Letteratura/Legge/16

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Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

16. APPENDICE
1. IL NUOVO TESTAMENTO COME LEGGE

Secondo H. L. Hoeh, la chiesa per qualche tempo celebrò, non la moderna Pasqua, ma la Pasqua ebraica come la sua pasqua annuale (o comunione), e la festività della resurrezione cadeva nei termini della pasqua ebraica, indipendentemente dal giorno in cui cadesse [1].  Ci sono molte prove che la prima chiesa continuò a celebrare la pasqua ebraica e a trovare nel rito del Vecchio Testamento i requisiti del Nuovo. Bingham fornisce prove che la prima chiesa osservava effettivamente la “festività pasquale” nello stesso giorno in cui lo facevano gli ebrei [2].  Beda il Venerabile citò rimproveri papali agli scozzesi nel settimo secolo perché continuavano a festeggiare la pasqua ebraica quale sola valida occasione per “osservare la pasqua” [3].  L’ostilità tra cristiani e giudei contribuì a separare le due festività e l’apostasia di alcuni cristiani al giudaismo [4] favorì la rottura con la legge. Un’anonima “Epistola a Diogneto” offre un eccellente esempio di questa ostilità e della serietà del problema per alcuni ecclesiastici del giorno:

Capitolo IV. 1. Non penso che tu abbia bisogno di sapere da me intorno ai loro scrupoli per certi cibi, alla superstizione per il sabato, al vanto per la circoncisione, e alla osservanza del digiuno e del novilunio: tutte cose ridicole, non meritevoli di discorso alcuno. 2. Non è ingiusto accettare alcuna delle cose create da Dio ad uso degli uomini, come bellamente create e ricusarne altre come inutili e superflue? 3. Non è empietà mentire intorno a Dio come di chi impedisce di fare il bene di sabato? 4. Non è degno di scherno vantarsi della mutilazione del corpo, come si fosse particolarmente amati da Dio? 5. Chi non crederebbe prova di follia e non di devozione inseguire le stelle e la luna per calcolare i mesi e gli anni, per distinguere le disposizioni divine e dividere i cambiamenti delle stagioni secondo i desideri, alcuni per le feste, altri per il dolore? 6. Penso che ora tu abbia abbastanza capito perché i cristiani a ragione si astengono dalla vanità, dall’impostura,
dal formalismo e dalla vanteria dei giudei. Non credere di poter imparare dall’uomo il mistero della loro particolare religione [5].

C’era molto altro di questo tono — tentativi di scoraggiare l’obbedienza cristiana alle pratiche del Vecchio Testamento mettendole in ridicolo, e scoraggiando la partecipazione dei cristiani tanto alla chiesa che alla sinagoga, un’usanza che Bingham notò. È assai ovvio che i cristiani non stavano osservando le leggi riguardanti i cibi ma che osservavano anche le leggi riguardanti il sabato e la circoncisione. È chiaro che, mentre la chiesa aveva qualche problema con l’antinomismo, aveva anche molti membri desiderosi di osservare l’intera legge di Dio senza alcun scostamento dalle pratiche ebraiche.

La ragione è facile da comprendere. La legge era senz’altro sottolineata dalla letteratura apostolica [6].  Così, in Barnabas si legge:

Allenta ogni legame d’ingiustizia, slega i nodi di accordi ottenuti con la forza. Libera gli angariati col perdono e straccia ogni contratto ingiusto. Distribuisci il tuo cibo agli affamati e, se vedi qualcuno nudo, vestilo. Porta il senzatetto a casa tua e, se vedi qualcuno di modesta estrazione, non disprezzarlo, né disprezza alcuno della tua casa. … Da’ il tuo cibo agli affamati senza ipocrisia, ed abbi compassione per la persona di bassa estrazione [7].

Inoltre, per citare le parole di Kraft, Barnabas evidenziò il fatto che “I cristiani hanno ricevuto il patto (non un nuovo patto) per mezzo di Gesù” [8].  Il patto rimase lo stesso, ma un “nuovo popolo” sostituì quello vecchio [9].  Discutendo la tipologia della circoncisione Barnabas non rigettò la circoncisione in quanto tale; semplicemente argomentò che “la circoncisione è una questione di comprensione e obbedienza” (Kraft) [10]. Discutendo le restrizioni alimentari del Vecchio Testamento Barnabas è similmente dedito alla tipologia. Effettivamente condanna Israele perché crede che il significato essenziale delle leggi alimentari sia “il cibo in sé” piuttosto che il significato spirituale, ma non può chiamare bene ciò che tipologicamente significa male, o viceversa [11].  Della questione la Didache dice: “Ora, riguardo ai cibi, osservate le tradizioni meglio che potete” [12]. Questo non rappresenta un abbandono; segue il requisito Paolino che le leggi alimentari non siano usate per creare barriere con i non credenti che si stanno evangelizzando ma che siano piuttosto osservate come un pio consiglio.

