dovuta autorità è la collocazione e il compimento della moglie. Proprio come Cristo è il capo della chiesa e il salvatore del proprio corpo-  la chiesa, così l’autorità del marito deve essere esercitata per la salute e l’avanzamento della propria moglie e della famiglia. Come la chiesa deve essere sottomessa a Cristo, così la moglie deve essere sottomessa al marito “in ogni cosa” (Ef. 5:24) Su questa frase Hodge ha commentato:

Come il verso 22 insegna la natura della soggezione della moglie al proprio marito, e il verso 23 il suo fondamento, questo verso (24) insegna la sua estensione. Ella deve essere sottomessa …in ogni cosa. Cioè, la sottomissione non è limitata ad una sola sfera o dipartimento della vita sociale, ma si estende a tutte. La moglie non è sottoposta su alcune cose, e indipendente su altre, ma è sottoposta su tutte. Questo, naturalmente, non significa che l’autorità del marito sia illimitata. Ne insegna l’estensione, non il grado. È estesa su tutti i dipartimenti, ma è limitata in tutti; prima, dalla natura della relazione, e in secondo luogo, dalla più alta autorità di Dio. Nessun superiore, che sia padrone, genitore, marito o magistrato, può obbligarci a fare ciò che Dio proibisce, o a non fare ciò che Dio comanda. Fintantoché sia preservata la nostra fedeltà a Dio, e l’obbedienza all’uomo sia fatta parte della nostra obbedienza a Lui, noi riteniamo la nostra libertà e la nostra integrità.[8]

In un mondo senza sottomissione alla legge e alle autorità sotto la legge, molto rapidamente prevarrebbero solo forze illegittime e nulla potrebbe essere più distruttivo del benessere di una donna, o di un uomo, se è per questo. Il mondo di legge di Dio e di autorità ordinate da Dio è la vera libertà dell’uomo. È solo quando stabiliamo in anticipo la primazia di quelle legge e autorità che noi possiamo, con Barry e Lenski, parlare di quella volontaria sottomissione alla legge e all’autorità come la felicità e il compimento dell’uomo. Qui la questione è definita meglio da Ingram, che comincia con la legge e vede il consenso come consenso alla legge:

La testimonianza pubblica del mutuo consenso e delle promesse di fedeltà: quelle sono le cose che fanno un matrimonio.

L’integrità dell’intero argomento morale dei Dieci Comandamenti comincia ad evidenziarsi ancor più chiaramente in questo. Il mistero di fare e di mantenere un voto di fedeltà, una promessa a Dio in un giuramento solenne: queste sono le cose sulle quali è edificata la legge morale. Queste sono le fondamenta della società. Queste sono le cose che sono mantenute in vita e in vigore infliggendo pene per la loro trasgressione. Promesse, voti, pegni, lealtà, svaniscono tutti se si possono trasgredire impunemente. La società è imperniata sul mantenimento di promesse e sulla punizione delle violazioni. Il credito è un’estensione del principio dentro al mondo degli affari. Il contratto viene stabilito con una parola pronunciata e non è più che quella parola. Il vincolo di lealtà o l’effetto di una promessa risiede in ciò che potremmo chiamare il mondo dello spirito: non ha ne forma ne peso ne misura; non può essere toccato, visto o udito. Ma controlla la vita umana.

Ciò che un adultero fa in realtà è rompere un solenne giuramento. Con questa sua azione calpesta il matrimonio stesso, irride Dio e la società, e figurativamente getta quella particolare promessa nel bidone della spazzatura, rendendola di nessun valore.9

Dio fa all’uomo certe promesse e certe minacce condizionali al compimento o violazione della sua parola-legge. La studiata indifferenza dell’uomo per quella parola-legge è un’implicita o esplicita dichiarazione che l’uomo sostituisce l’autorità di Dio con la propria, la sottomissione morale viene negata in favore dell’autonomia.

L’alternativa alla sottomissione è lo sfruttamento, perché non c’è vera libertà nell’anarchia. Lo scopo della sottomissione non è degradare la donna nel matrimonio, ne  degradare l’uomo nella società, ma portare ad essi la loro migliore prosperità e pace sotto l’ordinamento di Dio. In un mondo d’autorità, la sottomissione di una moglie non è in isolamento e neppure in un vuoto. È collocata in un contesto di sottomissione dell’uomo all’autorità; in tale mondo, gli uomini insegnano i principi dell’autorità ai loro figli e alle loro figlie, e operano per instillare in essi le responsabilità di autorità e obbedienza. In un tale mondo, prevalgono inter-dipendenza e servizio.

In un mondo d’anarchia, non c’è né sottomissione all’autorità né servizio, che è una forma di sottomissione. Un marito e padre che usi la propria autorità e il proprio reddito per incrementare il benessere dell’intera famiglia sta con ciò servendo il benessere di tutti. Ma in un mondo che nega la sottomissione e l’autorità, ogni uomo serve solo se stesso e cerca di sfruttare tutti gli altri. Gli uomini sfruttano le donne e le donne sfruttano gli uomini. Se la donna invecchia, viene abbandonata. Se il reddito di un uomo diminuisce, egli viene lasciato quando si presenti un’opportunità migliore. Il mondo del “jet set”, e l’arena del cinema, ci forniscono abbondanti esempi del fatto che il mondo dell’anarchia e anomia, cioè il mondo al di fuori della legge di Dio per quanto concerne la sottomissione, è un mondo di sfruttamento, in particolare di sfruttamento sessuale.

Nella dichiarazione di san Paolo in Efesini è evidente un altro fatto significativo: benché la Scrittura ripetutamente assuma e citi l’amore come un aspetto della relazione di una donna verso il marito, l’amore non è qui citato da san Paolo con riferimento alla moglie e alla sua reazione nei confronti del marito. Il primato è dato alla sottomissione da parte della moglie e all’amore da parte del marito. L’amore del marito, comunque, è definito come servizio, ed è comparato al lavoro di redenzione di Cristo per la sua Chiesa (Ef. 5:22-29). Pertanto, l’evidenza dell’amore del marito è il suo saggio e amorevole governo della propria casa, mentre la moglie dimostra il proprio nella sottomissione. In ambedue i casi, sottomissione e autorità sono governati, non dalle volontà della parti coinvolte, ma dalla parola-legge di Dio. Ove sottomissione e autorità siano presupposte nella legge di Dio, quella sottomissione e autorità si compenetrano. Il marito si sottomette a Cristo e ad ogni debita autorità, e la moglie si sottomette al proprio marito e con ciò promuove il suo esercizio dell’autorità in ogni ambito e diventa l’aiuto convenevole del proprio marito in autorità e dominio. La moglie normalmente deriva la propria condizione da suo marito, e danneggiare il marito è danneggiare se stessa. Similmente: “I mariti devono amare le loro mogli, come i loro propri corpi; chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno infatti ebbe mai in odio la sua carne, ma la nutre e la cura teneramente, come anche il Signore con la Chiesa” (Ef. 5:28-29). Il fondamento di una tale relazione è la fede, e l’obbedienza per fede alla parola-legge di Dio. Autorità e legge non sono essenzialmente cose fisiche ma primariamente dello spirito; ove l’uomo riconosca la religione e fede che stabilisce l’autorità, lì sono rispettate le manifestazioni fisiche dell’autorità. Se i fondamenti religiosi dell’autorità sono rotti, allora quell’autorità si sbriciola rapidamente e scompare. Pertanto, è necessario così poco controllo in India per mantenere gli indù in una dieta vegetariana, perché quella dieta è sostenuta dalla più rigida fede religiosa, ma sarebbe virtualmente impossibile imporre tale dieta agli americani.

Quando è negata la fede biblica che sostiene la famiglia occidentale, allora viene alterata anche la natura della relazione matrimoniale. Il relativismo umanista dell’uomo moderno dissolve i legami tra uomo e donna per quanto riguarda qual che sia legge e valore e li riduce a legami puramente relativi e personali. Ora, un legame puramente personale è impersonale nel modo in cui vede le altre persone. Un uomo il cui giudizio sia governato solo dalle proprie considerazioni personali, non prende in considerazione le considerazioni personali di altre persone, eccetto nella misura in cui possano essere usate per favorire i propri fini. Come risultato, prevale un esternalismo. Così, il rozzo umanista, Thomas More, propose in Utopia che i giovani si guardassero nudi prima di decidere se sposarsi. Quando Sir William Roper lodò quest’aspetto di Utopia e chiese che fosse applicato alle due figlie di More, che egli stava corteggiando, More lo portò nella camera in cui le due figlie dormivano assieme: “supine, le loro bluse alzate fino alle ascelle. More strappo via il copriletto, e le ragazze con modestia si girarono. Roper diede uno schiaffetto sul sedere a una delle due, dicendo: “Ho visto i due lati, tu sei mia.”[10]  Il fatto che Roper abbia avuto un matrimonio felice non altera il fatto della rudezza di entrambi,  padre e marito. Se Roper e sua moglie non avessero avuto ambedue un retroterra di rigida fede cattolica, i risultati non sarebbero stati altrettanto felici.

L’esternalismo dell’anarchico è alieno alla gerarchia dell’autorità che è alla base dell’ordine giuridico di Dio. Quell’autorità si posa su una dottrina di Dio e, con riferimento al matrimonio, un aspetto centrale del significato del matrimonio è il suo essere una figura di Cristo e la sua chiesa (Ef. 5:25-32). In Efesini 3:14, 15, san Paolo parla di Dio come del Padre di tutte le famiglie in cielo e sulla terra, o, più letteralmente, il “Padre di tutte le paternità” secondo Simpson:

Dio stesso è l’archetipo della genitorialità, fievolmente espressa nella paternità umana. Dalla sua mano creativa sono proceduti tutti gli esseri razionali nella loro molteplicità di aspetti, maniere, e usanze, divergenti o interdipendenti. Al “Padre degli Spiriti” essi devono la loro esistenza e le condizioni che l’hanno impressa con una forma sia individuale sia collettiva, con un ambito e orbita effettivi o potenziali.[11]

La traduzione di James Moffat rende questo passo così: “Per questa ragione, io piego le mie ginocchia davanti al Padre, dal quale prende il nome e la natura ogni famiglia nei cieli e sulla terra”. Il nome e la natura di tutte le relazioni terrene derivano dal Dio trino, talché non c’è legge, non c’è società, giustizia, struttura, disegno, significato, senza Dio e tutti questi aspetti e relazioni della società sono figure di ciò che esiste nella Divinità. L’inferno non ha nessuna di queste cose, solo la nuda esistenza, che è essa stessa creazione di Dio. Per l’uomo, negare Dio equivale a negare ogni cosa, perché tutte le cose sono da Dio e testificano di Lui.

Secondo Simpson, la tipologia del matrimonio e la sua correlazione a Cristo e la chiesa ha quattro implicazioni. Primo, esibisce il fatto del dominio, che è fondamentale al proposito di Dio e del suo regno. Secondo, ha riferimento a devozione o sacrificio di sé. Terzo, è nei termini di un disegno, un proposito e destino sovrani. Quarto, dichiara la derivazione.[12]

L’ “una sola carne” descritta da san Paolo non significa, come ha evidenziato Hodge, una “identità di sostanza, ma una comunità di vita.”[13]  Proprio come l’inferno è la definitiva e totale perdita di qualsiasi comunità, così il vero matrimonio, come ogni altro aspetto della vita pia, è la realizzazione di una fase di vita in comunità sotto Dio. San Paolo, citando Genesi 2:24 in Efesini 5: 31, dichiara che ha semplicemente chiarito alla chiesa di Efeso ciò che era stato dichiarato fin dal principio. Il “grande mistero”di cui san Paolo parla in Efesini 5:32 è, secondo Calvino: “Che Cristo soffia dentro la propria chiesa la propria stessa vita e la propria potenza.”[14]  Ove questa vita e questa potenza sono ricevuti fedelmente, e ciascuna autorità, ricevendo la grazia di Dio direttamente e anche mediata attraverso tutte le dovute autorità, assolve fedelmente i propri doveri di sottomissione e di autorità, lì il regno di Dio si sviluppa e abbonda. Riguardo alla salvezza e alla provvidenza di Dio, Cristo è il solo mediatore tra Dio e l’uomo. Ma la grazia di Dio si muove, non solo direttamente da Dio all’uomo attraverso Cristo, ma anche attraverso l’uomo all’uomo quand’essi compiono i loro doveri sotto Dio. Un membro del Patto con genitori pii potrebbe negare che i suoi genitori, con le loro preghiere e la loro disciplina, il loro amore e il loro insegnamento, non gli hanno rivelato la grazia e l’ordine-giuridico di di Dio? Il fatto che la sua salvezza è interamente opera di Dio non altera la realtà degli strumenti pattizi. Che gli strumenti pattizi siano strumenti nelle mani di Dio deve essere riconosciuto chiaramente, ma negare ad essi perfino quello statuto è negare l’ordine di Dio. Pastori, genitori, insegnanti, autorità civili, e tutte le altre, quando compiono fedelmente i loro doveri sotto Dio, mediano da uomo a uomo l’ordine, la giustizia, la legge, la grazia, la parola, e il proposito di Dio. Chiaramente, e senza nessun dubbio: “C’è un solo Dio, e un mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo” (1Ti. 2:5). Il protestantesimo ha giustamente sostenuto l’esclusività di quella mediazione, ma, bisogna aggiungere, ha fatto danni negando spesso che ci sia una mediazione tra uomini. Uno Stato pio, che applichi l’ordinamento giuridico di Dio fedelmente e con cura, chiaramente media la giustizia di Dio ai malfattori e la sua cura a quelli che sono suoi. È per questa ragione che la Scrittura fa riferimento ad autorità alle quali è data la parola di Dio, cioè che sono stabilite come autorità dalla parola di Dio, come “dèi,” perché esibiscono o mediano un aspetto dell’ordine di Dio (Gv. 10:34, 35). L’alternativa alla mediazione è l’anarchia, e non funzionerà il cavillare sulla parola “mediazione” fino ad alterare i dizionari.

Ogni legittima area di amministrazione è un’area di mediazione, per mezzo della quale l’ordine-giuridico di Cristo è mediato attraverso chiesa, stato, scuola, famiglia, vocazione, e società. Amministrare è mediare, perché un amministratore applica non la propria, ma una norma più alta alla situazione sotto la sua autorità. Questo significa chiaramente una gerarchia di autorità, e la norma o standard più alto di tutte le gerarchie e di tutti gli uomini è la bibbia, la parola di Dio messa per iscritto.

Ciò che la dottrina biblica del matrimonio rende chiaro è che, nelle relazioni più intime della vita, l’ordine-giuridico di Dio non solo governa ogni relazione ma è il fondamento della felicità e della prosperità al suo interno.

Il Nuovo Testamento testifica abbondantemente che Cristo stesso nella sua incarnazione ha confermato la necessità della sottomissione e la validità dell’autorità col suo stesso esempio. A questo fatto rende testimonianza anche la breve preghiera della Messa per la festa della Sacra Famiglia:

Oh Signore Gesù Cristo, che essendo sottomesso a Maria e Giuseppe, santificasti la vita famigliare con indicibili virtù: donaci che, con l’aiuto di entrambi, possiamo venire istruiti dall’esempio della tua Sacra Famiglia, e giungere all’eterna comunione con essa: che vivi e regni con Dio il Padre, nell’unità dello Spirito Santo, Dio, Parola senza fine. Amen.


 

Note:

1 John Calvin: Commentaries on the Epistles of Paul to the Galatians and Ephesians; William Pringle Trad. (Grand Rapids, Eerdmans, 1948, p. 316 s.

2 Charles Hodge: A Commentary on the Epistle to the Ephesians, Grand Rapids: Eerdmans, 1950, p. 308.

3 W. H. Lewis: Assault on Olimpus, The Rise of the House of Gramont between 1604 and 1678; New York: Harcourt, Brace and Company, 1958, p. 151.

4 Mary Calolyn Davies: Marriage Songs; Boston: Harold Vinal, p. 16.

5 Ibid., “They’ll say—” p. 13.

6 Alfred Barry: “Ephesians”, in Ellicott, VIII, p. 52.

7 R. C. H. Lenski: The Interpretation of St. Paul’s Epistle to the Galations, to the Ephesians and to the Philippians; Minneapolis: Augsburgh, 1946, 1941; p. 625.

8 Hodge: Ephesians; p. 314 s.

9 T. R. Ingram: The World Under God’s Law, p. 84.

10 Aubrey’s Brief Lives; Ann Arbor: University Michigan Press, 1957, pp. 212-214.

11 E. K. Simpson in E. K. Simpson e F. F. Bruce: Commentary on the Epistle to the Ephesians and the Colossians; Grand Rapids: Eerdmans, 1957, p. 79.

12 Ibid., pp. 130-134.
13 Hodge: Ephesians, p. 346.
14 Calvino: Galatians and Ephesians, p. 346.

 

2. IL MATRIMONIO E L’UOMO

L’uomo può essere compreso solo nei termini di Dio e del suo sovrano proposito nell’averlo creato. Secondo Genesi 1:26-28, l’uomo fu creato per esercitare il dominio sulla terra e renderla soggetta, e il comando di “essere fruttifero e moltiplicarsi” era un aspetto della vocazione d’esercitare il dominio sulla terra. L’uomo, pertanto, deve essere compreso nei termini del regno di Dio e della propria relativa vocazione a manifestare l’ordine-giuridico di Dio in una terra sviluppata e soggiogata.

L’uomo è dunque primariamente ed essenzialmente una creatura religiosa che può essere realmente compresa solo con riferimento al suo creatore e al suo destino creazionale sotto Dio. Il destino dell’uomo: portare tutte le cose sotto il dominio della parola-legge di Dio, ha confrontato l’uomo fin dall’inizio della sua creazione. Sottomettere la terra ed esercitare su di essa il dominio, nel modo in cui il compito fu affidato ad Adamo ed Eva, aveva due aspetti. Primo, l’aspetto pratico: l’uomo doveva prendersi cura del Giardino d’Eden (Ge. 2:15). L’uomo di città tende a dimenticare che alberi da frutto, verdure e piante richiedono lavoro e cura, anche nel mondo perfetto di Eden. Ad Adamo fu affidata la responsabilità di lavorare o coltivare il giardino e custodirlo ovvero assumerlo sotto la propria responsabilità. Secondo, l’aspetto cognitivo: all’uomo fu richiesto che desse un nome alle creature. I nomi, nel Vecchio Testamento sono descrizioni e classificazioni, cosicché dare il nome a qualche cosa significava comprenderla e classificarla. Mediante lavoro e conoscenza, l’uomo fu chiamato a sottomettere la terra, svilupparne le potenzialità, crescere e moltiplicarsi in modo da estendere il suo dominio sia geograficamente che cognitivamente.

Questa era la santa vocazione dell’uomo sotto Dio, lavoro e conoscenza tesi al proposito di sottomettere la terra ed esercitare il dominio su di essa. In questo modo, qualsiasi vocazione mediante la quale l’uomo estenda il suo dominio sotto Dio, nel proposito di Dio, e senza abuso o disprezzo per la terra che Dio ha ordinato fosse l’ambito di dominio dell’uomo sotto di Sé, è una santa vocazione. L’opinione comune in ogni ramo del cristianesimo che una vocazione cristiana significa entrare nei ranghi della chiesa non potrebbe essere più errata. Una tale attitudine porta la chiesa a soppiantare il regno di Dio, all’ecclesiasticismo quale scopo di Dio nella creazione.

Così, l’uomo fu creato, non un bambino, talché non può essere compreso con riferimento a un passato primitivo o alla sua infanzia, ma nei termini di matura responsabilità e lavoro'. L’uomo realizza se stesso nei termini di lavoro sotto Dio, ed ecco perché un lavoro insignificante o frustrante, o un ordine sociale che penalizzi l’uomo  che lavora nella realizzazione dei frutti del proprio lavoro, sono radicalmente distruttivi. Similmente, l’uomo realizza se stesso quando estende le frontiere della propria conoscenza e impara di più della natura delle cose e della loro utilità. Gli uomini trovano un’esaltazione in un lavoro ben fatto, e nella conoscenza guadagnata, perché nel loro lavoro e mediante il loro lavoro e conoscenza è esteso il loro dominio sotto Dio.

La terra fu pertanto creata perché fosse il regno di Dio, e l’uomo fu creato ad immagine di Dio perché fosse il suo vice-reggente sotto Dio su quella realtà. L’immagine di Dio implica conoscenza (Co. 3:10), giustizia e santità (Ef. 4:24), e dominio sulla terra e sulle sue creature (Ge. 1:28). In questo modo, anche se Adamo fu formato dalla polvere, o dalla superficie della terra rossa, nondimeno fu ordinato ad una natura e un destino gloriosi sotto Dio.

Prima che gli fosse dato un aiuto convenevole fu richiesto all’uomo che conoscesse se stesso nei termini della propria vocazione. Perciò ad Adamo non fu data una moglie  per un tempo indefinito ma apparentemente lungo, prima che avesse lavorato nella sua vocazione, si fosse preso cura del giardino e fosse giunto a conoscenze delle creature che ci vivevano. Ci è detto specificamente che Adamo diede il nome o classificò tutti gli animali, un compito considerevole, prima della creazione di Eva. Per quanto questa classificazione fosse stata limitata e generica, era comunque una completa ed accurata comprensione della vita animale. L’Adamo dell’Eden fu perciò un uomo che lavorava sodo in un mondo ove la maledizione del peccato non aveva ancora infettato l’uomo e il suo lavoro.

È pertanto necessario notare che ad Adamo fu data Eva, primo', non per l’assolvimento di un bisogno meramente naturale o sessuale, benché questo sia stato riconosciuto (Ge. 2:20), ma, dopo una dilazione di tempo, in assolvimento del suo bisogno di un “aiuto convenevole,” che è ciò che è chiamata Eva. Ella è quindi molto chiaramente un aiuto per Adamo per la sua vita e per il suo lavoro come uomo pattizio di Dio, chiamato a esercitare il dominio e a sottomettere la terra.

Ciò significa che, secondo', il ruolo della donna è d’essere un aiutante in una funzione di governo. La vocazione dell’uomo è nei termini del Regno di Dio, e la creazione e vocazione della donna non sono da meno. Ella è un aiuto per l’uomo nel sottomettere la terra e nell’esercitare il dominio in tutti i termini necessari per rendere di massimo successo la vita e il lavoro del marito. Le implicazioni di ciò verranno discusse più avanti in relazione alla donna nel matrimonio.

Terzo, Eva fu creata solo dopo che Adamo si era provato responsabile nello svolgere i propri doveri, fedelmente e bene. Per l’uomo, la responsabilità è perciò chiaramente un prerequisito al matrimonio. Di qui, più tardi, il sistema della dote richiedeva al futuro sposo di dimostrare la sua responsabilità consegnando una dote alla sposa come collaterale per lei e per i figli, per il futuro.

Quarto, poiché l’uomo è chiamato ad esercitare il dominio, e il matrimonio e il suo governo della famiglia sono aspetti centrali di quel dominio; l’esercizio del dominio in lavoro e conoscenza precede l’esercizio del dominio come marito e padre. La famiglia pattizia è centrale per il Regno di Dio e pertanto il matrimonio fu fin dal principio protetto da tutele in modo da stabilire la previa esistenza di responsabilità.

Quinto, il matrimonio è chiaramente uno statuto divino, istituito in paradiso insieme alla vocazione di lavorare e acquisire conoscenza.

Sesto, il matrimonio è lo stato normale dell’uomo perché, secondo Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Ge. 2:18). A meno che gli uomini non siano inabilitati fisicamente, o altrimenti chiamati da Dio ad essere single (Mt. 19:10-12), il matrimonio è la loro normale condizione di vita. Solo in un’epoca di voluta immaturità  gli uomini deridono il matrimonio come fosse schiavitù. Ciò che stanno dicendo, in effetti, è che la responsabilità, o più semplicemente la mascolinità, è schiavitù, e l’infantilità permanente è libertà. Tali persone non meritano risposta.

Settimo, mentre la famiglia e il dominio ad essa collegato sono parte della vocazione dell’uomo e una parte molto importante di essa, è lungi dall’esserne la totalità. Mentre la vocazione della donna è nei termini del proprio marito e della famiglia, il compito dell’uomo è nei termini della vocazione che assume sotto Dio.

Ottavo, come abbiamo visto, l’uomo prima del matrimonio è chiamato a dimostrare due cose: la caratteristica  dell’obbedienza e la caratteristica della responsabilità, ed è a quel punto pronto a mettere in piedi una nuova casa. Genesi 2:24 rende chiaro che un uomo lascerà la casa dei genitori e si unirà (starà attaccato o fedele) a sua moglie. Cambiamento e crescita sono basilari allo sviluppo del dominio dell’uomo sulla terra. I sistemi famigliari che non permettono l’indipendenza della giovane coppia cercano di perpetuare un ordine immutabile, mentre cambiamento e crescita sono assicurati dal modello biblico che richiede una rottura coi genitori al matrimonio. La rottura non pone fine alla responsabilità verso i genitori, ma assicura la crescita indipendente.

Nono, la parola ebraica per (promesso) sposo significa “il circonciso,” la parola ebraica per suocero significa colui che effettua l’operazione di circoncisione,  e la parole ebraica per suocera è simile. Ovviamente questo non fa riferimento all’effettivo rito fisico, visto che i maschi ebrei venivano circoncisi l’ottavo giorno. Il significato era che il suocero, come pure la suocera si accertavano del fatto della circoncisione spirituale assicurandosi della posizione pattizia dello sposo. Era loro dovere prevenire un matrimonio misto. Un uomo poteva maritare la loro figlia, e diventare uno sposo, solo quando fosse chiaramente un uomo sotto Dio.

Pertanto i genitori dello sposo avevano l’obbligo di preparare il loro figlio per una vita di lavoro e di crescita in conoscenza e sapienza, e i genitori di una sposa avevano il dovere, secondo criteri biblici, di esaminare la fede e il carattere del prospetto sposo.

La maturità pertanto non è basilare solo per la  mascolinità ma anche per il matrimonio. La maturità richiesta è più che maturità fisica. In altre epoche, i matrimoni sono spesso stati contratti tra i 15 e i 20 anni, come in alcune situazioni di pionieri di frontiera (nella conquista dell’Ovest n.d. t.), ma in molti casi di questo tipo i maschi erano uomini di lavoro e d’esperienza, le ragazze erano donne addestrate e capaci, mentre in altre epoche l’immaturità è la condizione cronica e voluta di uomini e donne. Certamente la maturità fisica è cosa più saggia, ma senza una maturità di fede e di carattere la relazione matrimoniale è piagata da conflitti e tensioni.

Poiché il matrimonio è talmente connesso col patto di Dio con l’uomo fin dalla creazione, è particolarmente calzante, nella benedizione che conclude  la cerimonia cattolica romana  del matrimonio, che sia invocata la frase pattizia  dal Vecchio Testamento, nel linguaggio del Messale della New Saint Adrew:

Possa il Dio di Abrahamo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, essere con voi, e possa egli adempiere in voi la sua benedizione talché possiate vedere i figli dei vostri figli fino alla terza e alla quarta generazione e dopo possedere la vita eterna. Con l’aiuto del Signore Gesù Cristo, che col Padre e lo Spirito Santo vive e regna, Dio in sempiterno. Amen.

Infine, bisogna notare che, mentre il matrimonio è la relazione sessuale ordinata da Dio tra uomo e donna, non può però essere compreso semplicemente in termini di sesso. Quando il matrimonio è ridotto al sesso, si disintegra come istituzione e il sesso amorale lo rimpiazza. Il matrimonio ha prima di tutto riferimento alla consacrazione a Dio e poi all’uomo e alla donna nelle loro rispettive vocazioni. Poiché l’uomo deve essere compreso nei termini della sua chiamata sotto Dio, anche tutta la sua vita deve essere interpretata nei termini di questa chiamata. La dislocazione nella chiamata di un uomo è una dislocazione nella totalità della sua vita. Quando il lavoro è futile, gli uomini non riescono a riposarsi dai loro  lavori, perché la loro soddisfazione lì se n’è andata. Gli uomini a quel punto spesso cercano di rendere significativo il lavoro lavorando di più. La frustrazione nei termini della propria vocazione determina una salute scadente in termini fisici e mentali, di energia sessuale, e capacità di riposare, laddove invece il successo sul lavoro determina vigore e vitalità. Ogni tentativo di comprendere il matrimonio solo in termini di sesso aggraverà il problema basilare dell’uomo.

Se il matrimonio non può essere ridotto al sesso, neppure può essere ridotto all’amore. La Scrittura non da’ assolutamente nessun fondamento all’idea che un matrimonio possa essere rescisso quando l’amore finisce. Mentre l’amore è importante per un matrimonio, non può sostituire la legge di Dio come legame essenziale del matrimonio. Inoltre, una donna non potrebbe compiere un errore più madornale che assumendo di poter  avere la priorità rispetto al lavoro nella vita del proprio marito. La tragedia di un’epoca apostata è che le donne vedono con chiarezza la futilità o vacuità di molto del lavoro dell’uomo, ma mancano di vedere che la risposta di un uomo pio a un mondo malato è ulteriore lavoro. Poiché il lavoro è la vocazione dell’uomo, l’uomo spesso commette il serio errore di cercare di risolvere tutti i problemi lavorando ancor più sodo, mentre, nella stessa situazione, la donna è sempre più convinta della futilità del lavoro. Ma dire ad un uomo che il lavoro è futile è dirgli che è futile lui. Una causa di tensione basilare e non riconosciuta nel matrimonio è la crescente futilità del lavoro in un’epoca in cui andazzi apostati e statalisti derubano il lavoro dei suoi obbiettivi costruttivi. L’area di dominio dell’uomo diventa l’area della sua frustrazione. Ci sono persone che possono rievocare quando gli uomini, non troppi anni fa, lavoravano dieci ora al giorno o più, sei, sette giorni alla settimana, spesso in circostanze sgradevoli e pericolose. Di fronte a questa realtà, potevano riposare e anche godere la vita con un robusto appetito. L’ottimismo basilare di quell’epoca e la certezza di progresso, la stabilità di un economia fondata su una moneta solida e un senso di padronanza di quelle certezze, dava agli uomini la soddisfazione nelle loro fatiche e rendeva possibile il riposo. Un’epoca che nega il significato e la soddisfazione del lavoro nega contemporaneamente l’uomo. Neanche le più desiderabili condizioni  e orari di lavoro possono sostituire la finalità nel lavoro.  Dostoyevsky evidenziò che l’uomo poteva venire spezzato in Siberia, non dalle dure fatiche ma dalle fatiche senza significato, come spostare un mucchio di macigni avanti e indietro senza fine. Tale lavoro, per quanto lentamente o svogliatamente possa essere fatto, distrugge un uomo, mentre il lavoro con uno scopo lo rafforza o perfino l’esalta.

Poiché il lavoro è centrale per gli uomini, uno dei loro problemi cronici è la tendenza a farne una religione sostitutiva. Anziché derivare il significato della vita da Dio e dal suo ordine-giuridico, gli uomini spesso derivano il loro privato mondo di significato dal loro lavoro. La conseguenza è un disorientamento di vita, famiglia e ordine.

Che sia pensionato o ancora attivo, l’uomo pensa sempre nei termini del mondo del lavoro, e continua a valutare la realtà negli stessi termini. Essendo stato chiamato ad esercitare il dominio attraverso il lavoro, l’uomo è legato al lavoro sia nel pensiero che nell’azione. Ma non c’è vero dominio per l’uomo, nel lavoro e mediante il lavoro, separatamente da Dio e dal suo ordine-giuridico.

Una nota finale: lungo i secoli gli uomini si sono sentiti così strettamente collegati al loro lavoro, che per essi c’è sempre stata una soddisfazione particolare nell’essere vicini ai loro attrezzi. Ancora oggi, in alcune parti del mondo, gli uomini trovano piacere nell’avere i loro attrezzi sotto mano. Un po’ di resistenza alla Rivoluzione Industriale provenne da uomini che avevano goduto il possesso della loro bottega in casa propria e percepirono il doversi spostare in altri locali come una perdita. Non di rado, i medici portano anche in vacanza la borsa dei loro strumenti, e un momento culminante per un medico in un viaggio in Europa fu l’opportunità di usare la sua abilità medica. Molti uomini riposano meglio se i loro attrezzi sono sotto mano.

3. IL MATRIMONIO E LA DONNA

La definizione della donna data da Dio creando Eva e stabilendo il primo matrimonio è “aiuto convenevole” (Ge. 2:18). Questo è letteralmente “come unanime con lui,” o la “sua controparte”1 La Literal Translation of the Holy Bible di Robert Young la rende con “un aiutante — come sua controparte.” R. Payne Smith ha indicato che l’ebraico letteralmente è: “un aiuto come il suo volto, la sua immagine riflessa.”2 L’implicazione è quella di un’immagine specchiata, un punto fatto da Paolo in 1 Corinzi 11:1-16; l’uomo fu creato ad immagine di Dio, e la dona all’immagine di Dio riflessa nell’uomo. In questo passo, come ha notato Hodge, è affermato il principio che “ordine e subordinazione pervadono tutto l’universo, e sono essenziali alla sua esistenza.”3 Il capo coperto è un segno di essere sotto l’autorità di un’altra persona; per questo, l’uomo, che è direttamente sotto Cristo, adora col capo scoperto, la donna col capo coperto. Un uomo, pertanto, che adori col capo coperto disonora se stesso (1° Co. 11:1-4). La donna a capo scoperto tanto farebbe che fosse rasata perché essere scoperta porta con sé la stessa vergogna che se fosse rasata (1° Co. 11:5-7). Come nota Leon Morris con riferimento ai versi 8, 9, “la donna non può reclamare eguaglianze né nella sua origine, né nello scopo per cui fu creata.”4

In conformità, San Paolo continuò: “Perciò la donna deve avere sul capo un segno di autorità, a motivo degli angeli” (1 Co. 11:10). James Moffat ha reso “potere sul suo capo” come “un simbolo di soggezione” seguendo con ciò l’opinione popolare piuttosto che il testo greco. “Potere sul suo capo” significa invece, come hanno indicato il Morris e altri: “un segno della sua autorità.”5 Poiché gli angeli sono testimoni, deve essere resa una pia testimonianza. Per molti sembra esserci qui implicata una seria contraddizione: primo san Paolo insiste sulla subordinazione, e poi, secondo, parla di ciò che sembra essere un segno di subordinazione come un segno d’autorità. Quest’apparente contraddizione nasce dal concetto anarchico d’autorità che è così profondamente impresso nella natura peccaminosa dell’uomo. Ogni vera autorità è sotto autorità perché Dio solamente trascende tutte le cose ed è la scaturigine di ogni potere ed autorità. Un colonnello ha autorità perché è sotto un generale e la sua autorità cresce nella misura in cui cresce il potere, il prestigio e l’autorità di quelli sopra di lui ed è assicurata la sua unità di mente e d’intenti con essi. Lo stesso vale per la donna: La sua subordinazione è anche il simbolo della sua autorità. Molto sovente, in varie società, è stato proibito alle prostitute vestirsi nella stessa foggia di mogli e figlie, perché farlo indicherebbe l’asserzione di un’autorità, protezione e potere cui hanno rinunciato. Perciò, in Assiria una prostituta celibe che avesse coperto il proprio capo sarebbe stata severamente punita per la sua presunzione.6 Leggi simili esistevano a Roma. Lungo la frontiera occidentale americana (durante la conquista del West) una donna che fosse moglie o figlia possedeva un’ovvia autorità e normalmente dettava il rispetto e la protezione di tutti gli uomini.

San Paolo dichiarò (I Co. 11:11) che uomini e donne sono reciprocamente dipendenti. L’uno non può esistere senza l’altro.”7 “L’uno non è senza l’altro, poiché, come la donna fu in origine formata dall’uomo, coì, l’uomo nasce dalla donna.”8 Molto presto i concili della chiesa censurarono i capelli lunghi nell’uomo come marchio d’effeminatezza, come avevano fatto i Romani prima di loro. Non c’è evidenza a sostegno delle usuali rappresentazioni di Cristo e degli apostoli coi capelli lunghi; le evidenze dell’epoca indicano capelli molto corti.

Per una donna, però, in tutte le epoche e tutte le nazioni, i capelli lunghi sono stati considerati un ornamento. Le sono dati, dice Paolo, come una copertura, o come un velo naturale; e sono per lei una gloria perché sono un velo. Il velo stesso, perciò, dev’essere onorevole e decoroso in una donna.9

È pertanto con fondamento biblico che i capelli di una donna sono definiti la sua “corona di gloria”, e la sua gioia nel portarli come corona attraente è data-da-Dio quando ciò è fatto entro certi limiti, benché non sia altrettanto per il tempo che alcune donne dedicano loro.

La dottrina biblica della donna la rivela dunque come una coronata di gloria nella sua “soggezione” o subordinazione, e chiaramente un aiuto del rango più vicino possibile al vice-reggente designato da Dio sulla creazione. Questa non è responsabilità da poco, né è la figura di una paziente Griselda. Fin troppo spesso i teologi hanno additato Eva come quella che guidato Adamo a peccare mentre dimenticano di notare che la posizione che Dio le ha dato era tale che il consiglio era il suo dovere normale, benché in quel caso sia stato un cattivo consiglio. Gli uomini, da peccatori, spesso sognano una paziente Griselda che non parla loro mai se non interpellata, ma una moglie così non potrebbe loro piacere di meno o annoiarli di più. Martin Lutero, che amava teneramente la sua Katie, in una certa occasione giurò: “Se dovessi sposarmi un’altra volta, ne intaglierei una di mite dalla pietra, perché dubito che di qualsiasi altro tipo sarebbe mite.” La sua biografa, Edith Simon, giustamente chiede: “Come sarebbe andata con una moglie mite?”10 La risposta chiaramente è: non troppo bene.

È illusione comune che nel passato primitivo, evolutivo dell’uomo, le donne fossero niente più che schiave, usate ad arbitrio dei primitivi bruti. Questo mito evolutivo non solo è senza fondamento, ma in ogni società conosciuta, la posizione della donna, se misurata sull’uomo e la società, è sempre stata notevole. L’idea che le donne si siano mai sottomesse ad essere semplici schiave dell’uomo è in sé una nozione assurda. Le donne sono state donne in ogni epoca. In uno studio su una società estremamente retrograda, gli aborigeni d’Australia, Phyllis Kaberry ha dimostrato che l’importanza e lo status delle donne è considerevole.11

Poche cose hanno avvilito le donne più di quanto abbia fatto l’Illuminismo che ha trasformato la donna in un suppellettile e in una creatura impotente. A meno che non appartenesse alle classi inferiori, ove il lavoro è obbligatorio, la donna “privilegiata” era una persona inutile, ornamentale, quasi senza diritti. Non era stato così in precedenza. Nell’Inghilterra del XVII secolo, le donne erano spesso in affari, erano dirigenti molto competenti, ed erano coinvolte negli scambi commerciali, come agenti assicurativi, nel manifatturiero, e posizioni simili.

Fino al XVII secolo le donne usualmente figuravano in affari come socie dei loro mariti e non in competenze di minor rilievo. Spesso assumevano il comando per tempi prolungati durante l’assenza dei loro mariti. In alcuni casi erano quello più brillante del duo, facevano funzionare la baracca.12

Una “rivoluzione” giuridica provocò il declino della condizione della donna: “l’opinione fin troppo famigliare di una donna che improvvisamente emerge nel XIX secolo da una lunga notte storica o su una piana soleggiata è completamente errata.”13 Una conoscenza della storia d’America agli inizi rende chiare le responsabilità della donna. Gli uomini della Nuova Inghilterra potevano partire via mare in viaggi di due o tre anni sapendo che tutti gli affari a casa sarebbero stati abilmente portati avanti dalle loro mogli.

L’Era della Ragione vide l’uomo come la ragione incarnata, e la donna come emozione e volontà, e pertanto inferiore. La tesi dell’Era della Ragione è stata che il governo di tutte le cose dovrebbe essere affidato alla ragione. L’Era della Ragione contrastò auto-consapevolmente l’Era della Fede. La religione fu ritenuta un’attività da donne e, più l’Illuminismo si diffuse, più la vita di chiesa diventò l’ambito di donne e bambini. Perciò, in qualsiasi cultura, più fu pronunciato il trionfo dell’Illuminismo, più si ridusse il ruolo della donna. Proprio come la religione venne ad essere considerata un inutile ma talvolta attraente ornamento, altrettanto furono considerate le donne.

Queste idee passarono negli Stati Uniti mediante l’influenza sulla giurisprudenza di Sir William Blackstone il quale era stato a sua volta influenzato dal Presidente di Corte Suprema Edward Coke, un calcolato opportunista. Come risultato, i libri di giurisprudenza della prima metà del XIX secolo mostravano la donna in un ruolo sminuito. Tre esempi sono significativi:

Introduction to American Law, di Walker: La teoria giuridica è: il matrimonio fa di marito e moglie una sola persona, e quella persona è il marito. Difficilmente si troverà un atto giuridico che descriva ciò che ella è competente a fare … In Ohio, ma difficilmente anche da qualsiasi altra parte, le è concesso redigere un testamento, se mai abbia felicemente qualcosa di cui disporre.
Law of Husband and Wife, di Roper: non è generalmente risaputo che ogni qual volta una donna abbia accettato un’offerta di matrimonio, tutto ciò che ha, o si aspetta di avere, diventa virtualmente di proprietà dell’uomo che ha accettato come marito; e nessun dono o testamento redatto da lei tra il periodo d’accettazione dell’offerta e il matrimonio è ritenuto valido; poiché se le fosse permesso di alienarsi o di sistemare in altro modo i propri averi, egli potrebbe rimanere deluso della ricchezza che aveva preso in considerazione nel fare l’offerta.