La tipologia, inoltre, evidenzia l’importanza della legge originale e pertanto, malgrado la disapprovazione, la legge originale non scomparve mai del tutto. La circoncisione fu chiaramente sostituita dal battesimo, ma fu praticata ampiamente per “ragioni mediche” che hanno un’autorità semi- biblica. I tentativi di far rivivere il sabato ebraico sono stati luogo comune lungo i secoli quanto gli sforzi per trasferire le severità ebraiche al sabato cristiano.

Due impulsi sono stati un fattore continuativo. Primo, l’ostilità verso il giudaismo ha portato all’ostilità verso la legge e ad una reiezione di alcune o di tutte le leggi, ovvero all’antinomismo in gradi diversi; secondo, un rispetto per le Scritture in quanto parola di Dio ha portato a una riluttanza a considerare alcun aspetto della legge come superato dalla venuta di Cristo o alterato dalla sua re-interpretazione. Come risultato, a volte è capitata un’enfasi veterotestamentaria e una ritenzione di pratiche nella loro forma pre-neotestamentaria.

Negare che il sabato ebraico ci governi ancora non significa abbandonare il sabato. Negare la circoncisione come rito pattizio non deve necessariamente oscurare il suo valore medico. Il riconoscimento della centralità e dell’autorità della legge richiede che la legge sia intesa nei termini dell’interezza delle Scritture. Nei primi secoli i vangeli stessi erano considerati libri di legge perché erano le parole di un Re. Come ha evidenziato Derrett, il Milindapanha, un’opera buddista del 150 d. C. circa, citò i Vangeli e le parole di Gesù sulla tassazione (Mt. 17:24-27) come precedente giuridico nel lontano oriente [13]. La parola del Re è sempre una parola-legge, e in quanto tale è inevitabilmente parte del corpo di legge. Con le attestazioni miracolose date agli apostoli, quella parola e potere regale fu dichiarata essere anche in loro. In questo modo, l’intero Nuovo Testamento parla come un tutt’uno con quella legge data nel Vecchio Testamento.

È un aspetto della regalità che è stato negletto in anni recenti perché la regalità negli stati moderni è più decorativa che operativa. L’antico potere del re, invece, era inseparabile dal suo potere di emanare leggi. La sua parola era legge letteralmente. Per Gesù, asserire d’essere il Messia-Re su tutto il mondo significò che egli stesso considerava ogni propria parola come legge ineludibile. Per i convertiti nel mondo antico la parola di Cristo era legge, e disprezzare la legge del re era un reato serio. Perfino il ladrone sulla croce ebbe fiducia nella parola-legge di quel Re (Lu. 23:39-43), e la sua fiducia fu registrata da Cristo e dall’uomo. Il fatto che questo Re avesse posto la sua autorità alla base della legge di Mosè (Mt. 5:17-19; Lu. 16:17) rese difficile per la chiesa accantonare quella legge. Come risultato, in molti settori della chiesa rimase per secoli la più rigida osservanza.

È stato fatto riferimento alla pratica di molti cristiani di attendere ambedue la sinagoga e la chiesa e di osservare ambedue il sabato giudaico e quello cristiano. Il Sinodo di Laodicea (348-381 d.C.) nel canone XXIX, si fece riferimento a questa pratica:

I cristiani non devono giudaizzare riposando nel Sabbath, ma devono lavorare in quel giorno, onorando piuttosto il Giorno del Signore; e , se lo possono fare, riposare in quel giorno come cristiani. Ma se chiunque sia trovato a giudaizzare, sia anatema da Cristo [14].

Questo canone non solo rivela la continuata pratica ma riflette anche il cambiamento dell’osservanza del sabato notata da san Paolo. “Se lo possono fare”, i cristiani devono riposare, ma la loro vita sotto uno stato e un’economia alieni rese a volte o usualmente difficile la sua osservanza. La forza della legge, comunque, era sufficientemente forte tra i cristiani talché molti errarono sul versante dell’obbedienza osservando tanto il sabato giudaico che quello cristiano.

Pure d’interesse è la risposta di Timoteo di Alessandria, al Primo Concilio di Costantinopoli, 381 d. C., alla Domanda XIII di una serie di domande propostegli:

Quando devono marito e moglie astenersi dall’atto coniugale? Risposta: Nel sabato e nel Giorno del Signore; poiché in quei giorni è offerto il sacrificio spirituale [15].

La fonte di questo precetto è Esodo 19:5, un comandamento che quando fu dato era designato per prevenire qualsiasi confusione della religione biblica con le pratiche dei culti di fertilità. Ancora una volta abbiamo un’illustrazione della convinzione, per quanto a volte male applicata, che la legge fosse ancora vincolante per i credenti.

Note:

1 Herman L. Hoech, “Four Thousend Years of Easter”, in Tomorrow’s World, vol. III, n° 3 (marzo 1971), pp. 42-46.

2 Joseph Bingham, The Antiquities of the Christian Church, vol. II, libro XX, cap. V, sez. 1-4.
3 The Venerable Bede, The Ecclesiastical History of the English Nation; London: J. M. Dent, 1913, 1939, II, 19: p. 100.

4 Bingham, op. cit., II, libro XVI, cap. VI, sez. 1-3.

5 “The Epistle to Diognetus” in Ante-Nicene Christian Library, vol. I, The Apostolic Fathers; Edimburgh: T. & T. Clarck, 1867, p. 306 s. La citazione sopra è da http://ora-et-labora.net/ A%20DIOGNETO.pdf

6 “The First Epistle of Clement” in ibid., Cap. I, II, XXI, p. 8 s, 22 s.
7 “Barnabas” III:3, 5; in Robert A Kraft, The Apostolic fathers, A New Translation and Commentary, vol. 3, Barnabas and the Didache; New York: Thomas Nelson & Sons, 1965, p. 86 s.

Ibid., p. 90 s.
Ibid., V, 7, p. 94.
10 Ibid., IX:I-X: 12, pp. 106-109.

11 Ibid., 10:1-12; pp. 109-114.

12 Ibid., “Didache”, 6:3; p. 163.

13 John Duncan Martin Derrett, Law in the New Testament; London: Darton, longman & Todd, 1970, p. 255.

14 H. R. Percival, The Seven Ecumenical Councils, p. 148. 15 Ibid., p. 613.

15 Ibid.. p. 613.

 

2. LE IMPLICAZIONI DI I SAMUELE 8

I Samuele 8 è diventato un capitolo popolare da quando la società occidentale ha rigettato la monarchia come forma di governo ed è stato usato come prova della prospettiva anti-monarchica della bibbia. I dissenzienti da questa opinione vagliano le Scritture in cerca di un punto di vista a favore, o vedono prove di ambedue le opinioni.

Ma è proprio la monarchia in punto importante di questo capitolo? Non è piuttosto il rigetto del governo di Dio per quello dell’uomo? Il Signore disse a Samuele: “essi non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni su di loro” (I Sa. 8:7). Pertanto, è molto chiaro che Dio vide la decisione d’Israele primariamente ed essenzialmente  come un rigetto del suo governo. Inoltre, il rigetto era essenzialmente religioso ed era un rigetto qualsiasi fosse la forma di governo che Israele avesse potuto scegliere. “Si comportano con te, come hanno sempre fatto dal giorno in cui li ho fatti uscire dall’Egitto fino ad oggi: mi hanno abbandonato per servire altri dèi” (I Sa. 8:8). È chiaro che, sia che Israele avesse scelto una monarchia, una repubblica, una democrazia, una dittatura, o qualsiasi altra forma di governo civile, si trattava di un abbandono di Dio. Nel scegliere un re, stavano apertamente facendo ciò che avevano ripetutamente fatto nel periodo dei Giudici. Un re pio avrebbe potuto ripristinare il governo di Dio, come fecero Davide e altri, ma lo scopo essenziale della richiesta di un re da parte della nazione era d’essere governati come le altre nazioni (I Sa. 8:5, 20). Le rimostranze contro i figli di Samuele non erano una richiesta di riforme (vv. 1-5); la corruzione dei figli di Samuele fu un pretesto per richiedere un governo centralizzato e un governante-guerriero professionista e i suoi uomini armati (v. 20). Si trattava della resa dell’ordine giuridico di Dio in favore di un ordine giuridico umanistico.

Al comando di Dio Samuele fece una rassegna delle implicazioni del nuovo ordine (vv. 11-17). Il punto centrale di questa rassegna è primo la nuova forma di tassazione, che sarebbe consistita nella coscrizione di figli e figlie, campi, prodotti, bestiame, e servi. Secondo, la decima è citata e vengono informati che la tassazione del nuovo ordine sarà una spietata decima di capitale quanto di reddito.

Qui abbiamo il nocciolo della differenza tra i due ordini. Il governo di Dio esigeva solo il testatico per il governo civile (Es. 30:11-16), e forse le multe; il resto delle funzioni di governo erano coperte dalla decima, assicurando con ciò una società decentralizzata quanto una governata sia da principi pii sia dalla tassa di Dio.

Se non vediamo questo capitolo come il rifiuto formale dell’ordine giuridico di Dio per un altro ordine giuridico, manchiamo il significato di questo evento centrale e rivoluzionario. La gente rigettò chiaramente il governo di Dio (vv.19-20) di fronte al chiaro avvertimento di Dio che egli avrebbe rigettato loro (v. 18). Mentre tentarono di mantenere un formale vassallaggio a Dio, in realtà lo avevano rigettato. Era possibile per loro avere un re e mantenere la legge di Dio, come acclarò Samuele (I Sa. 12:14-15); la chiave era non ribellarsi “ai comandamenti del Signore” ovvero ritenere la legge di Dio quale legge dell’ordine sociale.