Wharton’s Laws: La moglie è solo la serva del marito.14

C’è una clausola estremamente significativa nell’affermazione di Roper: “Non è generalmente risaputo…” Le piene implicazioni della rivoluzione giuridica non erano generalmente risapute. Sfortunatamente, sono però giunte ad essere generalmente sostenute, dagli uomini. Ancor più sfortunatamente, le chiese molto comunemente sostennero questa rivoluzione giuridica per una lettura della Scrittura unilaterale e forzata. L’atteggiamento degli uomini in generale fu che le donne sarebbero state meglio su un piedistallo di vanità. Ad una conferenza per i diritti della donna, una relatrice rispose a queste affermazioni: Sojourner Truth, una donna alta, nera, prominente nei circoli anti schiavismo ed ella stessa una ex schiava nello stato di New York. Aveva 82 anni e una schiena segnata dalle frustate, non sapeva leggere, ma aveva “intelligenza e senso comune”. Ella rispose ai difensori del piedistallo poderosamente e direttamente, rivolgendosi agli uomini in sala che la interrompevano:

Ebbene, figlioletti, quando c’è così tanto chiasso dev’esserci qualcosa fuori posto. Io credo che tra i negri del sud e le donne del nord, tutti a parlare di diritti, gli uomini bianchi saranno presto in difficoltà. Ma cosa sono tutte queste cose che andate dicendo? Quell’uomo lì dice che le donne hanno bisogno di essere aiutate a salire sui carri, e di essere aiutate a saltare i fossati, e d’avere ovunque i posti migliori. Nessuno mi ha mai aiutato a salire su un carro, o a superare un fosso melmoso, o mi ha dato il posto migliore! Non sono io una donna? Guardatemi! Guardate le mie braccia! …
Ho arato e piantato, e raccolto in granai, e nessun uomo potè starmi dietro! E non sono io una donna? Potevo lavorare quanto un uomo e mangiare quanto un uomo – quando potevo averne — e anche sopportare la frusta! E non sono io una donna? Ho dato alla luce tredici bambini e ne ho visti la maggior parte venduti in schiavitù, e quando urlai col mio dolore di madre, nessuno mi sentì, se non Gesù! E non sono io una donna?
E poi quell’omino lì vestito di nero, dice che le donne non possono avere gli stessi diritti degli uomini perché Cristo non era una donna! Da dove è venuto il vostro Cristo? …
Da dove è venuto il vostro Cristo? Da Dio e da una donna! Gli uomini non ebbero niente a che vedere con Lui.
Obbligata nei vostri confronti per avermi ascoltato, e adesso la vecchia Sojourner non ha altro da dire.15

La tragedia del movimento per i diritti della donna è stata che, malgrado avesse seri problemi da correggere, ha fatto aumentare il problema, e qui la resistenza degli uomini è stata responsabile in egual misura. Anziché ripristinare le donne al loro giusto posto d’autorità a fianco dell’uomo, il movimento per i diritti della donna è diventato femminismo: ha messo le donne in competizione con gli uomini. Ha portato alla mascolinizzazione delle donne e alla femminizzazione degli uomini, per l’infelicità di entrambi. Non sorprende che nel marzo del 1969, lo stilista Pierre Cardin abbia fatto un passo logico nella sua sfilata di moda maschile: “il primo capo esibito fu una lunga felpa senza maniche da portarsi sopra degli stivaloni di vinile. In altre parole un abito femminile.”16

Così, l’era della Ragione ha introdotto un’irrazionale supremazia per l’uomo e ha innescato la guerra dei sessi. Come risultato, le leggi oggi operano, non per stabilire un ordine pio, ma per favorire un sesso sull’altro. Le leggi del Texas riflettono la vecchia discriminazione contro le donne; le leggi di alcuni stati (come la California) esibiscono una discriminazione in favore delle donne.

Tornando alla dottrina biblica, una moglie è l’aiuto convenevole del proprio marito. Poiché Eva fu creata da Adamo e nell’immagine di Dio riflessa in Adamo, ella era sia da Adamo quanto un’immagine di Adamo: la sua “controparte.” Il significato di questo è che un vero aiuto convenevole è la controparte dell’uomo, che è necessaria una similitudine culturale, razziale, e specialmente religiosa in modo che la donna possa effettivamente rispecchiare il marito ed essere la sua immagine. Un uomo che sia un cristiano e uomo d’affari non può trovare un aiutante in una donna Buddhista che crede che il nulla sia il valore ultimo della vita e che il modo di vivere del marito sia una via inferiore. I matrimoni interculturali sono pertanto di solito un fallimento. Dove incontriamo tali matrimoni, ad un esame provano essere l’unione di due umanisti il cui retroterra è diverso ma la cui fede li unisce. Anche allora, tali matrimoni hanno un’alta mortalità. Un uomo può identificare il carattere all’interno della propria cultura, ma non può fare più che identificare il carattere generale di un’altra cultura. Così, un tedesco allevato in un’atmosfera Luterana può discernere le differenze sottili tra le donne nella propria società, ma se sposa una ragazza Mussulmana, egli vede in lei le forme generiche del comportamento femminile Mussulmano piuttosto che le sfumature di carattere, fino a quando sarà troppo tardi per ritirarsi agevolmente.

La dottrina biblica ci mostra la moglie come il manager competente che è capace di assumere sotto di sé tutte le attività di produzione e commercio se necessario, in modo che suo marito possa assumere l’ufficio pubblico come magistrato civile; con le parole di Proverbi 31:23, il marito può sedersi “alle porte”, cioè presiedere come governante o giudice. Esaminiamo la donna di Proverbi 31:10-31, il cui “valore è superiore alle perle.” Diverse cose sono chiaramente in evidenza:

  1. Suo marito può fidarsi della sua integrità e competenza morale, commerciale, e religiosa, (vv. 11, 12, 29-31).
  2. Non solo dirige la propria casa con competenza, ma può anche dirigere con abilità un’attività (vv. 13, 19, 24-25). Può comperare e vendere come un buon mercante e gestire una vigna come un contadino esperto.
  3. È buona verso la propria famiglia, e buona verso i poveri e i bisognosi (vv. 20-22).
  4. Molto importante: “Apre la bocca con sapienza, e sulla sua lingua c’è la legge della bontà” (v. 26). La donna inutile dell’Era della Ragione, e l’inutile mondana o donna del jet-set di oggi, che è solo da esibire e un lusso, può parlare e parlerà con leggerezza e di bazzecole perché è una bazzecola. La donna di Dio, però, ha “sulla sua lingua la legge della bontà.” Le persone, uomini e donne che non sono bazzecole evitano discorsi inutili, dozzinali e maliziosi. I discorsi scostumati sono il lusso dell’irresponsabilità.
  5. Non mangia il “pane di pigrizia” (v. 27); la donna pia non è un mero lusso e un bel soprammobile. Guadagna più di quanto necessita.
  6. “I suoi figli si levano e la proclamano beata; anche suo marito ne fa l’elogio” (v. 28).

È ovvio che tale donna è molto diversa dalla bella bambola dell’Era della Ragione e dalla donna altamente competitiva, mascolinizzata del XX secolo che si mette in pista per provare d’essere capace come qualsiasi altro uomo, se non meglio.

Una fede biblica non considererà la donna meno razionale o intelligente dell’uomo; la sua mente è normalmente più pratica e personale, orientata nei termini della propria vocazione come donna, ma non è per questo meno intelligente.

Un’altra nota è aggiunta da Re Lemuel nella sua descrizione della donna virtuosa:

7. “La grazia è fallace e la bellezza è vana, ma la donna che teme l’Eterno, quella sarà lodata” (v. 30).

Non c’è qui nulla di spregiativo verso la bellezza e altrove nella Scrittura, specialmente nel Cantico dei Cantici, è altamente apprezzata. Il punto qui è che, in relazione alle qualità basilari di un vero aiuto convenevole, la bellezza è una qualità transitoria, e i vezzeggiamenti astuti e ammalianti sono ingannevoli e non hanno valore nella relazione lavorativa del matrimonio.

Così, per quanto sia importante il ruolo della donna come madre, la Scrittura la presenta essenzialmente come una moglie, cioè un aiuto convenevole. Il riferimento perciò non è primariamente ai figli ma al regno di Dio e alla vocazione dell’uomo in esso. Uomo e moglie insieme sono nel patto chiamati a sottomettere la terra e ad esercitare il dominio su di essa.

C’è chi sostiene che la procreazione sia lo scopo centrale del matrimonio. Certamente, il comando di “essere fruttiferi e moltiplicarsi” è molto importante, ma un matrimonio non cessa d’esistere se è senza figli. Sant’Agostino erroneamente sostenne che I Timoteo 5:14 richieda la procreazione e definì i figli come lo scopo basilare del matrimonio, e molti sostengono questa opinione.17 Ma san Paolo in realtà ha detto che richiedeva che le donne più giovani, o vedove, specificamente si sposassero e avessero figli anziché ricercare una vocazione religiosa (I Ti. 5:11-15); ciò è molto diverso dal definire il matrimonio come procreazione. Lutero sostenne per qualche tempo la convinzione che il matrimonio servisse per provvedere alla procreazione e alleviare la concupiscenza. (Agostino ebbe relazioni sessuali limitate alla “necessità di produzione.”)18 Edith Simon richiama l’attenzione al cambiamento di pensiero di Lutero sul soggetto:

Prima che Lutero si scrollasse di dosso il celibato, egli l’aveva condannato meramente come fonte di continua tentazione e distrazione per quelli che non erano all’altezza della perpetua castità — in altre parole, la sua attitudine era ancora basilarmente ortodossa, considerando la castità come la condizione superiore. Con la sua esperienza del matrimonio, però, quell’attitudine fu cambiata drammaticamente ad una più positiva. La castità perpetua era cattiva. Solo nel matrimonio gli esseri umani erano capaci di acquisire quella salute spirituale che erano usi ricercare nel chiostro. Così, la cosa strana fu che prima che avesse mai sperimentato egli stesso lo sfogo sessuale, Lutero vedeva il matrimonio primariamente come una questione fisica, e dopo vide i suoi benefici come primariamente spirituali — evidentemente non per bisogno di comunione fisica.19

Dio stesso definì Eva come “aiuto convenevole”; per quanto la maternità sia importante, non può avere la priorità sulla dichiarazione stessa di Dio.

 

 

Note:

1 H. C. Leupold: Exposition of Genesis; Columbus. Ohio: Wartburgh Press, 1942, p. 129 s. 2 R. Payne Snith: “Genesis” in Ellicott, I, 21.

3 Charles Hodge: An Exposition of the First Epistle to the Corinthinas; Grand Rapids: Eerdmans, 1950, p. 2016.

4 Leon Morris: The First Epistle of Paul to the Corinthinas; Grand Rapids: Eerdmans, 1958, p. 153. 5 Ibid., p. 153 s.

6 J. M. Powis Smith: The Origin and History of Hebrew Law; Chicago: The University of Chicago Press, (1931) 1960, p. 231 s.

7 Charles Hodge, I Corinthians, p. 211.

8 Ibid., p. 212.

9 Ibid., p. 213.

10 Edith Simon: Luther Alive; Garden City, N.Y.: Doubleday, 1968, p. 336.

11 Phyllis M. Kaberry: Aboriginal Woman, Sacred and Profane; London: Routhledge and Keagan Paul, 1939.

12 Ferdinand Lundberg and Maryna F. Farnham: Modern Woman, the Lost Sex; New York: harper, 1947, p. 130.

13 Ibid., p. 421.
14 Charles Neilson gattey: The Bloomer Girls; New York: Coward-McCann, 1968, p.21.

15 Ibid., p. 105 s (la citazione originale è in slang negro americano, mi spiace non aver potuto rendere l’effetto)

16 Time: 18 Aprile, 1969, p. 96.
17 Vedi Jean-Marie Vaissiere: The Family, Parte I, tradotto e adattato da Canon Scantlebury, (n. d.),

pp. 73-101.
18 Ibid., p. 135.

19 Edith Simon: Luther Alive, p. 337. La Simon ovviamente intende “celibato” quando parla di “castità”.

4. NUDITÀ

 

Nella bibbia non c’è legislazione che concerni la nudità, ma una considerazione sul soggetto è pertinente ad uno studio della legge biblica, come vedremo.

Quando la parola “nudo” o “nudità” è usata figurativamente nella Scrittura, come in Geremia 49:10 e Genesi 42:9, ha riferimento ad essere “spogliato delle risorse, disarmato”. A volte significa anche “scoperto, reso manifesto” (Gb. 26:6; Eb. 4:13). Il riferimento principale alla nudità, comunque, è Genesi 2:25, riguardo ad Adamo ed Eva in Eden: “E l’uomo e sua moglie erano ambedue nudi e non ne avevano vergogna”.

È importante comprendere il significato di questo passo, e poi le sue implicazioni per la storia. Le interpretazioni assurde abbondano. Così, secondo Simpson, significa “che erano senza consapevolezza del sesso.”1 È un’illusione popolare, liberale, che il sesso sia in qualche modo collegato con la Caduta. La Scrittura non da’ questa evidenza; inoltre, poiché siamo informati che Adamo osservò il sesso negli animali (Ge. 2:20), è assurdo assumere che abbia ricevuto Eva come moglie e sia rimasto celibe. Innocenza non significa a-sessualità.

Il commento di Smith è interessante nel connettere questo verso con la sezione successiva, ma in errore riguardo al significato di nudità:

Questa è la descrizione di una perfetta puerile innocenza, e appartiene in modo naturale ad un essere che non ha ancora conosciuto ne il bene ne il male. Non è, comunque, la conclusione della sezione sul matrimonio, dove sarebbe indelicato, ma l’introduzione al resoconto della tentazione, preparando la via per la facile caduta dell’uomo. Inoltre, c’è un gioco di parole in questi due versi. L’uomo è arom, nudo; il serpente è arum, astuto. Così i nostri primi genitori caddero in candida semplicità col serpente tentatore il quale, in ovvio contrasto con la loro innocenza mai messa alla prova, è descritto essere particolarmente insidioso.2

Ciò è assurdo e non biblico. Adamo non aveva ancora peccato, ma sapeva che violare la legge di Dio è fare il male. Ogni giorno che aveva lavorato per sottomettere la terra ed esercitare il dominio su di essa, Adamo aveva avuto la soddisfazione di conoscere e di fare il bene. Ancora, Smith è assurdo e assai non biblico nel parlare di Adamo ed Eva come caduti “in candida semplicità”. Il punto della Scrittura è invece che peccarono consapevolmente e volontariamente, nella ricerca d’essere il loro proprio dio. Assumere la semplicità in Adamo che aveva già fatto una classificazione generale del mondo animale e lavorato con conoscenza in quello delle piante è ridicolo; egli era stato creato un uomo maturo, ed era a quel punto un consumato lavoratore e pensatore, un uomo sapiente. Assumere innocenza e semplicità, o che non ci sia stata tentata frode, è peccare contro Dio e la sua parola.

Il commento di Leupold è più sul punto:

In questa breve dichiarazione è aggiunta un’altra caratteristica alla figura del primordiale stato di perfezione: nulla era traspirato da suscitare nell’uomo un senso di colpa. Non provare vergogna in uno stato perfetto è dovuto al non avere occasione per provare vergogna. Tutto era armonico e l’uomo era in completa armonia con se stesso e col suo Dio.3

La vergogna che Adamo ed Eva provarono alla loro caduta fece riferimento prima di tutto a Dio, dal quale si nascosero (Ge. 3:8), e secondo l’uno con l’altro. Di nuovo il commento di Leupold è biblico:

Genesi 3:7 …Che il senso di vergogna si debba concentrare su quella porzione del corpo che è marcata dagli organi di generazione, ha senza dubbio le sue radici più profonde nel fatto che l’uomo istintivamente sente che la vera fonte e sorgente della vita è contaminata dal peccato. Proprio l’atto della generazione è macchiato dal peccato. Se questa origine del senso del peccato descritta scritturalmente è accettata come vera, allora tutte le contestazioni degli antropologi che la vergogna è piuttosto la conseguenza di inibizioni e costumi decade come secondaria e accidentale.Il resoconto biblico va alla radice della questione. Il solo barlume di luce nel verso è il fatto che dove si senta la vergogna, il caso di chi ha fatto il male non è senza speranza. Non ha almeno ancora superato i sentimenti nella questione del fare il male. La grazia preveniente di Dio permette il sopravvenire di questo sentimento.4

Dopo aver trattato col significato di Genesi 2:25, è ora necessario rivolgersi alle sue implicazioni per la storia. Il sogno di Eden ha dominato a lungo la mente dell’uomo, la speranza di un ritorno al Paradiso. Molto spesso, una parte di questo sogno è stata un ritorno ad uno stato di nudità e d’innocenza, e alcuni gruppi, dagli Adamiti del Medio Evo ai nudisti d’oggi, credono che la strada per l’innocenza passi attraverso la nudità. In altre parole, si sostiene che il vestiario sia un fattore di provocazione e che gli uomini torneranno all’innocenza quando ritornano alla nudità. La caduta dell’uomo è pertanto ascritta al vestiario. Eliminate il vestiario ed eliminerete con ciò il peccato e tutti i problemi dell’uomo. Salute, pace della mente, fraternità ed eguaglianza ritorneranno col nudismo, si sostiene.

Questa tesi ha guadagnato il sostegno di psicologi e sociologi. In essenza è una fede religiosa. L’editore di Psycology Today l’ha chiamata “Un blando umanesimo”; umanesimo, comunque, chiaramente lo è. 5 La letteratura sul soggetto sottolinea così chiaramente il ritorno al tema del Paradiso che i nudisti, di regola, asseriscono che il nudismo non provoca in loro reazioni sessuali.

Lo psicologo Leonard BlanK di Rutgers ha però notato che “I nudisti presentano maggiori deviazioni di personalità, conflitti sessuali e inibizioni, e distorsioni delle immagini del corpo, dei non nudisti. Il suo studio ha anche dimostrato che l’appartenenza o la partecipazione in un campo nudista era sempre una decisione dell’uomo: “Mai la moglie voleva andarci più che il marito”.6 L’attrattiva del nudismo è il desiderio di ritornare all’Eden. Non dobbiamo sottovalutare le tendenze voyeuriste degli uomini coinvolti, ma il ritorno al Paradiso è chiaramente un fattore importante e basilare. Il voyeurismo è fin troppo soddisfatto in altri modi nella società moderna! La dichiarazione riassuntiva di Blank è sia rivelatrice che comica:

Il vestiario aiuta ad identificare la nostra posizione nella società e la nudità rimuove un pezzo importante di equipaggiamento di segnalazione. I nudisti rivendicano di potersi associare con altri senza essere catalogati per l’abbigliamento. Benché i nudisti possano idealizzare in qualche modo questa rivendicazione, il campo nudista effettivamente frantuma gli schemi che si trovano al di fuori. Sesso, classe e potere sono meno rilevanti in una società nudista e la sospensione di quelle barriere artificiali aumenta il cameratismo. Anche nel campo nudista ci sono scontri di personalità, combutte, e disaccordi tra gruppi. Non tutti trovano l’Utopia, lì: 30 % di chi ha risposto sarebbe toccato poco o niente se il campo chiudesse, il 26% sarebbe toccato in qualche modo e solo il 43% sarebbe molto toccato. Alla richiesta di elencare i loro tre migliori amici, il 49% non ha elencato un solo nudista.

Diversi colletti blu hanno detto che il nudismo ha permesso alle loro famiglie di associarsi con una classe migliore di persone senza essere catalogati per la loro uniforme o modo solito di vestire. Quando rimuoviamo uno dei principali puntelli della gestione dell’apparenza diminuiamo la lotta per la posizione. Nei campi nudisti lo status prende altre forme: la pelle chiara del visitatore sporadico è vista con disprezzo. Il fondoschiena di cotone, ovvero la persona col corpo abbronzato ma le chiappe bianche, possiede meno prestigio ma attira sguardi interessati.7

Non sorprende che psicologi e sociologi che condividono il mito che la via alla salute e all’innocenza sia attraverso la nudità la stiano provando come terapia. Lo psicologo Hollywoodiano Paul Bindrim, col dottor William E. Hartman, professore di sociologia al California State College, ha tenuto “maratone in nudo” come terapia per persone con problemi. Il suo titolo è sul punto: “Nudità come Arraffata Rapida d’Intimità nella Terapia di Gruppo.” Egli crede d’aver “quantomeno temporaneamente” curato: frigidità, impotenza maschile, esibizionismo, artrite, tendenze suicide, psicosi, e d’aver “rivitalizzato” matrimoni.8 È assai verosimile: la gente ha riportato di cure ancor più sorprendenti da piccoli talismani e una strampalata varietà di ciarlatanerie.9 L’usuale paziente psicopatico che consulta uno psicologo o uno psicanalista è spesso una persona che viene regolarmente “aiutata” o “curata” con una grande varietà di medici e cose.

Ma per tornare al nudismo e il Paradiso: prima di tutto, un ritorno all’Eden non è la speranza biblica. Eden era libero dal peccato, ma era lo stesso la società primitiva, gl’inizi dell’uomo, non la fine. L’obbiettivo è lo sviluppato regno di Dio, la Nuova Gerusalemme, un mondo sotto la legge di Dio.

Secondo, non c’è ragione per assumere che la nudità fosse la condizione basilare del Paradiso, vale a dire essenziale ad esso. L’enfasi del testo è sulla vergogna non sulla nudità. Possiamo assumere tranquillamente in vista di ciò che Adamo compì in Eden che vi fu speso del tempo. Nell’avere la responsabilità di lavorare e coltivare il giardino, Adamo ebbe bisogni di attrezzi, e possiamo assumere che abbia cominciato a costruirne alcuni. Certamente l’immediata evidenza di mestieri ed arti nei suoi discendenti indica inizi precoci. Inoltre, quasi subito Adamo sentì la necessità di un riparo, dopo tutto la fitta rugiada o vapore che al tempo irrigava la terra (Ge. 2:6) rese un riparo una necessità immediata. I piedi scalzi sull’erba bagnata fecero probabilmente decidere ad Adamo dopo il primo mattino, di sviluppare una risposta a quel problema, talché qualche tipo di calzatura fu adottato molto presto. Se non fu adottato prima della creazione di Eva, lo fu, possiamo tranquillamente assumere, sviluppato poco dopo su suo incitamento. Detto in breve, è normale assumere che, anche senza la caduta, il vestiario sarebbe stato inventato molto presto.

Terzo, in qualche forma, l’abilità di fare indumenti o coperture, magari per dormire, fosse già stata raggiunta. Quando furono colpiti dalla vergogna per la loro caduta, essi immediatamente “Cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture” (Ge. 3:7) o gonne. L’abilità c’era già. Degli indumenti potrebbero essere già stati fatti prima da Eva sperimentalmente per adornarsi o per coprirsi contro la brina del mattino. L’elemento nuovo era il desiderio di coprirsi a causa della vergogna del peccato.

Quarto, Adamo ed Eva erano soli in Eden, non esistevano ancora altre persone.

Così, è evidente che la fede del nudismo e dell’umanismo in una panacea nella nudità sia assurda. Un ritorno al primitivismo non è la soluzione ai problemi dell’uomo. Il desiderio di abolire le ineguaglianze e le differenze svestendo le persone non fa i conti col fatto che i vestiti non fanno la differenza nella società: la gente la fa, e, anche in un campo nudista, capi e seguaci, gente popolare e gente malvista, quanto varie demarcazioni di classi comunque appaiono malgrado le speranze del contrario.

La legge non è orientata la passato e alla nudità ma anzi, al futuro e al progresso via dal primitivismo. Non è senza ragione che la distinzione tra un popolo civile e uno non civilizzato appare in materia di vestiario quanto in altre materie. I nudismo è primitivismo ed è sia patetico che suicida come filosofia.

Note:

1 Cuthbert A. Simpson: Genesis” in The Interpreter’s Bible; I, 501. 2 R. Payne Smith: “Genesis” in Ellicott, I, 23.
3 Leupold: Genesis, p. 137 s.
4 Ibid., p. 154 s.

5 T. George Harris: “Editorial,” Psycology Today, vol. 3, n° 1 (giugno 1969), p. 17.
6 Leonard Blank: Nudity as a Quest of Life in the Way it Was Before the Apple,” in ibid., p. 20, 23. 7 Ibid., p. 21.
8 Paul Bindrim: “Nudity as a Quick Grab for Intimacy in Group Therapy” in ibid., p. 28.
9 Vedi Beverly Nichols: Powers That Be; New York: St. Martin Press, 1966.

 

 5. LA LEGGE DELLA FAMIGLIA

Uno strano passo della Scrittura indica un fatto giuridico comunemente trascurato. Caino, nell’udire da Dio la sentenza per omicidio, si lamentò, dicendo:

Il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare. Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo e sarò nascosto dalla tua faccia; e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà».

L’Eterno gli disse: Perciò, chiunque ucciderà Caino, egli sarà punito sette volte». E l’Eterno mise un segno su Caino affinché nessuno trovandolo, lo uccidesse.
Allora Caino si allontanò dalla presenza dell’Eterno e dimorò nel paese di Nod, ad est di Eden (Ge. 4:13-16).

Poiché Dio non cambia, i suoi propositi ultimi sono sempre impliciti nelle sua azioni precedenti, e perciò parte della cornice della sua dichiarazione a Caino è il suo ordine-giuridico. Vengono dunque immediatamente in mente alcune domande: Di chi aveva timore Caino? Chi temeva lo avrebbe ucciso? Che la paura fosse più che psicologica è evidente dal fatto che Dio “mise un segno su Caino affinché nessuno trovandolo, lo uccidesse.” È ovvio che Caino aveva bisogno di questa protezione. E ancora, perché Dio che fin da molto presto rese chiaro il suo requisito della pena di morte per omicidio (Ge. 9:6) agì qui per proteggere un assassino?

Prima di trattare queste domande, è importante fare un breve esame del testo. Leupold rende Genesi 4:14 in questo modo: “Ecco, oggi tu mi hai scacciato dalla terra ed io devo rimanere nascosto da Te, e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà.” Le parole di Caino chiaramente presuppongono la pena di morte per omicidio: La legge di Dio era stata dichiarata in precedenza, e Caino vede la necessità di scappare sia da Dio che dall’uomo, e si lamenta della probabilità che la pena venga inflitta. Il fatto che il suo fosse stato un crudele assassinio non gli fa alcuna differenza; egli sente la punizione come terribilmente ingiusta per lui.

Inoltre, Leupold traduce il verso 15b: “E Yahweh diede a Caino un segno che chiunque lo trovasse non lo uccidesse.” Leupold notò:

…che il testo non dice che Dio mise un segno in o su Caino (Ebraico- be) ma per Caino (Ebraico-le), contrassegnando un dativo d’interesse o vantaggio. Di conseguenza, dobbiamo piuttosto pensare di qualche sorta di segno che Dio permise di comparire per riassicurare Caino: “un segno di garanzia” o un “pegno o atto simbolico”. Come paralleli si potrebbero citare i segni concessi a certi uomini ai quali Dio aveva promesso cose inusuali: Gedeone (Giudici 6:36-40); Eliseo (II Re 2:9-12). Perciò, Dio fece apparire questo segno per Caino il quale si sentì rassicurato. Non c’è perciò nessuna ragione per supporre che Caino sia andato in giro come un uomo marchiato per il resto della sua vita. In ogni caso, ‘oth non significa “segno particolare”.1

Per tornare alle domande precedenti: di chi aveva paura Caino, e chi temeva potesse ucciderlo, la risposta è già evidente. Caino, assai ovviamente temeva che Dio, avendo dichiarato oralmente la sua legge all’umanità fin dal principio, avrebbe forse comminato Egli stesso la la pena di morte a Caino. Inoltre, temeva che anche altri uomini lo avrebbero ucciso perché la legge di Dio li poneva sotto l’obbligo di farlo. Le parole di Caino indicano chiaramente che un ordinamento giuridico era stato istituito. Caino era un uomo maturo e sposato (Ge. 4:17). Durante i suoi 930 anni di vita, Adamo ebbe un certo numero di figli e di figlie i cui nomi non ci sono stati dati (Ge. 5:3-5). Come risultato al tempo della morte di Abele esisteva già un numero di persone che erano pronte e capaci far far osservare la legge. Adamo, come capo della sua famiglia e della giovane umanità, era nella posizione di richiedere ai membri della famiglia l’applicazione della legge.

La famiglie era dunque chiaramente un ordinamento-giuridico, orientato alla disciplina e pronto ad esercitare la sua legge suoi suoi membri. Dio aveva chiaramente stabilito la famiglia come ordinamento-giuridico.

Questo ci porta alla nostra domanda più importante: perché allora, in apparente contrasto col resto della Scrittura, Dio qui si attiva per proteggere Caino dal venire ucciso? Chiaramente, lo scopo di Dio non fu di dare protezione al crimine. Ad ogni punto la Scrittura rivela Dio come il nemico del peccato, e la sua richiesta di giustizia è così severa e risoluta, che solo la morte di Gesù Cristo potè fare espiazione per il peccato compiendo appieno la legge. Ovviamente, dunque, il proposito di Dio qui non fu la protezione di Caino; piuttosto, la protezione di Caino fu un prodotto, un effetto collaterale del suo proposito centrale. Dio stesso è rivelato come l’accusatore di Caino, e la stessa terra, perché creata da Dio, testimonia della legge di Dio contro Caino (Ge. 4:9-12). La domanda che dobbiamo porci è dunque questa: che tipo di ordinamento giuridico stava Dio mantenendo che portò accidentalmente alla protezione di Caino? Questa è la domanda chiave e, sfortunatamente, i commentatori non la fanno.

La famiglia aveva molto chiaramente un serio ruolo nell’implementare la legge. La famiglia è un ordinamento-giuridico e disciplina i suoi membri. La natura e l’estensione del potere di punire della famiglia si può osservare guardando di nuovo ad un testo già considerato in precedenza: Deuteronomio 21:18-21, e la pena di morte per i delinquenti giovanili. Ci sono certi aspetti molto importanti di questa legge. Primo, i genitori devono essere testimoni d’accusa contro il loro figlio criminale. La fedeltà dei genitori deve quindi essere per l’ordinamento-giuridico di Dio, non i legami di sangue. Se i genitori non collaborano alla prosecuzione di un figlio criminale, diventano a quel punto complici del crimine. Secondo, contrariamente alla consuetudine, ove i testimoni prendevano l’iniziativa nell’esecuzione della pena, in questo caso “tutti gli uomini della città” lo dovevano fare. Pertanto, dove fosse coinvolta la pena di morte, la famiglia era esclusa dall’esecuzione della legge.

Ora, per tornare a Caino: Caino fu ovviamente allevato in una famiglia che era un disciplinato ordinamento-giuridico. Sia lui che Abele, come gli altri figli, erano lavoratori disciplinati e produttivi. Caino sapeva della pena di morte per omicidio e la temeva. La sorprendente protezione di Caino dalla pena di morte fu dovuta al fatto che la famiglia era preclusa da un’area di applicazione della legge: la pena di morte che appartiene propriamente allo stato. Ai giorni di Caino, l’umanità era costituita da Adamo ed Eva e un numero di figli e figlie. A Caino fu dato un “segno a garanzia” che non sarebbe stato giustiziato dai suoi genitori o dai suoi fratelli e sorelle. Ovviamente la famiglia ne fu informata, perché questa parte di Genesi (1:1-5:1) è il resoconto di Adamo. Più tardi, Caino costruì la prima città, cioè una comunità murata, per proteggersi. Caino non aveva bisogno di protezione dalla casa di Adamo; ne aveva bisogno dalla sua propria progenie. Abbiamo la dichiarazione di Lamech riguardo alla sua prontezza d’uccidere se il suo onore fosse stato leso (Ge. 4:23-24); è significativo che Lamech abbia semplicemente accresciuto l’empietà che Caino aveva praticato: “Se Caino sarà vendicato sette volte, Lamek lo sarà settanta volte sette” (Ge. 4:24).

Pertanto la famiglia fu creata come l’ordinamento-giuridico centrale, ma allo stesso tempo era rigidamente limitata nel fatto che la pena di morte le era preclusa. La famiglia può disciplinare, punire, e allontanare un membro, ma non lo può uccidere, a quel punto deve rivolgersi allo stato come semplice testimone del crimine. Non può essere l’esecutore della pena.

La famiglia ha poteri reali; un figlio malvagio può essere diseredato; può essere punito in una varietà di modi; ma il fatto basilare della legge biblica è che il potere di uccidere non è della famiglia perché la coercizione non è l’aspetto più forte della legge della famiglia. La famiglia è vincolata insieme da legami d’amore; il marito si unirà a sua moglie, e i figli obbediranno i genitori in amore e dovere.

Alla base della legge della famiglia c’è dunque il legame interiore di sangue e fede. La bibbia non parla di gratitudine (una parola non usata nella bibbia); il suo termine è riconoscenza, e questa è data per scontata, non richiesta. In capitoli precedenti abbiamo visto quanto l’autorità genitoriale e quella di Dio siano strettamente associate (Le. 19:3). Ciò è dimostrato ulteriormente da Isaia 45:9-10:

Guai a chi contende con chi l’ha formato, un frammento di vasi di terra con altri frammenti di vasi di terra. Dirà l’argilla a chi la forma: “Che fai?”, o dirà la tua opera: “Non ha mani?”. Guai a chi dice al padre: “Che cosa generi?”, e a sua madre: “Che cosa partorisci?”

Lo stesso concetto compare in Isaia 10:15. L’idea di qualcuno che sia irriconoscente a Dio o ai propri genitori è presentata come l’epitome di ciò che è ributtante e disgustoso. I genitori possono essere amabili oppure no, in ogni caso il dovere d’essere riconoscenti rimane. Oggigiorno, la mancanza di riconoscenza da parte di figli che ricevono non solo la vita, ma provvigioni generose e perfino ricche dai loro genitori, e lo stesso manifestano ingratitudine ad uno o entrambi i genitori, è particolarmente repulsiva. Tali figli possono anche non avere altri difetti morali ma se il passo di Isaia 45:9-10 ha qualche significato, sono mostri morali.

Questo passo da Isaia getta luce sulla salvezza di Caino dalla pena di morte. La disciplina della famiglia può significare il diseredamento; può significare la denuncia del figlio alle autorità civili; ma la pena di morte è riservata a Dio e allo stato. Dare quel potere alla famiglia sarebbe distruggere il vincolo interiore che la lega. La protezione di Caino pertanto non aveva riferimento a Caino come persona ma alla vita della famiglia e alla sua sfera giuridica.

La sola eccezione a questo principio della non-partecipazione della famiglia nella pena di morte dei suoi membri compare in Deuteronomio 13:6-9. Se un membro della famiglia avesse cercato di trascinare un altro membro nell’idolatria, l’esecuzione della sua pena capitale richiedeva la partecipazione della famiglia. Tale persona non era più un parente: era un alieno e un nemico. Divenne usanza successiva pronunciare nel circolo famigliare il servizio funebre sull’apostata: l’apostata non era più un membro della famiglia ma uno straniero e un nemico.

Dooyeweerd ha descritto la struttura psichica della famiglia come “il sentimento d’autorità dalla parte dei genitori, e dall’altro lato, il sentimento di rispetto dalla parte dei figli.”2 L’assenza o dell’autorità o del rispetto risulta in un serio sfacelo della famiglia come ordinamento-giuridico. La famiglia non è solo un’entità biologica ma anche una religiosa. In quanto tale, possiede legami interini che sono ordinati-da-Dio e governati religiosamente; l’amore può essere assente, ma l’autorità religiosa e il rispetto religioso devono rimanere. La loro assenza indica un male radicale. Nessun figlio può allegare che i suoi genitori non meritino rispetto; l’amore è il suo riscontro personale, ma rispetto ed onore sono i suoi doveri ordinati da Dio, e mancare di dare rispetto è pertanto un peccato contro Dio piuttosto che contro il genitore.

Come risultato, mentre genitori e figli possono e devono separarsi da un membro incorreggibile della famiglia e denunciarlo alle autorità, non possono metterlo a morte. Dio proibisce quest’azione a chiunque e la riserva allo stato. Similmente, a un figlio o a una figlia può non piacere un genitore e, con la maturità può separarsi in una certa misura mantenendo i suoi doveri ordinati-da-Dio, ma non può negare a quel genitore rispetto ed onore senza incorrere nel giudizio di Dio. Pertanto, non solo c’è un limite oltre il quale un genitore non può andare nel giudicare suo figlio, essendogli preclusa la pena di morte, ma c’è anche un limite oltre il quale un figlio non può andare: onore e rispetto devono essere resi a motivo della natura data-da-Dio della relazione, non necessariamente a motivo della persona del genitore. Dove questo rispetto sia mancante, il figlio dovrebbe essere trattato come se non esistesse, o quantomeno, per il momento come indegno d’attenzione. Quali che siano le loro qualità, questi figli sono in guerra con Dio su questo punto, visto che onore, rispetto e reverenza sono requisiti richiesti da Dio molto prima che i loro genitori attendessero la loro nascita.

Se Dio non avesse precluso la famiglia dall’uccidere i membri colpevoli, perfino al costo di lasciar andare libero Caino, il costo sarebbe stato terrificante. Da un lato, lo sviluppo dello stato come ministro di Dio per la giustizia sarebbe stato impossibile. L’ambito dello stato sarebbe a quel punto stato oggetto di prelazione da parte della famiglia. Dall’altro lato, la famiglia stessa sarebbe stata distrutta da questo nuovo onere. Il mondo sarebbe stato un ordine anarchico, una famiglia schierata contro l’altra, e la famiglia schierata contro se stessa. Non fu dunque Caino ad essere stato protetto da Dio ma in realtà lo stesso ordinamento giuridico di Dio.

Note:

1 Leupold: Exposition of Genesis, p. 211.

2 Herman Dooyeweerd: A New Critique of Theoretical Thought; Philadelphia: The Presbyterian and Reformed Publishing Comany, 1957, III. 294.

6. MATRIMONIO E MONOGAMIA

(Su questo tema, con particolare riferimento al concubinato c’è un’altro articolo in questo sito con un’esame più esteso a questo link. N.d.T.)

Uno dei fatti che sembrano turbare molte persone riguardo la legge biblica concernente i matrimonio è l’apparente tolleranza della poligamia e l’intolleranza totale dell’adulterio che nel Vecchio Testamento richiedeva la pena di morte. Oggi i moralisti tollerano l’adulterio ma non la poligamia. La risposta a questo conflitto di prospettive sta in un analisi della legge biblica.

Prima di tutto, è molto chiaro che il proposito di Dio nella creazione fu che la monogamia fosse la norma per l’uomo. Lo standard originale, perfetto, vide la creazione di Eva, una donna, per Adamo, un uomo (Ge. 2:18-24). Di norma il matrimonio è chiaramente monogamo.

Secondo, la poligamia chiaramente compare come un prodotto della caduta, in un mondo di peccato. Il primo matrimonio bigamo registrato è quello di un discendente di Caino, Lamech, che ebbe per mogli Ada e Zilla (Ge. 4:23).

Terzo, la proibizione della poligamia è implicita in Genesi 2:23-24, ed è dichiarata in una traduzione di Levitico 18:18: “Non prenderai una moglie oltre quella che hai, per angariarla, scoprendo la sua nudità mentre la prima è ancora in vita”. Le versione del Berkeley, mentre traduce nei termini della Versione King James, la separa però dalla legge sull’incesto (Levitico 18:6-17) e traduce la prima clausola con “mentre tua moglie è ancora in vita” che evidenzia la proibizione della bigamia.

Quarto, 1 Timoteo 3:2 rende chiaro che la poligamia era proibita a chi ha un ufficio nella chiesa: “Il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola moglie…”. I Montanisti lo lessero come un divieto di tutti i secondi matrimoni, che essi definivano bigami; un vedovo o una vedova erano in questo modo ancora vincolati dal matrimonio originale. Non c’è sostegno biblico per una tale interpretazione.

Quinto, c’è almeno un’implicita condanna della poligamia in Deuteronomio 17:17, che proibiva ai re di “procurarsi un gran numero di mogli”. Similmente, il sommo sacerdote poteva sposare una sola moglie, e questa doveva essere vergine (Le. 21:13, 14).

Sesto, Gesù ha chiaramente affermato che il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna, e che questo è il significato di Genesi 2:24; sono i due ad essere “una sola carne” vale a dire un vero matrimonio (Mt. 19:5).

Settimo, san Paolo parlò del matrimonio in termini di monogamia: “Ogni uomo abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito” (1 Co. 7:2).

Passo dopo passo, è dato per scontato che la monogamia sia la norma ordinata da Dio. Dall’altro lato, in molti passi, la poligamia è un fatto riconosciuto e accettato, non solo tra i reprobi, come Lamech (Ge. 4:19) ed Esaù (Ge. 26:34; 28:9; 36:2), ma anche tra i patriarchi e i santi. Giacobbe ebbe due mogli e due concubine (Ge. 29:15 ss.); Elkanah due mogli (1 Sa. 1:1-2); Gedeone, Davide, e Salomone molte mogli e anche concubine. Adamo, Noè, Lot, Isacco, Mosè, e molti altri, furono monogami. I casi di poligamia nella bibbia non sono moltissimi, ma ci sembrano cospicui in ragione della loro diversità dagli standard e pratiche che noi abbiamo.

In effetti la legge riconosceva e regolava concubinato e poligamia. Primo, un uomo non poteva semplicemente sfruttare una concubina. Ella aveva diritto al suo cibo, al suo vestiario, e a relazioni sessuali senza diminuzioni; mancare di fare queste tre cose era cagione di divorzio, senza alcuna detrazione dalla dote o dal denaro nunziale che le doveva essere restituito (Es. 21:10, 11). Non potevano essere negati questi suoi diritti nemmeno a una prigioniera di guerra (De. 21:10-14).

Secondo, una “schiava promessa a un uomo” (Le. 19:20), cioè una ragazza che era stata accaparrata come concubina, non poteva essere messa a morte per adulterio; ambedue, lei e l’uomo colpevole potevano essere puniti solamente con la fustigazione. La ragione è data: “Non saranno messi a morte perché ella non era libera” (Le. 19:20). Qui è chiaramente in evidenza un principio: a chi molto è dato, molto sarà richiesto. Ma poiché a una concubina è data una condizione limitata e riceve minore dignità nel matrimonio, ci si può aspettare solo una lealtà limitata. Ci si aspettava che fosse fedele, ma in caso d’adulterio la sua punizione era minore perché la sua posizione era inferiore a quella di una moglie accompagnata da dote. La moglie aveva la sicurezza economica della propria dote e una posizione d’autorità; la sua punizione per adulterio, quanto la punizione di suo marito per adulterio, era la morte.

Terzo, è pertanto evidente che la legge tollerava la poligamia mentre stabiliva la monogamia come norma. La ragione per questa tolleranza era il fatto che la famiglia poligama era ancora una famiglia, una forma inferiore di famiglia, ma una forma tollerabile (mentre non lo è la poliandria perché viola la centralità basilare dell’uomo e della sua vocazione). La legge biblica quindi, protegge la famiglia, e non tollera l’adulterio, che minaccia e distrugge la famiglia. La legge umanistica protegge l’individuo anarchico negando che l’adulterio sia un reato, e sacrifica progressivamente la famiglia all’individuo.

Pertanto, la poligamia è tollerata nella legge biblica, ma la norma stabilita dal comando alla creazione, e dettata da san Paolo per membri (1 Co. 7:2) e per ufficiali (1 Ti. 3:2) del regno di Cristo è la monogamia.

Detto questo, è necessario aggiungere che l’antica poligamia aveva spesso aspetti diversi da quello sessuale. Un aspetto importante dell’antica poligamia era la sua funzione governativa. Un uomo ricco aveva bisogno di associati degni di fiducia che assumessero il governo di un asse patrimoniale, o un governante aveva bisogno di persone che agissero come suoi mandatari in una provincia o in una città. Una moglie era usualmente il socio più affidabile in tali circostanze. Molto comunemente la donna era una vedova di un ufficiale o di un governante d’esperienza, spesso anziana, talché le relazioni sessuali frequentemente nemmeno avvenivano. Di tanto in tanto, ella riceveva la visita del marito la cui autorità rinforzava la propria con la sua visita. Se dimorava nella casa del marito, tale moglie era affidataria della supervisione di certi aspetti della sua attività.

Nel caso di Salomone, la maggior parte delle sue mogli e concubine rappresentavano alleanze estere ed erano un mezzo per stabilire la pace con Israele e favorevoli relazioni commerciali con esso. Se erano sessualmente attrattive, ciò aumentava la loro utilità. Una principessa mandata alla corte di Salomone sarebbe stata accompagnata da diverse signore di sangue nobile come damigelle d’onore e alcune concubine o ragazze di servitù; tutte venivano mandate con in mente il vantaggio della nazione madre. Le mogli poligame sono quindi state una risposta comune alla necessità di un servizio civile.

Forme di questa poligamia governativa sopravvivono ancora in varie parti del mondo, benché stiano scomparendo.

Un’altra forma di poligamia è quella economica; questo è prevalente specialmente in culture “primitive”. In tribù africane, per esempio, poiché molto del lavoro agricolo dipende dalla moglie, una seconda moglie significa un altro lavoratore nei campi. Non sorprende affatto che nella poligamia economica, la moglie sovraffaticata accolga volentieri l’aiuto nella forma di mogli aggiuntive.

Una forma più rara di poligamia è stata come rimedio per un disastro. Tali occasioni sono state molto rare, e il pretesto della necessità invece è stato usato spesso. La poligamia dei Mormoni era religiosa e soteriologica; non c’era una grande disponibilità di donne, ma la poligamia fu ritenuta essere un requisito o comandamento religioso. La Guerra dei Trent’Anni portò una tale terribile devastazione, talmente tanti uomini uccisi, e così tante donne lasciate senza protezione, che la Dieta legalizzò la poligamia per breve tempo per poter mettere in atto una restaurazione della vita famigliare.

La maggior parte della poligamia, specialmente in tempi moderni, è stata per scopi essenzialmente sessuali, ed è questo tipo di poligamia che i più associano alla parola. L’oggetto dei sogni degli uomini sciocchi è la supponente capacità maschile di usare a proprio piacere un certo numero di donne. Quest’idea è piuttosto un’illusione. Parecchie cose militano contro questo sogno. Primo, i matrimoni poligami sono comunque ancora matrimoni, implicano l’unione di due famiglie. La moglie o concubina non può essere trattata a proprio piacere senza offendere i parenti di lei. In un matrimonio poligamo, la donna tende ad essere più vicina alla propria famiglia che al proprio marito. I maltrattamenti alla moglie possono portare guai seri coi parenti di lei che a quel punto sono nemici. Assai pochi uomini sono stati sufficientemente potenti da trascurare questo fattore. Esclusi alcuni monarchi, gli uomini di qualsiasi generazione che sono stati in grado di disprezzare la famiglia della donna sono stati scarsi. In una famiglia poligama, i legami con la famiglia d’origine sono usualmente intensi e gelosi.

Secondo, se un sultano non ha necessità di temere la famiglia della sposa perché è troppo potente, deve comunque ancora temere le sue moglie e le sue concubine, che possono fargli molto del male. I sultani turchi fecero annegare mogli e concubine in gran numero. Sappiamo che fino a 300 donne furono fatte affogare in qualche occasione, talvolta per intrighi, talvolta per piacere durante il regno di Ibrahim, il quale, dopo una delle sue baldorie, decise di liberarsi del suo vecchio harem e di divertirsi a rimpiazzarlo.[1] Ma bisogna aggiungere che, anche i sultani turchi, quando non assassinavano le loro mogli, si muovevano con un certo timore di esse. La favorita del sultano per quella notte veniva fatta sgattaiolare segretamente dentro la sua stanza per evitare gli sguardi gelosi delle altre donne dell’harem e della favorita o regina. Inoltre, sia l’usanza sia la voglia di una relazione soddisfacente richiedevano che il sultano la pagasse in denaro, gioielli e vestiario in proporzione al piacere ricevuto.[2] Ove la relazione tra padrone e le donne del suo dell’harem si fosse affievolita, questi regali erano necessari per aggiungere incentivi alla relazione. Perciò, perfino col potere di assassinare le proprie mogli a piacere, il sultano doveva intrufolarsi nella stanza prescelta come un adultero per poter vivere con la proprie mogli.

Terzo, in qualsiasi società, che sia poligama o monogama, esistono certi obblighi tra marito e moglie. Questi doveri non sono così severi nel matrimonio monogamo perché lì marito e moglie normalmente lavorano insieme per un obbiettivo comune. Nei matrimoni poligami, gli obblighi del marito sono elencati con maggior precisione per prevenire l’abuso di qualsiasi moglie. L’esempio che segue è tipico:

Tra diverse tribù del deserto Arabo-Siriano un uomo deve dividere le sue attenzioni nunziali tra le due mogli in parti eguali. Deve alternare una notte trascorsa con l’una a una notte trascorsa con l’altra. Ciascuna delle mogli cuoce per lui a turno e quel giorno è diritto della donna passare la notte con lui, sia che coabiti con lei oppure no. Se il marito trascorre una notte con una moglie quando non è il suo turno, deve compensare l’altra con una pecora o una capra come prezzo per la sua notte. Talvolta le due mogli concludono un’affare e una di esse compera una notte dall’altra cui spetterebbe il turno.[3]

In questo ci sono certe cose che sono implicite di cui raramente è stato scritto qualcosa, ma che sono di dominio pubblico in nazioni poligame. I diritti sessuali del marito in un matrimonio poligamo sono tecnicamente vasti ma in realtà severamente limitati; egli paga per qualsiasi libertà eserciti. In più, egli affronta mogli litigiose che sono rivali per il suo favore ma come donne sono unite contro di lui. Se ha due o più mogli deve godere la cucina di tutte; se con la cucina di una si tiene leggero, ella è furiosa e gelosa. Allo stesso tempo si vanterà con le altre di come si sia ingozzato col dolce che gli ha servito all’ora di andare a letto. In maniera simile ogni moglie si vanterà della sua bravura a letto con lei. In questo modo, lo stanco marito si sentirà dire da una moglie furiosa di come fosse stato passionale la notte scorsa con un’altra; lo comprovi stanotte con lei anziché riposare. Il mattino dopo ella dichiarerà alle altre donne quanto poco ha potuto dormire quella notte a causa della continua furia amorosa del marito. Di conseguenza , il pover’uomo è nei guai con la prossima moglie e certo che ci sarà un’altra notte di tormenti. La sfiducia e l’odio della donne è impresso profondamente in tutte le società poligame, e gli uomini poligami non sono conosciuti come amanti della casa. La vita di un marito poligamo è di apparente potere ma di reale schiavitù. Si può aggiungere che, poiché le donne di un harem hanno i loro diritti di letto fissati a rotazione, c’è spesso meno interesse nell’essere piacevoli di persona, di maniere e d’aspetto. I diritti matrimoniali, la minaccia di guai dalla famiglia di provenienza, il prestigio che proviene dal partorire figli, tutti danno alla donna una posizione di potere. Il potere dell’uomo può essere brutale, come evidenzia in forma estrema il potere del sultano di assassinare. Il potere della donna in nazioni poligame proviene dallo sfruttamento delle sue armi strategiche. Non sorprende che nella società poligame la donna sia temuta come l’epitome del male. Buddha disse: “La donna è la personificazione del male”. L’opinione araba moderna è simile.[4]

Possiamo pertanto concludere che, quarto, solo nella monogamia l’uomo ha diritti reali perché solo nel matrimonio monogamo c’è una vera unione tra marito e moglie. Al posto della competizione per i favori del marito, il matrimonio cristiano monogamo vede la donna unita a suo marito in pia fede e amore. C’è fiducia anziché rivalità. In tale matrimonio l’uomo è a capo di un amore, servizio e lealtà che non sono comuni alle unioni poligame. Egli esercita diritti sconosciuti in altre culture. Non è un incidente storico che nelle nazioni cristiane le donne siano più responsabili, più capaci di lavoro produttivo, e molto più attraenti che in altre culture. Il matrimonio cristiano monogamo è matrimonio nella sua forma più vera perché è fedele alle leggi della creazione.

Il significato sociale dello standard biblico è evidente nella ricerca di J. D. Unwin. La legge biblica confina il rapporto sessuale al matrimonio e mantiene che il matrimonio monogamo è la norma. Pertanto è richiesta la castità prima del matrimonio e anche la fedeltà dopo. Unwin cominciò la sua ricerca determinato a dissolvere l’idea che esista qual che sia necessaria connessione tra il livello di di civilizzazione e la sua moralità sessuale. Trovò invece che se conosciamo le regole e i comportamenti sessuali di una società possiamo accuratamente “profetizzare” (e la parola è la sua) “la forma del suo comportamento culturale”. Lo sviluppo mentale e l’avanzamento culturale vanno mano nella mano con lo sviluppo di una stretta monogamia e della castità prima e dopo il matrimonio. Una società permissiva prima e dopo il matrimonio è ad un livello di morte culturale e mentale. Progredisce nella misura in cui le sue normative sessuali vanno verso una stretta monogamia. In tre generazioni l’impatto di di una nuova moralità si fa pienamente sentire. Come risultato, Unwin percepì che le rigide norme di castità e continenza non possono essere innaturali visto che sono produttrici del meglio in natura.[5] È significativo che il tentativo di Unwin di stabilire standard morali per una nuova società, artificialmente o razionalmente, sia stato un fallimento intellettuale; niente può prendere il posto delle motivazioni religiose per gli standard morali.[6]

È significativo anche che quelli che idealizzano la promiscuità e la licenziosità come un ideale per l’uomo possano trovare i loro standard solo in culture molto “primitive” o degradate. Due opere che hanno grandemente influenzato la moderna licenziosità sessuale anti-cristiana sono The Sexual Life of Savages di Bronislaw Malinowski (1929) e Black Eros, The Sexual Customs of Africa from Prehistoric times to the Present Day di Boris de Rahcewiltz (1956, in Inglese, 1964). Lo studio di Malinowski degli abitanti dell’isola di Trobiand è stato chiamato “virtualmente la bibbia di tutti i sostenitori del praticare l’amore di gruppo”.[7] Il commento di Blake sulla supposta società ideale dei Trobiandesi di Malinowski è sul punto:

…il noto antropologo ha dichiarato inequivocabilmente che i “Nel terzo decennio del nostro secolo (1920-1930) i Trobiandesi non sanno di perversioni sessuali, di psicosi funzionali, di omicidi a sfondo sessuale: non hanno una parola per ‘furto’; l’omosessualità e la masturbazione per loro non significano nient’altro che mezzi di gratificazione sessuale innaturali e imperfetti, segni di disturbata capacità di raggiungere la soddisfazione normalmente. La forma di vita sessuale accettata è la monogamia senza compulsione, una relazione può venire dissolta senza difficoltà; così non c’è promiscuità”.
Naturalmente, non c’è promiscuità, tecnicamente parlando, dove non ci sono leggi o tabù sociali. Se non ci fossero leggi contro l’omicidio non ci sarebbero nemmeno omicidi. Dove non ci sia obbligo, non ci sia responsabilità da parte di nessuno, è abbastanza semplice dire che il problema della violenza, dell’adulterio, dell’amore per i figli, del mancato sostegno, ecc. non esistono.[8]

Oggi prevalgono simili giustificazioni. Ci assicurano che con l’abbandono delle leggi contro la pornografia la Danimarca ha visto un crollo dei reati a sfondo sessuale, ma non ci dicono che la maggior parte delle perversioni non sono più considerate reati penali talché il declino dei reati è in realtà un declino di applicazione della legge. In un tale contesto le statistiche non solo non valgono nulla: sono disoneste.


Note:

1 N. M. Penzer: The Harem; London: Spring Books, 1965, p. 185 s. 2 Ibid., p. 181 s.

3 Raphael Patai: Golden River to Golden Road, Sociaty, Culture and Change in the Middle East; Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1962, p. 94.

4 vedi Youssef El Masey: Daughters of Sin: The Sexual Tragedy of Arab Women; New York: Macfadden, 1963, p. 87.

5 vedi Joseph Daniel Unwin: Sex and Culture; Oxford University Press, 1934; Sexual Regulations and Cultural Behaviour, An Address delivered before the Medical Section of the British Psycological Society, 27 Marzo 1935 (Oxford, 1935); “Monogamy in a Condition of Social Energy” in The Hibbert Journal, vol. XXV, n° 4 (Luglio 1927), pp. 662-677.

6 Vedi J. D. Unwin: Hopousia, or The Sexual and Econici Foundations of a New Society; New York: Oskar Priest, 1940.

7 Roger Blake: The Free Love Groups; Cleveland: Century Books, 1966, p. 89. 8 Ibid., p. 94 s.

7. INCESTO

La legge biblica proibisce l’incesto (Le. 18:7-17; 20:11, 12, 14, 17, 20, 21: De. 22:30; 27: 20, 22, 23) e nella maggior parte dei casi per questo reato richiede la pena di morte.

Le leggi sull’incesto possono essere brevemente riassunte. Le relazioni sessuali e/o i matrimoni sono proibiti con madre, padre, matrigna, sorella o fratello, sorellastra o fratellastro, una nipote, una nuora (o genero), con una zia (o zio), con la moglie del fratello la cui punizione era invece portare la pena della propria iniquità e morire senza figli (Le. 20:19-21).

È importante capire qui il significato di “non avranno figli”. Chiaramente non significa che non sarebbero nati dei figli, perché allora come ora le relazioni o i matrimoni incestuosi hanno prodotto dei figli. Il Talmud rivela che un figlio nato da incesto o adulterio era precluso dallo sposarsi regolarmente all’interno della comunità.[1] Una tale coppia era priva di figli nel senso che non aveva eredi legittimi nella loro progenie.

La domanda che sorge nella mente moderna, nel leggere la legge biblica su questo punto, è molto semplicemente questa: Perché fu necessario proibire tali unioni così poco appetibili? Un professore universitario ridicolizzava regolarmente la legge che diceva d’aver visto incisa in una cattedrale inglese: “Tu non sposerai tua nonna”. Chi, chiedeva costui, avrebbe voluto sposare la propria nonna? La sua ignoranza della storia era notevole. Nella storia sono stati probabilmente contratti più matrimoni con in mente la proprietà che con in mente il sesso. La confisca di assi patrimoniali mediante matrimoni forzati, e la prevenzione dell’alienazione o la dispersione di patrimoni e proprietà famigliari mediante matrimoni interni alla famiglia è storia vecchia di secoli. Il declino di famiglie europee reali e nobili, quanto una perdita di forza nell’aristocrazia ebraica americana, è uno sviluppo che ha viaggiato parallelamente ad estensivi incroci tra consanguinei.

Il proposito della poliandria in Tibet fu di mantenere intatta l’eredità terriera. Al posto di frazionare i diritti ereditari sulla terra, tutti i fratelli dividevano una moglie in comune e mantenevano la terra intatta conformando il matrimonio ad un ideale di società resa stabile e una trasmissione della terra non spezzettata.

Le leggi sull’incesto furono date per mezzo di Mosè. Prima di allora l’incesto chiaramente non era considerato sbagliato. Lo stesso padre di Mosè, Amram, sposò una giovane zia, sorella di suo padre Jokebed (Es. 6:20). La pratica dell’incesto continuò in molte zone del mondo fino a data molto più tarda. Perciò in Assiria esisteva un problema a motivo del protrarsi della pratica. Un figlio, “Dopo la morte del padre riposa tra le braccia della madre o della matrigna”, mentre il padre “Doveva fare con figlie e nipoti”.[2]  La pratica assira rappresentava sessualità perversa, quella di Amram e di altri era un’innocenza pre-legislativa riguardo ad una pratica sbagliata.

In Egitto, matrimoni tra fratelli e sorelle erano la norma tra i faraoni, e in alcuni distretti egiziani, tali matrimoni furono la maggioranza delle unioni fin dentro il II secolo d.C.. Il prevalere in Egitto dell’accettazione di tali matrimoni fece della legge mosaica una rottura ancor più radicale col passato egiziano.

Ovviamente, i figli di Adamo si sposarono tra loro; altrettanto ovviamente matrimoni tra parenti avvennero nella storia che seguì. La bibbia parla di Abrahamo che sposò Sara, probabilmente una mezza sorella (Ge. 20:12); apparentemente avevano il padre in comune. L’altro caso, Amram, è già stato citato.

I registri indicano che i matrimoni consanguinei in tempi antichi erano privi di danni genetici, mentre oggi il danno genetico è grande. Le potenzialità genetiche di Adamo ed Eva in Eden erano completamente buone. Dopo la caduta, che toccò l’uomo totalmente, dei difetti erano sicuramente presenti ma recessivi, che venivano alla ribalta col progredire dei matrimoni consanguinei. Arthur C. Custance ha richiamato l’attenzione alla situazione attuale rispetto alle unioni consanguinee.

Da un punto di vista matematico, la situazione si può spiegare in questo modo: che l’accoppiamento tra primi cugini (come nel caso di Darwin, per esempio, o quello di sua cugina Caroline) risultano nella progenie che ha geni identici con un rapporto di 1 a 7. Molti di questi geni saranno mutanti recessivi e pertanto di detrimento al possessore quando ereditati omozigoticamente. L’accoppiamento di zio con nipote o zia con nipote alza il rapporto a 1 a 3. L’accoppiamento tra fratelli e sorelle alza il rapporto, spesso disastrosamente a 1 a 1. [3]

Questi pericoli non esistevano nei primi tempi. Genesi è scritto con una consapevolezza, per esempio, che l’omicidio è un peccato, e adulterio, furto e falsa testimonianza pure, ma senza consapevolezza che il matrimonio all’interno dei gradi di parentela proibiti fosse una pratica sbagliata o pericolosa. A quel tempo il pericolo non esisteva. L’incesto è un crimine biologico, ma nondimeno un crimine terrificante, e la punizione comandata da Dio è la pena di morte. Uno studio sui “Rischi sulla prole dell’incesto” in The Lancet, (Londra), 25 febbraio, 1967. (p. 436), è significativo per quanto concerne il pericolo geneticamente:

A volte ai medici vengono consultati riguardo a se sia consigliabile l’adozione di bambini nati da incesto. Tali bambini avranno un aumentato rischio di essere affetti da condizioni recessive. Per poter fare una stima dell’estensione di questo rischio, nel 1958 ho invitato Children’s Officers a farmi sapere in prospettiva di gravidanze o di nuove nascite nelle quali fosse conosciuto che la gravidanza o la nascita fosse il risultato di incesto tra parenti di primo grado.

Questi bambini furono seguiti in prospettiva e in modo anonimo attraverso Children’s Officers. I bambini mi erano noti solo con un numero e tutta la corrispondenza fece riferimento solo al numero assegnato al bambino. Mi furono riportati tredici casi d’incesto (6 padre-figlia e 7 fratello-sorella) nel 1958 e 59, e le ultime informazioni su di loro risalgono al 1965 quando i bambini avevano dai 4 ai 6 anni. Riassumo lì le informazioni riguardanti questi 13 bambini.

Tre bambini sono morti: uno a 15 mesi di fibrosi cistica del pancreas, confermata dall’autopsia; uno a 2 mesi e mezzo di progressiva degenerazione cerebrale con cecità; e uno a 7 anni e 11 mesi di Tetralogia di Fallot (questo bambino aveva un Q.I. di 70). Un bambino e severamente subnormale con parecchio ritardo dello sviluppo, e fu considerato non esaminabile a 4 anni e 9 mesi quando ella aveva un vocabolario di una sola manciata di parole. Quattro bambini sono educativamente sub-normali: Il Q.I. conosciuto di tre di essi è 59, 65 e 76. Il resto dei bambini è normale.

Il rischio che genitori condividano un gene recessivo in casi di incesto tra parenti di primo grado sarà quattro volte superiore di quanto sarebbe tra primi cugini.[4]

Custance traccia alcune inferenze importanti da questi ed altri dati. L’incesto oggi è chiaramente un detrimento genetico in una grande percentuale dei casi. Con ciascuna generazione il numero dei geni danneggiati aumenta anziché diminuire. Questo significa che la lunga storia dell’uomo ipotizzata dagli evoluzionisti è impossibile per il fatto che allora il deterioramento genetico sarebbe molto avanzato.

Il registro biblico mostra in realtà solo 77 generazioni da Adamo a Cristo, e se ci aggiungiamo i 2000 anni da allora abbiamo qualcosa come 100/120 generazioni a coprire tutta la storia umana. Considerato che l’accumulo di geni difettosi è significativo solo nei termini dei loro effetti sulla base delle successive generazioni, non è per niente inverosimile che i primi esseri umani (cioè Adamo ed Eva) fossero di fatto perfetti, e che il danno che è cominciato a venir fatto dopo la Caduta si sia accumulato fino a raggiungere la situazione presente in cui ci sono ancora alcune possibilità successo nell’accoppiamento fratello-sorella, benché le probabilità siano sfavorevoli. Al tasso con cui queste mutazioni accadono in ciascuna generazione, secondo l’attuale teoria genetica, non ci si aspetterebbe di trovare nessun segmento non danneggiato nel ceppo genetico ereditato dall’individuo se la razza umana si fosse moltiplicata per migliaia e migliaia di generazioni. Saremmo tutti ormai così geneticamente danneggiati che nessun matrimonio fratello-sorella potrebbe più avere alcun successo.

Dall’altro lato, prendendo la storia biblica così com’è, i figli e le figlie di Adamo (Ge. 5:4), dei quali Caino era uno e sua moglie un’altra, non sono necessariamente portatori di niente di più che un mero segno nel ceppo genetico e tale matrimonio non dovette mettere in pericolo la prole.

C’è, sorprendentemente sufficiente evidenza diretta nella Scrittura che questa interpretazione degli eventi è strettamente reale, perché ci viene presentata prima di tutto una lista di discendenti immediati per qualcosa come dieci generazioni da Adamo a Noè che goderono ciò che deve essere descritto come una magnifica vitalità. Si consideri per un momento ciò che stava succedendo in questo periodo di tempo. Prima del Diluvio, l’uomo potrebbe benissimo essere stato protetto, quantomeno da una fonte di pericolo ai geni: la radiazione cosmica, dall’esistenza di qualche tipo di barriera nell’atmosfera superiore. Ci sono molti che credono che questa barriera sia scomparsa al tempo del Diluvio e potrebbe infatti essere in correlazione con quell’evento. La popolazione pre-diluviana (ambedue uomini e animali si noti) potrebbe pertanto aver sofferto poco danno ai loro geni lungo ciascuna generazione successiva mentre esistevano ancora queste condizioni ambientali.[5]

Chiaramente, la storia ha visto la degenerazione genetica. Però, in nazioni cristiane la riproduzione selettiva ha portato ad un certo grado di eliminazione progressiva di molte persone con difetti. Tra gli armeni, i matrimoni combinati hanno prevalso in Armenia fino alla Prima Guerra Mondiale, e una richiesta di routine da parte dei genitori prima di proseguire con qualsiasi ulteriore negoziazione era un registro famigliare geneticamente pulito per sette generazioni. Come risultato, molti difetti genetici furono eliminati e sconosciuti agli armeni. In ogni nazione cristiana è prevalsa qualche forma di criterio.

Possiamo ipotizzare, inoltre, che, proprio come Dio introdusse problemi genetici con la Caduta dell’uomo, così, con la progressiva redenzione dell’umanità saranno stabilite nuove condizioni di vita. L’evoluzionista, invece, può aspettarsi solamente il progressivo deterioramento e, nel timore di questo, cerca d’imporre sull’uomo un rigido controllo totalitario.

Questi controlli sono necessari per l’uomo umanista e allo stesso tempo sono impossibili. Egli vuole il miglioramento dell’uomo, ma egli è per natura un trasgressore della legge. In questo modo egli cerca deliberatamente di trasgredire le stesse leggi da cui dipende la sua sopravvivenza.

È stata richiamata l’attenzione alla sensualità perversa degli assiri. L’incesto è esistito tra i pervertiti in ogni generazione, ma in alcune epoche, trasgredire la legge è diventato una questione di principio. Col Rinascimento e il suo rivitalizzato umanismo, divenne obbiettivo comune essere immorali in maniera elegante. Il Signore Pierre de Bourdeilles Brantome (c. 1530-1614) è un abile e vivido cronista della Francia in quell’epoca. Come notò George Harsdorfer: “Il cortigiano Brantome vede tutta la storia dalla prospettiva dell’arguzia da salottino”.6 Il trattamento casuale dell’incesto e la sua facile giustificazione da parte di Brantome sono degni di nota:

Ho similmente sentito parlare di un grande Signore di una terra straniera, il quale aveva una figlia che era una delle donne più belle al mondo; ed ella era richiesta in matrimonio da un altro grande Signore che era ben degno di lei e il padre acconsentì. Ma prima di permetterle di andar via di casa, fu voglioso di provarla egli stesso, dichiarando che non avrebbe lasciato andare una così fine cavalcatura, e una che aveva così attentamente allevato, senza averci prima egli stesso cavalcato, e scoperto com’ella avrebbe potuto procedere per il futuro. Non so se la storia sia vera, ma ho sentito che lo è, e che non solo la prova la fece, ma che la fece anche un altro avvenente e galante gentiluomo da iniziare. E lo stesso il marito non trovò successivamente niente d’amaro, ma tutto dolce come lo zucchero, perché ella era una delle dame più belle del mondo.

Ho sentito raccontare storie simili di molti altri padri e in particolare di un grande nobiluomo, nei confronti delle loro figlie. Poiché più avanti essi hanno detto di non aver mostrato più coscienza di quella del Gallo della favola di Esopo….

Lascio alla vostra immaginazione cosa alcune damigelle possono fare coi loro amanti perché non è ancora esistita una damigella che non abbia avuto o non fosse vogliosa d’avere un amante, e che ce ne sono state alcune con le quali han fatto quella parte fratelli, cugini e parenti.

Ai nostri giorni Ferdinando, Re di Napoli, conobbe così in matrimonio la propria zia, figlia del Re di Castiglia, dell’età di 13 o 14 anni, ma questo con dispensa del Papa. Al tempo furono sollevate difficoltà riguardo a se tal dispensa dovesse o potesse essere data. Più avanti egli non fece altro che seguire l’esempio di Caligola, l’Imperatore Romano, il quale corruppe ed ebbe rapporti con ciascuna delle sue sorelle, una dopo l’altra. E oltre tutto il resto, amò fino all’eccesso la più giovane, di nome Drusilla, che aveva deflorato quando ancora ragazzina. E più tardi, essendo allora sposata con un certo Lucio Cassio Longino, un uomo di rango consolare, la tolse al marito e visse con lei apertamente come fosse stata sua moglie — così tanto infatti che essendo in un occasione caduto malato la fece erede di tutto ciò che aveva, incluso l’Impero stesso. Ma avvenne che ella morì. Caligola pianse così tanto dolorosamente la sua morte che fece un proclama che chiudeva i tribunali e fermava ogni altra attività, per costringere la gente a fare pubblico cordoglio assieme a lui. E per un certo periodo portò i capelli lunghi e non tagliò la barba per amore di lei, e quando arringava il Senato, il Popolo o i suoi soldati non giurò mai se non per il nome di Drusilla.

Quanto alle altre sorelle, dopo che se ebbe soddisfatto, le prostituì e le consegnò ai suoi paggi più importanti che aveva spinto avanti e “conosciuti” in modo perverso. Malgrado tutto questo egli non fece alle sorelle un male oltraggioso, visto che ne erano abituate, e che era un male piacevole, come l’ho sentito chiamare da alcune damigelle quando furono deflorate e da alcune donne che erano state violentate. Ma oltre a tutto questo, egli le coperse di mille indegnità; le mandò in esilio, tolse loro tutti i loro anelli e i gioielli per cambiarli in denaro, avendo sperperato e male investito tutta l’immensa somma che Tiberio gli aveva lasciato. Ciò nonostante, le povere ragazze, tornate dall’esilio dopo la sua morte, avendo visto il corpo del fratello malridotto e malamente seppellito sotto poche zolle di terra, lo fecero dissotterrare, bruciare, e seppellire più onorevolmente che poterono. Sicuramente un’azione buona e nobile da parte di sorelle verso un fratello così spietato e contro natura!

L’Italiano, per scusare l’amore illecito del suo connazionale, dice che … “Quando messer Barnardo, il giovane bue, si erge in collera e passione, non ascolta leggi e non risparmia signora”.[7]

Con l’ascesa del Romanticismo, fu rianimato anche l’interesse per l’incesto. Il poeta Shelley si volse alla storia Rinascimentale per il racconto di una famiglia degenere, la ricca famiglia romana di Francesco Cenci. Cenci commise incesto con sua figlia Beatrice (1577-1599), la quale, con l’aiuto della matrigna e di suo fratello Giacomo, lo fece uccidere da un assassino prezzolato, il quale piantò un chiodo nel cervello del Cenci il 9 settembre, 1598. Beatrice era lungi dall’essere bella e in nessuno modo morale; ella diede alla luce, prima del suo processo, ad un figlio illegittimo. Shelley, però, la fece sia pura che bella, e trasformò la storia in parte in un attacco al papato. Nella Prefazione egli dichiarò lo scopo che aveva nel The Cenci: “Il sommo proposito morale a cui si punta nella sublime specie della prosa, è insegnare il cuore umano, mediante le sue simpatie e antipatie, la conoscenza di sé; nella proporzione in cui c’è il possesso di quella conoscenza, ogni cuore umano è saggio, giusto, sincero, tollerante e gentile”.[8]

Mario Praz ha richiamato l’attenzione all’interesse Romantico del perverso. Ciò che per il Romantico era un soggetto d’interesse letterario è diventato per l’umanista esistenzialista e relativista del XX secolo una questione da esplorare e praticare, un aspetto della libertà sessuale.[9]  È ora difeso da un sociologo britannico.[10]  Un medico ha scritto della “normalità dell’incesto” e dei supposti problemi che risulterebbero dalla “soppressione dei desideri incestuosi”. Tali opere stanno facendo guadagnare fortune a editori di pornografia.

Per tornare alle osservazioni di Blake, i suoi commenti sull’aborto sono significativi:

Leggi che legalizzano l’aborto sono seriamente volute da molti medici rispettabili a motivo di problemi completamente legittimi che alcuni dei loro pazienti affrontano. Ma anche quelli dell’Amore-Libero sono sostenitori di nuove legislazioni a questo riguardo semplicemente perché gravidanze non volute sono l’inevitabile risultato della loro condotta irresponsabile. Figlie sono spesso ingravidate dai fratelli o dai padri. In questi ambienti ragazzine dai 9 ai 15 anni si trovano spesso con bambino, e gli “intellettuali” difensori di questo stile di vita non offrono soluzioni praticabili eccetto che quella dell’aborto veloce, eseguito con competenza a buon mercato.[11]

I difensori dell’amore libero cominciano offrendo la “vita” ai loro seguaci e finiscono col richiedere la morte, la morte legalizzata nella forma dell’aborto, e lo sganciamento e la fuga dalle conseguenze delle proprie azioni. Ciò non sorprende. La morte è un fatto ineludibile in ogni sistema di vita e di legge. La domanda è: Morte, per chi? Gli umanisti chiedono la morte per l’ordine giuridico di Dio, morte per i bambini non ancora nati, e morte per virtù e devozione, mentre la legge di Dio richiede la morte sostanzialmente per il male e per la ribellione contro l’ordine giuridico di Dio. Nella legge biblica muore il colpevole, non l’innocente. La pena per l’incesto è pertanto la morte.

Una nota finale: il soggetto degli incroci consanguinei ha attratto in anni recenti più di qualche attenzione. Le evidenze dei suoi pericoli sono molte. Il declino delle monarchie europee fu in parte dovuto al declino delle famiglie reali attribuibile agli eccessivi incroci consanguinei. I seri difetti fisici e mentali che comparvero in famiglie reali che erano state apprezzabili per vigore fisico e capacità mentali è ben noto. I matrimoni furono contratti dalle varie monarchie, non in termini di qualità inerenti, ma in termini di “sangue reale” e di vantaggiose alleanze politiche, talché le considerazioni genetiche furono sacrificate ai fini politici.

La consapevolezza della necessità di migliorare il ceppo umano ha portato qualcuno a proporre una massiccia esogamia come mezzo di progresso genetico. Ne è risultato che siano stati suggeriti accoppiamenti inter-razziali, più oralmente che per iscritto. Ma i nuovi ceppi non possono aggiungere nulla ad una discendenza di sangue eccetto ciò che già possiede. L’esogamia con ceppi inferiori può solo portare ulteriori problemi a quelli già esistenti. 


Note:

1 Mekkoth, 90n, in Seder Nezikim IV.

2 Jurgen Thorwald: Science and Secrets of Early Medicine; New York: Harcourt, Brace & World, 1963, p. 165 s.

3 Arthur C. Custance: Doorway Papers, n° 51: Cain’s Wife; Ottawa, canada, 1967, p. 8.

Ibid., p. 10 s.

5 Ibid., p. 11 s.

6 Georg Hrasdorfer, in “Introdiction” a A.R. Allinson, traduttore, The Seigneur De Brantome: Lives of Fair and Gallant Ladies ; New York: Liveright, 1933. p. xxv.

7 Brantome: Lives of Fair and gallanti Ladies, pp. 58-60.8 Complete Poetical Works, John Keats and Percy Bysshe Shelley; New York: Modern Library, p. 300.
9 Roger Blake: The Free-Love Groups; p. 69 ss., 112-124. 10 Ibid., p. 171.
11 Ibid., p. 188.

 

8. IL LEVIRATO

Mace osservò, riguardo “Alla vera causa della poligamia ebraica” che “non può esserci dubbio che questa fosse il desiderio di un erede”.[1]  Ciò è vero se ci rendiamo conto che il desiderio di un erede era più che solo l’amore per un figlio. La famiglia era basilare alla società e alla cultura; la famiglia pia doveva essere perpetuata, e la famiglia empia tagliata fuori. Il bastardo era tagliato fuori da chiesa e stato, per quanto concerne qualsiasi statuto giuridico, fino alla decima generazione (De. 23:2). Avrebbe potuto essere un uomo pio, ma non sarebbe stato un cittadino. Nella legge canonica la chiesa escludeva i bastardi dagli ordini ecclesiali, benché fossero fatte eccezioni su dispensa papale. Lo scopo della poligamia ebraica, che per essere accurati era di solito bigamia, era pertanto il perpetuarsi della famiglia. Inoltre, alla luce dei fatti, come ha indicato il Mace: “Siamo costretti a immaginare la comunità come in generale quasi interamente monogama”.[2]

Alla famiglia, quale basilare unità sociale e religiosa era proibito di diventare endogamica e isolata dalla sua comunità con la legge contro l’incesto perché la legge non proibiva solo la consanguineità ma consanguineità più affinità, vale a dire la moglie del padre, la moglie di un figlio, la moglie di un fratello, o simili. Questi rapporti erano classificati come incestuosi religiosamente benché non incestuosi geneticamente, benché possa esistere qualche evidenza scientifica del cambiamento fisico della donna col matrimonio. La bibbia afferma chiaramente che le relazioni sessuali stabiliscono realmente una profonda relazione fisica tra due persone, talché perfino una unione casuale con una prostituta stabilisce un’unione, secondo San Paolo (1 Co. 6:16). Di conseguenza, l’unione con parenti acquisiti col matrimonio è incesto. L’unione sessuale fa di due persone “una carne” (Ge, 1:24). Potranno non essere “una mente” ma sono “una carne”. (Antiche versioni del Book of Common Prayer avevano una “Tavola di Parenti e Affinità” di Usser che elencava la relazioni maritali proibite.)

Il riconoscimento che l’unione sessuale stabilisce, in qualche senso profondo benché non ancora compreso, una relazione, o comunica qualcosa di fisico tra le due parti, è comune alla maggior parte della culture. Le applicazioni superstiziose di questa credenza abbondano, come testimonia il Tantra Yoga e le relazioni domnei o donnoi dei Troubadours, dei Catari ed altri simili gruppi del Medio Evo. Molto comunemente, uomini vecchi dormivano con delle vergini, senza consumare il sesso, nella credenza che questo servisse a ringiovanire. La pratica era largamente usata nella Parigi del XVIII secolo, ed era praticata regolarmente da Mahatma Gandhi.3 I medici che servirono Re Davide potrebbero essere stati influenzati da simili idee nell’utilizzare Abishag (1 Re 1:1-4); però, in questo caso, la consumazione sembra essere stato l’obbiettivo dei medici.

In anni più recenti, un esempio considerevole di questo modo di pensare è stato l’artista Pablo Picasso, al quale furono date non solo due giovani donne ma anche il suo giovane figlio spogliato di alcuni articoli d’abbigliamento nella speranza che “Un po’ della gioventù di Claude entrasse nel suo proprio corpo”.[4]

Queste sono evidenti assurdità, ma testimoniano del fatto ampiamente riconosciuto che l’unione fisica effettivamente comunichi qualcosa. Il divieto biblico del matrimonio e/o di relazioni sessuali con parenti di sposo o sposa è basato su questo fatto.

La capacità della pelle di assorbire ed essere influenzata dal tocco e dal contatto non è sufficientemente apprezzata eccetto quando si tratta di veleni. La vagina in particolare è la più assorbente come rivela l’insufflazione sessuale. Quando un amante soffi violentemente dentro la vagina, l’aria passa ai vasi del sangue e porta morte alla donna per embolia. Sono anche stati registrati casi di insufflazione rettale tra omosessuali usualmente risultanti nella morte.[5]

Poiché secondo la Scrittura l’unione sessuale fa dei due “una carne” il matrimonio di un vedovo o di una vedova con parenti del defunto sono proibiti come incesto, con una singola eccezione.

L’unica eccezione consentita è la legge del levirato (De. 25:5-10). Secondo questa legge, se un uomo muore senza figli, il suo parente più prossimo aveva il dovere di prendere in moglie la vedova e dar vita ad una famiglia che portava il nome del morto. Questa legge era più vecchia di Mosè, e fu applicata alla casa di Giuda (Ge. 38:8). Con Ruth abbiamo un  esempio più tardo della legge del levirato. Il levirato era comune anche agli altri popoli dell’antichità. Un libro del Talmud: Yebamoth, è dedicato al soggetto.

Giuseppe Flavio ci dà la sua reazione al significato della legge del levirato:

… poiché questa procedura sarà per il beneficio pubblico, perché con essa le famiglie non verranno meno, e l’asse patrimoniale continuerà tra i parenti; e questo sarà di conforto delle mogli nella loro afflizione che devono sposarsi al parente più prossimo del loro ex marito.[6]

Per Giuseppe Flavio la protezione e la perpetuazione della famiglia è pertanto lo scopo basilare del levirato. Questo è ovviamente, il chiaro intento della legge: “Perché il suo nome non sia cancellato in Israele” (De. 25:6). Secondo Lutero:

La legge che un uomo debba prendere la moglie lasciata indietro da suo fratello e far crescere una progenie per il fratello morto, fu stabilità per una ragione molto buona. Primo, come stabilisce il testo, un ramo famigliare non muoia ma sia moltiplicato; ciò concerne la promozione e l’allargamento del commonwealth d’Israele. In secondo luogo, in questo modo Dio provvede sesso per le vedove e le infelici per sostenerle e provvedere per loro, poiché la donna, da sé un vaso debole e commiserevole, lo è ancor di più quando vedova, perché è allo stesso tempo abbandonata e disprezzata. Egli fa osservare, comunque, questo atto di carità, per mezzo di una eccezionale disgrazia. All’uomo che non coltivi la crescita della comunità nella quale soggiorna e delle cui leggi egli gode sarà chiamato scalzato, e la gente deve sputare dove passa : “Vergognati!”. Costui merita il disprezzo di tutti. E la gente deve sputare per terra davanti a lui e dire “Tu hai la vergogna addosso!”. Il suo piede scalzo deve essere un segno di vergogna e motivo di perpetua denuncia. Egli merita di essere scalzato, nudo al piede, cioè senza casa e dipendenti, che sono denotati dalla calzatura; perché mediante questo unico atto egli si scalza dal suo obbligo di sostenere la casa di suo fratello. Così il segno è simile all’azione in cui egli pecca.[7]

Anche i commenti di Calvino sono interessanti, specialmente perché egli vede la negazione del levirato come un furto ai danni dell’uomo morto:

Questa legge ha qualche similitudine con quella che permette ad una persona promessa in sposo di restituire la moglie che non ha ancora presa; giacché l’obbiettivo di entrambe le leggi è di preservare ad ogni uomo ciò che possiede, in modo che non sia obbligato a lasciarlo a estranei, ma che possa avere eredi generati dal proprio corpo: infatti, quando un figlio succede al padre, che rappresenta, sembra quasi che non sia avvenuto alcun cambiamento. Perciò, anche, è manifesto quanto grandemente piaccia al Signore che nessuno sia privato dei suoi possedimenti, visto che provvede anche per chi muore, che ciò che non potevano rassegnare ad ad altri senza rincrescimento e disappunto, sia invece preservato per la loro progenie. Pertanto, a meno che il suo parente non ovviasse alla mancanza di figli del morto, quest’azione inumana era considerata una forma di furto. Infatti, poiché essere senza figli era una maledizione di Dio, in questa condizione era una consolazione sperare in una progenie prestata, che il nome non si estinguesse del tutto.[8]

Calvino dubitava che la parola “fratello” avesse significato letterale, visto che contraddiceva, apparentemente, la legge sull’incesto. Però, la legge ovviamente intendeva “fratello” e qualsiasi parente prossimo se non ci fosse stato fratello; il caso dei figli di Giuda lo conferma (Ge. 38:8), quanto il caso citato dai sadducei concernente i sette fratelli senza figli (Mt. 22:23-33), nel quale la legittimità dei loro matrimoni di levirato con una donna è accettato da tutti.

Il levirato, in ogni caso, non fu considerato da Lutero e Calvino una reliquia giuridica obsoleta.È esistito lungo i secoli. Il levirato fu praticato molto comunemente in Scozia fino all’ XI secolo.[9]  Esiste ancora tra i cristiani d’ Abissinia, con un fattore aggiuntivo, se l’uomo è castrato in guerra, ed è pertanto incapace di generare figli, viene applicato il levirato.[10]  Ci sono evidenze della sua pratica in Europa, e ricche famiglie ebree di New York hanno mantenuto questa pratica almeno fino a poco tempo fa. Birmingham riporta che “Anche i Seligman seguirono la pratica ebraica di offrire le vedove della famiglia al successivo figlio non sposato”.[11]

Per comprendere il significato del levirato, è importante che esaminiamo di nuovo la dottrina del matrimonio, e la collochiamo in una prospettiva che farà luce sul levirato.