Geremia dichiarò che la cattività sopraggiunse perché la nazione aveva abbandonato la legge di Dio, e settant’anni di cattività furono decretati per dare alla terra i sabati che le erano stati negati (Gr. 25:9, 10; 29:10). Ball scrisse della simile dichiarazione di II Cronache 36:21:

In ogni caso non abbiamo il diritto di forzare le parole del sacro scrittore, nel senso di assumere che intenda dire che quando Gerusalemme fu presa dai Caldei erano stati negletti esattamente settant’anni sabbatici — cioè che la legge a questo riguardo non era stata rispettata per 490 anni (70X7), o a partire dall’istituzione della monarchia in Israele (490+ 588= 1.078) [1].

Contrariamente a Ball, non abbiamo diritto di negare che questo sia esattamente ciò che Geremia e lo scrittore di Cronache ci stiano dicendo, dato che lo dicono espressamente. In questo modo, siamo informati che con la monarchia furono abbandonati i sabati della terra L’implicazione di I Samuele 8 è che la decima pure stava per essere abbandonata perché erano stati avvertiti che la tassa statale avrebbe costituito un’altra decima, e una ben più ingente.

È chiaro dunque che, mentre Israele intendeva essere “morale”, ovvero deplorare adulterio, omicidio, e furto, intendeva anche abbandonare la legge di Dio quale regola assoluta e di governo per l’uomo e la società. Lo scrittore di Cronache ci racconta il prezzo che pagarono per questo.

Note:

1 C. J. Ball. “II Crinicles” in Ellicott, III, 453.

 

4. L’ASPETTO ECONOMICO DELL’OSSERVANZA DEL SABATO

DI GARY NORTH

Si lavorerà sei giorni, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno santo, un sabato di riposo, consacrato all’Eterno. Chiunque fa qualche lavoro in esso sarà messo a morte. Non accenderete il fuoco in alcuna delle vostre abitazioni il giorno del sabato (Es. 35:2, 3).

Uno degli statuti cerimoniali che i cristiani contemporanei affermano ancora di rispettare è il sabato. Usualmente, la difesa di un riposo richiesto nel sabato viene fatta nei termini dell’argomento dell’“ordine creazionale”, e non semplicemente nei termini del quarto comandamento (Es. 20:8-11). Si argomenta che Dio riposò il settimo giorno della creazione, e questo serve come esempio da seguirsi per tutti i popoli di tutte le culture. Specialmente al popolo pattizio di Dio è richiesta l’astensione da tutti gli impieghi secolari la domenica. I lavori no-profit sarebbero legittimi di domenica. È concesso di lavorare solo a quelle persone che lavorano in occupazioni che forniscono aiuto a chi sia in qualche forma di difficoltà, o che lavorano per far osservare la legge. Sarebbero inclusi: medici, poliziotti, pompieri, soldati in servizio, e operatori telefonici per emergenze. (Perché queste persone dovrebbero accettare pagamenti per questi servizi è spiegato raramente. Gesù Cristo difese il diritto di un uomo di tirar fuori da un fosso un animale da soma, ma non disse che gli uomini debbano operare compagnie di “salvataggio animali” per profitto nel sabato. A volte i predicatori puritani videro questa cosa con maggior chiarezza. Thomas Gouge, un contemporaneo di Owen e Baxter nell’Inghilterra del diciassettesimo secolo, lodò il luminoso esempio di diversi medici cristiani che rifiutarono la parcella per il lavoro svolto di domenica) [1].

Malgrado facciano appello ufficialmente all’argomento dell’“ordine creazionale” i sabbatari moderni fanno invariabilmente appello anche a specifici passi del Vecchio Testamento per appoggiare la loro interpretazione dei requisiti dell’osservanza del sabato. Gli stessi versi che sono citati dalla Confessione di Fede di Westminster e dal Catechismo Maggiore nelle annotazioni, sono usati oggi, più di tre secoli più tardi [2]. Isaia 58:13 è un riferimento comune, e lo è pure Geremia 17:21-27. I moderni sabbatari non sembrano mai essere turbati dal fatto che queste applicazioni “ebraiche” al sabato siano arrivate comparabilmente tardi nella Riforma Inglese. Il sabbatarismo era stato una parte minore del Cattolicesimo medievale, e quel rigore che era stato asserito teoricamente dai commentatori cattolici fu contrastato con veemenza dai Lollardi e da Lutero. Questi non erano disposti a tollerare nulla che magnificasse l’autorità della Chiesa Romana [3]. Calvino seguì la tradizione depositata da Ireneo e Agostino, interpretando il sabato come un’allegoria del riposo dalla schiavitù al peccato che il credente ha in Cristo, un riposo che sarebbe stato reso perfetto nell’eternità [4]. Questo, naturalmente, era semplicemente l’insegnamento di Ebrei 4, e Calvino non voleva staccarsi da quella prospettiva. Egli andava a giocare a bocce la domenica dopo chiesa, un fatto che i sabbatari successivi hanno scelto d’ignorare. La Chiesa d’Inghilterra assunse una posizione mediana tra quelle Luterana e Cattolica; denunciò le celebrazioni fatte di superstizioni ma riservò la domenica come giorno di riposo, benché attività ricreative d’ogni sorta furono considerate legittime, per l’orrore di Puritani successivi. Fu solo negli anni 90 del 1500 che gli anglicani, in reazione al rigoroso sabbatarismo dei puritani, furono trasportati indietro nella direzione della chiesa romana, col suo riposo festivo nei giorni di certi santi [5]. Il professor Knappen, la maggiore autorità nel campo del puritanesimo in Inghilterra durante il sedicesimo secolo, è quindi giunto a questa conclusione:

Il moderno sabbatarismo inglese non è pertanto di origine riformata o calvinista. Fintantoché ebbe un qualche sostegno teoretico, questo si deve trovare nella dottrina medievale che sopravvisse nell’insegnamento e nella legislazione anglicana che il giorno dovesse essere interamente devoluto a fini religiosi. Questa rimase la dottrina ufficiale sotto Elisabetta, come esibito in omelie, catechismo e ingiunzione. Ma la condotta della regina non si conformò a questi criteri … Permettendo ai suoi uomini di chiesa di perpetuare un’alta dottrina del soggetto e poi contravvenendola, Elisabetta spalancò le porte ad una reazione che alla fine assunse la forma di una dottrina ancor più alta [6].

La reazione, secondo Knappen, ebbe inizio quando l’arena in cui si svolgevano i bearbaiting collassò uccidendo otto persone. Il Rev. John Field prese la palla al balzo e attribuì l’evento alla violazione del sabato, facendo un’equazione tra il sabato cristiano e quello ebraico, un’idea completamente nuova [7]. Altri poi lo seguirono. L’ostilità verso qualsiasi forma di ricreazione durante il sabato è manifesta in molte opere puritane dell’ultima decade del sedicesimo secolo, segnatamente Doctrine of the Sabbath di Nicholas Bownde (1595) e Treatise of the Sabbath, di Richard Greenham (1592) [8]. La posizione puritana comandava assolutamente il lavoro negli ultimi sei giorni della settimana, e assolutamente proibiva qualsiasi sorta di divertimento nel primo giorno. Quanto fossero ostili a qualsiasi cosa rappresentasse una settimana lavorativa di cinque giorni è riflesso in uno statuto che compare nel verbale della Corte Generale del Massachusetts del 11 maggio, 1659, una delle poche giurisdizioni politiche che i puritani riuscirono a controllare:

Per prevenire disordini in diversi luoghi di questa giurisdizione a causa del fatto che alcuni osservano ancora festività che furono superstiziosamente osservate in altre nazioni, a grande disonore di Dio e a offesa di altri, è perciò ordinato da questa Corte per la sua autorità in materia, che chiunque sia trovato ad osservare qualchessia di questi giorni come il Natale o simili, sia trascurando di lavorare che festeggiando, o in alcun altro modo, per i motivi sopra citati, ogni tale persona colpevole pagherà per ognuno di tali reati cinque scellini, come multa alla contea [9].

Il Catechismo Maggiore, stilato tra il 1643 e il 1647 dall’Assemblea di Westminster è sufficientemente schietto. Proibisce “Ogni forma di profanazione di questo giorno oziando o facendo in esso ciò che è in se stesso peccaminoso, facendo opere inutili o pensando o parlando delle nostre occupazioni mondane o ricreative” (R. 119). La difesa di tale rigore domenicale è fatta con numerose citazioni dal Vecchio Testamento. Nel suo capitolo su “The Uses of Sabbatarianism”, lo storico inglese Christopher Hill commenta: “Alcuni degli estremi a cui fece ricorso il successivo sabbatarismo scaturirono dalla fede nell’ispirazione letterale della bibbia e l’equazione della domenica col sabato giudaico. Ma queste convinzioni estreme venero più tardi, dopo che la gerarchia aveva rotto con la virtuale unanimità dei tempi elisabettiani precedenti sul soggetto dell’osservanza della domenica …” [10]. L’arrivo del sabbatarismo rigoroso non può essere separato dai conflitti politici ed ecclesiastici in Inghilterra dal 1590 al 1660. Il moderno sabbatario che sia ignorante delle origini della sua peculiare eredità ha mancato di vedere l’estensione della propria deviazione dalla tradizione Agostiniana-Calvinista [11].

Ciò che generalmente i moderni sabbatari argomentano è che gli aspetti cosiddetti “puramente cerimoniali” del sabato erano temporanei. Ciò include lo stesso fondamento per il culto nel sabato, ovvero la punizione per tutte le trasgressioni: la pena capitale. Il fatto che l’attuazione fosse assolutamente e invariabilmente collegata con l’osservanza del sabato non disturba neanche un po’ i rigoristi contemporanei. Più rigoroso di quanto il Nuovo Testamento permetterebbe, il moderno sabbatario è tuttavia troppo umanistico per permettere che qualcosa come la fissa legge veterotestamentaria interferisca con la sua visione lassista dell’attuazione del sabato. Non viene offerta nessuna argomentazione esegetica per spiegare perché l’unità veterotestamentaria dell’osservanza e dell’attuazione del sabato possa essere spezzata; è semplicemente dato per scontato. I sabbatari meramente assumono che Dio sia in qualche modo onorato dai loro disagi domenicali mentre una violazione dei suoi provvedimenti specifici per l’attuazione del sabato gli portano simultaneamente molta gloria.