Prima di tutto, il matrimonio è basilare al regno di Dio, agli scopi creativi di Dio per l’uomo e per la terra. La terra deve essere portata sotto il dominio di Dio dall’uomo, che deve sottomettere la terra e governarla sotto Dio. La cerimonia matrimoniale ebraica, databile al I secolo a.C. ha sette benedizioni che coprono la storia d’Israele, richiamando la creazione di Dio e il suo mandato, la speranza messianica d’Israele, e l’obbiettivo di un ordinamento pio. La quarta e la settima di queste benedizioni recitano:

Benedetto Tu sei; O Signore nostro Dio, Re dell’universo, che facesti l’uomo a tua immagine, secondo la tua somiglianza, e gli hai preparato, emanato dal suo proprio essere, un tessuto perpetuo. Benedetto Tu sei, o Signore, Creatore dell’uomo.

Benedetto Tu sei, o Signore nostro Dio, Re dell’Universo, che creasti gioia e contentezza, sposo e sposa, allegria ed esultanza, piacere e delizia, fratellanza, pace e comunione. Possa presto essere udita nelle città di Giuda, e per le strade di Gerusalemme, la voce della gioia e della contentezza, la voce dello sposo e la voce della sposa, la voce giubilante degli sposi dai loro baldacchini, e dei giovani dalle loro feste di cantico. Benedetto Tu sei, o Signore, che fai gioire lo sposo con la sposa.[12]

Sia prima che dopo la caduta, il matrimonio rimane basilare al regno di Dio.

Secondo, poiché la famiglia è l’istituzione basilare di Dio, la proprietà è strettamente legata alla famiglia. Il Kethubah, databile al I secolo a.C. fa riferimento molto specificamente agli accordi matrimoniali nei giuramenti del matrimonio, che furono registrati: “Sii tu mia moglie secondo la Legge di Mosè e d’Israele. Io lavorerò per te; ti onorerò; ti sosterrò e manterrò, in accordo coi costumi dei mariti giudaici che lavorano per le loro mogli, le onorano, sostengono e mantengono nella verità”. Dopo aver specificato l’ammontare della dote come primo titolo della sposa nel patrimonio di lui, lo sposo giurava: “Tutti i miei averi, fino al mantello sulle mie spalle, sarà impegnato a garanzia di questo contratto e di quella somma”.[13]  La stesura di questo documento era necessaria prima che il matrimonio fosse consumato:

I Saggi, in conformità, hanno proibito le relazioni matrimoniali finché il Kethubah non sia stato completato. Inoltre, essi hanno dichiarato che fosse proibito a marito e moglie vivere assieme per un solo momento senza un Kethubah; e se il Kethubah venisse smarrito, debbano astenersi dai rapporti fino a che non ne sia stato redatto un altro.[14]

Questi regolamenti sono pienamente in conformità con la legge biblica. L’uomo è un peccatore, e su ogni punto ha bisogno della restrizione della legge. Se un uomo è disposto ad essere sotto legge in relazione ad altri uomini, dovrebbe essere particolarmente disposto a collocare sotto la legge la propria relazione con sua moglie. Tale relazione giuridica esiste già nel contratto di matrimonio. L’amore non è sufficiente per stabilire un matrimonio: è richiesto un contratto da tutti gli interessati, come prova d’amore. Siccome l’uomo, perché peccatore, è spesso propenso a prendersi vantaggio di quelli che più si fidano di lui, collocare tale relazione sotto la legge è evidenza d’amore di buona fede, non di sfiducia. È un riconoscimento della realtà.

Le leggi moderne che regolano la bancarotta, malgrado i loro abusi, riflettono non solo la liberazione sabbatica biblica dai debiti, ma anche la preservazione alla moglie e alla famiglia della prima casa dalle pretese dei creditori. Nella legge biblica la moglie è il primo creditore.

Terzo, come abbiamo visto, i delinquenti minorili incorreggibili dovevano essere messi a morte (De. 21:18-21), e anche tutti i criminali abituali. Tali persone erano pertanto cancellate dalla comunità. Quando e se questa legge è osservata, alle famiglie empie, che si danno all’anomia, è negato un posto nella nazione. La legge in questo modo opera chiaramente per eliminare il male e far progredire le famiglie pie.

Quarto, come abbiamo notato, i bastardi non potevano essere riconosciuti come legittimi, né una prole da matrimonio con un certo grado di affinità poteva essere riconosciuto come erede. Poiché la legge non premia mai il peccato, la legge ebraica del divorzio applicò tutto questo coerentemente e logicamente:

Probabilmente il tratto più caratteristico della Legge Giudaica sul Divorzio è la sua assoluta proibizione che l’adultero sposi l’adultera. Anche nei casi in cui tale matrimonio fosse stato contratto mediante la soppressione dei fatti reali, deve essere dissolto.[15]

La cittadinanza era ristretta alla famiglie pia, e pertanto la società doveva essere governata da uomini provenienti da famiglie pie.

La bibbia fornisce un’eccezione alla legge giudaica che proibisce il matrimonio di una coppia adulterina, ma in quella eccezione, Dio stesso punì la coppia benché abbia permesso e benedetto l’unione. Questo caso fu quello di Davide e Bathsheba (2 Sa. 11,12), da cui nacque Salomone (Mt. 1:6) e Nathan (Lu. 3:3) ambedue antenati di Gesù Cristo.

Quinto, questo perciò getta luce sul levirato. Lo scopo della legge è di sopprimere, controllare, e/o eliminare gli empi e, allo stesso tempo, stabilire, mantenere, e far progredire la famiglie pie. Si figura una società nella quale l’eredità è per i pii, e ciascuna generazione pia trasmette a quella successiva un degno assetto ereditario. La creazione e perpetuazione di famiglie pie è dunque basilare per la legge. Giuseppe Flavio citò tre scopi del levirato: 1) la continuazione di una famiglia pia, 2) la preservazione della proprietà, e 3) il welfare delle vedove. Tutti e tre sono chiaramente contemplati. Alla vedova viene data ulteriore assicurazione di un possibile figlio come suo erede e sostegno nella vecchiaia. Il levirato è ancora una risposta migliore al problema cui si rivolge di quanto nessun uomo sia stato capace di escogitare. Il suo disuso generale oggi è perché le leggi dell’umanismo sono essenzialmente ostili alla famiglia e al suo benessere. Quando la famiglia sia nuovamente restaurata al suo posto biblico, il levirato prenderà tranquillamente il proprio posto in quella cornice giuridica.

Sesto, l’adozione è un fattore correlato, e la sua collocazione nella legge nei termini del levirato, e quella di alternativa. L’uso biblico della parola adozione è teologico, avendo riferimento alla nostra adozione in Cristo come figli Dio. L’uso biblico riflette un fatto della vita famigliare. L’adozione nell’antichità normalmente differiva dalla pratica moderna in quanto generalmente uomini maturi venivano formalmente adottati come eredi, uomini che si facevano notare per fede e carattere. Abrahamo aveva adottato il maturo e fidato Eliezer di Damasco come proprio erede ed amministratore (Ge. 15: 2, 3).Così, poiché fede e carattere erano fondamentali alla condizione di erede, la maturità era richiesta per poter esibire nei fatti evidenze di quelle caratteristiche.


Note:

1 David R. Mace: Hebrew Marriage, A Socialogical Study; New York: Philosophical Libraray, 1953, p. 123.

2 Ibid., p. 129.
3 Omar Garrison: Tantra, The Yoga of Sex; New York; Julian Press, 1964, p. 126 ss.

4 Francoise Gilot e Carlton Lake: Life with Picasso; New York: McGraw-Hill Book Company, p. 232.

5 Dr. Georges Valensin: Sex From A to Z; New York: Berkeley Medallion Books, 1967, p. 129.

6Giuseppe Flavio: Antichità Giudaiche, Libro IV, cap. VIII, 23.
7 Martin Luther: Lectures on Deuteronomy, p. 248 s.
8 John Calvin: Commentaries on the Last Four Books of Moses, III, 177 s.

9 George Ryley Scott: Curious Customs of Sex and Marriage; London: Torchstream Books, 1953, p. 102.

10 George A. A. Barton: “Marriage (Semitic)” in ERE, VIII, 471.
11 Stephen Birmingham: “Our Crowd”, The Great Jewish Families of NewYork; New York: Dell,

1967, 1968, p. 21. (I Seligman sono una famiglia dinastica ebraica di rilievo. N.d. T)

12 J. H. Hertz: “Forewords”, Yebamoth, The Babylonian Talmud, Seder Nashim, Londra: Soncino Press, 1936, I, xvi-xvii.

13 Ibid., p. xvi. 14 Ibid., p. xxxiii. 15 Ibid., p. xx.

14 Ibid., p. xxxiii.

15 Ibid., p. xx.

 

9. SESSO E CRIMINE

Un’opinione piuttosto comune non solo associa il sesso col peccato originale ma assai logicamente collega sesso e crimine. Se il sesso è la scaturigine della caduta, allora, logicamente, il sesso è la causa del crimine. Questa opinione è letta dagli atei dentro la bibbia, malgrado non abbia assolutamente alcun legittimo fondamento. In realtà, l’origine di questa credenza è pagana, non biblica. Molti miti pagani indicano una credenza nell’origine sessuale del peccato. Il mito di Platone dell’uomo originale androgino ne è un familiare esempio.

L’origine sessuale della criminalità si osserva nei neo-Freudiani come in molti altri. L’ex direttore carcerario di San Quintino, Clinton Duffy ha scritto un’esposizione di quest’idea intitolata Sex and Crime, nella quale sostiene che:

Il sesso è la causa di quasi ogni crimine, è la forza dominante che muove quasi tutti i criminali. Dopo trentacinque anni di esperienza correzionale come direttore del carcere di san Quintino, e come membro della California Adult Autority e direttore esecutivo del Consiglio sull’Alcolismo di San Francisco, sono convinto che sia raro il crimine che non possa essere collegato a qualche sorta di inadeguatezza sessuale. …

I criminali sono tormentati e disorientati e turbati da tensioni sessuali, dubbi, fantasie, ansietà e appetiti. È mia opinione che il 90 per cento degli uomini nelle prigioni della nostra nazione sono lì perché non sono riusciti ad affrontare il problema.[1]

Avremo sesso finché avremo vita, e crimine finché abbiamo civilizzazione. Non possiamo eliminare il sesso e perciò non possiamo eliminare il crimine. Finché non accetteremo la relazione tra i due non potremo fare progressi nell’eterna lotta contro le forze del male. Dobbiamo comprendere che la maggior parte del crimine è una conseguenza del sesso e deve essere trattato come un problema di sesso.[2]

Se questa credenza fosse vera, la logica richiederebbe una radicale alterazione degli standard e del comportamento sessuale per poter rimuovere le cause del crimine. In conformità, i difensori dell’amore libero domandano l’abolizione delle regole sessuali come passo necessario verso una società libera e umana. Gli anarchici sessuali sono degli utopisti sociali. Una traccia di questa opinione è presente nel Duffy, il quale propose di provvedere dei partner sessuali per i prigionieri. Il Mississippi permette ad un prigioniero di ricevere “visite coniugali” con sua moglie; il Messico non le limita alle mogli.[3]

Lo stesso resoconto del Duffy dà invece evidenza della natura non sessuale del crimine. I gruppi etnici mostrano delle forme ben definite: così, gli Orientali, con la loro cultura fortemente famigliare “raramente si mettono nei guai”, meno di tutti i giapponesi. Gli scandinavi in prigione sono pochi. Gli ebrei di solito sono ligi alla legge: usualmente i loro problemi con la giustizia coinvolgono il denaro, secondo il Duffy: “la maggior parte dei carcerati ebrei sono imbroglioni, truffatori, falsari”. In principio gli irlandesi a volte si mettevano nei guai per ubriachezza e combattimenti, i tedeschi sono raramente in prigione e quando lo sono è per aggressione; gli italiani sono stati nei guai dove sono forti le attività di cosca; quando i francesi sono in prigione, è quasi sempre “per reati sessuali”; i messicani sono spesso coinvolti con reati di violenza e narcotici, ma pochi messicani oltre i quaranta sembrano mettersi nei guai”. In proporzione i neri hanno percentuali molto alte di popolazione carceraria. Nel Sud “Più della metà dei carcerati sono neri, e ciò è vero anche di alcune prigioni del Nord”.[4]  Il Duffy credeva che il pregiudizio contro i neri avesse una parte in tutto questo, benché riconoscesse che questi carcerati neri erano colpevoli. È assai probabile che qualche volta un nero colpevole dovesse affrontare una maggiore severità a motivo della sua razza, ma è altrettanto vero che per la stessa ragione molto in loro è tollerato e scusato. La formula usata a Sud per decenni fu la severità in alcune cose (come lo stupro) e l’indulgenza in molte altre (come piccoli furti, violenze tra neri, ubriachezza, e simili).

Il collegamento razziale col crimine è molto reale, ma lontano dall’essere la risposta. Non si può dire che la razza porti al crimine più di quanto lo si possa dire del sesso. Dai tempi in cui Duffy era Direttore Carcerario, la quantità di attività criminali di minorenni bianchi è aumentata molto rapidamente. È ovvio che la loro razza non costituì un’immunizzazione contro il diventare criminali. La causa va cercata altrove.

San Paolo dichiara la causa con chiarezza. L’uomo non rigenerato, l’uomo in guerra contro Dio, è ostile a Dio e lo odia; tale uomo “non è sottomesso alla legge di Dio e nemmeno può esserlo” (Ro. 8:7). Tali persone perseguono un corso di religiosa avversione alla legge (Ro. 1:18-32). Soffocano la verità a motivo della loro ingiustizia e adorano la creatura al posto del Creatore.

È quest’aspetto dell’uomo che l’umanismo rifiuta di riconoscere. Apparentemente, la criminalità umana verrà guarita eliminando lo stato, la proprietà, religione, e leggi. Ma poiché gli empi sono per natura trasgressori della legge, possono abbassare lo standard quanto vogliono, ma trasgrediranno la legge lo stesso. Vivono per trasgredire la legge. Come risultato, più una generazione rivoluzionaria trasgredisce la legge, più diviene violenta, perché la violazione di uno standard progressivamente lassista richiede azioni progressivamente più flagranti.

Nietzsche credette giustamente che il mancare di credere in Dio e nell’immortalità avrebbe creato un mondo di uomini violenti. Alcuni umanisti hanno sostenuto che se gli uomini avessero solo questa vita e questo mondo, farebbero tesoro di questa vita e vivrebbero in pace. Ma, poiché Dio e l’immortalità danno a questa vita presente significato e scopo, il credere frena l’uomo, mentre l’incredulità deprezza la vita e conduce a maggiore violenza e omicidio. Quando l’uomo diventa il proprio dio, asserire questa rivendicazione violando tutte le leggi non di sua scelta diventa articolo di fede e necessità di vita. A quel punto l’essenza della vita è essere slegati, affrancati dalla legge o dalla responsabilità. Ciò conduce ad una radicale perversità, per la quale un amico un giorno rimproverò il conte di Gramount: “Non è forse un fatto che non appena una donna ti compiace, la tua prima cura è scoprire se abbia alcun altro amante, e la tua seconda è come tormentarla; perché il guadagnare il suo affetto è l’ultimo dei tuoi pensieri. Raramente ti dedichi ad intrighi se non per disturbare la felicità altrui; un amante che non ha amanti non avrebbe fascino per te”.[5]  Nel XVIII secolo, lo scopo principale delle avventure amorose è stato descritto come: “Un desiderio di sedurre e abbandonare, per perfido gioco”. La “corona della vittoria” per il seduttore era era di fare il proprio lavoro “senza il minimo coinvolgimento emotivo, cosicché quando la donna conquistata e sottomessa, implorava alla fine ‘Almeno dimmi che mi ami!’ Egli poteva rivolgerle un sorriso sdegnato e rifiutare”. Come risultato, commento La Rochefoucauld: “Se l’amore è giudicato dalla maggior parte dei suoi effetti, somiglia all’odio più che all’amicizia”.[6] Tale “amore” era infatti odio, e cominciava con l’odio verso Dio. Poiché l’obbiettivo dell’uomo, quando rivendica di essere dio, è l’auto-sufficienza, la dipendenza dall’amore viene negata. Fu l’Era della Ragione che anche ridusse lo statuto giuridico della donna a quello di una schiava come parte del suo “amore”. Avendo ridotto la donna ad un ruolo d’impotenza, questi uomini potevano poi essere romantici intorno a questa marionetta che potevano così facilmente distruggere. Keats borbottò intorno a questa “nuova donna”:

God! she is like a milk-white Lamb that bleats

For men’s protection.[7]

Non sorprende che l’ “ostilità” sia un aspetto basilare non solo dei pedofili, ma anche di queste “Lolita”, piccole bambine che accettano queste avance.[8]

Ma ogni ostilità ha come controparte una nuova area di simpatia. Quelli che sono ostili a Dio e alla sua legge saranno simpatetici e amichevoli verso i criminali. Sentono di avere un legame comune che li unisce nell’odio per la legge. Un avvocato europeo, la cui prospettiva è decisamente non-cristiana, ha osservato:

Il determinismo nella legge penale rappresenta un’apologia in maniera grandiosa. Dobbiamo fare la domanda successiva: apologia per che cosa? Chi scusa il criminale perora se stesso. “Madame Bovary, c’est moi” disse Flaubert. In un periodo in cui forti influenze stanno battendo un terreno ancora vergine, scusare il criminale deve portare a severi sensi di colpa. Uno sforzo viene fatto dalla società per allentare questo senso di colpa scusando sia se stessa che il criminale con cui è identificata. Nietzsche fece riferimento all’ondata di compassione che nella seconda metà del XIX secolo ha sommerso l’Europa da Parigi a San Pietroburgo.[9]

Simpatia verso il criminale significa ostilità verso Dio e il suo popolo. Come Reiwald osservò ulteriormente, in un altro contesto: “Dovunque ci sia qualche forma di vita sociale, lì deve esserci punizione”.[10]  La punizione nella società umanistica è progressivamente diretta contro l’innocente e il ligio alla legge. Che riguardi la tassazione, legislazioni discriminatorie, o aperta violenza, il popolo di Dio diventa l’oggetto di crescente violenza. Nella parole di Jouvenal: “Gli abissi della depravazione non si raggiungono con un solo passo”. Bronowsky ha notato, riguardo alle festività pagane: “Questa rivolta contro l’autorità è al cuore dei saturnali ovunque”.[11]

Il Rinascimento ha sguinzagliato una grande marea di violenza con la sua ostilità nei confronti della legge santa. Secondo Lo Duca:

La libertà cercata dalle arti (la nozione di bellezza in sé è inquietante, le arti sono sempre state le truppe d’assalto della vera rivoluzione), la libertà reperita dalla scienza (questa è già più pericolosa, per il potere stabilito quanto per quelli che idolatrano il passato), la libertà voluta nel linguaggio e nei costumi furono tutte parte di un fattore dinamico capitale: l’individualismo.

Mediante l’individualismo, la libertà cerca di raggiungere l’assoluto, di ciò che la conduce al di la dei concetti di bene e di male, all’autentica anarchia. La genialità del Rinascimento spesso nasconde un’anarchia profonda e funzionale, che non fu distruttiva, essendo dominata e tenuta sotto controllo dall’orgoglio. L’orgoglio da solo ha permesso questa lussureggiante anarchia che trovò la propria moralità nell’arte.

Il perfetto esempio di uomo rinascimentale è il condottiero. Un condottiero come Sigismondo Malatesta è il Rinascimento sintetizzato in un uomo. Il suo individualismo è eguale a quello di Bartolomeo Colleoni o di Galeazzo Sforza. L’ “anarchia” di questi uomini è basata sul rigetto di ogni legge, umana o divina.

Un altro famoso condottiero: Werner von Usslingen, indossava, inciso sulla sua corazza: Nemico di Dio, Compassione e Misericordia. Uomini di questo calibro, capaci di tale feroce odio, lasciarono un segno profondo nel mondo che stava nascendo dalle ceneri del Medio Evo.

La violenza del Medio Evo non fu mai scevra da ossessione e crudeltà, e soprattutto del bisogno di trovare una giustificazione invocando pretesti religiosi. La violenza del Rinascimento non cercò di giustificarsi nemmeno per un istante. Il sentimento di colpa era sparito, assorbito da quella disperata “voglia di potere” a cui sarà dato un nome quattro secoli più tardi.

Nondimeno questi condottieri introdussero nella loro società un elemento esteriore che devastò il continente: il soldato di fortuna — mercenario o Landsknecht — lanzichenecco, signore di saccheggio e stupro. Il loro esempio, insieme all’impunità dei loro crimini (la guerra è sempre stata un utile pretesto per sguinzagliare gli istinti più infami sotto la copertura della naturale “debolezza” dell’eroe) influenzarono fortemente i loro contemporanei.[12]

L’autore che ci offre questo sommario si sente attratto anche dai malcostumi dei greci antichi, e parla del “fatto” che “gli antichi ci affascinano con una filologia molto informata sulla prima serie di penetrazioni anali, sia di uomo che di donna”.13 Uomini e società in rivolta contro l’autorità di Dio trovano una base comune nella loro ostilità verso la legge e l’ordine morale. L’uomo moderno in questo modo sente con i Greci e col Rinascimento una continuità che per certo non sente col Medio Evo o con la Riforma.

Lo Duca paragona il condottiero del Rinascimento con l’uomo moderno rivelato da De Sade:

Ciò che il condottiero portò allo spirito del Rinascimento, De Sade lo portò all’era moderna…. Non solo De Sade ha dettato l’assioma che la vita non è nient’altro che la ricerca del piacere, e perfino per il piacere, ma introduce il principio che il piacere è legato alla sofferenza, cioè al tentativo di distruggere la vita: “ …il corpo …niente di più che uno strumento per infliggere dolore”.[14]

Dove non c’è sottomissione alla legge di Dio, c’è progressiva resistenza, sfida e violazione della stessa. La causa del crimine non è il sesso: è il peccato, la sfida dell’uomo all’autorità sovrana di Dio e il tentativo dell’uomo d’essere il proprio dio. Il tentativo degli uomini di trovare le cause del crimine nel sesso è una parte del loro tentativo di rovesciare l’ordinamento giuridico di Dio riordinando le relazioni sessuali. Come previsto non solo per de Sade ma per tutti quelli che negano la legge di Dio, la conclusione è la stessa: “Ma chi pecca contro di me fa male a se stesso; tutti quelli che mi odiano amano la morte” (Pr. 8:36).

Note:


1 Clinton T. Duffy con Al Hirshberg: Sex and Crime; New York: Doubleday; Pocket Books, 1965, 1967, p.1.

Ibid., p. 176.

Ibid., p. 154-176.

Ibid., p. 67-74.

5 Morton M. Hunt: The Natural History of Love; New York: Alfred A. Knopf, 1959, p. 263.

Ibid., p. 279.

7 Citato in ibid., p. 313. (Dio! Ella è come un candido agnellino che bela per la protezione dell’uomo).

8 Russel Trainer: The Lolita Complex; New York: The Citadel Press, 1966, pp. 36 s., 98 s.
9 Paul Reiwald: Society and Its Criminals; London: William Heinmann Medical Books, 1949, p. 59.

10 Ibid., p. 238.
11 J. Bronowsky: The Face of Violence; New York: George Braziller, 1955, p. 19.
12 Lo Duca: A History of Eroticism; Covina, California: Colectors Pubblications, 1966, pp. 139-142.

13 Ibid., p. 48.
14 Ibid., p. 117.

 

10. SESSO E RELIGIONE

L’associazione di sesso e religione è comune, e più di qualche scrittore ha tentato di far risalire tutte le religioni al culto fallico. Che ci sia frequentemente un stretta connessione tra sesso e religione si può concedere: i culti della fertilità si trovano in ogni parte del mondo, passato e presente. La Scrittura infatti dichiara che questa relazione è un attributo delle false religioni. San Paolo dichiarò, dell’uomo non rigenerato:

Dichiarandosi di essere savi, sono diventati stolti, e hanno mutato la gloria dell’incorruttibile Dio in un’immagine simile a quella di un uomo corruttibile, di uccelli, di bestie quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità nelle concupiscenze dei loro cuori, sí da vituperare i loro corpi tra loro stessi. Essi che hanno cambiato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura, al posto del Creatore che è benedetto in eterno. Amen (Ro. 1: 22-25).

Come notò Murray di questo testo: “La degenerazione religiosa ha per pena l’abbandono all’immoralità; il peccato nell’ambito religioso viene punito col peccato nella sfera morale”. Questa non è solo “una legge naturale di causa ed effetto operativa nel peccato”, in più è l’atto di Dio:

C’è la positiva inflizione di abbandono a ciò che è completamente alieno e sovversivo del rivelato buon compiacimento di Dio. Il dispiacere di Dio è espresso nel suo abbandono delle persone interessate a una coltivazione più intensificata e aggravata della lussuria del loro cuore col risultato che raccolgono per se stessi un corrispondete maggior dazio di vendetta retributiva.[1]

La correlazione tra sesso e religione è dunque reale; è un’aspetto della rivolta dell’uomo contro Dio. Quando l’uomo si volge all’auto-adorazione, finisce con l’adorare i propri vizi sessuali. Rifiutando di riconoscere la potenza di Dio come Signore e Creatore, adora i propri poteri genitali come creatore.

Un interessante esempio di questo fu citato da Herbert Asbury, nel suo resoconto del The Barbary Coast. Dopo il terremoto nella penisola di San Francisco il 18 aprile, 1906, la reazione di molti uomini fu di cercare conforto nel sesso. Nella vicina Oakland, anch’essa scossa malamente, il capo della polizia, Walter J. Peterson, dichiarò, delle case di prostituzione: “Durante tutta la giornata e di notte ci furono uomini allineati, una fila di parecchi isolati che aspettavano davanti alle case, come fossero biglietterie di teatro di una serata popolare”.[2] Quando un’epoca si avvicina alla morte, le attività sessuali dell’uomo diventano ancor più intensamente perverse perché la sua fame religiosa è aumentata e il sesso è il suo dio surrogato.

Ma non è tutto: contemporaneamente l’uomo comincia a giustificare la propria depravazione religiosa e morale.

Il concetto moderno di orgia deve essere rigettato a tutti i costi perché assume che quelli che vi hanno partecipato non abbiano alcun senso di modestia, o comunque molto poco. Questo concetto superficiale implica che gli uomini di antiche civiltà avessero qualcosa d’animale nella loro natura. Per certi versi è vero che questi uomini sembrano più vicini di noi agli animali, e si sostiene che alcuni di loro condivisero questa sensazione di parentela. Ma i nostri giudizi sono collegati all’idea che i nostri peculiari modi di vivere meglio dimostrano la differenza tra l’uomo e gli animali. Gli uomini primitivi non si paragonavano con gli animali nello stesso modo, ma anche se videro gli animali come fratelli, le reazioni sulle quali si basava la loro umanità non erano meno vigorose delle nostre … Questa è la ragione per cui quando discutiamo l’orgia in modo molto generico non abbiamo argomenti per vederla come una pratica abbandonata ma al contrario dovremmo considerarla un momento si estrema tensione, disordinata senza dubbio, ma allo stesso tempo un momento di febbre religiosa. Nel mondo sottosopra dei giorni di festa l’orgia avviene nell’istante in cui la verità di quel mondo rivela la sua forza soverchiante. La violenza baccanale è la misura dell’erotismo incipiente il cui dominio è originariamente quello della religione.

Ma il vero dell’orgia ci è pervenuto attraverso il mondo cristiano nel quale i criteri sono stati ancora una volta rovesciati. I sentimenti religiosi primitivi trassero lo spirito di trasgressione dai tabù. Il sentimento religioso cristiano ha in linea di massima contrastato lo spirito di trasgressione. La tendenza che permette ad uno sviluppo religioso di procedere dentro al cristianesimo è connessa a questi punti di vista relativamente contraddittori.

È essenziale determinare quali siano stati gli effetti di questa contraddizione. Nella mia opinione, se il cristianesimo avesse voltato le spalle al movimento fondamentale che diede vita allo spirito di trasgressione avrebbe interamente perso il proprio carattere religioso.[3]

Con orgia Bataille intende ovviamente le festività religiose dell’antichità che richiedevano la pratica religiosa di azioni di caos: adulterio, omosessualità, incesto, rapporti con animali, saccheggi, uccisioni e una generica depredazione. Questo religioso spirito di trasgressione è descritto da Bataille:

Ma la caratteristica più costante dell’impulso che ho chiamato trasgressione è di produrre ordine da ciò che è essenzialmente caos. Introducendo la trascendenza in un mondo organizzato, la trasgressione diventa un principio di disordine organizzato.[4]

Per questi culti del caos, ogni azione dell’uomo era santa e sacra, perché l’uomo era in continuità con la divinità dell’essere. Ma il cristianesimo, secondo Bataille, ha desacralizzato l’uomo e il mondo: “ha ridotto il sacro e il divino a un Dio discontinuo e personale, il Creatore”.[5]

Come conseguenza, c’è un movimento a ripristinare l’ “amore” al suo posto “appropriato” nella vita dell’uomo, cioè ad un posto di “libera” espressione. Si sostiene che “L’amore spalanca potenzialità illimitate”.[6] Secondo il Dr. Charles Francis Potter: “La vita è l’unica meraviglia, solo la vita è divina”7 Ciò significa che la vita, con la sessualità della vita, è al di la della legge, perché essa stessa divina. A quel punto il sesso viene adorato: Goldberg lo chiama “il sacro fuoco”. Del culto del sesso, egli scrive:

Eppure, il culto del sesso fece per l’uomo più di questo. Fu il redentore della sua anima imprigionata. Provvide uno sbocco per quelle passioni sessuali che la razza aveva conosciuto nella sua infanzia, ma che più tardi furono apparentemente scacciate dal suo cuore e dalla sua mente. Il loro ricordo può essere persistito perché non erano state completamente cancellate dalla terra. In ogni evenienza, il desiderio era lì, che covava sotto il mucchio di soppressioni.

Un tempo, l’uomo fu sessualmente un libero agente. Poteva accoppiarsi con qualsiasi femmina avesse incontrato. Ora, era in catene. Il culto del sesso venne a spezzare le catene, anche se solo per breve tempo, riportare l’uomo alla libertà che era stata sua. Ciò che era proibito alla luce del sole nella macchia non solo era permesso, ma, di fatto, divenne un dovere nel tempio degli dèi.

Quando, nel tempio, l’uomo fu libero di fare come gli pareva sessualmente, gli piacque farlo con tutta la libertà possibile.[8]

Come risultato, abbiamo studiati attacchi religiosi alla legge morale biblica. Primo, viene preteso il relativismo morale; ci viene detto che ognuno deve essere giudicato nei termini dei propri standard. Secondo Danielsson:

Accusare i polinesiani d’essere immorali secondo i nostri standard occidentali cristiani è ovviamente irragionevole quanto per loro condannarci perché non osserviamo le regole dei tabù polinesiani. La giustizia elementare richiede che noi impieghiamo il codice morale proprio di ogni popolo come standard per cercare di giudicare la loro condotta, e se facciamo di questo il nostro punto di partenza e paragoniamo il modo in cui i polinesiani osservano i canoni di comportamento esistenti col nostro standard morale, siamo noi a doverci vergognare.[9]

Danielsson si appella alla “giustizia elementare”, ma non è una giustizia che ogni cristiano possa riconoscere, perché egli ha ridefinito la giustizia e la moralità in termini umanisti, relativisti. Danielsson non solo propone l’anarchia morale, ma nega a quelli che differiscono da lui ogni diritto di dissentire. La sua esortazione alla tolleranza è pertanto fondata in una radicale intolleranza.

Secondo, questi relativisti poi chiedono, per citare la moglie di un ex ministro della Giustizia Belga, la signora Lilar, un radicale umanesimo: “Una ri-sacralizzazione dell’amore umano”[10] Non sorprende che la signora Lilar fondi il suo pensiero negli antichi culti del caos e nel mito dell’androgino.[11] Non è un difensore della licenziosità, ma lo è ancor meno della legge e del dovere, perché “Il dovere è desacralizzante quanto la licenziosità”. La sua speranza risiede in un amore “libero”, spontaneo, “sacro” che non avrà bisogno della legge:

Si dovrà forse concludere che libertà e fedeltà sono inconciliabili? No. Al contrario, benché una fedeltà forzata e convenzionale possa avere i suoi vantaggi morali e sociali, solo una fedeltà spontanea e amorevole, costantemente rinnovata per essere stata scelta in completa libertà, può rafforzare la coppia nella sua vocazione soprannaturale. Una coppia deve come minimo speculare o scommettere sulla propria capacità di durare. Deve avere fede nel proprio amore, fede nella propria resistenza nel tempo. Se per mala sorte l’amore si estingue, nessun dovere o fedeltà forzata può restituirgli la sua sacralità. Ciò che può accadere allora è una serie di mutui aggiustamenti in un’atmosfera d’associazione, di cameratismo; ma ingannarsi non farà alcun bene — questi aggiustamenti meramente sanzioneranno il passaggio della coppia dall’amore sacro all’amore profano, e questo deve essere considerato uno scadimento.[12]

L’assurdità di questa posizione è che vuole l’anarchia dell’umanista mantenendo la fedeltà del cristiano, una combinazione impossibile.

Ma per tornare al punto fatto da Goldberg, e cioè che il sesso è un “redentore”: questo è sempre più un aspetto della scena moderna. È un serio errore vedere un’epoca come quella attuale, o quella del tardo Romano Impero, come un’epoca di persone “iper-sessuate”. Alla luce dei fatti, i tempi di intensa sessualità sono comunemente anche tempi di bassa vitalità sessuale. Quando Madame de Maintenon superò la settantina, si lamentò che suo marito, Luigi XIV: “pretendeva i suoi diritti coniugali ogni giorno e qualche volta doppi”.[13] Questa lamentela è assai meno probabile in un’epoca di declino. La fine di un’epoca assiste al declino in ogni forma di energia, inclusa l’energia sessuale, e, di conseguenza, l’energia sessuale normale viene rimpiazzata da una frenetica. Si fa ricorso ad estremi di provocazione perché ci vuole di più per stimolare un asfittico e scarso appetito. Ci vuole immensamente di più per eccitare un uomo in un’epoca in declino. La sessualità evidente è pertanto un segno di bassa vitalità. Anche perversione e violenza sono richieste per indurre l’appetito malato. Diventa specialmente importante rigettare tutto ciò ch’è normale, legittimo, e parte dell’ordinato, pio “passato”. Essere influenzati da qualsiasi altra cosa che il momento è ritenuto sbagliato. Così, quando ad Andrei Voznesensky, uno scrittore sovietico, fu chiesto: “Quale poeta russo degli ultimi quarant’anni ti ha influenzato maggiormente?” replicò: “Che domanda. Essere influenzati da vecchi poeti è come essere innamorati di vostra nonna”.[14] In questa prospettiva, l’uomo senza radici è l’uomo redento, e Hollo parla di Henry Miller come su “tetto” del mondo, “ai piedi della scala per il cielo dell’uomo”.[15]

La rettitudine ha radici; è radicata nella legge di Dio e si muove nei termini della storia redentiva, passata, presente e futura. Di conseguenza la rettitudine è la nemica della sessualità religiosa, mentre il male, essendo senza radici e dimentico è puro e santo. Un personaggio di O’Donoghue dichiara: “Non essere così ingenuo da credere che crudeltà e violenza debbano necessariamente avere motivazioni! L’azione malvagia, separata dal comune spento tran tran di pulsioni orientate da obbiettivi, perviene ad una certa purezza del proprio essere”.[16]

In questo modo, è il male, e specialmente il male e la  sessualità pervertita, che in questa prospettiva diventano redentivi. Ci viene detto che il film Teorema (1968-69) è “una strana enigmatica parabola che tratta della corrotta società contemporanea attraverso gli effetti devastanti che uno straniero misterioso, sensuale ha nella famiglia di un industriale”. Il film fu etichettato osceno dal governo italiano (è una produzione italiana), ma “la Chiesa Cattolica lo onorò con un premio (che fu più tardi ritirato)”. Un misterioso straniero fa visita ad una casa e “dà ad ogni membro della casa il tipo di conforto sessuale che ciascuno brama. Lo straniero legge i loro più intimi pensieri e li conforta”. Sono coinvolti un padre, madre, figlio, figlia, e cameriera. Quando lo straniero se ne va sopravviene “un grande vuoto — un abisso intellettuale e spirituale dal quale non può provenire aiuto”. Il padre diventa un omosessuale che erra per le strade nudo, la madre diventa una battona morale; il figlio cerca fuga nella pittura impressionista; la figlia diventa demente, e la cameriera un’eremita religiosa che opera miracoli.

Che senso si può trovare in tutto questo? Lo straniero si deve supporre Dio, il diavolo o nessuno dei due? Queste persone sono così depravate che quando spogliate della loro esistenza borghese non hanno più nulla se non la pazzia?[17]

Il fatto che il misterioso straniero possa essere “Dio, il diavolo, o nessuno dei due” è particolarmente significativo. Il punto è che non c’è discernibile differenza tra Dio e il diavolo, per cui tale misterioso straniero può essere definito ambedue o nessuno dei due. Il valore ultimo e la moralità sono tenuti per incompatibili e perciò in un mondo di bene e di male “Dio o il diavolo” deve derubare gli uomini della loro “artificiale esistenza borghese”. In questo modo, in Teorema il sesso è uno strumento religioso a doppia lama: può portare redenzione, o può portare dannazione a quelli che rifiutano il suo messaggio.

Similmente, il film “I am Curious (Yellow)” un film svedese, è caratterizzato da un radicale disprezzo dell’autorità, espresso sessualmente, secondo il sociologo-psicologo Dr. Charles Winick, un testimone a favore del film nel suo processo americano.[18] Quanto segue lo dice chiaramente: lo scopo di questa sessualità religiosa è lo sprezzo dell’autorità, dell’autorità di Dio, da parte del nuovo dio, l’uomo. Questo sprezzo richiede la religiosa messa in atto del male come questione di principio.[19] In qualche gruppo, oggi, il test d’eccellenza di capacità e di conduzione è la depravazione, la messa in atto di varie azioni depravate.[20] La loro tesi è “la rettitudine di Lucifero” cioè del male.[21] Il loro principio è: un amore per le sconcezze,[22] credere nella propria divinità,[23] e una guerra totale contro ogni legge di Dio.

Tutto ciò non dovrebbe sorprenderci. È una legge dell’essere che l’apostasia religiosa ha conseguenze morali. Come ha reso chiaro san Paolo in Romani 1, l’idolatria dell’uomo risulta inevitabilmente in immoralità, e l’immoralità in perversità e perversioni. Poiché tali uomini abbandonano Dio, egli abbandona loro. Tali uomini cambiano la verità di Dio con una menzogna (Ro. 1:25); “Per ‘una menzogna’ qui è inteso ‘falsi dèi’ che sono la suprema incarnazione della falsità”.24 Il commento di Knox su Romani 1: 24-27 dice in parte:

Lo scopo primario dell’apostolo al momento è di indicare non il peccato, ma il giudizio. Egli vede nella corruzione morale, specialmente nei vizi sessuali innaturali, un segno che “l’ira” ha già cominciato a operare: Dio li ha abbandonati … a impurità. Abbiamo già visto che Paolo concepisce che il peccato e le sue conseguenze hanno il collegamento più stretto possibile; decadimento e morte fecero seguito al peccato altrettanto inevitabilmente di quanto fecero vita e pace sulla giustizia della fede, e di fatto parteciparono dello stesso carattere. Così qui egli vede il prevalere dell’omosessualità, il vituperare i loro corpi tra di loro, come una manifestazione non solo del peccato, ma anche delle sue conseguenze e punizione, cioè, corruzione e morte.[25]

L’umanista si ribella contro Dio per poter esaltare se stesso. La triste ironia del giudizio è che la sua azione lo porta a disonorare se stesso. L’umanista cerca di glorificare e onorare il proprio corpo, ma invece lo disonora apertamente e fa del proprio disonore un fatto pubblico.[26]

Sesso e religione sono pertanto strettamente e inevitabilmente concatenati in ogni fede non-biblica. È il risultato religioso dell’apostasia: l’uomo adora la propria malvagità sessuale ed esalta il proprio disonore facendoli diventare un modo di vivere. L’uomo umanista adora “il momento” e converte “lo spirito di trasgressione” in principio religioso. Tale fede non può creare o perpetuare una cultura, può solo distruggerla. L’uomo deve o ricostruire nei termini del Dio trino o essere rovesciato e messo sotto dall’aratro del suo giudizio.


Note:
1 John Murray: The Epistle to the Romans; Grand Rapids: Eerdmans, 1959, I, 44 s.

2 Herbert Asbury: The Barbary Coast; New York: Garden City Publishing Company, 1935 [1933], p. 263.

3 Georges Bataille: Death and Sensuality, p. 112 s.

Ibid., p. 114.

Ibid., p. 115.

6 Edward Podolsky in Prefazione a T Clifton Longworth: The Gods of Love, The Process of Early Religion; Westport. Conn.: Associated Booksellers, 1960, p. 23.

7 Charles Francis Potter, introduzione a B. Z. Goldberg: The Sacred Fire, The Story of Sex in Religion; New York: University Books, 1958, p. 11.

8 B. Z. Goldberg: The Sacred Fire, p. 60 s.

9 Bengt Danielsson: Love in the South Seas; New York: Dell Publishing Company, [1956]. 1965, p. 92.

10 Suzanne Lilar: Aspects of Love in Western Society; London: Thames and Hudson [1963], 1965, p. 92. Tradotto con una prefazione di Jonathan Griffin.

11 Ibid., pp. 119-154.

12 Ibid., p. 174 s.

13 Nancy Milford: The Sun King; New York: Harper and Raw, 1966, p. 151.

14 Elizabeth Sutherland: “Interview with Andrei Voznesensky”, Barney Rosset editore: Evergreen Review Reader, 1957-1967; New York: Grove press, inc., 1968, p. 540.