Egualmente “cerimoniali” sono i provvedimenti concernenti il debito degli anni sabbatici, nei quali tutti gli schiavi dovevano essere liberati e tutti i debiti cancellati nel settimo anno. La terra doveva essere messa a maggese. Così troviamo auto-proclamati rigorosi sabbatari che sono in debito per sette volte sette anni o che sfruttano la loro terra spietatamente; tuttavia si gloriano del loro rigore. La loro rivendicazione si posa sul fatto che non lavorano per denaro la domenica, e non guardano la sfida tra i Green Bay Packers contro i Cleveland Browns in televisione. Di domenica alcuni di loro neppure ascoltano alcun programma radio o leggono il quotidiano. E i veramente santi tra di loro non leggono nemmeno l’edizione del lunedì mattina, sapendo che è stata stampata di domenica.

Naturalmente, i tifosi sabbatari del lunedì mattina che quantomeno godono leggere dalla partita Packers-Brown, malgrado sia immorale guardarla o giocarla, sono risentiti per il rigore dei loro colleghi sabbatari che rifiutano di leggerne il resoconto del lunedì pomeriggio (come ho già detto l’edizione del mattino, non va letta). Pensano che gli altri siano dei “legalisti” mentre gli estremisti che seguono le implicazioni della propria posizione ovviamente vedono i loro fratelli più deboli come “latenti antinomisti”. Gli uomini sono così: chi si risente perché gli sono stati pestati i piedi chiama il fratello “legalista”; chi gode nel pestarli si risente per le ovvie incoerenze di tutti gli altri. È troppo spesso una questione del bue di chi venga incornato (o, per restare con l’analogia, il bue di chi sia finito in quale fosso).

Quali sono le implicazioni dell’osservanza del sabato? Senza dubbio aveva maggiore significato per l’antica cultura ebraica di quanto chiunque di noi possa comprendere. Nel mondo moderno troveremmo la piena attuazione del riposo sabbatico, come praticato nell’antico Israele, enormemente dirompente dei modelli di vita a noi familiari. Pertanto, ho scelto di limitare la mia indagine alle sole implicazioni più ovvie per la singola sfera dell’economia. Questa ristretta concentrazione non copre in alcun modo l’ampio impatto dei provvedimenti del Vecchio Testamento per il sabato per altre sfere di società umana: famiglia, governo, esercito militare, e così via. In ogni caso, le implicazioni dell’osservanza del sabato per il ristretto reame economico dovrebbe essere sufficientemente sconcertante per quelli che amano pensare di se stessi come a dei rigorosi sabbatari. Si spera che saranno costretti a riconsiderare le loro azioni o la loro definizione del sabato come si applica alla nostra epoca.

Il passo che introduce questo saggio, Esodo 35:2, 3, presenta i provvedimenti generali per la messa in atto del sabato ebraico. Accendere il fuoco durante il sabato era un reato capitale. I commentatori ortodossi hanno assunto due punti di vista basilari di questo passo. Primo, che “accendere” deve aver fatto riferimento al far partire un fuoco, letteralmente e figurativamente da zero. Era un compito difficile accendere un fuoco una volta che s’era spento, e ciò costituiva un lavoro in più che avrebbe potuto essere evitato semplicemente accudendo il fuoco domestico che avrebbe dovuto essere acceso il giorno prima. Il secondo punto di vista sostiene che “accendere” fa riferimento ad un fuoco utilizzato in un’attività, come nel caso di un fabbro. Quest’ultimo punto di vista è singolarmente poco convincente. [Una terza possibilità: che non ci fossero fuochi accesi in Israele, nemmeno nel freddo inverno, è poco probabile alla luce dell’interpretazione liberale di Gesù dell’osservanza del sabato (Mt. 12:1 s.)]. Pertanto, sembra ragionevole assumere che fosse illegale accendere un fuoco di sabato, ma legittimo mantenere attivo il fuoco di ieri.

Il caso presentato in Numeri 15 dovrebbe essere interpretato in quest’ottica. Una proibizione contro l’accensione di un fuoco doveva applicarsi egualmente alla raccolta di materiali che potevano essere usati per accendere tale fuoco. Dio rese chiaro agli ebrei che tale estensione del principio generale era obbligatoria.

Mentre i figli d’Israele erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato. Quelli che l’avevano trovato a raccogliere legna lo portarono a Mosè, ad Aaronne e a tutta l’assemblea. E lo misero in prigione perché non era ancora stato definito che cosa fargli. Poi l’Eterno disse a Mosè: «Quell’uomo deve essere messo a morte; tutta l’assemblea lo lapiderà fuori del campo». Così tutta l’assemblea lo portò fuori dell’accampamento e lo lapidò; e quello mori, come l’Eterno aveva ordinato a Mosè (Nu. 15:32-36).