15 Anselm Hollo: “A Varrant Is Out for the Arrest of Henry Miller”, poema in Evergreen Review Reader, p. 538.

16 Michael O’Donoghue: “The Adventures of Phoebe Leit-Geist, Episode X” in ibid., altro lato di p. 473.

17 Dale Mornroe: “Movie Review: Enigmatic ‘Theorema’” in Los Angeles Herald Examiner, venerdì 23 maggio, 1969, p. C-1-

18 I am Curious (Yellow), film di Vilgot Sjoman; New York: Grove Press, 1968, p. 209.

19 Vedi R. E. L. Masters: Eros and Evil, The Sexual Psycopathology of Witchcraft; New York: The Julian Press, 1962, Per un resoconto di questo in un epoca precedente, presentato da un punto di vista umanistico, vedi R: E: L: Masters e Edward Lee: Perverse Crimes in History; New York: The Julian Press, 1963; e Allen Edwardes e R. E. L. Masters: The Cradle of Erotica; New York: The Julian Press, 1963.

20 Vedi Freewheeling Frank; Segretario degli Angels, come raccontato a Michael McClure da Frank Reynolds; New York: Grove Press, 1967.

21 Ibid., p. 150.
22 Ibid., p. 105, 126.
23 Ibid., p. 8, 72, 75, 107.
24 W. Sanday: “Romans” in Ellicott, VII, 208.

25 John Knox: “Romans” in The Interpreter’s Bible, vol. 9, p. 400 s.

26 R. C. H. Lensky: The Interpretation of St. Paul Epistle to the Romans; Columbus, Ohio: Wartburg Press, 1945, p. 109 s.

 

7. 11. ADULTERIO

L’approccio alle Scritture dell’umanista è un approccio perverso fin nel principio. La lettura della bibbia viene sistematicamente stravolta. Quindi, Hays dice, riguardo alla caduta dell’uomo:

Per tornare al serpente, quando Adamo viene raggirato da Eva, alla quale era stato precedentemente detta la verità dal serpente, gli occhi della prima coppia si sono aperti ed essi “sono come dèi, conoscendo il bene e il male”. Imparano anche che sono nudi e diventano per la prima volta colpevoli sessualmente — in altri termini, è inventato il rapporto sessuale.[1]

La bibbia, si sostiene, ha una cattiva opinione del sesso, mentre l’uomo moderno ne ha una sana. Anche un moderno psicoanalista, comunque, ha trovato che l’opinione moderna sia piuttosto malsana.

L’espressione “divertirsi” diventa in America sempre più sinonimo di avere un rapporto sessuale. Questa nuova connotazione è sintomatica del degrado emotivo del processo sessuale. L’esperienza sessuale è in realtà molto seria, e talvolta perfino tragica. Se è solo divertimento, non è più nemmeno divertente.[2]

Bisognerebbe notare, inoltre, che non è solo la visione biblica del sesso e del matrimonio ad essere attaccata, ma il cristiano stesso perché professa quella visione. Molto presto: “L’insegnamento morale dei missionari cristiani sembrò una critica della vita privata della famiglia imperiale, un attacco alla legge romana e alle morali della società romana”.3 Sentiamo molto parlare della corruzione e dell’immoralità del clero del Medio Evo e troppo poco dei dei molti preti e monaci fedeli, né ci viene raccontato molto spesso delle persone immorali di quell’epoca che tentarono di sovvertire il clero. Così, Berthold osservò: “Giovani figlie e giovani damigelle non pensano ad altro che a come possano sedurre monaci e preti”.[4]

Il motivo di questa ostilità è la legge biblica con la sua insistenza che solo le relazioni sessuali maritali sono legittime e morali. Lo standard biblico del matrimonio è visto come oppressivo e innaturale.

La fusione di due personalità, anche quando evita il pericolo di divorarsi a vicenda, va verso un ulteriore conflitto con la forma sessuale basilare dei mammiferi. Nel complesso, la monogamia fedele non sembra essere una forma naturale, ma una inventata socialmente; con tutto ciò, è così rara da sembrare quasi anormale. Di centoottantacinque società analizzate nella Human Relations Area Files all’Università di Yale, solo circa il cinque per cento erano monogamie nelle quali tutte le attività sessuali maschili esterne erano non permesse o disapprovate. Pertanto, ad alcuni studiosi la fedeltà sembra essere difficile, innaturale, e dal costo troppo alto, ed insistere su di essa sembra essere la causa di ipocrisia, colpa, infelicità, e rottura di matrimoni. Tutto questo è il prodotto dell’identificazione degli “io”, perché l’infedeltà è la condivisione di un’esperienza molto intensa con qualcuno altro dal principale partner d’amore, e di conseguenza spezza la fusione. Anche se l’infedeltà è occultata perfettamente, erige in una persona delle barriere ostili e luoghi bui dove l’altro non può penetrare. Il Dr. Abraham Stone ha riportato che in quasi tre decadi di consulenza matrimoniale ha trovato che l’infedeltà non è quasi mai risultata innocua, ma praticamente sempre causa di occultamento, colpa, e impedimento di interazione tra le personalità e di amore totale. Nondimeno, il disagio della fedeltà potrebbe essere il prezzo con cui si acquisisce nel matrimonio considerevole felicità e stabilità.[5]

In questa prospettiva, c’è al massimo un’infelice, pragmatica accettazione della monogamia, e tale prospettiva non può ispirare fedeltà. Non c’è qui riferimento al significato del matrimonio ma solo a ciò che l’individuo può ottenere al prezzo più basso. In questo modo, anche l’apparente assenso alla legge biblica sottolinea la radicale diversità di principi tra la fede biblica e l’umanismo. Così, Cole scrive: “Il cristianesimo e la psicoanalisi possono concordare che lo standard della forma coitale di Rado: l’inserimento del pene nella vagina prima dell’orgasmo rappresenti la misura di sessualità ‘normale’”.[6] Qui c’è una “misura di sessualità normale” senza alcun riferimento alla parola e al decreto divino, solo la relazione del pene con la vagina. La sessualità normale per il cristianesimo è la sessualità matrimoniale; l’adulterio è una violazione di quella relazione e un azione anormale e criminale: un attacco all’ordinamento fondamentale.

Nel trattare col matrimonio, il settimo comandamento seleziona come parola-legge cruciale: “Tu non commetterai adulterio” (Es. 20:14; De. 5:18). Questa stessa legge è dichiarata in alcune altre forme: è proibita in Levitico 18:20 ed è descritta come contaminazione. La pena per l’adulterio è specificamente la morte (Le. 20:10; De. 22:22).

Per poter vedere la materia in prospettiva, esaminiamo le regole pre- matrimoniali. In molte culture, l’adulterio era proibito alla femmina, ma licenza pre- e post-matrimoniale veniva concessa al maschio. Qui la prassi greca e romana è ben nota. Nella cultura cinese l’adulterio era considerato, quantomeno prima del comunismo, come un reato solamente femminile. Il maschio era libero di fare come voleva. Figli nati ad un uomo da relazioni extra-coniugali venivano portati nella casa dell’uomo, e la moglie li doveva accettare.[7] A volte si sente dire che gli standard biblici fossero simili, ma non ci sono evidenze per questo. Mentre non c’è una legge che tratti la cosa direttamente, il tenore generale della legge, l’evidenza di Proverbi e il Nuovo Testamento rendono chiara la posizione biblica.

Primo, come abbiamo notato precedentemente, la legge richiese lo sterminio dei Canaaniti, dei loro culti della fertilità e le loro prostituzioni religiose. Lo scopo della legge è una terra purgata da tutti questi mali. La legge pertanto si rivolge ad una situazione nella quale questi mali particolari non esistevano; ecco che non avevano legittimità d’esistere.

Secondo, non solo dovevano essere eliminate la prostitute (e i prostituti) Canaaniti, ma non dovevano esisterne di origini ebraiche. La punizione era a discrezione delle autorità, ma la legge proibiva chiaramente l’esistenza di prostitute o sodomiti (prostituti maschi omosessuali) ebrei.

Non contaminare la tua figlia, facendola divenire una prostituta, affinché il paese non si dia alla prostituzione e il paese non si riempia di scelleratezze (Le. 19:29).
Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele (De. 23:17).

La punizione per la figlia di un sacerdote che diventasse una prostituta era la morte (Le. 21:9).

Terzo, in Proverbi, tutta la sessualità extra-matrimoniale è condannata, e i consigli concernenti i mali di prostituzione, adulterio e sesso pre- matrimoniale vengono tutti dati come sapienza antica e impliciti nella legge di Dio. La castità del matrimonio è dichiarata essere lo standard (Pr. 5:1-23). È presentata, non come un impoverimento della vita, ma come una fonte d’acqua corrente di gioia e salute per l’uomo (Pr. 5:15-23). L’adulterio è condannato in modo speciale; la prostituta è una degenerata morale, ma l’adultera aggiunge al proprio male la perversità: “perché, se la prostituta cerca un pezzo di pane, la maritata mira a una vita preziosa” (Pr. 6:26 CEI). L’adulterio è un fuoco divorante (Pr. 6:20-35). Porta a morte e rovina (Pr. 7:1-27). Il rapporto sessuale con prostitute è cosa malvagia, ma l’adulterio è l’apice del male e pazzia. Tutto questo è dichiarato da Salomone essere la sapienza della legge.

Quarto, il Nuovo Testamento proibì tutti i rapporti sessuali non matrimoniali e pertanto anche quelli pre-matrimoniali, senza altre preoccupazioni che quella di riaffermare la legge biblica a convertiti Greci e Romani (At. 15:20, 29; 21:25; Ro. 1:29; 1 Co. 5:1; 6:13, 18; 7:2, ecc.). Cristo proibì il pensiero che porta ad essi (Mt. 5:28).

È chiaro, dunque, che la legge biblica è designata a creare una società familistica, e il reato sociale principale è attaccare la vita della famiglia. L’adulterio è pertanto collocato sullo stesso livello dell’omicidio, per il fatto che è un atto omicida contro l’istituzione sociale centrale di una cultura sana. L’adulterio impunito è distruttivo della vita della famiglia e dell’ordine sociale. Da parte della moglie, è tradimento verso la famiglia e introduce nella famiglia una lealtà aliena quanto una progenie aliena. Anche da parte del marito è tradimento e slealtà, e in più mina la sua autorità morale. Un marito moralmente puro confida nella propria autorità e la esercita con fiducia data da Dio. Un uomo colpevole è meno capace di esercitare autorità e ondeggia tra arbitrarietà e una resa dell’autorità. L’ordinamento giuridico di una famiglia è d’un sol pezzo e la persona che lo rompe in un punto inevitabilmente lo arrende su tutti gli altri. Gli arresti per fornicazione e per adulterio erano pochi nel 1948;[8] per il 1969 erano virtualmente scomparsi insieme a molta della disciplina interna alla famiglia. I commenti di Zimmerman sulle epoche di forte familismo nella storia, cioè la famiglia amministratrice fiduciaria, è interessante:

Pertanto nel periodo della famiglia fiduciaria, l’adulterio, insieme ad un altro reato o due, è l’azione più infame contro l’intera società (gruppi di parentela che connettono la persona con la vita). Il marito non è necessariamente punito dalla propria famiglia ma essi devono sistemare le cose con l’altra famiglia per i suoi peccati; così, piuttosto che sorbirsi le conseguenze lo disconoscevano e se l’altra famiglia non l’uccideva avrebbe dovuto fuggire per la propria vita a esilio perpetuo finché il crimine non fosse dimenticato. Nel caso il marito commettesse adulterio con una donna che non aveva famiglia immediata, non c’è nessuno che lo punisca eccetto i parenti della donna (sempre che i parenti dell’adultero non lo mettessero in riga), ma in molti casi sono queste sono semplicemente le persone che lo faranno. Gregorio di Tours registra questi casi tra i francesi nel periodo della famiglia fiduciaria dopo il declino romano.[9]

La famiglia è il custode centrale della proprietà e dei figli, due aspetti basilari di ogni società. Una società sana è quella che protegge la famiglia perché riconosce che è in gioco la sua sopravvivenza.

Un’area di protezione è contro violenza e stupro. I testi che citano la legge sullo stupro e sulla seduzione sono i seguenti: stupro, Deuteronomio 22:23-29; seduzione, Esodo 22:16, 17.

La pena per lo stupro di una donna sposata, o di una promessa in sposa, era la morte. La legge specificava che si presumeva il consenso da parte della donna se il fatto era avvenuto “in città” ed “ella non aveva gridato”, e a quel punto era presunta colpevole di aver partecipato all’adulterio anziché aver subito un atto di violenza. Come ha osservato Lutero: “La città qui è menzionata per fare un esempio, perché in essa ci sarebbero state delle persone disposte ad aiutarla. Perciò, colei che non grida rivela di essere stata violentata di propria volontà”.[10] In altre parole, “la città” rappresenta l’aiuto a sua disposizione: era stato invocato?

I casi classificati come seduzione sono tecnicamente e realisticamente anch’essi casi di stupro; la differenza è che la ragazza in questione non è né sposata né promessa. Perché in questi casi non è invocata la pena di morte? Nei casi precedenti, il matrimonio era già stato contratto; il crimine era perciò contro entrambi, l’uomo e la donna, e richiedeva la morte. Nel caso di una ragazza nubile, non fidanzata, la decisione stava in mano del padre della ragazza e, in parte, della ragazza. Se il colpevole, citato semplicemente come seduttore in Esodo 22:16,17, e come stupratore in Deuteronomio 22:28-29, è un marito accettabile, allora pagherà 50 sicli d’argento come dote e la sposerà, senza diritto di divorzio “perché l’ha umiliata” (De. 22:29); ma “Se suo padre rifiuta di dargliela, pagherà la somma richiesta per la dote delle vergini” (Es. 22:17). Se un uomo è in questo modo rifiutato come marito, la ragazza viene compensata per l’offesa in modo da renderla una moglie attrattiva per un altro uomo, perché giungerebbe al matrimonio con una dote doppia, la propria e quella della compensazione.

Per comprendere lo sfondo di questa legge, ricordiamo, primo, che la legge biblica richiede la morte per i delinquenti e i criminali incorreggibili. Il seduttore/violentatore di una ragazza non fidanzata era pertanto presumibilmente non un giovane incorreggibile, benché in questo momento chiaramente colpevole. Nessun guadagno era possibile dal suo crimine. Se gli fosse stato permesso di sposare la ragazza, l’avrebbe fatto senza diritto di divorzio e al costo di una dote intera. Se veniva rifiutato doveva comunque pagare una dote intera, una perdita considerevole per il proprio futuro.

Nel matrimonio, la donna era protetta da abuso e calunnia da parte del marito. Se egli avesse impugnato la sua moralità sessuale, un rituale che richiedeva chiaramente la verifica soprannaturale rivela la sua innocenza o colpevolezza. Se colpevole d’adulterio moriva una morte lenta. Se innocente, allora Dio l’avrebbe benedetta in modo soprannaturale (Nu. 5:11-21). “sarà seminata con seme” (Nu. 5:28 tradotto letteralmente), che significa che inoltre il marito avrebbe dovuto fare il proprio dovere nei suoi confronti.

Se il marito avesse calunniato il carattere della moglie, dicendo che non era vergine quando l’aveva sposata, egli veniva portato a processo insieme alla moglie. Se la sua accusa era vera, lei moriva, se era falsa, egli veniva multato 100 sicli d’argento, da pagarsi al suocero e perdeva il diritto di divorziare (De. 22:13-21). In questo modo la moglie era protetta nel matrimonio. Le erano garantiti legalmente per tutta la vita il cibo, il vestiario, e “il suo dovere matrimoniale”, cioè rapporti sessuali, nella casa del marito (Es. 21: 10 tradotto con “coabitazione”). Alla donna era anche assicurato che il marito non sarebbe stato chiamato alla leva né “gli sarebbe affidato alcun incarico” che lo portasse lontano da casa nel primo anno di matrimonio (De. 24:5).

Per tornare adesso alla questione dell’adulterio, l’interpretazione di Cole della prospettiva del Nuovo Testamento è di particolare interesse:

L’adulterio non era meramente la violazione della famiglia/casa di un altro uomo, la violazione dei diritti di consimile maschio che minacciava la sicurezza del suo lignaggio, ma una violazione della sua unità con sua moglie, una rottura del suo stato di “una sola carne” (henosis). Un adulterio non era solo del corpo ma anche del cuore, “ Poiché dal cuore provengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni” (Mt. 15:19). Poiché ciò era vero, l’adulterio era già stato commesso da uno sguardo di concupiscenza o un desiderio libidinoso (Mt. 5:27-28).[11]

Sufficientemente vero, ma l’adulterio come ogni altro peccato, è dal principio alla fine una trasgressione contro Dio e contro il suo ordine giuridico. Come giustamente confessò Davide: “Ho peccato contro te, contro te solo, e ho fatto ciò ch’è male agli occhi tuoi” (Sa. 51:4). Tutti i peccati sono essenzialmente contro Dio, e dunque l’enfasi centrata su Dio non può essere trascurata nei crimini sessuali.

La pena per l’adulterio nel Vecchio Testamento era chiaramente la morte. Quel’è la pena nel Nuovo Testamento? L’incidente della donna colta in adulterio (Gv. 8:1-11) è stata spesso discussa in questo contesto, ma senza pertinenza. Primo, Gesù rifiutò di essere fatto giudice di questioni giuridiche, in questo caso e nella questione di una contestata eredità (Lu. 12:13, 14). In quanto Signor della gloria, rifiutò di essere ridotto a giudice di pace. Secondo, Gesù rese chiaro che un giudice deve avere mani pulite, altrimenti è squalificato dal giudicare: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Gv. 8:7). Ovviamente, per peccato, voleva qui dire adulterio; la sua sfida fu: osate incriminare senza incriminare voi stessi? Temendo la sua conoscenza e il suo giudizio, se ne andarono. Terzo, quando la donna colpevole riconobbe che era il “signore” la perdonò e la mandò via (Gv. 8:10, 11). Questo perdono fu un perdono religioso, non un giudizio civile. Egli con ciò non interferì con qualsiasi iniziativa il marito potesse prendere per dissolvere il matrimonio. Un assassino può essere religiosamente assicurato del perdono ma essere lo stesso giustiziato; confondere il perdono religioso con quello civile è un serio errore. Achan confessò la propria colpa sull’appello religioso di Giosuè, ma fu giustiziato lo stesso (Gs. 7:19-26). Pertanto, l’incidente della donna colta in adulterio, mentre è importante rispetto alla grazia, non è pertinente come causa giuridica. Si può aggiungere che la pena di morte non era più comminata per adulterio, e un tentativo di forzare un giudizio da Gesù nei confronti della donna colta in adulterio fu un tentativo di imbarazzarlo. Se avesse negato la pena di morte, la sua dichiarazione che era venuto per compiere la legge (Mt. 5:17, 18) sarebbe stata messa in discussione; se avesse affermato la pena di morte, avrebbe affermato una posizione altamente impopolare. Gesù in cambio giudicò loro; gli empi e ribelli non possono implementare la legge, ed essi erano empi e ribelli. La mancanza di qualsiasi ordine civile in questa materia è evidente da Ebrei 13:4: “Sia il matrimonio tenuto in onore da tutti e il letto coniugale sia incontaminato, poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri”. Era costretto a giudicarli Dio perché la società al tempo non lo faceva. Il giudizio di Dio è inevitabile, per quanto possa essere assente quello dell’uomo. Ma qual era il giudizio di Dio nei confronti dell’adulterio?

Il testo cruciale è 1 Corinzi 5, un testo assai difficile in alcuni dettagli. Primo, il caso in questione è un membro che “convive con la moglie del padre” (1 Co. 5:1 CEI). Nei termini di Levitico 18:8 questo era incesto e richiedeva la pena di morte. Paolo rende chiaro che questo peccato è un reato perfino per i Gentili. Secondo, benché sia chiaramente incesto nei termini della legge biblica, san Paolo non lo tratta dal punto di vista giuridico come un incesto. Egli rende chiaro, nel verso 1 che di incesto si tratta, comunque. Invece, all’uomo viene dato il termine generico di “fornicatore” che copre una varietà di crimini (1 Co.5: 9, 11). Poiché sembra evidente che il padre fosse ancora in vita, visto che la donna viene chiamata “la moglie di suo padre”, non vedova, il crimine dell’uomo con la sua matrigna è adulterio oltre ad incesto. Il termine “fornicatore” copre entrambi i fattori ma è meno specifico. Terzo, san Paolo ordina loro di “darlo in mano di Satana a perdizione della carne, affinché lo spirito sia salvato nel giorno del Signor Gesù” (1 Co. 5:5). Craig è corretto nell’interpretarlo come pena di morte.[12]  Pertanto, la pena di morte è chiaramente le legge di Dio per l’incesto e/o l’adulterio. La chiesa, però, non può giustiziare un uomo; la pena di morte non appartiene alla chiesa. La chiesa, però, deve in effetti pronunciare la pena di morte consegnandolo a Satana; vale a dire che la protezione provvidenziale di Dio viene ritirata, in modo che l’uomo possa essere umiliato e redento. Quarto, la chiesa, comunque, nel frattempo ha il dovere di agire. Essi devono “togliere via il vecchio lievito”; non devono associarsi con fornicatori nella chiesa: “con un tale non dovete neppure mangiare. …Perciò togliete il malvagio di mezzo a voi” (1 Co. 5:6-13). Visto che la donna non è inclusa nel giudizio, si può assumere che non fosse cristiana e pertanto non soggetta a disciplina della chiesa. Il pentimento del colpevole avrebbe potuto dopo un periodo possibilmente ripristinarlo alla comunione della chiesa, ma sempre come uno con una riconosciuta sentenza di morte sul suo capo.

In questo modo, alla chiesa veniva dato un realistico aiuto giuridico per fronteggiare il problema dei reati capitali in una società che non li riconosceva come tali, perché si riconosceva realisticamente che questo fosse un problema cruciale per la chiesa. Un ordine giuridico pio ripristinerà la pena di morte, ma la chiesa deve vivere realisticamente con la sua assenza e proteggersi. L’appropriato giudizio della chiesa riconosce la pena di morte e agisce nei termini della realtà presente.

La prima chiesa agì in questi termini. L’adulterio fu giudicato severamente e gli adulteri venivano riaccolti nella comunione della chiesa solo nel più severo dei termini. In qualche area prevalse l’esclusione totale, ma questo non fu generale.

Il mondo in cui la chiesa si muoveva aveva una varietà di atteggiamenti nei confronti dell’adulterio, dalla tolleranza alla brutale mutilazione. Nella Polonia pre-cristiana: “Il criminale veniva condotto nel luogo di mercato, e lì inchiodato per i testicoli; una lama veniva posta a sua portata ed egli aveva l’opzione di eseguire la giustizia su se stesso o rimanere dov’era e morire”. In Roma, “Teodosio istituì la shoccante pratica della constuprazione, che però abolì poco dopo”.[13]

Al presente molti sostengono che l’adulterio sia una panacea per una varietà di problemi psicologici. Un professore di psichiatria della Temple University ha raccomandato relazioni amorose come una soluzione ad alcuni problemi.[14]  Fin dal 1929, un ricercatore trovò che una comune causa d’adulterio tra le donne fosse la convinzione che avrebbero perso qualcosa nella vita se non fossero state coinvolte in adulterio. Il Dr. G. V. Hamilton, che fece lo studio, registrò, secondo Sherrill:

Che una vasta porzione di queste donne che di avventuravano fuori dal matrimonio lo stavano facendo non per fattori di temperamento. Essere caste non era per loro più difficile che per altre e neppure traevano alcun piacere fisico dalle loro avventure. Piuttosto, sembrava che stessero seguendo questo corso d’azione perché sentivano di dover mettere in atto idee che si erano fatte sulla “libertà coniugale”.[15]

Poiché lo stato si sta stabilmente impadronendo di due responsabilità basilari della famiglia, la custodia della proprietà e dei figli, lo stato sta relegando l’adulterio all’ambito delle cose periferiche e relativamente ininfluenti. Finché l’autorità della famiglia in queste due aree non verrà ristabilita l’adulterio non sarà nuovamente considerato una minaccia per la società anziché una sorta d’intrattenimento. Al presente, l’adulterio è visto come una questione personale a un aspetto della personale esperienza e piacere, e nulla di più.[16]

In tutte le culture ove è esistita o è stata ristabilita l’autorità della famiglia su proprietà e figli, l’adulterio diventa inevitabilmente uno dei crimini più terrificanti, e c’è una storia corposa di brutali torture e di rappresaglie contro i trasgressori. La correlazione è inevitabile: ove un crimine sia tradimento contro la società, lì sono imposte pene particolarmente severe.

La risposta biblica è dunque di ristabilire la famiglia nelle sue funzioni, proteggerla nella sua integrità, e poi penalizzare i trasgressori. In una società sana, il tradimento è un crimine raro. In contrasto con l’opinione corrente, è spesso stato raro nel passato, ed è poco comune nell’Irlanda attuale, secondo Grey.[17]

Una nota finale: La prima chiesa ebbe un problema serio, il suo dovere di implementare la legge in un epoca senza legge. Uomini i cui reati richiedevano la pena di morte, come nel caso della chiesa di Corinto, restavano vivi, e il loro ritorno in chiesa se pentiti poneva problemi. Dove la legge biblica richiedeva la restituzione, la questione era relativamente semplice, ma che ne era di quei reati che richiedevano la morte? L’accettazione su una semplice dichiarazione di pentimento equivaleva ovviamente a rendere quei crimini più leggeri nelle loro conseguenze di molti dei crimini minori. Di conseguenza si evolvette il sistema penitenziale. I Protestanti, che sono usi vedere solo i suoi abusi successivi, mancano quasi sempre di vedere la sua salute iniziale, e la sua forza come strumento giuridico. Agli adulteri, per esempio, venivano richiesti atti di penitenza, non come opera di espiazione, ma coma azioni pratiche di santificazione. La penitenza serviva un duplice scopo. Primo, dimostrava la sincerità della professione di pentimento. Secondo, costituiva una forma di restituzione. La penitenza era in questo modo un primo passo verso il ristabilimento di un ordine giuridico che lo stato aveva negato.

Note:

1 H. R. Hays: The Dangerous Sex, The Myth of Feminine Evil; New York: G. P. Putnam’s Sons, 1964, p. 91.

2 Theodor Reik: Sex in Man and Woman: Its Emotional Variations; New York: Harper and Brothers [1956], 1958, p. 83.

3 Richard Lewinsohn: A History of Sexual Customs; New York: Harper and Brothers [1956], 1958, p. 83.

4 Herman Heinrich Ploss a Max Paul Bartels: Woman in the Sexual Relation; New York: Medical Press of New York, p. 34. Rivisto e ampliato da Ferd F. Von Reitzenstein.

5 Morton M. Hunt: The Natural History of Love; New York: Knopf, 1959, p. 394.
6 William Graham Cole: Sex in Christianity and Psycoanalysis; New York: Oxford University Press, 1955, p. 302.

7 David and Vera Mace: Marriage East and West; Garden city, N.Y. : Double-day, 1959, 1960, p. 238.

8 Morris Ploscowe: Sex and the Law; New York: Prentice-hall, 1951, p. 157.

9 Carle C. Zimmerman: Family and Civilization; New York: Harper and Brothers, 1947, p. 153.

10 Luther: Lectures on Deuteronomy, p. 223.

11 William Graham Cole: Sex and Love in the Bible; New York: Association Press, 1959, p. 191.

12 Clarence Tucker Craig: “I Corinthians” in Interpreter’s Bible, X, 62.

13 “Adultery” in John M’Clintock and James Strong: Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiatical Literature; New York: Harper and Brothers, 1895, I, 86 s.

14 O. Spurgeon English: “Some Married People Should Have Love Affairs,” Pageant, Marzo 1969, p. 108-117.

15 Lewis Joseph Sherrill: Family and Church; New York: Abingdon Press, 1937, p. 116 s.

16 Vedi John T. Warren: Wife Swappers; New York: Lancer Books, 1966).
17 Tony Grey: The Irish Question; Boston: Little, Brown & Co., 1966.

 

7. 12. DIVORZIO

(Nota del traduttore: considero questo capitolo del libro uno degli studi sul divorzio più aderenti al dato Scritturale che ci siano. Però, è un capitolo di un libro che ha un contesto, ed è anche di laboriosa comprensione. Per questa versione sul web mi sono preso la libertà di mettere in grassetto alcune parole per aumentare l’enfasi in qualche punto solo per facilitarne la lettura.)

Nelle Scritture il matrimonio è l’unione volontaria di due persone, un uomo e una donna, legati in matrimonio; benché i matrimoni fossero comunemente combinati, ci si accertava del consenso. Senza consenso, l’unione è sempre in effetti uno stupro. Calvino e Lutero evidenziarono entrambi il fatto del mutuo consenso come necessario per la validità di un matrimonio nella loro discussione dell’episodio che vide coinvolti Giacobbe e Lea. [1]Può essere quindi sollevata la domanda del perché Giacobbe abbia accettato Lea. La risposta è chiaramente che egli si trovava in una situazione di coercizione. Era stato umiliato e sfruttato da Labano il quale sapeva che in quanto straniero Giacobbe non poteva fare un ricorso legale. In un senso fu uno stupro ai danni di Giacobbe, che non avrebbe potuto fare nulla eccetto protestare o fuggire, ma non avrebbe potuto far uso con successo dei propri diritti giuridici.

L’unione, implica mutuo consenso; la dissoluzione di un matrimonio no. La forma più comune di divorzio è per morte. Questa poteva essere non solo naturale, che non è un divorzio strettamente parlando, ma una esecuzione giuridica che divorziava la parte colpevole da vita, società e sposo/a. Quelli che avessero fatto i missionari per un culto idolatrico erano sottoposti alla morte e pertanto al divorzio (De. 13:1-11). La legge pre-mosaica richiedeva la morte per l’adulterio, come dimostra l’episodio di Tamar (Ge. 38:24), Davide se lo aspettava per il proprio peccato (2 Sa. 12:5), e fu necessaria una parola dal Signore, il messaggio di Nathan: “Non morirai” (2 Sa. 12:13) per evitare quella sentenza.

In alcune culture non esiste divorzio per morte, come testimonia il mormonismo, con matrimoni eterni. In altre società, la moglie veniva uccisa (come nell’induismo fino a poco tempo fa) per prevenire il nuovo matrimonio o il proseguimento della vita senza lo sposo. La legge mosaica e nostro Signore (Mt. 22:23-33) rifiutarono di riconoscere tali usanze dando il permesso di ri-maritarsi e limitando il matrimonio a questo stato mortale.

Tornando al matrimonio per morte, la legge biblica divorziava la parte colpevole da quella innocente mediante la morte per molti reati. Alcune delle leggi per le quali una donna poteva divorziare per morte e risposarsi sono le seguenti, la quali tutte richiedono la pena di morte per l’uomo:

  1. Adulterio: Deuteronomio 22:20-25; Levitico 20:10.
  2. Stupro: Deuteronomio 22:25, 26.
  3. Incesto: Levitico 20:11, 12, 14, 17.
  4. Omosessualità o sodomia: Levitico 20:13 (18:22).
  5. Rapporti con animali: Es. 22:19; Levitico 18:23; 20:15; Numeri 35:16-21.
  6. Omicidio premeditato: Esodo 21:12, 14; Numeri 35:16-21.
  7. Colpire il padre o la madre: Esodo 21:15.
  8. Morte di una donna per aborto dovuto ad aggressione: Esodo 21:22, 23.
  9. Sacrificio di figli a Molech: Levitico 20:2-5.
  10. Maledire padre e madre: Esodo 21:17; Levitico 20:9.
  11. Rapimento: Esodo 21:16.
  12. Essere medium o mago: Levitico 20:27 (cf. De. 13:1-11).
  13. Essere un falso profeta o sognatore: Deuteronomio 13:1-5; 18:20.
  14. Apostasia: Deuteronomio 13:6-16; 17:2-5.
  15. Sacrificare ad altri dèi: Esodo 22:20.
  16. Rifiutarsi di ottemperare decisioni di giudici: Deuteronomio 17:12.
  17. Blasfemia: Levitico 24:16
  18. Dissacrazione del sabato: Numeri 15:32-36 (questo compare, non come parte della legislazione, ma da un caso particolare avvenuto nel deserto).
  19. Trasgressione del patto: Deuteronomio 17:2-5

Il divorzio per morte era ottenibile dagli uomini in ragione delle seguenti pene di morte citate per le donne e la denuncia da parte del credente era obbligatoria (De. 13:1-11; Lu. 14:26):

  1. Licenziosità prima del matrimonio: Deuteronomio 22:21.
  2. Adulterio dopo il matrimonio: Deuteronomio 22:22-23; Levitico 20:10.
  3. Prostituzione da parte della figlia di un sacerdote: Levitico 21:9.
  4. Rapporti con animali: Levitico 20:16; 18:23; Esodo 22:19; Deuteronomio 27:21.
  5. Essere maga o strega: Esodo 22:18; Levitico 20:27.
  6. Trasgressione del patto: Deuteronomio 17:2-5.
  7. Incesto: Levitico 20:11, 12, 14, 17.

Balza subito agli occhi che l’elenco è ben più lungo per gli uomini. Chiaramente, alcune delle voci nell’elenco per gli uomini includevano anche le donne. Quindi, la donna colpevole di omicidio ovviamente subiva la pena di morte. Me è egualmente evidente che molti dei crimini erano ovviamente mascolini perché implicavano maggiore forza e vigore — supremazia maschile. Così, stupro e rapimento erano quasi interamente crimini maschili. Gli uomini erano pertanto maggiormente soggetti alla pena di morte a causa della loro posizione d’autorità. Questo è nei termini del principio biblico che, maggiore l’autorità e il privilegio, maggiore la responsabilità e la colpevolezza, come in Levitico 4, dove i sacrifici per il peccato sono fatti in proporzione allo statuto e responsabilità del peccatore. Anche Gesù fece riferimento a questo principio: “Ma colui che non l’ha conosciuta, se fa cose che meritano le battiture, ne riceverà poche. A chiunque è stato dato molto, sarà domandato molto; e a chi molto è stato affidato, molto più sarà richiesto” (Lu. 12:48). Bisognerebbe notare che l’ignoranza non scusa il peccato o elimina la punizione, ma la diminuisce solamente; e allo stesso modo la responsabilità aumenta la colpevolezza. Il peccato di un membro della famiglia non poteva condannare gli altri membri. “Non si metteranno a morte i padri per i figli né si metteranno a morte i figli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato” De. 24:16).

Il divorzio per morte rendeva possibile il nuovo matrimonio, e liberava il partner innocente dal legame con una persona colpevole e impura. Una seconda forma di divorzio compare nella legislazione mosaica, divorzio per inadempienza della legge maritale, cioè il mancare di provvedere cibo, vestiario, e le dovute relazioni sessuali nei confronti di:

  1. Donne prigioniere: Deuteronomio 21:10-14
  2. “Schiave” ebree o meglio serve vincolate: esodo 21:1-10.
  3. L’implicazione è che, se l’inadempienza del contratto di provvisione è applicabile alle ragazze vincolate in servitù è applicabile come causa di divorzio per mogli con dote. San Paolo fa riferimento a questa legge in 1 Corinzi 7:3-5, dove è specificato il requisito delle relazioni sessuali e “la dovuta benevolenza” (ND 2008)”I doveri coniugali” (ND 1991). San Paolo parlò della mancanza di compiere le responsabilità sessuali del matrimonio come frode a danno del partner. (Può anche essere descritta,  ed è stato fatto, come una forma di abbandono). Il riferimento a Esodo 21:1-10 è chiaro; san Paolo parlò nel contesto della legge biblica.

Un terzo tipo di divorzio è sottinteso, imposto dalle autorità, come con Nehemia, nel caso di consanguineità e matrimoni misti:

  1. Matrimoni misti vietati: Deuteronomio 7:1-3; cf. Esodo 34:12-16; Numeri  25:6-8. Divorzio richiesto: Nehemia 9:2; 13:23-27; cf. Malachia 2:14.
  2. Consanguineità proibita: Deuteronomio 22:30; 27:20-23; Levitico 18:6, 18, 20:11, 12, 14, 17, 20, 21.

È anche specificato un quarto tipo di divorzio, mediante un documento scritto o libello di divorzio dato dal marito alla moglie:

  1. Libello di divorzio: Deuteronomio 24:1-4
  2. Libelli di divorzio sono citati in Geremia 3:8 e Isaia 50:1, e a donne divorziate si fa riferimento in Levitico 21:14; 22:13; Numeri 30:9 nel Vecchio Testamento.

In Geremia 3:8 e Isaia 50:1 abbiamo una comprensione del significato del libello di divorzio nel proprio divorzio dal suo popolo eletto annunciato da Dio, e il divorzio qui non è visto certamente come un male soltanto tollerato, come alcuni vorrebbero. Il libello di divorzio, o documento di espunzione o ripudio non era il male ma trattava col male. In Isaia 50:1 (dove madre e figli sono uno, come ha evidenziato J. A. Alexander), la causa è iniquità e trasgressioni. “L’idea generale di reiezione è doppiamente vestita in abito figurativo, primo con emblemi presi in prestito dalla legge e con l’usanza di carcerazione per debiti”. [2]  In Geremia 3:8, il tradimento di Giuda è chiamato adulterio e motivo di divorzio da parte di Dio com’era avvenuto per Israele. Ma più specificamente, Giuda, la moglie, aveva contaminato, dissacrato, paganizzato la casa del marito, la terra di Dio (Gr. 3:9), mentre di tanto in tanto fingeva ipocritamente di riformarsi (v. 10). Il divorzio da Israele fu dovuto ad aperta apostasia, aperta infedeltà (vv. 6-8), ma la causa per il divorzio da Giuda non fu manifesta apostasia, ma tradimento segreto, sotto le sembianze di sincera e fedele ubbidienza (vv.9, 10). La nazione adultera ricercò la propria volontà e diede al proprio marito pattizio, Jehovah, solo un ipocrita servizio di labbra.

In Deuteronomio 24:1-4, la causa di divorzio è strettamente correlata a questo. Quando la legge parla, parla relativamente alla situazione, ma nella santità di Dio; parla inoltre a uomini che amano la legge e cercano d’ubbidirla, non per dare agli ipocriti o agli empi un pretesto. Se la donna non trova grazia agli occhi del marito, ciò sarà con riferimento, non al capriccio del marito, ma ai suoi santi criteri come osservante del patto e portatore dell’immagine di Dio. La legge è una parte del patto: il marito o è un osservante del patto e portatore dell’immagine di Dio consapevole del Signore del patto, o non ha interesse nella legge. (Il farisaico abuso della legge, naturalmente, venne dopo.) Perciò, la causa del divorzio qui è “qualcosa di vergognoso” trovato nella moglie. A margine, si può rimarcare che è stato creato un caso del fatto che lo scopo di questa legge particolare non sia di stabilire il divorzio, ma di prevenire il secondo matrimonio di una donna dopo che sia diventata la vedova o la donna divorziata di un altro uomo. Ma per quanto ciò sia vero in un senso limitato, rimane il fatto che il divorzio  è l’oggetto principale ed è moralmente legittimato con l’inclusione nella legge. Inoltre Dio lo assume come propria santa prerogativa nel rigettare Israele e Giuda. Certamente, il divorzio è parte di un ordinamento peccaminoso, ma proprio per questo, è tuttavia un diritto nel trattare con quell’ordinamento peccaminoso. Anche la guerra è parte di un ordinamento peccaminoso, ma non è per questo meno giusta in circostanze pie, e il diritto della spada non è in alcun modo trattenuto meramente perché la guerra appartiene ad uno stato di peccato. Difficilmente qualche aspetto della nostra vita può essere separato in alcun senso pieno da questo ordinamento peccaminoso, ma la legge parla a osservanti del patto in un mondo di peccato, non a uomini in cielo.

I tentativi di associare l’impurità o la vergogna di Deuteronomio 24:1 con adulterio o mancanza di castità sono naturalmente falliti. Tali circostanze comportavano il divorzio per morte. La parola ‘impurità’ di una cosa implica definitivamente un crimine serio; è usata altrove della vergognosa esposizione del corpo (Ge. 9:22; Es. 20:26; La. 1:8; Ez. 16:36, 37), in Levitico 18 di pratiche sessuali illecite e anormali, e in Deuteronomio 23:14 per escrementi umani. Ovvio che non fa riferimento a questioni banali ma a qualcosa di empio, aborrente e repulsivo per un marito osservante del patto che cercasse direzione nella legge.

La risposta di quale sia il suo significato si trova in un riesame dell’elenco del divorzio per morte. L’elenco della donna è più corto. Significa forse che certi peccati non erano puniti nella donna? La specificazione dell’omosessualità è definitivamente maschile (Le. 20:13), e i prostituti omosessuali sono chiamati “cani” (De. 23:18; cf. Fl. 3:2; Ap. 22:15). Dovremmo forse concludere che questo peccato, citato da Paolo come l’evidenza culminante d’apostasia e incredulità (Ro. 1:26, 27), fosse condonato nelle donne? Non dovremmo piuttosto concludere che questo costituisse impurità o “qualcosa di vergognoso” nella donna? La sua punizione era minore di quella dell’uomo nella maggior parte dei casi perché anche la sua responsabilità era minore. Ancora, un uomo, per la disubbidienza alle autorità e il rifiuto di seguire le loro decisioni  veniva condannato a morire. Che ne era di una donna che disubbidisse la propria autorità superiore: il marito? Non era un’impurità in lei? Quando Hagar divenne insubordinata con Sara, Dio sostenne la decisione di Sara che fosse allontanata. In questo modo vediamo già che si delineano due importanti categorie. Nell’uomo, l’omosessualità dava alla donna un divorzio per morte; nella donna era un’impurità. Nell’uomo, l’insubordinazione significava ancora una volta morte; nella donna era un’impurità. La testimonianza di Geremia 3:8 e di Isaia 50:1 concernente i libelli di divorzio consolida questa correlazione con l’insubordinazione la ribellione, in particolare Geremia 3:8-10. Un’attenta analisi di tutti i testi relativi indica che la nudità o impurità il “qualcosa di vergognoso” nella donna non dovesse essere determinato nei termini del capriccio dell’uomo, ma in relazione al suo ruolo come uomo pattizio e portatore dell’immagine.

La diffusa interpretazione protestante della dottrina neo-testamentaria del divorzio limita la causa riconosciuta all’adulterio, sulla base di Matteo 19:9, e all’abbandono, 1 Corinzi 7:8-24. Molti lo limiterebbero all’adulterio solamente. Il fatto curioso riguardo a quest’interpretazione è che si fonda su una sola parola, e quella parola non è adulterio! Esaminiamo i testi relativi:

  1. Or io vi dico che chiunque manda via la propria moglie, eccetto in caso di fornicazione, e ne sposa un’altra, commette adulterio; e chi sposa colei che è stata mandata via, commette adulterio (Mt. 19:9).
  2. Ma io vi dico: Chiunque manda via la propria moglie, eccetto in caso di fornicazione, la fa essere adultera e chiunque sposa una donna ripudiata commette adulterio (Mt. 5:32).

La parola resa con ‘fornicazione’ è data con “mancanza di castità” dal Moffat e con “adulterio” da High J. Schonfield. La maggior parte dei commentatori in effetti la rendono con adulterio. Ma le due parole sono diverse: porneia (fornicazione) e moicheia (adulterio, Matteo 15:19; commettere adulterio, moichaomai'Matteo 19:9). Se Gesù avesse inteso eguagliare la fornicazione all’adulterio, a quel punto non sarebbe stato necessario usare una parola che avrebbe potuto portare a fraintendimenti. Non viene detto che la fornicazione è adulterio, ma che sposare una donna divorziata per cause altre dalla fornicazione è adulterio. Le due parole sono diverse, separate e distinte. Non sarà sufficiente, dunque, insistere che la questione non è d’avere “perplessità” sul significato e che ciò che Gesù intese fu che la fornicazione “da parte della donna non è solo fornicazione ma anche adulterio in senso specifico, per la semplice ragione che costituisce infedeltà sessuale verso il suo sposo”.[3] Ogni atto di rapporto sessuale da parte di una donna con un uomo che non sia suo marito, mentre potrebbe essere anche incesto, è sempre adulterio: se si intendono solo tali azioni, e queste costituiscono i limiti del significato di questa affermazione, allora la sola parola che poteva essere legittimamente usata è adulterio, non fornicazione. Se, invece, si intende non solo adulterio, ma anche omosessualità, per esempio, a quel punto dovette essere usata una parola diversa e di significato più ampio che adulterio e usata fu. La Scrittura non è mai dedita all’uso ozioso di parole, o al loro uso disattento. Paolo collocò il peso della dottrina sulla forma singolare di “progenie” (Ga. 3:16). Gesù stesso stabilì la dottrina della resurrezione sul tempo di un verbo nella sua risposta ai Sadducei (Mt. 22:23-33). Per certo nessuno così preciso nella sua lettura delle Scritture avrebbe usato parole con incuria e, avesse inteso adulterio solamente, avrebbe usato la parola adulterio e nessun altra. Partendo dal fatto che per una persona sposata, ogni atto di relazione extra-maritale con una persona del sesso opposto può essere descritta come adulterio, usare una parola diversa da adulterio significa, che oltre l’adulterio, certe azioni descritte come, e incluse nel termine fornicazione, costituiscono causa valida per divorzio. Ridurre il significato di fornicazione ad adulterio è fare violenza al testo e rendere nulla una distinzione non di  poca importanza. Qual’è dunque il significato di fornicazione?

Esaminiamo l’uso neotestamentario come mezzo per accertare il suo significato:

    1. Possiamo vedere immediatamente che è un termine distinto dall’adulterio e più inclusivo in Matteo 15:19 dove abbiamo elencati come procedere dal cuore: “adulteri, fornicazioni” ambedue. Vedi anche Marco 7:21.
    2. (a) Compare frequentemente in un senso che intende genericamente rapporto sessuale illecito, lascivia, ed è a volte tradotto da qualcuno con prostituzione. (b) Romani 1:29 si riferisce a peccati sessuali in genere. (c) 1° Corinzi 6:13, 18 si riferisce in parte a relazioni con prostitute (vv. 15, 16) ma ha un più ampio riferimento ai peccati sessuali. (d) In 1° Corinzi 7:2 significa adulterio e disordini sessuali, mentali o fisici, a causa di continenza forzata, e a cattive relazioni tra marito e moglie per causa di continenza forzata. (e) 2° Corinzi 12:21 lo associa ma distinguendolo da impurità e lascivia. (f) Galati 5:19 lo associa ma lo distingue da una lunga lista di opere della carne, che include adulterio, impurità e dissolutezza. (g) 1° Tessalonicesi 4:3; astenersi dalla fornicazione ha come effetto positivo  tenere il proprio vaso in santificazione ed onore. (h) Apocalisse 9:21, lo elenca come uno dei peccati di cui il non-rigenerato non si è ravveduto, e include tutti i peccati sessuali. Giovanni 8:41, usato per fare riferimento sia all’adulterio sia al rapporto illecito tra persone non sposate, che produce una nascita illegittima. La parola, dunque, mentre include adulterio, impurità, lascivia, e prostituzione, è in queste occasioni di significato più ampio e distinta da quelle parole e può essere usata e frequentemente lo è insieme con esse senza che vi sia ripetizione di significato.
    3. È usata specificamente per riferirsi all’incesto, come citato in Levitico 18:8 e 20: 11, in 1° Corinzi 5:1. Per implicazione perciò il termine include i matrimoni proibiti nella legge mosaica, e tutte quelle relazioni sessuali che la legge indicò, Levitico 18; 20:10 ss. ecc. La proibizione della consanguineità è pertanto sostenuta. 
    4. In Atti 15:20, 29, e 21:25 si riferisce a rapporti sessuali illegittimi, benché alcuni vi abbiano visto un riferimento più ampio. Il lassismo sessuale a cui più tardi si fa riferimento in 1° Corinzi era il tipo di comportamento in mente nel Concilio di Gerusalemme.
    5. Proprio come l’infedeltà nel Vecchio Testamento tipizzava l’abbandono del vero Dio per seguire gli idoli, così la fornicazione è usata in Apocalisse 2:21; 14:8; 17:2, 4; 18:3 e 19:2 per descrivere la ribellione e l’insubordinazione contro Dio e la religione e la vita di tale ribellione. In 2:21 potrebbe esserci un riferimento a effettive pratiche sessuali. Ma Lenski si riferisce a 2:21 — la fornicazione di Jezebel a Tiatira—  in questo modo: “Prendiamo la frase ‘dalla sua fornicazione’ in un senso comprensivo che include tutti i suoi insegnamenti e tutte le azioni corrispondenti” In 14:8 Lenski lo vede come significare “l’adorazione della bestia blasfema” in una figura come quella usata in Isaia 57:3-12. [5]
    6. Questi svariati usi sono riflessi nella Septuaginta  in passi come i seguenti: Genesi 38:24; Osea 1:2; 2:2, 4, 12; 1° Cronache 5:25; Ezechiele 23:19. In Giudici 19:2, abbiamo una lettura interessante, la cui accuratezza nei confronti dell’originale non è nostro interesse al momento. Riflette, però, l’uso e la comprensione greca di fornicazione, La Septuaginta omette qualsiasi riferimento all’infedeltà, e la traduzione in caldeo mitiga “fece la prostituta contro di lui” con “ella lo disprezzò”. Lange suggerì: “E la concubina concupì altri oltre a lui” La concubina aveva una disposizione per niente casta. Questa è solo un’espressione più forte per ciò che i moderni intendono con l’attenuante palliativo quando dicono ‘lei non amava suo marito’. La sua sensualità non era soddisfatta col Levita. In questo modo il narratore spiega il motivo per cui lei lo lasciò”. In ambedue i casi, come ha indicato il Lange, il Levita agì in violazione di Levitico 21:7. Questo passo è di particolare interesse in ragione dell’uso che ne fece Grozio e, dopo di lui, John Milton, che scrisse: 

Grozio … mostra … che la fornicazione nella Scrittura è presa come tendere a evidente disprezzo del marito, e lo prova da Giudici XIX. 2 dove della moglie del Levita si dice che ha fatto la prostituta contro di lui; che Giuseppe Flavio e la Septuaginta, insieme al caldeo, interpretano solo come cocciutaggine e ribellione contro suo marito: e questo io aggiungo, che Kimchi, e gli altri due rabbini che glossano il testo, sono della stessa opinione. Gerson fa il ragionamento che se fosse stata prostituzione, un Giudeo e un Levita avrebbero disdegnato di riprendersela: e a questo voglio contribuire, che se fosse stata prostituzione, ella avrebbe scelto per fuggire qualsiasi altro posto che la casa di suo padre, essendo così infamante per una donna ebraica fare la prostituta e così obbrobrioso per i genitori. Fornicazione pertanto in questo brano dei Giudici è intesa come cocciuta disubbidienza contro il marito e non  come adulterio. [6]

Giuseppe Flavio quando racconta questo incidente lo colloca in un contesto di nazionale di effeminatezza, lusso e piacere. La correttezza di questa versione non è di nostro interesse, ma la riflessione sull’uso prevalente della parola fornicazione lo è di certo. Si può aggiungere che la versione Berkeley traduce Giudici 19:2: “la sua concubina lo ingannò e ritornò alla casa del proprio padre a Betlemme di Giuda per quattro mesi”, e le note a margine di questo verso: “Abbandonare il proprio letto e mensa era talvolta ragione per essere designata ‘prostituta’, come intima qui l’ebraico”.

Si potrebbe obbiettare che la parola adulterio sia usata in un senso simile nel Nuovo Testamento. Ci sono tre simili usi possibili: primo, in Matteo 12:39; 16:4 e Marco 3:38, troviamo l’uso di “generazione adultera”. Secondo, in Giacomo 4:4, leggiamo “adulteri e adultere”, possibilmente con riferimento alla lettera, ma probabilmente no. Terzo, in Apocalisse 2:22, si fa riferimento all’adulterio di Jezebel, ancora una volta di significato discutibile. L’adulterio nel complesso è più specificamente limitato alla violazione sessuale del patto matrimoniale mentre la fornicazione aveva comunemente un significato più ampio. Se Gesù avesse inteso un peccato esclusivamente fisico, sessuale da parte di una persona sposata, la parola adulterio lo avrebbe descritto. Fornicazione nel senso fisico sarebbe dunque stata un uso inappropriato per persone sposate, ma nel senso più ampio, concorda bene con la legge mosaica.

Esaminiamo dunque Matteo 19:2-9 nei termini del suo significato totale o comprensivo:

  1. I farisei lo avvicinarono con una domanda trabocchetto su matrimonio e divorzio, designata a coinvolgerlo in un argomento pericoloso su una questione controversa. Gesù li aveva in precedenza accusati di giustificarsi da soli, d’avere cuori pieni d’abominazioni e di cercare di accantonare la legge col loro concetto di divorzio, dichiarando: “È più facile che passino il cielo e la terra, piuttosto che cada un sol apice della legge” (Lu. 16:14-18). In precedenza Gesù aveva anche acclarato la propria posizione riguardo all’integrità della legge (Mt. 5:17-20). Egli venne, non per distruggere o innovare, “ma per compiere”.
  2. La loro domanda trabocchetto rivelò i loro presupposti: “È lecito ad un uomo mandare via la propria moglie per qualsiasi motivo?” (Mt. 19:3). Per ogni intento pratico, il loro concetto basilare di matrimonio e di divorzio era derivato, non dall’ordine del creato ma da Deuteronomio 24:1. Quel passo, nel dire se “non trova grazia ai suoi occhi” (CEI), “Non gli è più gradita” (ND) “perché egli aveva trovato in lei qualcosa di vergognoso” è diretto all’uomo pattizio, la cui dottrina del matrimonio è sostenuta con fedeltà all’ordine creazionale. I rabbini riconobbero e abusarono questo fatto, dichiarando che il divorzio in senso proprio fosse un privilegio accordato solo agli Israeliti e non ai Gentili. Le scuole di Shammai e di Hillel erano ambedue concordi su questo punto e pertanto completamente in contrasto con l’insegnamento di Cristo. Benché la perdita della dote da parte della moglie fosse riservata per certuni reati, il divorzio era un diritto ed un privilegio per gli uomini d’Israele secondo ambedue le scuole. Come osservò Eldersheim: “E indubbiamente la Legge Giudaica permetteva il divorzio quasi per qualsiasi motivo; la differenza concerneva, non ciò che fosse legittimo, ma su quali motivi l’uomo avrebbe messo in moto la legge e fatto uso dell’assoluta libertà che gli accordava. Perciò, è un serio errore da parte dei commentatori collocare dalla parte di Shammai l’insegnamento di Gesù sul soggetto”. [7]  La scuola di Hillel dava diritto di divorzio  per aver salato troppo il cibo o averlo servito troppo bollente, o se si era trovata una donna più attraente. In due casi citati da Eldesheim, dei rabbini proclamarono il loro desiderio di essere sposati per un giorno e poi divorziati nell’esercizio dei loro diritti, ed egli vede alla base di questo “una stima della donna comparativamente inferiore, e … un concetto non spirituale della loro relazione matrimoniale”.[8]
  3. Gesù, nella sua risposta, rese chiaro che lo statuto mosaico non era il testo fondamentale e non è da interpretarsi senza il fondamento dello statuto creazionale di Genesi 2:18-24. La regola mosaica, mentre subordinata a quello statuto e diretta all’uomo pattizio, non è limitata a lui solo nella sua applicazione. La limitazione di indirizzo non è la limitazione d’applicazione. L’ordinamento creazionale fu ripristinato da Gesù al primato che gli era stato precedentemente negato.
  4. Inoltre, Gesù rese chiaro che l’ordine del creato non contemplava affatto alcun divorzio. Questo punto fu immediatamente afferrato dai farisei. Gesù, nei termini dell’ordine creazionale non vi vide alcun fondamento per il divorzio. Essi chiesero: perché allora Mosè ha “ordinato” di darle un atto di divorzio e mandarla via? A volte è stato letto troppo nella parola “ordinato”. Ciò che era inteso di sicuro era questo: se il divorzio fu proibito dall’ordine creazionale, perché allora compare nel comandamenti o legge come un fatto accettato e regolato?
  5. Gesù allora procedette riaffermare Deuteronomio 24:1-4, la legge mosaica venne in essere “per la durezza dei vostri cuori”. La caduta dell’uomo seguì Genesi 2 ed è la grande linea di divisione con la storia susseguente. Il fatto del peccato originale e del cuore decaduto rese necessaria la legislazione mosaica. Noi possiamo eliminare questa legislazione mosaica solo se possiamo eliminare la caduta nella sua interezza, solo se possiamo ipotizzare una società Edenica. Alla base di ogni indifferenza a questo fatto del mondo caduto dell’uomo e del suo cuore indurito c’è un perfezionismo ereticale. Crea un crudo legalismo che lacera la chiesa e preclude il vangelo ai peccatori. La legislazione sul divorzio è necessaria per lo stato di peccato, e per i cristiani che non sono ancora in alcun modo perfettamente santificati in questa vita, che vivono in un mondo peccaminoso e spesso legati in matrimoni empi. Matteo 19:9 è pertanto la riaffermazione di Deuteronomio 24: 1 da parte di Gesù con la fornicazione o il “qualcosa di vergognoso” come causa di divorzio, con questa correzione significativa. Poiché la clausola “se essa non gli è più gradita” (ND) “avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi” (CEI) è stato interpretato, non nei termini del desiderio dell’uomo pattizio di compiere la volontà di Dio nella sua casa, ma nei termini di privilegio personale e giuridico, Gesù lo lasciò decadere per concentrare l’attenzione sulla legislazione divina in quanto tale. Questo stravolse perfino i suoi discepoli (vv. 9, 10) abituati com’erano all’autorità legislativa dell’uomo anziché a quella  ministeriale nei termini della legge.
  6. Gesù, facendo del termine inclusivo fornicazione la valida causa di divorzio, rese ora con ciò causa di divorzio mediante libello di divorzio l’adulterio, l’incesto, e altri crimini che un tempo portavano a divorzio per morte. Che nella chiesa il caso sia stato riconosciuto essere in questi termini compare in 1° Corinzi 5:1-5, dove nel caso d’incesto la pena di morte era obbligatoria (Le. 20:11), ma Paolo invece richiese la scomunica, una resa spirituale alla morte e a Satana. In 2° Corinzi 7:7-12, sembra che, col pentimento e la separazione, abbia fatto seguito la riammissione nella chiesa. Se la pena di morte fosse stata ancora obbligatoria, Paolo ne avrebbe fatto riferimento, ma, mentre vede il peccato come una morte spirituale, non vede nessuna ragione giuridica per qualcosa di diverso dalla separazione o scomunica. Paolo parlò con autorità, e una chiaramente accettata, in Gesù Cristo.
  7. Infine, Gesù rese chiaro che qualsiasi divorzio per motivi altri dalla fornicazione nel suo senso mosaico ratificato, costituiva adulterio, sia per la donna che per l’uomo (Marco 10:10), e sposarsi con una persona  così divorziata era un atto d’adulterio.

Si vedrà che l’insistenza del Nuovo Testamento sulla sua unità col Vecchio Testamento è presa molto seriamente. La legge mosaica non è in nessun posto considerata una legislazione inferiore o meno importante. In un punto, però, sembrano effettivamente esserci delle differenze, e Paolo affronta il problema:

  1. In Esodo 34:12-16 abbiamo la proibizione di patti religiosi con i canaaniti. Le alleanze nell’antichità non erano solamente politiche e militari, ma anche religiose e familiste. Famiglie reali si imparentavano per matrimonio. Gli dèi del partner maggiore venivano riconosciuti da quello minore. Le alleanze politiche erano pertanto l’oggetto della denuncia profetica: erano inevitabilmente idolatriche. Esodo 34:12-16 rende esplicito tutto questo.
  2. In Numeri 25:1-8 è reso chiaro che anche il rapporto sessuale con una donna straniera, una Midianita, implicava un’unione con Baal-Peor e richiedeva la morte.
  3. Deuteronomio 7:1-3 è una ripetizione di questo stesso principio, e un avvertimento.
  4. Ove una persona desse chiara evidenza d’accettare Jehovah e il suo patto, l’accettazione nel patto avrebbe potuto essere seguita da matrimonio all’interno del patto, come con Rahab (Giosuè 6:24, 25; Mt. 1:5; Eb. 11:31; Giacomo 2:25) e Ruth (Ruth 1:16; 4:5-18).
  5. Ove, come con gli esiliati ritornati, i matrimoni erano chiaramente politici e religiosi (e non scevri da un sensuale disprezzo del patto, Malachia 2:14), il divorzio fu richiesto da Nehemia come condizione per continuare ad appartenere alla congregazione d’Israele, come condizione per continuare a partecipare del patto (Nehemia 9:2; 13:23-27). I matrimoni erano stati contratti per mantenere alleanze pattizie con popoli empi di fede sincretista.

Questo, dunque, era lo sfondo di legislazione che Paolo dovette continuare. Nei termini della legge del Vecchio Testamento tali matrimoni erano chiaramente fornicazione e un’offesa a Jehovah, una violazione del suo patto, e chiaramente proibiti. Paolo riaffermò questa legge chiaramente e incontestabilmente, parlando a credenti che contemplavano il matrimonio, non a quelli rigenerati dopo il matrimonio.

Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo diverso, perché quale relazione c’è tra la giustizia e l’iniquità? E quale comunione c’è tra la luce e le tenebre? E quale armonia c’è fra Cristo e Belial? O che parte ha il fedele con l’infedele? E quale accordo c’è tra il tempio di Dio e gli idoli? Poiché voi siete il tempio del Dio vivente, come Dio disse: «Io abiterò in mezzo a loro, e camminerò fra loro; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo».

Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’immondo, ed io vi accoglierò, e sarò come un padre per voi, e voi sarete per me come figli e figlie, dice il Signore Onnipotente (2° Co. 6:14-18).

In 1° Corinzi 7.11-24, Paolo affrontava una situazione differente, non una chiaramente contemplata dalla legge. Nel verso 12, Paolo attento a non parlare legislativamente, rende chiaro che sta parlando ministerialmente: “ma agli altri dico io, non il Signore”. Egli non rende con ciò meno autoritativa la sua affermazione: “e così ordino in tutte le chiese” (vs. 17). Nei termini della dottrina del patto, egli comunque rende chiara l’autorità ministeriale per la quale la sua affermazione è autoritativa. Qual era la situazione, e quale fu il giudizio ministeriale di Paolo?

  1. A Corinto esistevano matrimoni misti, e Paolo era stato informato di questo via lettera ove i corinzi chiedevano, piuttosto evidentemente, se il divorzio avrebbe dovuto conseguire dove solo uno dei membri del matrimonio era convertito. La domanda era ben pensata. Il caso d’incesto si presentò tra alcuni che si gloriavano di un’antinomica libertà in Cristo (1° Co. 5:2); che a Corinto esistessero diversi schieramenti ce lo dice Paolo (1° Co. 3:3-6). La questione concernente i matrimoni misti portò credito a quelli che la sollevarono. Le sue implicazioni erano queste: Gesù ha mantenuto l’integrità della legge mosaica, e la legge mosaica bandiva i matrimoni misti. Perciò cosa dobbiamo fare noi nuovi convertiti col compagno/a non credente?
  2. A Corinto Paolo affrontava una società diversa da quella che esisteva nel Vecchio Testamento, e alla quale in particolare era stata data la legge. Malgrado i tentativi dell’impero di creare una cultura unificata per mezzo del culto dell’imperatore, era basilarmente pluralista e atomista. Vi fiorivano una varietà di religioni, le quali, mentre pronte a rendere un servizio di labbra al culto ufficiale, andavano per la loro strada controversa, per la costernazione di molti. Corinto era un centro industriale e commerciale. La sua vita non era familistica ma atomistica e individualistica.  Il matrimonio nei settori non giudaici della società era basato primariamente su considerazioni personali, desideri e vantaggi. In questi termini, il matrimonio non era più un patto fatto con una persona, un popolo, e una fede com’era stato nel Vecchio Testamento. Era diventato quasi interamente una questione personale, più o meno come oggi. La legge era ancora valida, e 2° Corinzi 6:14-18 lo afferma, ma non poteva essere applicata particolarmente a ogni matrimonio misto, come vedremo.
  3. Per un cristiano sposare un non credente (2 Co. 6:14-18) significava l’abbandono della comunione di Cristo, e un passo ora fuori dal patto e dentro ad una relazione puramente individualistica e atomistica che era “tenebre”.
  4. Per un non-credente sposato, diventare un credente significava che una nuova relazione pattizia era stata introdotta in una situazione atomistica dove non esisteva altro patto. Il patto, secondo la legge, era esteso ad ogni membro della casa, ma non a visitatori e servi salariati (Es. 12:43-45; De. 12:17, 18; Le. 22:10; il sabato della terra, Levitico 25:6, e la festa delle settimane, Deuteronomio 16:10, 11, includevano lo straniero e il servo salariato per scopi di tipizzazione e profetici) Poiché non esisteva altro patto, Dio onorava il proprio patto mediante l’inclusione del partner non credente e dei figli, in modo che il patto di Dio benediceva l’uomo non credente per il bene di sua moglie. Per i greci il matrimonio era un’affare individuale; nella forza che ebbe agli inizi  era stato familista e societario; per le Scritture, dall’inizio alla fine, è pattizio e nei termini dei mandati ricevuti come portatore dell’immagine.
  5. Un altro principio fondamentale era coinvolto: “Ciascuno rimanga nella condizione nella quale è stato chiamato” (1° Co. 7:20). La libertà, era infatti desiderabile per uno schiavo, e più pia; essendo stati comprati a prezzo, ed essendo servi di Cristo, non dovevano diventare servi degli uomini (vv. 21-23). Ma il vangelo non era venuto per cambiare le forme dell’uomo e della sua società ma il cuore dell’uomo e con ciò creare la cultura del Regno di Dio. Roma vide le implicazioni radicali del vangelo, come le videro molti credenti. Di qui la necessità dell’avvertimento di Romani 13:1-7 di rendere al governo e “a ciascuno ciò che gli è dovuto” come richiesto da Dio, il quale non ha chiamato gli uomini ad un vangelo di rivoluzione ma di rigenerazione. Di qui anche il frequente consiglio a schiavi, uomini, donne, e figli di essere fedeli ed ubbidienti nei termini della loro chiamata, non per piacere agli uomini ma a Dio. La nota importante è questa: “ognuno rimanga presso Dio nella condizione in cui fu chiamato” (1° Co. 7:24). Quindi Dio non chiamò Israele a distruggere le forme correnti della loro cultura quando diede la sua legge, ma piuttosto per renderla  subordinata a Lui nei termini dei suoi comandamenti e “con ciò rimanere presso Dio”.
  6. Se il marito o la moglie non credente morivano, a quel punto il credente non era più vincolato ed era libero di risposarsi; a quel punto erano sotto la sanzione mosaica. Nel dichiarare questo, Paolo non agiva in veste giuridica ma ministeriale. Se avesse qui introdotto qualche legge nuova, sarebbe stato immediatamente attaccato. “L’uomo non lo separi,” e anche se Paolo avesse consigliato solamente la separazionese Cristo avesse limitato il divorzio per causa d’adulterioPaolo sarebbe stato colpevole di separare ciò che Dio aveva unito. Ma Paolo rispose ai credenti Corinzi, che apparentemente riconoscevano come ancora valida la legge del Vecchio Testamento nei termini della dichiarazione di Gesù. E Paolo, per collazione ispirata, vide che qui era applicabile più di un principio, e che prevaleva un tipo diverso di situazione culturale religiosa, e che in questa situazione era coinvolto un solo patto, un patto col Signore. Di conseguenza, la sua risposta fu strettamente ministeriale e come risultato non attirò il fuoco dai critici giudaizzanti che avevano la percezione che egli rappresentasse una frattura con la legge.
  7. Infine, a motivo della natura atomistica piuttosto che pattizia di questi matrimoni misti nella loro origine, e perché, qualunque fede lo sposo/a non credente avesse mantenuto dopo la rigenerazione dell’altro era per natura una religione privata e non pattizia, la famiglia non era coinvolta nella sua incredulità e la sua salvezza era possibile (v.16). I culti religiosi del tempo erano essenzialmente religioni private, facendo appello a uomini o a donne, ma privi di cattolicità o patto.

In questo modo, la legge che concerne matrimonio e divorzio rimane una attraverso tutta la Scrittura. I particolari culturali riflessi nella legge possono cambiare e di fatto cambiano, ma la legge stessa non cambia. Qui, come altrove, in un senso molto profondo: “La Scrittura non può essere annullata” (Gv. 10:35).

Secondo Deuteronomio 4:2, la Scrittura consiste di una rivelazione, una “parola” fondamentale. Benché “parole” siano state aggiunte a quella “parola” prima che i canoni del Vecchio e del Nuovo Testamento fossero chiusi, un’altra “parola” non poteva essere aggiunta. “Non aggiungerete nulla a quanto vi comando e non toglierete nulla”. La rivelazione è una parola e non può essere spezzata.

In questo modo, la Scrittura, in ambedue l’Antico e il Nuovo Testamento, ha una legge concernente il matrimonio. Lo scopo del matrimonio non è umanistico; è pattizio, e pertanto le motivazioni per il divorzio non possono essere umanistiche e devono essere pattizie.

Sfortunatamente, le leggi che regolano il divorzio sono state radicalmente alterate dall’umanismo. La risposta, comunque, non è un ritorno al Montanismo. [9] La prassi di Calvino a Ginevra illustra che una visione rigida, pattizia, di matrimonio e divorzio è biblica, anziché avere solo l’adulterio come valida causa di divorzio.[10]

Gli standard biblici furono chiaramente in vigore negli Stati Americani per molti anni. È interessante notare che in molti stati l’aspetto del divorzio per morte fu ampliato ad includere criminali condannati all’ergastolo.[11]

Una parola finale: Deuteronomio 24:1-4 proibisce che un marito risposi la propria moglie divorziata dopo che ella si era risposata e divorziata. È chiamato un “abominazione davanti all’Eterno”. Se le ragioni per il divorzio sono valide, e la donna è due volte divorziata, l’uomo aumenta la malvagità riprendendosela; se le sue (di lui) ragioni erano state disoneste e non valide, è comunque malvagità e disprezzo della legge. Lo stesso vale per una donna che risposi il marito precedente. O il male che portò al divorzio è un male reale, oppure il malvagio disprezzo della legge che portò ad un divorzio nullo rappresenta un male eguale, ma in ciascun caso la relazione riesumata dopo che era intervenuto un altro matrimonio rappresenta un’abominazione perché il matrimonio che era intervenuto era dunque una contaminazione: era adulterio legalizzato che il nuovo matrimonio condona.

Note:

1 Vedi H. C. Leupold: Genesis, p. 798; vedi anche, Calvino: Commentaries on the First Book of Moses Called Genesis; Grand Rapids: Eerdmans, 1948, II, 133.

2 J. A. Alexander: Commentary on the Prophecies of Isaiah; Grand Rapids, Zondervan, [1947], 1953, p. 248.

3 John Murray: Divorce; Philadelphia: Committee on Christian Education, Orthodox Presbyterian Church, 1953, p. 21.

4 R. C. H. Lenski: The Interpretation of St. John’s Revelation; Columbus, Ohio: Warburg Press, 1943, p. 434.

5 John Peter Lange, editore, F. R. Fay: Commentary on the Holy Scriptures, Joshua, Judges, Ruth; Grand rapids: Zondervan [1870] p. 242.

6 Lenski: The Interpretation of St. John Revelation, p. 434.
7 A Eldersheim: The Life and Times of Jesus the Messiah; New York: Longmans, green, 1897, II, 333.
8 Ibid., II, 332.

9 Per un esempio moderno, vedi Otto A. Piper: The Christian Interpretation of Sex; New York: Charles Scribner’s Sons, 1941, p. 162 dove si critica perfino il nuovo matrimonio di persone rimaste vedove.

10 Vedi Philip E. Hughes, editore: The Register of the Company of Pastors of Geneva in the Time of Calvin; Grand Rapids: Eerdmans, 1966; vedi anche James G. Emerson, Jr.: Divorce, and Remarriage; Philadelphia: The Westminster Press, 1961, p. 84-108.

11 Carroll D. Wright: A Report on Marriage and Diverce in the United States, 1867-1886; Washington: Government Printing Office, 1891, p. 78 edizione riveduta.

 

13. LA FAMIGLIA COME AMMINISTRATORE FIDUCIARIO (O AFFIDATARIA)

Due voci interessanti riguardo al divorzio indicano un aspetto del matrimonio preso in considerazione troppo raramente. Primo, la stragrande maggioranza dei divorzi è ottenuta dalle donne, non dagli uomini. Nell’immediato dopoguerra (WWII) quando si presunse che molti uomini avrebbero divorziato mogli infedeli, la percentuale fu ancora sbilanciata dal lato dell’iniziativa femminile. In precedenza, l’86% dei divorzi era stato ottenuto da mogli, nel 1945 calò al 75%.[1] Si può dare per scontato che molti di questi casi coinvolgono l’iniziativa del maschio, col marito che permette alla moglie d’ottenere il divorzio per ragioni di facciata, ma, malgrado questo, l’iniziativa femminile è sorprendentemente alta.

Secondo, più alto è il reddito, meno probabile è il divorzio. Spesso si assume che il divorzio sia più comune tra i ricchi; in realtà è più comune tra i poveri. Uno studio di William J. Goode, del 1956, lo indica chiaramente:

Poiché, malgrado si pensi spesso che la percentuale di divorzi sia più alta nella media borghesia nevrotica, ossessionata dal successo, in effetti è più alta nelle classi di reddito più basse: i dati del censimento nazionale dimostrano che gli uomini che guadagnano meno di 3.000 dollari l’anno hanno probabilità di divorziare da due a quattro volte maggiori degli uomini che ne guadagnano 4.000.[2]

È chiaro che un freno importante al divorzio è il possesso di proprietà. Da un lato, gli uomini sono trattenuti dal dissolvere il matrimonio troppo prontamente a motivo delle severe penalizzazioni di una divisone delle proprietà in comune, con in più la possibilità di dover versare gli alimenti. Dall’altro lato, le donne sono verosimilmente meno prone a lasciare un matrimonio se l’incentivo di proprietà e reddito è forte abbastanza. Bisogna aggiungere che la maggior parte dei padri che abbandonano la famiglia si trovano ai livelli dei redditi inferiori. La proprietà. dunque, è un importante contenimento alla condotta di uomini e donne. La proprietà privata è una forza stabilizzante per la famiglia e la società.

Quando lo stato spossessa la famiglia della sua proprietà e la rimpiazza come custode della stessa, il legame matrimoniale ne viene danneggiato. La tesi comunista che matrimonio e monogamia siano prodotti della proprietà privata è chiaramente sbagliato, ma la famiglia è il principale custode della proprietà in tutta la storia. Derubare la famiglia della sua proprietà è indebolire il suo potere sui figli. Figli e proprietà, queste sono le due maggiori aree di funzione sociale per la famiglia, separatamente dalle funzioni primarie educative e religiose. Il socialismo attacca il controllo genitoriale su ambedue, figli e proprietà, per poter assicurare la priorità dello stato nella società.

Le funzioni della famiglia sono pertanto cruciali e difficili. I suoi compiti religioso ed educativo sono centrali alla vita nelle rispettive aree. Sono inoltre aspetti della custodia famigliare dei figli. La cura della proprietà in quanto eredità, una forza sociale, e una responsabilità religiosa, è ancora una volta importante per la società. Non sorprende che il matrimonio nelle Scritture sia visto con tenerezza ma senza romanzare. È molto chiaramente descritto come un “giogo” (2° Co. 6:14). Un giogo è un attrezzo che unisce insieme due creature nel tirare pesi. Il matrimonio nelle Scritture è descritto anche come una “tribolazione nella carne” (1° Co. 7:28), reso dal Moffat con “affanno esteriore”. Il matrimonio è chiaramente una collaborazione di lavoro di marito e moglie nel servizio di Dio, nell’esercizio del dominio nelle sfere loro assegnate.

Proverbi è significativo nelle sue indicazioni della vita e standard matrimoniali. In Proverbi non c’è alcun altro riferimento che quello alla monogamia. Insieme, marito e moglie hanno il dovere d’istruire i loro figli nella legge di Dio e nella disciplina famigliare (Pr. 1:8, 9; 6:20, ecc.). La relazione di lavoro tra marito e moglie può essere una grande gioia, on un terribile disastro. “La donna saggia edifica la sua casa, ma la stolta le demolisce con le proprie mani” (Pr. 14:1); in breve: “Dalla sua costruttiva saggezza femminile dipende la stabilità della famiglia”.[3]  “Chi ha trovato moglie ha trovato una buona cosa e ha ottenuto un favore dall’Eterno” (Pr. 18:22); infatti: “Casa e ricchezze sono l’eredità dei padri, ma una moglie assennata viene dall’Eterno” (Pr. 19:14). In una moglie prudente Dio dà un’eredità maggiore che ricchezze materiali. “La donna virtuosa è la corona di suo marito, ma quella che fa vergogna è come un tarlo nelle sue ossa” (Pr. 12:4). Proprio perché il matrimonio è un’istituzione di tale importanza, personalmente e socialmente, un cattivo matrimonio è un disastro paragonabile solo a un tarlo nelle ossa che rendono ad un uomo difficile o impossibile rimanere in piedi.

Questa collaborazione di marito e moglie agiva da custode di proprietà, custode perché “la terra è del Signore”, e “la terra non si venderà per sempre; perché la terra è mia e voi siete forestieri e affittuari con me” (Le. 25:23). La famiglia è il custode dato-da-Dio e ordinato-da-Dio della proprietà. La dote (Ge. 34:12, 30:20; Es. 22.17) non era il prezzo d’acquisto d’una sposa ma il dono dello sposo alla sposa per suggellare il matrimonio in termini di pia responsabilità.

Un matrimonio era veramente e giuridicamente tale solo quando fosse in esistenza un contratto che specificava gli assettamenti della proprietà. Tale requisito era comune nell’antichità e compare, per esempio, nel codice di Hammurabi, 128: “Se un uomo prende una moglie e non roga con lei un contratto, quella donna non è sua moglie”.[4]  I commenti di Clark sulla dote nella giurisprudenza americana sono interessanti:

La quota di usufrutto è stata similmente un’istituzione nella giurisprudenza Inglese fin dai tempi Anglo-sassoni, ed anche in America. Infatti di questo diritto è stato detto che sia “diffuso quanto la religione cristiana e che rientri nei contratti di matrimonio tra i cristiani”. Ma in anni recenti è stato modificato o abolito in molte giurisdizioni da statuti che conferiscono alla vedova benefici maggiori di quelli dati dalla quota di usufrutto.[5]

Nella legge moderna, la quota di usufrutto è ordinariamente compresa come il diritto di una vedova nei confronti della proprietà del marito deceduto.[6]

C’è però una differenza tra la moderna quota di usufrutto di una vedova e quella della legge biblica. Nella moderna quota di usufrutto ci sono provvedimenti a favore della vedova solamente se c’è un patrimonio che sia di valore sufficiente per provvedere per lei. Nella legge biblica la dote precedeva il matrimonio e i figli avevano un obbligo di sostentare i loro genitori secondo necessità.

La famiglia biblica può essere paragonata ad una corporazione — una società di capitali. Una società di capitali differisce nel fatto che è una persona giuridica artificiale ed è creata dallo stato. Una società di capitali non muore quando muoiono i suoi fondatori, o quando muoiono i suoi funzionari; continua ad esistere giuridicamente separatamente dai suoi azionisti, che continuano a ricevere i dividendi finché vivono. Similmente, la famiglia è una corporazione che consiste di genitori e figli. Paga i dividendi ai figli con cura, sostegno ed eredità, e restituisce dividendi ai genitori in cura e sostegno secondo necessità. Come società di capitali amministra la sue proprietà e redditi nei termini degli scopi che Dio ha ordinati e le ha dato. Per questa ragione, i membri della corporazione non prendono decisioni arbitrarie o puramente personali, sono sia persone individuali sia un’entità corporativa, e la loro funzione più vera è nei termini di una piena considerazione di ambedue le funzioni sotto Dio.

Per lo stato, entrare nel controllo dei figli e/o della proprietà, è violare la sfera della famiglia e rivendicare d’essere quella corporazione che esiste per prendersi cura della famiglia. Tale rivendicazione è una pivotale infrazione dell’ordine-giuridico di Dio. Se a questa trasgressione si aggiunge una perdita di fede, a quel punto la famiglia diventa un’istituzione la cui funzione principale è provvedere un tetto e uno sfogo sessuale a due individui atomistici e talvolta anarchici. Un esempio comparve nella rubrica di Ann Landers il 16 agosto 1969, dove un uomo scriveva che “bisognerebbe sparare a tutte le mogli quando raggiungono i 40”, perché chi vuole un “pomodoro vecchio?” In questa prospettiva il matrimonio è una condizione fisica per la soddisfazione di un uomo, o viceversa per la soddisfazione di una donna. È in essenza un’unione senza legge, benché contratta sotto la legge. Non sorprende che produca figli senza legge che non hanno rispetto né per l’autorità né per la proprietà. Anziché fare affidamento sulla legge di Dio, le persone atomistiche, antinomiche, come i decadenti romani di un tempo, fanno affidamento sul potere del sesso come panacea per l’uomo e la società. A questo punto la donna è obbligata alla perpetua avvenenza fisica per mantenere la propria posizione.[7]

La famiglia atomistica può creare solo un mondo anarchico. Come ha osservato Zimmerman:

… il sistema famiglia gioca un ruolo chiave nel problema del cambiamento sociale. Porta il passato dentro al presente. Gli eventi del presente incidono su di esso e cercano d’alterarlo. Da questo passato con le sue alterazioni otteniamo il generatore di forma per la cultura del futuro.

Non possiamo comprendere la famiglia senza combinare tre gruppi di idee, le nature passata e presente del sistema famiglia e la tendenza che gli attuali eventi e filosofie alterino la sua natura. Né lo studio dello sviluppo del sistema famiglia, né l’incidere degli eventi attuali su di essa sono sufficienti da soli. La famiglia è un’istituzione viva in crescita, in grado, come l’ape sospesa nell’aria, di spostarsi in qualsiasi direzione.[8]

Prima che la famiglia possa invertire il proprio corso e quello della società, deve avere una fede biblica al posto di quella umanistica e atomistica. La famiglia deve diventare di nuovo l’affidataria dei requisiti pattizi di Dio, e un’affidataria sotto Dio di figli e proprietà. Non la famiglia affidataria del paganesimo, forte ma di orientamento umanistico, ma la famiglia affidataria di Dio, questa è la necessità.

La prospettiva biblica della proprietà sarà discussa più tardi, ma per il momento, si può citare il caso di Naboth (1° Re 21:1-14). Per Naboth la vigna non era sua da vendersi. Tutto ciò che aveva, terra e vigna, era un’eredità dal passato e un lascito per il futuro. Naboth, da buon amministratore, aveva senza dubbio fatto aumentare il valore di quell’eredità, ma ciò non la faceva diventare minimamente sua. Come capo di una famiglia, egli possedeva un’eredità come affidamento, non come mezzo per condiscendere a se stesso, e perciò il suo obbligo basilare era nei confronti del futuro. In Cina, mediante il culto degli antenati, la famiglia affidataria era vincolata al passato. Nella fede biblica, a motivo del mandato creazionale, la famiglia affidataria era rivolta al futuro. La famiglia moderna, a causa del suo umanismo atomistico è rivolta al presente ed è distruttiva sia del passato che del futuro. L’uomo che propose ad Ann Landers che si sparasse a tutte le mogli al raggiungimento dei 40 era un umanista logico: il passato non ha significato. Importa solo il momento esistenziale.[9]

Note:

1 John C. Rice: The Home, Courtship, Marriage and Children; Wheaton, Ill.: Sword of the Lord Publishers, 1946, p. 356.

2 Morton M. Hunt: Natural History of Love, p. 394.
3 Derek Kidner: The Proverbs; Chicago: Inter-Varsity Press, 1964, p. 50.

4 J. M. Powis Smith:The Origin and Histrory of Hebrew Law; University of Chicago Press, 1931, 1960, p. 199.

5 Clark: Biblical Law, p. 96.
Ibid., p. 130.
7 Carle C. Zimmerman: The Family of Tomorrow; New York: Harper & Brothers, 1949, p. 156. 8 Zimmerman-Cervantes: Marriage and the Family, p. 128.

9 Ann Landers: “He Urges Firing Squad for Wifes Over 40”, Los Angeles Herald Examiner, sabato, 16 agosto, 1969, p. A-11.

 

14. OMOSESSUALITÀ

Da alcuni anni è in corso una massiccia campagna per rimuovere le leggi esistenti contro l’omosessualità dai libri di giurisprudenza e permettere relazioni omosessuali tra adulti consenzienti.[1]  Una parte di questa campagna ha insistito nel leggere i fatti dell’omosessualità nei termini di una cornice evolutiva. In questo modo è stata ampiamente descritta come una forma d’immaturità e un aspetto dello sviluppo umano, e anche il prodotto di certi tipi di esperienze in famiglia.[2]  Ci viene detto che l’omosessualità “è uno stadio nello sviluppo in ogni essere umano”.[3 È “determinata dall’ambiente sociale”.[4]  Ci viene detto che è una fuga dalla mascolinità in un mondo difficile.[5]  Mentre le teorie variano da studioso a studioso, condividono tutte un approccio evoluzionista e sociale.[6]  Il Dr. Bergler, anche se radicalmente critico del carattere dell’omosessuale, non ha abbandonato quest’approccio basilarmente imperniato sull’ambiente sociale in favore di uno morale e teologico.[7] I presupposti anti-biblici di tutti questi relatori sono molto evidenti, Un antropologo arriva al punto di dire che, dietro la castità, si nasconde un “potenziale omosessuale passivo”.[8]  Un altro studioso insiste che:

Ora, proprio come l’amore di un maschietto per il proprio padre è in senso stretto omosessuale, così il suo amore per la madre è in senso stretto incestuoso.[9]

In qualche modo, tutti i nemici della perversione devono essi stessi fatti essere dei pervertiti!