Questo passo è cruciale per la comprensione di ciò che gli statuti del sabato richiedevano al popolo pattizio di Dio. La violazione del sabato in una questione così “piccola” come la raccolta di arbusti secchi implicava il colpevole in un reato capitale. Giudizialmente non c’era differenza tra questo reato e l’omicidio. Ambedue richiedevano la pena di morte. Il moderno sabbatario , citando a sostegno della propria posizione i riferimenti al sabato del Vecchio Testamento, coinvolge la sua posizione inevitabilmente con questo passo. Gli è richiesto di considerare la minima violazione del sabato con lo stesso orrore con cui considererebbe l’assassinio di un membro della sua famiglia. Tutte le trasgressioni, dalla raccolta di legna fino al football professionistico devono essere considerati reati capitali. Non si sfugge a questa situazione: se gli standard della prassi ebraica meritano d’essere proclamati, allora i requisiti della giurisprudenza ebraica meritano d’essere messi in atto. Mentre il nostro codice civile contemporaneo al presente non impone la pena di morte a chi viola il sabato, i sabbatari coerenti non dovrebbero riposare gli altri sei giorni della settimana finché il governo civile non sia persuaso ad imporre tale sanzione contro i violatori. Se la legge pattizia è vincolante, anche l’applicazione della legge pattizia è egualmente vincolante. L’uomo che devii da questo principio è, biblicamente, un antinomista [12]. Qualsiasi indulgenza cosiddetta “umanitaria” nell’applicazione della legge biblica non è meno una violazione dell’assoluto standard di giustizia di Dio dell’aperta negazione della validità dello standard giuridico in questione. Come minimo, dovrebbe essere considerato opportuno che fintantoché il codice civile possa essere cambiato, qualsiasi denominazione o congregazione che proclami la legge del sabato come vincolante debba applicare la legge del sabato a tutti i suoi membri mediante il procedimento della minaccia di scomunica. Se si assuma in qualsiasi modo che i criteri ebraici dell’osservanza del sabato siano applicabili ai tempi del Nuovo Testamento, allora le chiese devono considerare i trasgressori del sabato con lo stesso orrore con cui considerano (o dovrebbero considerare) assassini, rapitori, e sodomiti.

La chiese, come tutti sanno, non considerano né hanno mai considerato in questo modo i violatori del sabato. Paolo giunse al punto di annunciare la dottrina che “L’uno stima un giorno più dell’altro, e l’altro stima tutti i giorni uguali; ciascuno sia pienamente convinto nella sua mente” (Ro. 14:5). Egli non disse, e bisogna evidenziarlo, che il giorno o i giorni in questione fossero qualcosa chiamata “Nuove lune ebraiche o giorni sabbatici”, come hanno cercato d’argomentare degli studiosi sabbatari disperati. Ha detto semplicemente giorno [13]. Una tale opzione della coscienza cristiana non era disponibile al raccoglitore di legna di Numeri 15. Questo deve portarci alla conclusione che l’applicazione del principio del sabato in tempi del Nuovo Testamento sia radicalmente diverso da ciò che era richiesto ai tempi del Vecchio Testamento. Similmente, Paolo chiede all’individuo cristiano di decidere; il sistema ecclesiale che viola questo diritto di coscienza è in aperta violazione dello standard del Nuovo Testamento. Una chiesa può far osservare la partecipazione ad un servizio liturgico domenicale; non ha diritto di fare più di questo. I diritti della coscienza individuale in questo particolare caso non possono essere violati da nessuna autorità ecclesiastica.

Se si accetta la contorta esegesi dei sabbatari, e l’appello alla coscienza di Paolo non è considerato applicarsi al sabato settimanale (con l’esegesi forzata che vale anche per Colossesi 2:16-17), compare un dilemma enorme: o gli standard di osservanza del sabato della chiesa sono in violazione di quelli molto più rigidi del Vecchio Testamento, oppure i provvedimenti che si credono ipoteticamente corretti al presente non sono messi in atto, e sono rimasti tali per almeno gli ultimi due secoli. Più ancora, risulta che che siano completamente inattuabili. I credi (le convinzioni ufficiali) sono meno rigorosi del Vecchio Testamento; l’attuazione ecclesiastica contemporanea è meno rigorosa dei credi. Il sabbatario che cerchi di sfuggire a questa realtà si sta illudendo. Inoltre, ciò che è accaduto nel caso dall’applicazione di questi provvedimenti — veterotestamentari o dei credi — da parte del governo civile è immensamente peggiore. Il sabbatario non può evitare neppure questo problema. Se trova facile ignorare la mancata applicazione delle leggi sul sabato da parte del governo, allora deve essere parimenti indifferente davanti alla mancata attuazione da parte dello stato delle leggi bibliche concernenti matrimonio, prostituzione, omosessualità, furto, e quasi ogni altra cosa possa essere d’interesse dei Dieci Comandamenti. L’uomo che prenda alla leggera il lassismo statale nell’applicare alcuna o tutte queste leggi è semplicemente un antinomiano. Se crede che le leggi del sabato abbiano validità, ma non è per nulla preoccupato dal pensiero che lo stato non abbia fatto correttamente il proprio lavoro in questo campo, sta disprezzando il principio scritturale della legge: una legge che merita d’essere proclamata merita d’essere applicata.