Ullerstam, un medico svedese, è più aperto nella sua ostilità alla morale cristiana. Tutte le perversioni sono difese con fervore. Egli dichiara che “ ‘perversione’ è una parola che dovrebbe essere abbandonata,” perché “è stata fatta su ordinazione per oscurantisti e demagoghi. È satura di superstizione ed è un insulto da prendere a calci”.[10]  Le perversioni sono buone, egli sostiene, perché danno felicità ad alcune persone.[11]  Egli è felice di riportare che l’incesto è in aumento tra i suoi amici.[12]  Egli difende incesto, esibizionismo, pedofilia, saliromania, algolagnia, omosessualità, scopofilia, necrofilia, e altre deviazioni sessuali come buone ma cita una forma di rapporto sessuale come particolarmente pericolosa:

Di tutte le forme di rapporto sessuale, quella eterosessuale è certamente la più pericolosa, perché è quella che ha potenzialmente i maggiori rischi in conseguenze sociali. Eppure questo atto è circoscritto da minori restrizioni di diverse altre espressioni sessuali meno pericolose. Ciò nonostante consideriamo uno stato di cose felice e salutare che le persone soddisfino le loro pulsioni sessuali in questa maniera pericolosa. Non sarebbe meglio che invece incoraggiassimo la gente alle “perversioni”, e insegnassimo loro di condizionare le loro secrezioni sessuali ad altri riti e stimoli oltre al coito eterosessuale? Non sarebbe nell’interesse di tutto il mondo che si provvedesse tale educazione che potrebbe, nel lungo termine, provarsi una soluzione al problema della sovrappopolazione?[13]

L’introduzione al libro di Ullerstam da parte di Yves da Saint-Agnes è accurata nel dichiarare che:

La Svezia odierna sta vivendo una rivoluzione sessuale. La prima vittima da abbattere è la moralità. In guerre di religione, è sempre data l’assoluzione per azioni di violenza commesse “per la causa”. Similmente, la crociata contro la moralità classica conferisce ai suoi partecipanti una sorta d’immunità.[14]

Questa è un’affermazione onesta e verace. Siamo certamente nel mezzo di una rivoluzione omosessuale mirata contro la fede e la moralità bibliche. L’omosessuale ci viene presentato come l’anima maltrattata, incompresa, sensibile.[15]

Per lungo tempo, per epoche, infatti, gli omosessuali, anche quando accettati, sono stati una fraternità segreta, ostile all’interno della società, molto spesso strettamente collegati con ogni tipo di società segreta. Luigi XIV dovette fare i conti con un ordine di sodomiti alla sua corte, e simili organizzazioni sono state ripetutamente notate.[16]

Volgendosi agli studiosi della chiesa, si spererebbe di trovare qualche resistenza a questa rivoluzione ma, invece, la chiesa sta diventando una parte importante della rivoluzione.[17]  Così, una pubblicazione ecclesiale richiede che trattiamo le lesbiche come “individui esseri umani”, non come omosessuali. Ci è richiesto che superiamo la visione di Dio in materia in favore della visione autonoma dell’uomo apostata. In breve, è richiesta una radicale simpatia verso l’omosessuale.[18]  Per la condanna biblica dell’omosessualità vengono fornite ragioni fantasiose.[19]  Il “problema” è visto in termini psicologici ed evoluzionisti piuttosto che in termini e criteri biblici e teologici.[20]  È detto che la causa dell’omosessualità sia l’ambiente sociale, non il peccato.[21]  Uno scrittore, Thielicke è consapevole che la Scrittura dichiara che l’omosessualità ha da essere intesa solo teologicamente, ma invoca lo stesso una soluzione umanista.[22]

Prima di analizzare la prospettiva teologica, è bene notare alcune della caratteristiche centrali dell’omosessuale come riportate da persone che non sono in alcun modo ostili a loro. Primo, l’omosessuale ha un’abnorme timore d’invecchiare e di morire. Come risultato gli omosessuali insistono nel vestire ed agire nell’assunto di perpetua gioventù, in particolare gioventù immatura. La facciata di gioventù deve essere mantenuta in ogni momento. Questo “culto” di gioventù e immaturità conduce all’adozione di stili che evidenziano questi aspetti e richiamano alla mente un bambino innocente. È invocato un mondo amorale di perpetua puerilità. Poiché maturità significa  responsabilità, legge, e criteri, un secondo aspetto della cultura omosessuale è l’esaltazione di studiata volgarità assurta a stile eccelso. Martin Bender cita l’analisi di Susan Sontag dei gusti dei “camp” (nomignolo per effeminato):

Infatti, “camp” è stato sinonimo di omosessuale da 40 anni in Inghilterra, ma solo da un decennio in America.

La signorina Sontag offrì più di 50 definizioni di “camp”. Un amore per l’esagerato, uno spirito di stravaganza, “stile a spese del contenuto, e la dichiarazione che c’è buon gusto nel cattivo gusto. Il camp è anti-serio, apprezzante del volgare del banale. Gli esempi che diede del gusto “camp” — i disegni di Aubrey Beardsley, i lampadari Tiffany, indumenti femminili degli anni 20 inclusi i boa di piume e abiti con perline, musical come The Gold Digger del 1933 di Busby Berkeley — sono diventati canoni della fede per artisti che fanno sfilate di moda, proprietari di boutique e mercanti dei grandi magazzini.[23]

Questo è un aspetto dell’antinomismo omosessuale: sostituendo i buoni standard con stili arbitrari e volgari, l’omosessuale trae una profonda soddisfazione: sta sovvertendo, così crede, la legge ultima e asserendo l’autonomia dell’uomo.

Terzo, la cultura omosessuale è aspramente ostile alla famiglia e, con i suoi intellettuali, opera per minare alla base la famiglia e la cultura paesana. A causa dell’esteso controllo su moda e pubblicazioni da parte degli omosessuali, la mente e l’apparenza delle nazioni occidentali è stata radicalmente infettata dalla cultura parassitica omosessuale. I canoni della cultura omosessuale sono ora gli standard del jet set col culto della giovinezza,[24] del mondo dell’arte e della moda, e dei moderni intellettuali. La moderna cultura umanistica è in gran parte colorata e imbevuta di cultura omosessuale. Molte delle sette dell’amore libero e dello scambio di mogli sono fortemente tinte di connotazioni e attività omosessuali.[25]
Quarto, poiché l’omosessuale vive contro la realtà e in un mondo di finzioni, egli ha pertanto trovato che il teatro è un elemento felice della sua auto- realizzazione. Henriques ha notato “il collegamento tra il palco Romano con l’omosessualità — una tradizione che nel teatro europeo ha persistito fino al presente”.[26]  Egli ha citato anche il fatto che “La correlazione della scena con la prostituzione che era fiorita fin dal Medio Evo era proseguita e cresciuta nel diciottesimo secolo”.[27]

Andando ora alla legge, la bibbia è senza riserve nel condannare l’omosessualità:

Non avrai relazioni carnali con un uomo, come si hanno con una donna: è cosa abominevole (Le. 18:22).

Se uno ha relazioni carnali con un uomo come si hanno con una donna, ambedue hanno commesso cosa abominevole; saranno certamente messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro (Le. 20:13).

Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra (sodomita) tra i figli d’Israele (De. 23:17).

Questo è certamente chiaro a sufficienza e non c’è un solo testo in tutto il Nuovo Testamento che indichi che la pena sia stata alterata o rimossa (in Romani 1:32 infatti san Paolo la conferma), eppure virtualmente tutti i teologi bypassano questa legge e non tengono conto dei suoi requisiti. Di fatto, san Paolo cita l’omosessualità come il culminare dell’apostasia dell’uomo (Ro. 1:18-32). La descrizione che san Paolo fa dell’atto è significativa:

Nello stesso modo gli uomini, lasciata la relazione naturale con la donna, si sono accesi nella loro libidine gli uni verso gli altri, commettendo atti indecenti uomini con uomini, ricevendo in se stessi la ricompensa dovuta al loro traviamento (Ro. 1:27).

Il verbo “accesi”, NR “infiammati” è ekkaio, “consumarsi”(col fuoco).[28] L’omosessualità è dunque il consumarsi dell’uomo: per questo, per citare la traduzione del Wuest della seconda metà di questo verso, essi ricevono “in se stessi la retribuzione che era una necessità nella natura del caso a motivo della loro deviazione dalla norma”.[29]

L’omosessualità è pertanto la pratica sessuale culminante di una culminante apostasia e ostilità verso Dio. L’omosessuale è in guerra contro Dio e, in ogni sua pratica, sta negando l’ordine naturale e la legge di Dio. L’aspetto teologico dell’omosessualità è quindi enfatizzato nella Scrittura. Nella storia l’omosessualità diventa prominente in ogni area d’apostasia e tempo di declino. È un fenomeno da fine di un epoca.

In precedenza abbiamo fatto riferimento all’opinione di Thielicke. Tornando alla sua analisi troviamo che Thielicke cita la legge ma trova che sia ora irrilevante:

… non ci può essere dubbio che il Vecchio Testamento considerasse l’omosessualità e la pederastia crimini punibili con la morte (Le. 18:22; 20:13). Se da questo si debbano derivare delle ingiunzioni dirette per i cristiani deve rimanere una questione da dibattere, almeno nella misura in cui dietro a queste proibizioni risiede il concetto della contaminazione cultuale e quindi viene sollevata la questione se e in quale ampiezza la legge cultuale del Vecchio Testamento possa essere vincolante per quelli che sono sotto la Legge del Vangelo. Qui i problemi di principio teologico a cui si fa riferimento in termini tecnici sotto il soggetto di “Legge e Vangelo” diventano acuti.[30]

Se non c’è Legge, allora non c’è Vangelo, perché nella Scrittura i due sono inseparabili. Con la legge messa da parte, a quel punto può prendere il sopravvento l’etica umanista e amorale dell’amore, nella quale l’unica considerazione reale non è Dio e la sua legge ma l’essere umano, la norma morale ultima per l’etica dell’amore. Non sorprende che Thielicke dichiari:

È vero che la relazione omosessuale non è una forma d’incontro cristiana col nostro prossimo; nondimeno è assai certamente una ricerca della totalità dell’altro essere umano. Chi affermi diversamente non ha ancora osservato la possibile profondità umana dell’amicizia colorata di omoerotismo. Inoltre, la perversione inerente nella riduzione della sessualità a mera “eccitazione fisica” si trova anche nelle relazioni eterosessuali. Far sì che quest’accusa sia riferita in particolare agli omosessuali dimostra ignoranza o pregiudizio.[31]

Dalla prospettiva biblica, qualsiasi e ogni “ricerca della totalità dell’altro essere umano” separatamente da Dio è viziosa, depravata e sotto condanna. Questa ricerca è onorata solo dove Dio non è onorato nella sua parola-legge.

Thielicke è consapevole del significato teologico e commenta su Romani 1:26 s come segue:

L’ira di Dio su questa insolenza è espressa nella resa dell’uomo da parte di Dio, o nel suo abbandonarlo (paredoken) alle conseguenze di questa sua fondamentale attitudine, lasciandolo, per così dire, all’autonomia d’esistenza nella quale è entrato. Come conseguenza di questa autonomia di giudizio, a quel punto la confusione religiosa ha portato anche al caos etico. Essa consiste nella confusione dell’eterno col temporale. Ciò vale a dire, a entità finite è attribuita la sovranità di Dio e gli uomini adorano idoli (Ro. 1:23). Poiché l’inferiore e il superiore, la creatura e il Creatore, sono scambiati (“pervertiti”), il risultato è una perversa supremazia dei desideri inferiori sopra lo spirito. E in questo contesto, le perversioni sessuali sono menzionate come ulteriori segni di questa perversione fondamentale (Ro. 1:26 s.).

Ciò che è teologicamente degno di nota e kerigmaticamente “vincolante” in questa esposizione di Paolo è l’affermazione che il disordine nella dimensione verticale (nella relazione Dio-uomo) è abbinato ad una perversione al livello orizzontale, non solo all’interno dell’uomo stesso (nella relazione spirito-carne) ma anche nei suoi contatti con i suoi consimili.[32]

Senza prenderci il tempo di differenziarci dai dettagli di questa esposizione, si può dare per scontato che dimostri consapevolezza della questione teologica. Ma Thielicke dà priorità alla questione umana accantonando la legge in favore della (indulgente) comprensione. Il mancare di venire alle prese con la questione della legge da parte della Riforma ha portato in definitiva a questo trionfo dell’umanesimo; l’uomo non è giudicato dalla legge di Dio ma come “essere umano” e nei termini della conseguenze puramente umane delle sue azioni.[33]  Questa non è teologia ma piuttosto antropologia umanistica.

È proprio per l’aspetto teologico dell’omosessualità, la sua guerra contro Dio, che è, e Thielicke ne è consapevole, anche una guerra contro l’uomo e contro di sé.

È consueto adesso tra gli umanisti considerare l’omosessualità come un atto naturale che è una fase nella sviluppo erotico dell’uomo. La prospettiva biblica è che è un atto contro Dio e perciò contro natura. È un atto innaturale, cioè un atto contrario all’ordine della natura e un prodotto della caduta nelle sue implicazioni ultime. L’ostilità che sta alla base dell’omosessualità (sia maschile sia femminile) è stata ampiamente documentata dal Dr, Bergler. Il Marchese de Sade è un esempio classico di questo odio nei confronti di Dio e della legge. Secondo Sade “la supremazia della legge è inferiore a quella dell’anarchia”.[34]  L’ostilità di de Sade verso tutti gli uomini e verso se stesso si manifestava in attività di sadismo e masochismo. Il suo odio verso l’ordine pio probabilmente lo condusse ad evitare tutte le relazioni sessuali normali e ci sono dubbi se i figli di sua moglie siano stati realmente suoi.[35]  L’omosessuale è segnato, non dal blocco dello sviluppo o da immaturità ma da matura e deliberata guerra contro Dio.

La pena di Dio è la morte, un ordinamento piò la metterà in atto. Non ci si sorprenderà che una cultura profondamente infetta di omosessualità toglierà le pene contro di essa.

Un punto finale: l’omosessualità femminile, o lesbismo, è una manifestazione della stessa malvagità che c’è nella forma maschile, ma la pena di morte è riservata agli uomini. Nella donna è “impurità” il “qualcosa di vergognoso” e motivo valido per il divorzio (De. 24:1). Perché non la pena di morte per le donne? Ci sono due ragioni. Primo, come notato riguardo al divorzio, la maggiore autorità dell’uomo significa maggiore responsabilità e maggiore colpa nel peccare. Secondo, poiché l’omosessualità è un’espressione d’apostasia, gli uomini non possono, in buona coscienza, punire quella cosa che la loro abdicazione dell’autorità morale incoraggia. Come dichiarò Osea di prostituzione e adulterio:

Non punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono adulterio, perché essi stessi si appartano con le prostitute e offrono sacrifici con le prostitute dei templi; perciò la gente che non ha intendimento perirà (Os. 4:14).

Quando un popolo raggiunge un certo livello di depravazione morale, la punizione cessa d’essere particolare e diventa nazionale. L’ordine civile ha perso la propria capacità di agire per Dio, e Dio quindi agisce contro quell’ordine. Il altre parole la punizione c’è, ma la punizione proviene da Dio e quel popolo o nazione cadranno. Le culture omosessuali sono in guerra contro Dio; in questa guerra non è possibile negoziare. Che il modernista e il non credente dichiarato si trovino nel campo nemico non ci giunge come sorpresa, ma cosa diremo dei pretesi evangelicali che sostengono che “l’individuo omosessuale sembra sembra più vittima di peccato che peccatore” perché la sua condizione è di natura genetica o frutto dell’ambiente sociale e pertanto non colpa sua! Concordare col Wolfenden Report, e con Thielicke è essere in disaccordo con le Scritture. Questa, comunque, è la scelta fatta da un articolo su un importante giornale “evangelicale”.[36]  Sarà bene ricordare le parole di san Pietro: che “il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio” (1° Pi. 4:17).

Quando la chiesa ha una posizione così empia non dobbiamo sorprenderci delle posizioni prese da altre istituzioni. Un’organizzazione per “eguali diritti” per gli omosessuali “è stata riconosciuta come gruppo studentesco alla Columbia University di New York City, ed ha annunciato progetti di mettere in piedi gruppi simili alla Stanford University e all’Università di California, Berkeley”.[37]  Ancora, la rubrica di consigli di Ann Landers ha dichiarato:

Gli esperti di omosessualità con cui mi consulto mi dicono che, mentre le possibilità di una completa cura sono estremamente sottili, i torturati omosessuali che si odiano spesso hanno benefici dalla terapia. Mentre non li converte in maschi normali, li aiuta ad accettarsi senza colpa e vergogna e tutte le emozioni distruttive che accompagnano quegli orrori gemelli.[38]

Questo è l’obbiettivo della terapia psichiatrica: peccare senza provare colpa e vergogna. Gli empi almeno hanno la loro attitudine apertamente contraria a Dio per giustificare la loro posizione. Questa non può certamente essere la difesa di quegli uomini di chiesa i cui voti richiedono loro di proclamare la parola di Dio.

Ciò che confronta oggi l’uomo in questa perversione è, per usare il termine appropriato di Schaeffer: “omosessualità filosofica”:

Alcune forme di omosessualità oggi … non sono semplicemente omosessualità ma espressione filosofica. Si deve aver comprensione per i veri problemi dell’omofilia. Ma gran parte dell’omosessualità moderna è un’espressione del diniego attuale dell’antitesi. Ha condotto in questo caso ad un’obliterazione della distinzione tra uomo e donna. Così il maschio e la femmina come partner complementari non esistono più. Questa è una forma di omosessualità che è parte di un movimento al di sotto della linea dell’angoscia. Ma questo non è un problema isolato. È una parte dello spirito mondiale della generazione che ci circonda. È urgente che i cristiani si rendano conto delle conclusioni a cui si è arrivati, come risultato della morte degli assoluti.[39]

Tutta l’omosessualità, vorremmo aggiungere, è un’espressione filosofica, questa è la reale natura del “problema dell’omofilia”.

Quando siamo confrontati con una persona omosessuale che asserisce d’essere un cristiano e chiede di essere riconosciuto come tale abbiamo una scelta: o accettiamo la parola della persona omosessuale, o accettiamo la parola di Dio dichiarata in Romani 1.

Note:

1 Per uno dei primi esempi vedi Morris Ploscowe: Sex and the Law; New York: Prentice-Hall, 1951, pp. 212-215.

2 Vedi Nathan Blackman, M.D.: , “Homosexuality, Genesis of” in Edward Podolsky, M.D. editore: Encyclopedia of Aberrations; New York: Philosophical Library, 1953, pp. 271-274; Richard C. Corbetiello, M. D.:Voyage from Lesbos; New York: Avon Books, 1959.

3 Frank S. Caprio, M. D.: Female Homosexuality, a Psycodynamic Study of Lesbianism; New York: Grove Press, 1954, p. 302.

Ibid., p. 3013.

5 Abraham Kardiner: Sex and Morality; London: Routhledge and Kegan Paul, 1955, pp. 160-192.

6 Vedi Irvin Bergler, M. D., editore: Homosexuality, A Psycoanalytic Study; New York: Basic Books, 1962.

7 Edmund Bergler, M. D.: Homosexuality: Disease or Way of Life? New York: Hill and Wong, 1957; e Counterfeit sex, Homosexuality, Impotence, Frigidiy; New York: Grove Press, 1951, 1961.

8 H. R. Hays: The Dangerous Sex, p. 169.

9 G. Rattray Taylor: Sex in History; New York: Vanguard Press, 1954, p. 81.

10 Lars Ullerstam, M. D.: The Erotic Minorities; New York: Grove Press, 1966, p. 351.

11 Ibid., p. 43, 82 s.

12 Ibid., p. 46.
13 Ibid., p. 163.
14 Ibid., p. vi.

15 Vedi R. E. L. Masters: The Homosexual revolution; New York: The Julian Press, 1962; Floyd Dell: Love in the Machine Age; New York: Farrar & Rinehard, 1930; Diana Frederics: Diana: A Strange Autobiography; New York: Citadel, 1939, 1944.

16 Richard Lewinsohn: A History of Sexual Customs, pp. 222 ss., 340 ss.

17 Un documento importante nella nuova moralità è stato: Toward a Quaker View of Sex; london: Friends Home Service Committee, 1964.

18 Del Martin and Phyllis Lyon: “The Realities of Lesbianism” in Motive, vol. XXIX, n° 6 & 7 (Marzo- Aprile, 1969) pp. 61-67. Sulla questione vedi: “When are Church Magazines Obsene?” In The National Observer, vol. 8, n° 32 (11 Agosto, 1969) pp. 1, 15.

19 Derrick Sherwin Bailey: Sexual Relations in Christian Thought; New York: Harper & Brothers, 1959, p. 242.

20 William Graham Cole: Sex in Christianity and Psycoanalysis; New York: Oxford University Press, 1955, pp. 269-277.

21 William Graham Cole: Sex and Love in the Bible; p. 359.

22 Helmut Thielicke: The Ethics of Sex; New York: Harper & Row, 1964, pp. 269-292.

23 Marilyn Bender: The Beautiful People; New York: Dell, 1968, p. 29. Sulla paura di morire e invecchiare p. 27 s.; su omosessuali e moda, vedi pp. 231, 282.

24 Lanfranco Rasponi: The International Nomads, p. 78 ss.

25 Roger Blake: The Free-Love Groups, pp. 60, 140.

26 Fernando Henriques: Prostitution and Society, Primitive, Classical and Oriental; New York: Grove Press, 1962, 1966, p. 105.

27 Fernando Henriques: Prostitution in Europe and the Americas; New York: The Citadel Press, 1965, p. 167.

28 Kenneth S. Wuest: Romans in the Greek New Testament; Grand Rapids: Eerdmans, 1955, p. 36.

29 Ibid.

30 Helmut Thielicke: Ethics of Sex, p. 277 s. 31 Ibid., p. 271 s.
32 Ibid., p. 279 s.
33 Ibid., pp. 287-292.

34 Citato da Simone de Beauvoir, in Sade: The 120 Days of Sodom, etc., p. 49. 35 Ibid., p. 24.

36 B. L. Smith: “Homosexuality in the Bible and the Law”, in Chistianity Today; vol. XIIIm n° 21 (18 Luglio, 1969) p. 936.

37 “Omosexual Group OK’d at Columbia”, Paolo Alto Times (California); giovedì 4 maggio, 1967, p. 2.

38 Ann Landers, Los Angeles Herald Examiner, domenica 6 ottobre, 1968, p. G-4. L’ampiezza in cui Ann Landers sostiene quest’opinione ere evidente in un altro pezzetto di consiglio: “Confidenziale per una Madre Distrutta di un Ragazzo col la Mente Contorta: Sì, raccomando l’aiuto psichiatrico — non per lui, me per te. Tuo figlio ha imparato a vivere con la propria omosessualità. Di fatto sembra aver fatto i giusti aggiustamenti molto bene. Adesso tu devi imparare ad accettarlo com’è e smettere di torturarti”, Ann Landers Herald Examiner, lunedì 1 settembre, 1969, p. A-14.

39 Francis A. Schaeffer: Il Dio Che È Là; Guanda Editore, pp. 51-52.

 

7. 15. SCOPRIRE LA SORGENTE

Un pudore non santo impedisce oggi alla chiesa di fare i conti con molte leggi. Un esempio importante è la legge che concerne le relazioni sessuali con una donna durante le mestruazioni o che non si è ancora completamente ripresa dopo il parto.

Se le relazioni sessuali con una donna durante le sue mestruazioni avvengono inconsapevolmente, è meramente un’impurità rituale che richiede purificazione ma che non porta con sé pena morale (Le. 15:24). Dall’altro lato, l’azione deliberata è un crimine serio:

Non ti accosterai a una donna per scoprire la sua nudità durante a sua impurità mestruale (Le. 18:19).
Se uno si corica con una donna durante le sue mestruazioni e ne scopre la nudità, egli ha scoperto il flusso (la sorgente) di lei, ed ella ha scoperto il flusso (la sorgente) del proprio sangue; entrambi saranno sterminati di mezzo al loro popolo (Le. 20:18).

L’essere “sterminati di mezzo al loro popolo” è letto da alcuni come pena di morte, dai più come scomunica. È uno di quei crimini che portano a un “paese malato” e a una “natura che si ribella”.[1]  Questo non è solamente un crimine contro Dio, ma uno dei crimini che portano la terra stessa a vomitare fuori un popolo (Le. 20:22). Il crimine d’aver “scoperto il flusso del suo sangue” significa che l’uomo ha “messo a nudo la di lei fonte di vita”.[2] L’uomo e la donna sono ambedue egualmente colpevoli.

Il riferimento di Ezechiele allo stesso peccato getta ulteriore luce su questo argomento:

Se uno è giusto e pratica l’equità e la giustizia, se non mangia sui monti e non alza gli occhi agli idoli della casa d’Israele, se non contamina la moglie del suo vicino e non si accosta a donna mentre è impura, se non opprime nessuno, se restituisce il suo pegno al debitore, se non compie alcuna rapina, se dà il suo pane all’affamato e copre di vesti l’ignudo, se non presta a interesse e non dà ad usura, se ritrae la sua mano dall’iniquità e giudica secondo equità fra uomo e uomo, se cammina nei miei statuti e osserva i miei decreti agendo con fedeltà, questi è giusto e certamente vivrà», dice il Signore, l’Eterno (Ez. 18:5-9).

Da questi passi appaiono due cose. Primo, il rapporto sessuale con una donna durante le sue mestruazioni (o prima che abbia recuperato dopo il parto) è classificato da ambedue, Levitico ed Ezechiele, come un’azione seria, aggressivaSecondo, quest’azione è elencata principalmente tra quelle che contaminano un paese. Il commento di Ellison qui è molto sul punto:

Il fatto è che il concetto popolare moderno dell’individuo deriva dal pensiero greco anziché dalla bibbia, e può perfino essere considerato anti-biblico. Noi tendiamo a pensare che i nostri corpi ci diano la nostra individualità e ci separino l’uno dall’altro. Nel Vecchio Testamento è la nostra carne — a malapena esiste una parola per corpo in ebraico — che ci lega ai nostri consimili; è la nostra personale responsabilità a Dio a darci la nostra individualità. Poiché l’uomo (‘adam) è vincolato alla terra (‘adamah) dalla quale è stato tratto, e attraverso di essa a tutti quelli che vivono sulla stessa terra, non può fare a meno di influenzarli mediante le sue azioni. La condotta abominevole “rende il paese (la terra) colpevole di peccato” (De. 24:4 CEI; cf. Gr. 3:1, 9). Per questo motivo per il Vecchio Testamento siccità, pestilenza, terremoto, ecc. sono punizioni naturali della malvagità (cf. Sa. 107:33 s.). Se un uomo abitava in un paese contaminato non poteva fare a meno di condividere la sua contaminazione. Il terrore principale dell’esilio non era che la terra dell’esilio fosse fuori dal controllo di Jehovah — un opinione probabilmente sostenuta da pochi — ma piuttosto che era una terra contaminata (Amos 7:17).[3]

Tornando ai dettali della legge, primo, sono richiesti sette giorni di astinenza da rapporti sessuali durante il periodo mestruale (Le. 15:19), o se ci fosse stata un’indisposizione associata alle mestruazioni, finché durasse la perdita (Le. 15:25). Secondo, il periodo d’astinenza dopo il parto di un maschio è di quaranta giorni (Le. 12:2-4) e otto giorni dopo la nascita di una femmina (Le. 12:5).

Abbiamo citato due caratteristiche di questo peccato: che è un atto aggressivo, e che contamina il paese. Un terzo aspetto viene citato da Ezechiele 22:10: la sua perversità. Ezechiele lo associò con un rapporto sessuale con una matrigna, e ne parlò come di un umiliazione per la donna. L’esperienza pastorale di chi scrive conferma abbondantemente l’elemento di perversità in questo atto. L’uomo perverso prova diletto se l’atto è moralmente e/o esteticamente offensivo nei confronti della moglie e, similmente, alcune donne ne sono interessate se è moralmente e /o esteticamente offensivo nei confronti del marito. È un atto attrattivo solo per quelli che vogliono peccare contro l’altra persona e contro Dio.

Tornando a Levitico 20:18, il peccato dell’uomo è descritto in questo modo: “ha scoperto il flusso (la sorgente – CEI) di lei”. Il peccato della donna è descritto similmente: “ella ha scoperto la sorgente del proprio sangue”. Il termine sorgente è qui un termine importante. Nel senso naturale, letterale, è una fonte naturale di acqua viva, e in ebraico è la stessa parola per “occhio”. Nella Scrittura la parola è anche usata simbolicamente per Dio (Sa. 36:9; Gr. 17:13) come la fonte della grazia (Sa. 87:7). C’è un certo numero di tali riferimenti a Dio e a Cristo. Ma sorgente (fonte) è anche usato per Israele come padre di un grande popolo (De. 33:28); è usato per descrivere una buona moglie (Pr. 5:18) e per la sapienza spirituale (Pr. 16:22; 18:4). Il suo uso in Levitico 20:18 ovviamente combina graficamente un senso letterale a uno simbolico. Per comprendere questo significato dobbiamo rammentare che una sorgente è una fonte, un luogo sulla terra da cui sgorga acqua viva. C’è un’ovvia analogia con l’ovulazione della donna. Egualmente ovvio è il fatto che c’è qui un senso simbolico del termine che è fondamentale per la severità della punizione.

Questo senso può essere decifrato dichiarando la faccenda giuridicamente: è proibito ad un uomo scoprire la sorgente di una donna, ed è proibito ad una donna scoprire la propria sorgente. Questa legge collocava dunque la donna al di là dell’uso da parte dell’uomo per certi intervalli regolari di tempo; similmente, la donna non aveva il diritto di darsi ad un uomo senza limiti e senza riserve.

L’uomo è una creatura di Dio, e Dio è la fonte ultima di vita. L’uomo non può trasgredire in alcun ambito perché ogni ambito di vita è vincolato e coperto dalla legge di Dio e ha da essere scoperto in Lui. La signoria dell’uomo è sotto Dio e pertanto l’uomo non può esercitare una signoria senza riserve su alcuna persona o cosa. In tutte le cose c’è così un ambito privato che l’uomo non può trasgredire; l’ambito pubblico di cose e persone è quello coperto dalla legge d Dio.

Nessun uomo può fare dunque di una donna la propria creatura, né può la donna fare di se stessa la creatura di un uomo. Ogni uomo ed ogni donna ha quegli obblighi d’amore e servizio verso il marito o la moglie, verso genitori e figli, verso datori di lavoro o operai, e verso il prossimo che la legge di Dio richiede, ma senza trasgredire la privacy di un’altra persona. Le nostre fonti sono in Dio, Lui solo, perciò, ha giurisdizione, diritto totale e il potere di conoscere tutto di noi senza restrizioni.

Similmente lo stato non ha diritto alla conoscenza totale sui suoi cittadini, o di tentare di invadere la loro privacy. Deve richiedere la loro obbedienza alla legge, ma niente di più. Nessun uomo e nessuno stato può rivendicare il potere di agire con le persone come vuole.

Ma è una caratteristica dell’uomo empio usare l’uomo nei termini della propria volontà piuttosto che in quelli della legge di Dio. La Guerra dei Trent’Anni vide la spietata e totale distruzione di città, villaggi, e contadi da entrambe le parti. Incisioni del tempo ci mostrano gli orrori della guerra: soldati che castrano contadini, che li fanno penzolare a testa in giù sopra un fuoco, e mettersi in fila per violentare la moglie del contadino. Non ci furono restrizioni alle malvagie immaginazioni e alle azioni degli uomini. La grande iniquità del regno di Luigi XIV fu il suo trattamento degli Ugonotti. Averli uccisi per la loro fede avrebbe almeno significato onorarla, ma la prassi invece fu di sguinzagliare truppe di soldati del rango più basso sulle famiglie ugonotte per violentare le loro donne.

Napoleone dimostrò maggior buonsenso, e un resoconto del tempo, quello del marchese de Bonneval, lo registrò:

Il sergente maggiore della Guardia Mouton fu acquartierato presso la Principessa del Lichtenstein.
Mouton, il cui linguaggio soldatesco era spesso lungi dall’essere raffinato, scrisse alla principessa una lettera nella quale si lamentava delle sistemazioni degli alloggi, e lo fece in termini che furono realmente insolenti, completamente indecenti.Questa lettera cadde nelle mani del Principe di Neuchatel che la portò all’imperatore. L’ira dell’imperatore non conobbe limiti! Ordinò al Principe di Neuchatel di portare il colpevole all’adunata del giorno seguente, in mezzo a quattro gendarmi.
Il cortile di Schonbrunn, molto più ampio di quello di Fontainebleu, aveva similmente due gradinate a semicerchio davanti al palazzo. Dopo che la Guardia si fu adunata in questo cortile, il colpevole fu fatto avanzare tra quattro gendarmi.
A quel punto Napoleone comparve sulla gradinata, con un foglio in mano. Ma anziché scendere quattro gradini alla volta, come faceva di solito, avanzò lentamente, seguito da tutto il suo staff, e col terribile foglio in mano.
Sempre con passo misurato, si avvicinò al colpevole, gli sventolò il foglio in faccia dicendo:
“Siete stato voi a firmare questa porcheria?”
Il miserabile abbassò il capo in cenno d’assenso.
Poi Napoleone, con toni accesi disse:
“Comprendete questo, gentiluomini, che uno uccide uomini ma non li umilia. Sia messo al muro!”
L’esibizione era stata fatta, e il Generale Dorsenne non fece sparare allo sfortunato dottore.[4]

Se le Scritture non danno il potere di usare una persona separatamente dalla legge a un marito o a una moglie, la cui relazione è una d’amore, quanto meno permette a chiunque altro di trasgredire ciò che è l’ambito privato di Dio nella vita di un uomo. Se un marito non può “far uso” della propria moglie separatamente dalla legge, o una moglie darsi separatamente dalla legge, nessun altro, persona o agenzia, può violare le fonti della vita senza contaminare la terra stessa e incorrere in giudizio.

Note:

1 John Peter Lange: Commentary on the Holy Scriptures: Leviticus; Grand Rapids: Zondervan, p. 155.

Ibid., p. 156.
3 H. L. Ellison: Ezechiel: The Man end His Message; Grand Rapids: Eerdmans, 1956, p. 72.

4 Jean Savant: Napoleon in His Time; New York: Thomas Nelson & Sons, 1958, p. 233.

 

16. L’OPERA DI MEDIAZIONE DELLA LEGGE

Parlare dell’opera di mediazione della legge è sollevare immediatamente le ostilità dei protestanti evangelicali, col loro antinomismo radicato in profondità. Per chiarire la questione più presto possibile, Gesù Cristo è l’unico mediatore tra Dio e l’uomo. Non c’è salvezza se non mediante Gesù Cristo, il mediatore e redentore dato da Dio. La mediazione di Gesù Cristo è tra Dio e l’uomo; la legge è il mediatore dato da Dio tra uomo e uomo. Le Scritture parlano di Cristo come il mediatore di un patto nuovo e migliore: “fondato su migliori promesse” (Eb. 8:6). Queste promesse sono le promesse della legge come riassunte in Deuteronomio 28, le benedizioni sulla fede obbediente. Secondo Lensky:

Le promesse non sono migliori nella sostanza paragonate con quelle che erano state fatte ad Abrahamo ma nel fatto che noi non abbiamo più bisogno d’attendere il mediatore come Abrahamo dovette fare. Sono, naturalmente, migliori delle promesse che furono attaccate al testamento-legge che fu introdotto 430 anni dopo di Abrahamo.[1]

La prima frase di Lensky è corretta; nella sua seconda frase, degradando il patto mosaico, Lensky scade dentro a quel dispensazionalismo che è la conseguenza logica di ogni antinomismo. Lungo le Scritture Dio fa un patto per persone che si susseguono consecutivamente. Ciò ch’è nuovo nel patto di Cristo fu la sua venuta e la sua espiazione in quanto Egli era il vero sacrificio e sangue del patto; Cristo enfatizza l’identicità del patto di Dio rimpiazzando i didici figli di Giacobbe, e le dodici tribù d’Israele, con dodici apostoli. Con questa azione rese chiara la continuità del suo patto con quello di Abrahamo e di Adamo. Celebrando il suo patto al tempo della celebrazione di quello vecchio, la pasqua, nell’ultima cena Cristo enfatizzò nuovamente che la continuità del patto spettava al suo popolo. Essendo il patto stato rinnovato da Cristo, anche la legge del patto fu rinnovata.

Quelli che sono popolo di Dio sono chiamati alla giustizia: “la giustizia della legge” (Ro. 8:4), la legge è perciò una condizione basilare della loro vita. Non è possibile nessuna relazione diretta tra persone se non mediante la legge di Dio. Tentativi di aggirare la legge per un confronto da persona a persona senza Dio implicano il giudizio di Dio, perché la legge è operativa contro i suoi violatori e contro la distruzione della vera relazione tra uomo e uomo sotto la legge di Dio.

La legge di Dio concernente le relazioni sessuali durante il periodo mestruale è una chiara illustrazione di questo principio. È impossibile per l’uomo rivendicare che all’interno del matrimonio sia possibile un rapporto non teologico. La relazione matrimoniale è interamente circoscritta dalla legge. È ordinata da Dio e pertanto governata dalla sua legge. Ci è detto chiaramente: “Sia il matrimonio tenuto in onore da tutti e il letto coniugale sia incontaminato, poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri” (Eb 13:4). La legge si estende a quel letto proibendo le relazioni sessuali con una moglie durante le mestruazioni o con una moglie non completamente ripresa dopo il parto.

In ogni area di vita, che si tratti dei nostri nemici, di vicini, fratelli nella fede, mariti, mogli, o figli: “L’amore è il compimento della legge” (Ro. 13:8-10). L’amore senza legge è una contraddizione; mentre amore e legge non sono identici, l’uno non può esistere senza l’altro.

Se un uomo dice di amare una donna e poi chiede, nel nome di una relazione più personale ed esistenziale, di viverci assieme senza matrimonio, la donna è giustificata nel dubitare il suo amore. L’amore non può essere separato dalla legge senza negare l’amore, né la legge può essere separata dall’amore senza negare la legge.

Questo significa, per esempio, che il matrimonio è un matrimonio valido, se marito e moglie stanno compiendo fedelmente i loro doveri come richiesto dalla legge di Dio in buona fede verso Dio e verso il partner, e con grazia.

Dall’altro lato, l’umore romantico del mondo moderno cerca deliberatamente una relazione da persona a persona al di fuori della legge e come risultato persegue un corso suicida per la vita dell’uomo. Se una relazione tra persona e persona al di fuori di Dio è proibita tra un uomo e una donna nel matrimonio, è proibita anche tra uomo e uomo e tra donna e donna in ogni altro ambito.

Ciò significa che i figli non sono amati se sono amati al di fuori della legge; disprezzare la legge e cercare di esentarne i figli dentro o fuori la famiglia è dimostrare loro di tutto eccetto amore.

Similmente, una relazione datore di lavoro – dipendente non è strettamente tra persona e persona. L’economia di libero mercato non- cristiana ha insistito che che tale relazione padrone – operaio non possa essere governata altro che dalle leggi di mercato. Lo statalismo moderno ha invece insistito nel proprio diritto di intervenire con le proprie leggi stataliste. Il dramma di ambedue le posizioni è la loro essenziale anomia. L’una esalta la volontà personale fino a farla diventare legge, l’altra la volontà politica; l’una un principio di mercato, l’altra un principio socialista. In una società empia non ci si può aspettare che né l’individuo né lo stato agiscano sotto legge; ambedue opereranno nei termini del peccato. Di conseguenza, il loro concetto di legge sarà l’esercizio del potere per incrementare il potere. Ma, nei termini della Scrittura, né lo stato, né il datore di lavoro possono avere una relazione diretta con chicchessia separatamente da Dio.

La legge di Dio è dunque il mediatore tra uomo e uomo. Al posto di una confronto diretto tra persona e persona, c’è sempre la mediazione della legge di Dio tra persone. Se le persone s’incontrano nei termini della legge, la loro relazione viene benedetta e fatta prosperare; se s’incontrano al di fuori della legge, la maledizione della legge opera contro di loro. Il presunto proposito di un confronto diretto tra persona e persona è una relazione genuina, esistenziale e veramente personale; in realtà porta ad un radicale 'impersonalismo. Una relazione realmente personale è solo quella che è mediata dalla legge.

La questione si può illustrare meglio volgendoci alla medicina. Come ha evidenziato il dottor Hans Selye, M. D. : “La vita non è semplicemente la somma delle sue parti. … Più si smontano queste cose viventi, più ci si allontana dalla biologia …”[2]  Il lavoro di Seyle è stato quello “del semplice osservatore e correlatore della vecchia scuola di biologia …”[3]  che è quello di osservare la persona e lavorare a occhio nudo. Il rispetto che il dottor Seyle ha per la biologia molecolare è reale e altrettanto lo è la sua critica di essa. Il suo libro è dedicato a un biologo molecolare, il professor Humberto Fernandez-Moran, che lavora al microscopio elettronico dell’Università di Chicago. Secondo Seyle:

Egli è sia un medico sia un fisico che non solo usa ma in realtà costruisce microscopi elettronici di alta potenza. Ho letto molte delle sue notevoli pubblicazioni, ma siccome non l’avevo mai incontrato, non potei resistere la tentazione di telefonargli l’ultima volta che mi trovai a Chicago ed egli gentilmente m’invitò a casa sua per pranzo con una visita ai suoi famosi laboratori a seguire.

Il mio interesse nella sua ricerca e per la sua pittoresca personalità fu ulteriormente incrementata dalla nostra conversazione durante il pranzo e raggiunse un culmine a circa mezzanotte nel suo laboratorio quando cominciai a rendermi conto della grandiosità del suo contributo scientifico. Lì c’era il modello più recente del suo famoso coltello di diamante col quale poteva fisicamente tagliare molecole di glicogeno in zuccheri più piccoli. Lì, potei effettivamente vedere molecole individuali di emocianina sotto il suo microscopio più potente. Mi spiegò che questo era solamente l’inizio perché stava ora lavorando su un microscopio ancora più potente che mostrerà chiaramente oggetti ingranditi due milioni di volte. Fui profondamente emozionato da ciò che vidi e rimasi senza parole per l’ammirazione. Ma poi improvvisamente il mio subconscio iconoclastico riemerse in superficie e fece lampeggiare il terrificante pensiero attraverso la mia obsoleta mente: “Immagina questo grande genio usare il suo enorme intelletto e conoscenza per costruire uno strumento col quale restringere il proprio campo di visione due milioni di volte!”[4]

Il lavoro di Seyle e il suo grande contributo alla medicina è dipeso tutto dalle sue osservazioni della creatura vivente e delle leggi della vita, tutto ad occhio nudo. La biologia molecolare ha dato un enorme contributo alla conoscenza astratta, ma il lavoro di Seyle è stato di grande valore pratico in ragione del suo interesse per il tutto, e per il suo credo che la vita è più della somma delle sue parti.

La vita dell’uomo è più che la somma delle sue parti; una parte basilare del tutto è la legge di Dio. Essendo stato creato da Dio l’uomo fu creato da e dentro la legge di Dio. Considerare l’uomo separatamente da questo fatto è depersonalizzarlo.

Un uomo non può mai essere considerato in astrazione da ciò che è. Sostenere che possiamo non tenere conto della razza, patrimonio culturale, intelligenza, religione, e carattere morale di un uomo, e poi in qualche modo trattare con l’uomo reale è una comune fallacia progressista (liberal); il risultato è solo un’idea astratta dell’uomo, non di un uomo vivente e vero. Similmente, nessun uomo può essere estratto dal contesto di legge del suo essere. Tentare un approccio a qualsiasi uomo, donna o bambino separatamente dal contesto della legge di Dio è tentare di approcciare una persona di nostra fattura, una persona non esistente. Di qui il radicale impersonalismo di tutte le relazioni da persona a persona. L’amore romantico, per esempio, aggira il contesto di legge di Dio per giungere alla “persona reale”. In tale relazione, entrambe le parti vedono non la persona creata da Dio ma solo quella creata dalla loro immaginazione. Come ambedue le parti in tale relazione hanno una volta confessato dopo che la loro grande passione s’era raffreddata e la loro immaginazione s’era arenata sugli scogli della realtà: si trovarono incapaci e di parlarsi in modo intelligente e di vivere insieme.

I confronti da persona a persona sono dunque caratterizzati da un basilare impersonalismo. Il loro tentativo di accedere a una persona fuori dalla legge, o di trattare con un lavoratore fuori dalla legge, li trova che stanno usando le altre persone, non com’esse esistono realmente, o in un contesto di legge, ma com’esse sono convertite in oggetti da usare da parte dell’immaginazione dell’uomo.

L’uomo non può vivere nel mondo fisico senza riconoscerne le leggi; negare quelle leggi, o assumere che possano essere aggirate, è corteggiare il disastro. L’uomo non ha imparato a volare lanciandosi da una rupe in disprezzo della legge, ma utilizzando la legge per rendere possibile il volo aereo. Similmente, l’uomo non può trascurare la realtà della legge di Dio in ogni altro ambito della creazione. La legge è altrettanto totalmente operativa nel mondo dell’uomo che in qualsiasi altra sfera. Le continue crisi della storia e la sua cronica situazione di disastro sono dovuti alla mancanza dell’uomo peccatore di conformarsi con la legge e viverci dentro.

La legge dunque non separa la gente né è responsabile per l’impersonalismo. L’anomia divide gli uomini; la vera legge aiuta a portarli assieme. Gesù in quanto Cristo, in quanto mediatore, è il solo che può portare l’uomo a Dio, così l’uomo può essere messo assieme con l’uomo suo consimile dalla legge, dalla legge di Dio. La mediazione di Gesù Cristo ripristina l’uomo alla giustizia, vale a dire alla legge, e perciò la comunione si apre non solo con Dio ma anche con l’uomo. 


Note:

1 R. C. H. Lensky: The Interpretation of the Epistle to the hebrews and of the Epistle of James; Columbus, Ohio: Wartburgh Press, 1937, p. 259.

2 Hand, Delye, M. D. : In Vivo, The Case for Supramolecular Biology; New York: Liveright, 1967, p. 18 s.

3 Ibid. , p. 150.
4 Ibid. , p. 150 s.

 

17. IL TRAVESTITO

In Deuteronomio 22:5 compare una legge significativa che per molto tempo ha influenzato i codici giuridici delle nazioni cristiane:

La donna non indosserà abiti da uomo, né l’uomo indosserà abiti da donna, perché chiunque fa tali cose è in abominio all’Eterno, il tuo DIO.

Qui la parola abominazione è di particolare interesse. Una parola greca e quattro ebraiche sono tradotte con abominazione; in queso caso la parola ebraica è toebah, che significa “qualcosa di detestato, specialmente su basi religiose”.[1] “La parola è usata per denotare ciò che è particolarmente offensivo al senso morale, al sentimento religioso o all’inclinazione naturale dell’anima”.[2]

La legge qui comunque designa la persona come un’ “abominazione” al Signore; perciò non l’atto o la cosa ma l’individuo è indicato come oggetto di quest’aborrimento.

Non c’è pena specificata per il reato; è un’infrazione, e la punizione è lasciata alla descrizione del legislatore.

I commenti degli studiosi biblici sono interessanti. Wright l’ha vista come parte dei requisiti della perfezione fisica, il dovere di rispettare e conservare il corpo come Dio l’ha dato, senza mutilazioni o confusioni.[3] Wright ha dichiarato che è

Una legge che compare solo qui ed è generalmente interpretata come rivolta contro i cambiamenti di sesso simulati nella religione canaanita. L’evidenza di quest’ultima è derivata, comunque, da fonti che sono più tarde dei tempi d’Israele. Potrebbe essere che la motivazione provenga dall’aborrenza israelitica per tutto ciò ch’è innaturale (cf. vv. 9-11; Esegesi su 14:1-2), benché in effetti non abbiamo certezze riguardo a cosa vi sia dietro.[4]

Keil e Delitzsch sono particolarmente utili:

Come la proprietà di un vicino doveva essere sacra nella valutazione di un’israelita, così anche la distinzione divina dei sessi che era tenuta per sacra nella vita civile col vestiario peculiare per ciascun sesso, dove essere osservata come ancor più sacra. “Non ci sarà cosa da uomo su una donna e l’uomo non indosserà indumenti da donna”. (Cosa) non significa meramente vestiario, né solo distintivi, ma include ogni tipo di utensile domestico o altro. L’intenzione immediata di questa proibizione non era di prevenire la licenziosità o di opporre pratiche idolatriche. …; ma di mantenere la santità di quella distinzione tra i sessi che fu stabilita dalla creazione di uomo e donna, e in relazione a cui Israele non doveva peccare. Ogni violazione o cancellazione di questa distinzione come perfino, per esempio, l’emancipazione della donna — era innaturale e perciò un’abominazione agli occhi di Dio.[5]

La legge perciò proibisce l’imposizione dei doveri e degli utensili di un uomo ad una donna. Il suo scopo è quindi mantenere l’ordine fondamentale di Dio. Un uomo che permette a sua moglie di mantenerlo se è ha salute per farlo da solo ha violato questa legge.

Il commento di Alexander sostiene lo stesso significato:

La distinzione tra i sessi divinamente istituita doveva essere osservata con sacro rispetto e, per farlo, l’abito e le altre cose appropriate all’uno non dovevano essere usate dall’altro: ciò che è di pertinenza di un uomo; letteralmente: l’attrezzatura di un uomo, (che include, non meramente l’abito, ma gli utensili, strumenti, armi e utensili). Questo è un regolamento etico nell’interesse della moralità. Non c’è riferimento, come alcuni hanno supposto, al portare una maschera allo scopo di camuffarsi, o alla pratica dei sacerdoti delle festività pagani di indossare le maschere delle loro divinità. Qualsiasi cosa tenda ad obliterare la distinzione tra i sessi tende alla licenziosità; che l’un sesso possa indossare il vestito dell’altro è sempre stato considerato innaturale e indecente.[6]

Secondo Baumgarten, questa legge

Proibisce la manifestazione della prima, innaturale e anti-religiosa situazione in cui l’uomo (il marito), in quanto uomo originale (essere umano), obbedisca la voce della propria moglie, l’uomo derivato … Nella misura in cui l’uomo persiste in questo estraniamento da Dio, questo errore si farà sempre sentire Romani 1: 26, 27 … ma tuttora l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni perversione dei sessi, negli sconcertanti e preoccupanti risultati di quell’ampiamente diffuso e sempre più in espansione dominio della donna e servitù del maschio.[7]

Oggi noi abbiamo ciò che Winick ha chiamato la progressiva desessualizzazione della gente. L’obbiettivo è sempre più l’ “uomo blando” tra ambedue le generazioni quella vecchia e quella più giovane. L’uomo è fatto diventare sempre più una creatura neutra; la distinzione tra maschio e femmina è offuscata. Come risultato, e non sorprende, nel 1964 il Sindacato Americano per le Libertà Civili ha difeso un uomo contro l’accusa di travestimento, sfidando la legge per la prima volta in 119 anni.[8]  Inoltre, “il travestimento da parte di uomini compare sempre più in opere e film”.[9] Il vestiario unisex è diventato popolare a Londra e tra alcuni teen-ager scandinavi.[10]  Il mondo e l’America sono diventati sempre più “il paese del blando”.[11]  Simultaneamente, il palcoscenico “ha creato un certo numero di uomini programmati per la sconfitta” mentre contemporaneamente mette in scena donne aggressive. Infatti, “le attrici non solo superano gli uomini negli incassi; alcune sono effettivamente più alte”. Inoltre: “benché i caratteri femminili rappresentassero un tempo l’obbiettivo della ricerca romantica dell’eroe, oggi abbiamo la donna come bruto”.[12]

Dietro a questo caos ci sono certe idee. Primo, la ribellione contro l’ordine voluto da Dio è assai ovvia. Viene negato proprio il principio d’ordine. L’uomo cerca deliberatamente di ri-arrangiare la creazione nei termini del proprio mandato creativo.

Secondo, è all’opera l’eguaglianza come fede filosofica e religiosa. Tutte le persone sono uguali; la donna è uguale all’uomo, e l’uomo è uguale a Dio. Come risultato, deve esserci per principio una guerra contro le differenze. L’obbiettivo non è solo l’unisex ma anche l’uniumano, la persona blanda, neutrale. Henry Miller vede il ritorno al Paradiso solo mediante la distruzione di storia, significato, legge e moralità. Ci deve essere un tempo di distruzione totale, il “tempo degli assassini”, e il nuovo mondo potrà venire solo dopo che il vecchio mondo è dimenticato. Questo significa un periodo d’anarchia, di amalgama razziale, e di universale ermafrodismo umano (“la nascita di maschio e femmina in ogni individuo”) e poi può comparire il nuovo mondo.[13]

Tornando ora alla legge per una fresca valutazione del suo significato, si riferisce chiaramente a indumenti, ma il suo significato è ben più ampio. La legge colpisce la generica neutralizzazione dei sessi e la confusione dei loro ruoli. La legge insiste su una rigida linea di divisione tra maschio e femmina come il mezzo migliore e quello ordinato da Dio per comunicare l’amore tra di loro. La forza ed il carattere di maschio e femmina è mantenuto nel modo migliore obbedendo questa legge.

Un tempo era un rigoroso principio di comportamento militare mettere in atto questa legge in ogni area. Così, agli uomini in uniforme non era permesso spingere un passeggino; fare il lavoro di una madre era indecoroso per la forza e l’autorità rappresentate dalla divisa. Se questa sembra oggi un’illustrazione irrisoria e comica, il fatto rimane che è ancora sana come principio. Il suo scopo era preservare la dignità e la mascolinità di una forza da combattimento. Allo stesso tempo, sotto gli standard antecedenti la Prima Guerra Mondiale, da un ufficiale ci si aspettava che avesse versatilità. Le loro camerate dovevano essere pulite e ben tenute e la capacità di cucinare non era limitata al cuoco. Lo scopo era l’autosufficienza e la capacità di sopravvivenza. A casa, l’uomo non faceva lavoro femminile; in caserma e sul campo, l’uomo doveva essere pieno di risorse, capace e ordinato nella sua vita.

Lo scopo della legge è di incrementare la forza e l’autorità di uomo e donna nei rispettivi ambiti. La forza dell’uomo è nell’essere uomo sotto Dio, e la forza della donna è nell’essere donna sotto Dio.

La definizione di travestito deve pertanto essere ampliata da un mero riferimento al vestiario.

Si può aggiungere che la cultura moderna ha un carattere fortemente travestito. Qui come altrove preferisce il carattere della perversione alla legge di Dio.


Note:

1 S. R. Driver: “Abomination”, in James Harstings editore: A Dictionary of the Bible, I, 11 s.

2 Unger’s Bible Dictionary, p. 9.
3 G. Ernest Wright: “Deuteronomy” su 14:1, 2: Interpreter’s Bible, II, 421.
4 Ibid., I, 464.

5 Keil and Delitzsch: The Pentateuch, III, 409 s.
6 W. L. Alexander: Deuteronomy, in Spence ed Exell: The Pulpit Commentary, p. 355.

7 Citato da F. W. J. Schroeder, in John Peter Lange, editore: Commentary on the Holy Scriptures: Deuteronomy, p. 165.

8 Charles Winick: The New People, p. 236 s.

9 Ibid., p. 242.
10 Ibid., p. 267.
11 Ibid., p. 145 ss.

12 Ibid., p. 73.

13 Lawrence Durrell, editore: The Henry Miller Reader; New York: New Directions, 1959, pp. 231-239.

 

18. SESSO CON BESTIE

La legge contro il sesso con bestie compare in quattro passi diversi, tre volte nel corpo giuridico, e una volta nelle maledizioni della legge:

Chi si accoppia con un bestia dovrà essere messo a morte (Es. 22:19).
Non ti accoppierai con alcuna bestia per contaminarti con essa; né alcuna donna si accosti ad una bestia per accoppiarsi con essa; è una perversione ripugnante. Non vi contaminate con alcuna di queste cose, poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per scacciare davanti a voi.Il paese è stato contaminato; perciò io lo punirò per la sua iniquità, e il paese vomiterà i suoi abitanti.
Voi dunque osserverete i miei statuti e i miei decreti e non commetterete alcuna di queste cose abominevoli, né colui che è nativo del paese, né il forestiero che risiede con voi, (poiché tutte queste cose abominevoli le hanno commesse gli abitanti del paese che erano prima di voi, e il paese è stato contaminato), affinché anche voi, se lo contaminate il paese non vi vomiti come ha vomitato la nazione che era prima di voi. Poiché chiunque commette alcuna di queste cose abominevoli, le persone che le commettono saranno sterminate di mezzo al loro popolo.
Osserverete dunque i miei ordini, per non seguire alcuno di quei costumi abominevoli che sono stati seguiti prima di voi, e non vi contaminerete con essi. Io sono l’Eterno, il vostro DIO (Le. 18:23-30).

Se un uomo si accoppia con una bestia, sarà messo a morte; ucciderete anche la bestia. Se una donna si accosta a una bestia per accoppiarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; saranno certamente messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro (Le. 20:15, 16).

Maledetto chi si corica con qualsiasi bestia!. E tutto il popolo dirà: Amen (De. 27:21).

Questo crimine incorre dunque nella pena di morte per uomo e bestia; se la pena di morte non viene inflitta, il paese è contaminato e la terra vomita fuori il popolo degenerato. Il commento di Ginsburg su Levitico 18:25: “La terra stessa ha vomitato i suoi abitanti” riafferma abilmente quest’aspetto fondamentale della legge biblica:

Fin dalla creazione la terra ha condiviso la punizione della colpa dell’uomo (Ge. iii. 17), e alla restituzione di tutte le cose parteciperà nella sua restaurazione (Ro. viii. 19-22). La condizione fisica del paese, perciò, dipende dalla condotta morale dell’uomo. Quand’egli disobbedisce i comandamenti di Dio s’inaridisce e non da il suo frutto (De. xi. 17). “La terra è contaminata” quando l’uomo si contamina. Quand’egli cammina nella via dei divini comandamenti essa è benedetta (Le. xxv. 19; xxvi. 4); “Dio ha misericordia della sua terra e del suo popolo” (De. xxxii. 43). Pertanto, “La terra è in lutto” quando i suoi abitanti peccano (Is. xxiv. 4, 5), e “la terra si rallegra” quando Dio vendica la causa del suo popolo (Sa. xcvi. 11-13). È dovuto a quest’intima connessione tre di essi e la terra, che è qui personificata, e rappresentata come avere in disgusto la malvagia condotta dei suoi figli e come incapace di trattenerli. È nauseata da essi. La stessa figura è usata nel verso 28; in capitolo xx. 22, e in Apocalisse iii. 16.[1]

Il sesso con bestie era pratica comune nell’antichità; era inoltre una pratica religiosa. Le religioni pagani, col loro credo in un’evoluzione dal caos, guardavano in basso al caos in cerca di vigore religioso, potenza, e vitalità, non in alto. Si credeva che la forza stesse in basso, in contatto con la “terra”, col passato primitivo dell’uomo. Di conseguenza, il rinnovamento religioso richiedeva atti di sesso con bestie, e in Egitto, Canaan e molte altre nazioni, tali atti erano requisiti nazionali per il benessere sociale del popolo, e atti personali da parte di persone che cercavano di rivitalizzare la propria vita. Se Dio è Dio, allora l’uomo guarda in alto a Dio per rigenerazione, guida e forza, e l’uomo conforma la propria vita alla parola-legge di Dio. Se il caos è il valore ultimo e la scaturigine di tutte le cose al posto di Dio, allora l’uomo deve guardare in basso ad atti di caos per la propria rigenerazione. Questo è esattamente ciò che l’uomo ha fatto. Il sesso con bestie è stato un aspetto importante del paganesimo sviluppato. Compare pertanto più spesso in culture pagane altamente sviluppate piuttosto che in culture semplici, retrograde; è un aspetto prominente della vita sessuale nelle culture pagane “avanzate”.[2]

Il sesso con bestie ha una storia associata anche con movimenti e persone rivoluzionarie. La tesi della rivoluzione è paradiso mediante il caos, precisamente la tesi del sesso con bestie. L’investigazione su due membri dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti che ripararono in Unione Sovietica riportò che erano omosessuali che “avevano l’inclinazione ad indulgere in peculiari atti sessuali con animali”.[3]

L’attuale rivoluzione sessuale sta estensivamente sperimentando il sesso con bestie.[4]  Il dottor Ullerstam ha sollecitato l’abolizione di questa “barzelletta morale”, la proibizione del sesso con bestie, e difende l’atto.[5]

La bibbia chiama l’atto “confusione” , “perversione” o “mostruosità”. Questo elemento di perversità è sempre stato basilare all’atto e l’aspetto religioso dell’atto. La radicale perversità del Marchese de Sade è ben nota; il suo pazzo catalogo di atti di sesso con bestie unito al sadismo, con una grande varietà di animali è registrato in un’opera notoria.[6] Giustificando la coprofagia come piacere erotico, Sade dichiarò che era “esattamente l’impurità” di ogni azione che gli procurava piacere.[7]

Qualche anno fa Kenneth Burke analizzò la “conversione secolare”. Mentre la discussione è specificamente su Freud, il suo interesse era per tutti i modi simili di pensare che egli descrisse come “conversioni verso il basso”.[8] Senza accettare la cornice in cui Burke colloca la definizione, possiamo usare questa appropriata descrizione e dire che descrive abilmente il concetto moderno di rigenerazione. Che sia in letteratura, arte, politica o religione, la vitalità è cercata nel primitivismo, in una ricerca in basso, e si assume che la vitalità abbondi nella misura in cui si violi la legge. Una panacea molto popolare per l’impotenza maschile è precisamente questa ricerca verso il basso, a cominciare dall’omosessualità, come mezzo per rivitalizzare una morente potenza sessuale.

“Conversione verso il basso” spiega anche il piacere di de Sade proprio “nell’impurità” di qualsiasi atto; qualsiasi perversione è una contaminazione, e più è violento l’allontanamento dalla norma, più è deliberato l’attacco all’ordine giuridico di Dio, più grande è la “confusione”, e il diletto in essa. Poiché de Sade, come esempio classico di conversione verso il basso, era in aspra ostilità contro Dio, in ogni atto che faceva più era pronunciata la violazione della legge, maggiore gli era il piacere. Thornton dichiarò che:

Ci sono ancora altri casi conosciuti di masochismo — casi, per esempio, nei quali gl’individui che ne sono affetti possono essere portati dal desiderio di della più totale degradazione di se stessi a pratiche come l’urolagnia e coprolagnia. Con questi termini comprendiamo rispettivamente, il bere urina e assaggiare o magiare feci. Più può degradarsi, più basso il livello a cui può ridurre la propria umanità, più il vero masochista è felice.[9]

Il punto di tale attività è degradare l’immagine di Dio nell’uomo, provare che l’uomo non è niente di più che un animale.

Il desiderio di ridurre l’uomo a un animale è una parte della fede evoluzionista. A questo fine sono stati scritti libri divenuti popolari, uno dei più conosciuti è il best-seller di Desmond Morris La Scimmia Nuda. Poco dopo che l’Unione Sovietica fu instaurata dalla Rivoluzione Bolscevica fu mandata in Africa una spedizione scientifica, sussidiata da milioni di Rubli, per tentare l’incrocio tra uomini e scimmie. Il professor Ilya Ivanovich Ivanoff e la sua spedizione speravano di coltivare una nuova razza, l’uomo scimmia, per poter confermare la fede della Società Anti-Dio della Russia Sovietica. Questa spedizione del 1925 fallì, ovviamente, e la stampa sovietica un anno più tardi riportò la supposta perdita nel Mal Nero della vaporiera che stava portando indietro Ivanoff e le sue scimmie femmine; la nave fu dichiarata “dispersa con tutto l’equipaggio” e le scimmie; così, qualsiasi cosa sia realmente accaduta, non c’erano sopravvissuti a riportare il fiasco.[10] Oggi si ricercano mezzi più sofisticati per ridurre l’uomo a livello animale.

Adesso si fanno e si vendono film pornografici; questi includono ora molti atti di sesso con bestie. Si pubblicizzano libri che danno istruzioni su come fare sesso con animali. C’è una propagazione sistematica di questa perversione, e addestramento di animali per esibire questi atti per gruppi vari.

In un modo o nell’altro, o filosoficamente o per mezzo di atti di perversione, l’uomo umanistico guarda in basso verso il caos per il proprio rinnovamento.

Una nota finale: nel 1969 fu fatto un film sul soggetto del sesso con bestie, la storia di un “affare amoroso” tra un contadino e il suo maiale. Agli spettatori fu risparmiato l’usuale costo del biglietto. Fu riportato che la Società per la Prevenzione della Crudeltà contro gli Animali fu presente durante le riprese, per proteggere il maiale.


Note:

1 C. D. Ginsburg: “Leviticus”, in Ellicott, I, 420.

2 Allen Edwardes e R. E. L. Masters: The Cradle of Erotica; New York: Julian Press, 1963, pp. 16, 210, 242.

3 John Carpenter: Washington Babylon; Phoenix Arizona, Ron_San Corp., 1965, p. 135.
4 Michael Leigh: The Velvet Underground Revisited; New York: Macfadden-Bartell, 1968, pp. 53 s.; 64.

5 Lars Ullerstam: The Erotic Minorities, p. 118.

6 Sade: The 120 days of Sodom; p. 603 s.

7 Ibid., p. 462 ss.

8 Kenneth Burke: Permanence and Change, An Anatomy of Purpose; New York: New Republic, 1935, p. 166.

9 Nathaniel Thornton: Problemems in Abnormal Behaviour; Philadelphia: Blakiston, 1946, p. 109.

10 R. O. G. Urch: The Rabbit King of Russia; London, The Right Book Club, 1939, p. 82 s. Vedi p. 83.

 

19. L’ARCHITETTURA DELLA VITA

Una volta che si sia riconosciuto che tutta la creazione di Dio ha una struttura di legge, si può poi cominciare a comprendere la trama di legge che sta dietro a molte dichiarazioni della Scrittura che non trattano di legge direttamente. Un esempio è il comando di Pietro riguardo alla relazione reciproca di marito e moglie (1° Pi. 3:7). Queste parole presuppongono ad ogni punto la legge biblica concernente il matrimonio; dichiarano inoltre la natura dell’autorità nella casa, parlano anche della vita come di una “grazia” da Dio che uomini e donne ereditano quando vivono in fede e obbedienza a Dio: “essendo coeredi con voi della grazia della vita”. Pietro dà anche prospettiva al significato del matrimonio: in contrasto con l’opinione popolare non c’è condanna di belle intrecciature di capelli, né di ori e gioielleria, né di bella apparenza. Ciò ch’è reso chiaro è che queste cose sono al massimo secondarie e che il miglior ornamento è “l’essere nascosto nel cuore con un’incorrotta purezza di uno spirito dolce e pacifico, che è di grande valore davanti a Dio”. In più, la fedeltà ai comandamenti di Dio di marito e moglie è richiesta “affinché le vostre preghiere non siano
impedite” (1° Pi. 3:7). In breve, il matrimonio, come tutte le altre cose, deve essere una questione centrata su Dio. Essere centrati su Dio non significa che marito e moglie passano il loro tempo in incontri di preghiera o attività di chiesa; significa invece che compiono i loro doveri l’uno nei confronti dell’altro nel modo in cui Dio li specifica nella sua parola.

Ogni area di vita deve essere similmente centrata su Dio, perché ordinare la vita in termini altri da quelli della parola di Dio è negare Dio.

Il grande crimine dell’era moderna è stato il suo riordinare la vita in termini umanistici. Di certo l’umanesimo fu prevalente anche in epoche precedenti, ma mai così radicalmente e così estensivamente allo stesso tempo. La descrizione che Wolf fa di Luigi XIV e della sua costruzione di Versailles mette bene a fuoco la questione:

Non possiamo lasciare Versailles senza reiterare che aveva uno scopo che andava oltre quello di essere la residenza del re e del suo governo. Questo grande palazzo era una pietra angolare del nuovo culto della regalità. Nelle epoche precedenti le grandi costruzioni furono usualmente alla gloria di Dio; perfino Filippo II, quando costruì il suo grande palazzo lo fece come un monastero con una cappella come centro d’interesse. A Versailles è la camera da letto del re ad essere il centro cosa che identifica il re come la potenza più grande in terra, mentre la cappella è di lato. L’imponente grandiosità del castello era evidenza della ricchezza del regno e la sua costruzione, senza mura e fossato, era prova del potere del governo del regno. Versailles era una sfida, una provocazione scagliata verso tutta l’Europa; un’esibizione della ricchezza, potere, e autorità del re francese impressionante quanto le sue armate e le sue navi da guerra. L’Europa lo capì benissimo. Il secolo successivo la costruzione di Versailles, i castelli di Vienna, e a Potsdam, a Dresda, a Monaco, a San Pietroburgo, e gli stessi disegni per la città di Washington, D.C. riflettevano l’influenza della grandiosità di Versailles.[1]

Luigi XIV era un uomo devoto, e la sua convinzione che Dio lo stava giudicando per il suo orgoglio e i suoi peccati oscurò i suoi ultimi anni.[2]  Ciò nonostante, l’essenziale umanismo del suo regime persistette fino in fondo. La camera da letto anziché la cappella, l’amore romantico e sensuale piuttosto che Dio dominò progressivamente le menti e i cuori degli uomini. La vita aveva adesso una nuova architettura, l’architettura dell’umanismo. Molto prima, Boccaccio aveva dichiarato la premessa basilare della nuova struttura: “Non abbiamo niente in questo mondo se non ciò che godiamo”.[3]

Con Hegel e Darwin, l’architettura dell’umanismo assunse una dimensione più consistente. Con l’evoluzione aveva adesso un’apparente fondamento nella scienza. Questo significò una nuova dottrina dell’uomo, della società, e dello stato, una conversione verso il basso di ogni aspetto della vita. Un professore di Princeton, assai più conservatore di molti, ha fissato alcune conclusioni logiche concernenti la politica partendo dalla dottrina dell’evoluzione:

PROPOSIZIONE: L’uomo è il prodotto dell’Evoluzione Sociale.

I corollari di questa proposizione influenzano l’intero gruppo di scienze pertinenti all’antropologia nel senso ampio della parola. Possono essere esibiti in diversi aspetti come segue:

BIOLOGICO

Lo Stato è la cornice universale e permanente dell’esistenza umana.

L’uomo non può uscire dallo stato esattamente come un uccello non può volare fuori dall’aria …
La Comunità Indivisa è la forma primordiale dello Stato e precede la differenziazione dell’uomo dal ceppo animale antecedente … L’Individuo è un’entità distinta nell’unità dello Stato, L’Individuo non è un elemento originale ma uno derivato.

POLITICO

L’uomo non ha creato lo Stato; lo stato ha creato l’uomo. L’uomo nasce un essere politico. La sua natura fu formata dal governo, richiede governo e cerca governo …
Lo Stato è assoluto e incondizionato nella sua relazione con la vita unitaria. Il Governo è condizionato dalla struttura da cui dipende il suo funzionamento e pertanto è soggetto a limiti inerenti. Non esiste una norma di Governo assoluta ma ogni specie di Stato tende a produrne un tipo appropriato alle proprie caratteristiche nel proprio contesto particolare. Profondi cambiamenti di contesto producono profondi cambiamenti di Governo. Specie di Stati che siano incapaci di produrre riaggiustamenti di struttura per affrontare nuovi contesti tendono a scomparire talché da epoca a epoca c’è una successione di specie nello Stato analoga a quella che avviene per le specie biologiche …

La Sovranità è la supremazia dello Stato su tutte le sue parti …

ETICO

I diritti non sono innati ma derivati. Esistono nello Stato ma non senza lo Stato, Pertanto i diritti sono correlati con doveri …
L’obbiettivo dello Stato è il perfezionamento dell’Uomo, ma il raggiungimento di quell’obbiettivo dipende dal perfezionamento dello Stato. La prova del valore di qualsiasi istituzione è primariamente non il vantaggio dell’individuo ma il vantaggio della società. La vita individuale si amplia per partecipazione ad una vita più alta.[4]

La tesi del Ford è corretta; se l’evoluzione è vera, le sue deduzioni sono logiche. I rivoluzionari, quanto gli studenti ribelli, hanno tratto le conclusioni logiche dalla dottrina, proprio come ha fatto il Ford. L’evoluzione richiede logicamente la rivoluzione perpetua a causa di un contesto in continuo cambiamento. Se l’evoluzione è vera, allora la rivoluzione continua è inevitabile. L’architettura della vita è radicalmente alterata; a quel punto l’uomo deve conformarsi ad una forza che emerge dal basso, al potere rinnovante del caos. Se accettiamo la Scrittura, allora l’architettura della vita è strutturata dal durevole acciaio della legge di Dio e deve crescere nei termini di quella parola-legge.

Non sorprende che una filosofia che comincia con l’evoluzione continui proclamando la teologia della morte di Dio, ed ora, infine, una filosofia della morte dell’uomo. Una tal fede è proclamata da Michel Foucault.[5]

Tornando all’affermazione di Pietro, se l’architettura della vita diventa umanistica, se un uomo e una donna agiscono nei termini di considerazioni essenzialmente umanistiche, le loro preghiere sono impedite. Potranno essere devoti come Luigi XIV, e potranno pregare intensamente e con fervore, ma l’essenza della struttura della loro vita è sbilanciata. Non che un interesse per la cose quotidiane sia sbagliato, perché non lo è assolutamente. La questione è di struttura: l’architettura basilare, il disegno o forma della nostra vita è in conformità con la parola-legge di Dio? Se cerchiamo “prima il regno di Dio e la sua giustizia” allora “tutte queste cose ci saranno sopraggiunte” (Mt. 6:33).

Ma se neghiamo Dio e la sua parola-legge, a quel punto è la nostra parola a diventare legge per noi e andiamo alla deriva verso la pazzia e la morte. Non sorprende che Foucault, che ha proclamato la morte dell’uomo, avesse cominciato un’opera precedente con queste parole: “Dobbiamo rinunciare alla comodità delle verità ultime”.[6] A quel punto non c’è nulla che leghi l’uomo all’uomo, né alcunché che leghi l’uomo alla vita. Foucault è logico: senza la struttura della verità di Dio l’uomo non può vivere, e la sola conclusione che rimane all’uomo è il suicidio.

Pietro presentò un quadro della vita: obbedienza a Dio e obbedienza alle debite autorità sotto Dio, significa che la vita fiorisce e abbonda; le nostre preghiere non sono impedite e noi godiamo la vita veramente come grazia di Dio verso di noi. In contrapposizione all’umanismo, questo è un orientamento centrato su Dio. Essere centrati su Dio significa cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt. 6:33). Oggi, purtroppo, l’umanismo mascherato da cristianesimo è fin troppo prevalente. Sopravviene ogniqualvolta un’istituzione o area di vita diventa fine a se stessa. Identificando la chiesa col regno di Dio fin troppi teologi hanno ridotto la dimensione della vita e del regno ad uno dei suoi aspetti. I Protestanti premillennialisti e amillennialisti, con la loro sfiducia di questo mondo e la loro resa del mondo al diavolo, non solo sono implicitamente manichei, ma stanno anche riducendo il regno virtualmente alla chiesa perché la chiesa diventa la sola legittima area d’attività. A quel punto l’architettura della vita cessa d’essere completa: viene ridotta alla misura della chiesa. Né chiesa, né stato, né scuola, né vocazione, né qualsiasi altra sfera di vita può essere identificata col regno, né può vedersi negato il proprio posto nel regno. L’umanismo che si travisa da cristianesimo è comunque umanismo.

Come abbiamo notato, Pietro non condannò ornamenti d’oro o d’argento, le trecce dei capelli o i bei vestiti. Richiese semplicemente che queste cose fossero collocate al posto giusto, non come lo scopo della vita ma come un aspetto di essa, bello, ma minore. Similmente, né l’obbedienza della moglie, né l’autorità del marito sono lo scopo del matrimonio. Queste cose sono mezzi per lo scopo vero e principale: servire Dio e magnificarlo e goderlo per sempre. L’uomo non può provvedere la struttura della vita; la legge di Dio da sola è sufficiente come struttura e architettura della vita.

Note:

1 John B. Wolf: Luois XIV; New York: W. W. Norton, 1968, p. 362.
Ibid., pp. 470, 539, 589 ss. , 612, 617 s.
3 Giovanni Boccaccio: Chambers of Love; New York: Philosophical Library, 1958, p. 28.

4 Henry Jones Ford: The Natural History of the State, An Introduction to Political Science; Princeton: Princeton University Press, 1915; London: Humphrey Milford: Oxford Univrsity Press, pp. 174-177.

5 Roy McMullen: “Michel Foucault” in Horizon, vo. XI, n° 4 (Autunno 1969) pp. 36-39.

6 Michel Foucault: Madness and Civilization. A History of Insanity in the Age of Reason; New York: Mentor [1961], 1967, p. ix.

 

20. FEDELTÀ

La fedeltà è una virtù evidenziata attraverso tutta la legge e in tutte le scritture come una necessità religiosa e morale. Sono sottolineati enfaticamente i requisiti di fedeltà a Dio, alla legge, al matrimonio e a qualsiasi obbligo pio. Mosè intimò Israele d’osservare la parola-legge di Dio “senza deviare né a destra né a sinistra”, e se avessero effettivamente camminato in obbedienza avrebbero prosperato e prolungato i loro giorni (De. 5:32, 33). I credenti sono chiamati “i fedeli” nella terminologia ecclesiale e il termine “fedele” nelle Scritture è la lode più eccelsa (Pr. 20:6; Ap. 17:14; Mt. 25:21; ecc.). Il cammino del fedele è nei “sentieri di giustizia” (Sa. 23:3); sentieri significa solchi, la traccia delle ruote dei carri e il riferimento è a stabili abitudini di santità. Dio stabilisce i suoi fedeli nei solchi profondi o abitudini di giustizia.

Salute mentale, carattere e stabilità poggiano sulla fedeltà, sull’affidabilità. L’irresponsabilità è la conseguenza della slealtà e, in ultima analisi, della cosiddetta pazzia, che è il rifiuto della responsabilità; è l’indisponibilità d’essere fedeli, di stabilire abitudini di giustizia. Non sorprende che la moderna filosofia, che ha proclamato a viva voce la libertà dell’uomo dalla legge e da Dio sia stata marcata frequentemente dal fatto di avere tra i suoi ranghi dei pazzi o comunque persone volubili.

La mentalità non-cristiana è comunemente caratterizzata da questa guerra alla fedeltà. Uno studio sulla scultura indiana parla de “Il culto del desiderio” come la “Via verso la libertà” dai pesi della vita.[1]  In questo culto: “L’altro mondo e questo furono fatti uno”, e “Vita e Liberazione cessarono d’essere entità separate”.[2]  La salvezza significava la totale accettazione di tutta la vita come santa: “la santità del desiderio avrebbe … santificato ogni veicolo: e se la mente è pura, tutto il resto, che sia uomo, donna o animale, non sono che mezzi”.[3]  Ciò significa che l’individuo dovrebbe “Indulgere nel desiderio indipendentemente dal partner, divino, umano o animale”.[4]

Accettare ogni azione come santa è negare enfaticamente il principio della discriminazione nei termini di bene e male. La fedeltà è l’aderenza ad una legge assoluta e a persone e cause nei termini di quella legge assoluta e del Dio sovrano di quella legge. Contrapposto alla fedeltà, la via o cammino è fatto diventare una sistematica infedeltà quali vita, gioia e piacere dell’uomo. Così, in Africa, i Nandi hanno un detto: “Una vagina nuova è confortevole”.[5]

Poiché non c’è principio di discriminazione tra bene e male, tra uomo e animali, le persone non contano. Il resoconto di Danielsson dell’amore polinesiano sostiene che, a causa della mancanza di standard e di discriminazioni: “Non c’era ragione per preferire alcuna donna o uomo in particolare”.[6]  La sua descrizione è naturalmente quella di una cultura degenerata, com’è quella del Suggs, la cui descrizione evidenzia una sessualità depersonalizzata e degenere.[7]

Il bisogno di infedeltà come principio fu focalizzato in un gruppo organizzato: il Romanticismo. La descrizione di Scott della “fallacia romantica” è eccellente: “identifica la bellezza con la stranezza”.[8] La logica di questa posizione è che più è strano l’oggetto, la persona o l’atto, meglio è per il romantico. Nelle parole di Newton: “Il romantico … non può mai gioire nella normalità. Ciò che lo interessa deve essere l’eccezionale”.[9] Questo significa interesse nel “mistero, l’anormalità e il conflitto”,[10] un’avversione per “tutto ciò che si attiene alla legge, qualsiasi cosa si conformi ad un modello”. Il romantico “rifiuta di riconoscere l’esistenza della legge com’essa è applicata all’espressione di sé … ‘Tu sarai eccezionale e seguirai ciò ch’è eccezionale’ è il suo solo comandamento …. L’anormalità è il negativo della legge. La sua stessa esistenza dipende dal suo rifiuto di conformarsi ad un comportamento ligio alla legge”.[11]  Ciò significa che la libertà è identificata col male, l’espressione sessuale è identificata con infedeltà e perversione, la capacità artistica con violazioni di standard e perversità, e il carattere con l’instabilità. L’aumento di perversione e perversità in ogni ambito di vita è proporzionato al declino della fede e della fedeltà.

Non c’è stata solo una maggiore prevalenza di perversità e perversione, ma anche una crescita di orgoglio e vanto in esse, come se queste azioni rappresentassero l’onda del futuro.[12]  Salute, vitalità e carattere sono associate da questo popolo “nuovo” con la licenza sessuale, e la fedeltà col Puritanesimo e il crimine.[13]  In realtà, il carattere di quelli che si danno a questa cosiddetta libertà sessuale è uno di tormentati conflitti e di capricci puerili.[14]

Per tornare alla fedeltà stessa, le Scritture dichiarano ripetutamente che è un attributo di Dio (Sa. 36:5; 89:2; Is. 11:5; ecc.). Dio è fedele perché è l’assoluto sovrano, totalmente auto-consapevole e senza angoli oscuri nel suo Essere, senza potenzialità inconsce e non ancora sviluppate. L’uomo fu creato ad immagine di Dio e in quanto redento in Cristo è ristabilito a quell’immagine. Mano a mano che cresce nei termini dell’immagine di Dio, l’uomo cresce in fedeltà e nella sua auto-consapevole cognizione della propria vocazione sotto Dio e delle proprie responsabilità correlate. La fedeltà è stabilità, forza e carattere. È strettamente correlata al dominio. Il termine “I Fedeli” usato come nome preferito per le persone battezzate nella prima chiesa, significava la loro affidabilità e forza.

La fedeltà nel matrimonio nel suo senso più reale significa perciò fedeltà sessuale e molto altro. Significa il fedele compimento dei doveri da parte di marito e moglie. Significa affidabilità, credibilità di carattere, forza nell’avversità, e lealtà. Significa iniziativa e abilità, come si evidenzia nelle parole di nostro Signore: “Ben fatto servo mio fedele” (Mt. 25:21). La fedeltà è un attributo comunicabile di Dio. È un marchio di forza e di carattere in un uomo, mentre l’infedeltà in qualsiasi ambito è marchio di debolezza e di peccato.

Note:

 

1 Kanwar Lal: The Cult of Desire; New Hyde Park, N.Y.: University Books, 1967, p. 48.

Ibid., p. 78.
Ibid., p. 90.
Ibid., p. 90.

5 Boris de Rachewiltz: Black Eros, Sexual Customs of Africa from Prehistory to the Present Day; New York: Lyle Stuart, 1964, p. 267.

6 Bengt Danielsson: Love in the South Seas; New York: Dell, 1957, p. 79s.
7 Robert C. Suggs: The Hiden Worlds of Polynesia; New York: Mentor, 1965, pp. 107-119.

8 Geoffrey Scott: The Architecture of Humanism, A Study in the History of Taste; Garden City, N.Y. Doubleday, 1954, p. 41.

9 Eric Newton: The Romantic Rebellion; New York: St. Martin’s Press, 1963, p. 59.

10 Ibid., p. 57.
11 Ibid., p. 64.
12 vedi Vincent Sheean: Dorothy and Red; Boston: Houghton Mifflin, 1963.

13 Arsene Eglis: Sex Songs of the Ancient Letts; New York: University Books, 1969, pp. 1-5. Eglis attribuisce una varietà di omicidi, incluso quello del Se, Robert F. Kennedy, al presunto retroterra cristiano degli assassini!

14 Vedi Mark Schorer: Sinclair Lewis, An American Life; New York: McGraw-Hill, 1961; e A. E. Hotchner: Papa Hemingway, Apersonal Memoir; New York: random House, 1966.