Si dovrebbe pure notare che una settimana lavorativa di cinque giorni è una chiara violazione delle leggi del sabato. Il Signore non ha offerto a nessuno l’opzione di prendersi un giorno di festa durante la settimana. “Sei giorni lavorerai”, ha comandato, checché ne dicano i sindacati. Vediamo la chiesa applicare quel comando! I Puritani lo fecero: furono minacciati di prigione se lo predicavano o seguivano [14]. Loro il rischio se lo presero.

Sabbatari e Combustibile

Il raccogliere legna è un ottimo esempio di casuistica ebraica come era da applicarsi alla luce dei requisiti generali del Decalogo: dimostra, forse meglio di qualsiasi altra situazione, le implicazioni del quarto comandamento per la nazione ebraica. Cos’era implicato nella raccolta di legna? La legna poteva essere usata per almeno quattro scopi:

1. Riscaldare la casa
2. Illuminare la casa
3. Cuocere i pasti
4. Venderla per gli utilizzi 1-3

Per quanto riguardava l’utilizzo effettivo, il caso di Numeri 15 si applicava più alla vita quotidiana della donna ebrea che a quella dell’uomo della famiglia. È più spesso l’uomo e il suo lavoro ad essere il centro dell’interesse del moderno sabbatario, ma non era necessariamente così in una comunità rurale, pre-industriale. La raccolta di legna era più probabilmente compito dei bambini; le donne l’avrebbero usata per incombenze domestiche una volta raccolta. Gli uomini avrebbero beneficiato sia dalla raccolta che dall’uso della legna, ma in genere non avrebbero avuto molto a che fare col reale maneggio di legna. Potrebbero esserci state alcune eccezioni, naturalmente, ma una eccezione sembra la più probabile, ovvero quella del raccoglitore di professione. Il suo lavoro avrebbe avuto una grande richiesta nel sabato, precisamente nel giorno in cui era messa in atto la proibizione del lavoro. Una donna che non fosse riuscita a raccoglierne durante la settimana avrebbe potuto acquistarne da un professionista.

In Numeri 15 non ci è detto che l’uomo in questione facesse questa professione, ma la severità della punizione avrebbe chiaramente reso più pericolosa la nascita di una classe di tali professionisti. C’era bisogno di una punizione dura, essendo uomini e donne ciò che sono. C’è sempre una soddisfazione nel violare i comandamenti di Dio se si è peccatori, e se quella violazione porta anche con sé certi apparenti benefici al di la e al di sopra del mero piacere dello spregio, meglio ancora. Le proibizioni del sabato implicavano costi pesanti per chi obbediva; l’applicazione del sabato richiedeva pene severe, con ciò aggravando i violatori con alti costi nella forma di alto rischio.

Quali erano i costi del sabato? Per l’uomo era la perdita di tutto il reddito — monetario (meno probabile in una società rurale), psicologico, o in proprietà fisica— per quel giorno. Ma pagavano anche le donne. Dovevano raccogliere tutta la legna in anticipo durante la settimana. Significava più lavoro durante la settimana, o in termini di tempo o aumentando l’intensità di lavoro o entrambi. Se il giorno di lavoro non fosse stato allungato o intensificato, altri adempimenti che sarebbe stato desiderabile compiere avrebbero dovuto essere accantonati, e anche quello, come ogni moglie sa, implica dei costi (specialmente se il marito o la suocera se ne accorgono). Ci sarebbe sempre stata la tentazione di rinunciare alla raccolta della legna durante la settimana. Specialmente se un professionista fosse passato di lì con un carico di legna nel sabato per un prezzo ragionevolmente conveniente. Se il suo prezzo fosse stato inferiore a quello stimato dalla donna per raccogliere la legna in anticipo durante la settimana, ci si poteva aspettare un accordo conveniente. Imponendo una forma di punizione rigorosa e permanente sul violatore, la comunità riuscì a forzare in alto il prezzo della legna; il rischio sarebbe stato così alto che pochi professionisti sarebbero sopravvissuti. Quante donne avrebbero potuto o voluto pagare il costo? Sarebbe stato più economico acquistare la legna o raccoglierla anticipatamente nella settimana. La raccolta della legna fu resa un’improbabile fonte di impiego conveniente nel sabato. Poiché il mercato della legna durante il sabato era limitato a causa dei prezzi alti dovuti al rischio, le opportunità di tentazione erano con ciò ridotte al minimo. Non conveniva a nessuno violare il sabato ed era troppo oneroso assumere qualcuno per farlo.

Nella misura in cui le pene per la trasgressione siano indebolite in un caso come questo, diventa una questione di coscienza violare il sabato o pagare qualcun altro per farlo. La coscienza rimane senza la protezione del maggior costo economico per far agire un uomo in modo santo. Nella metà del ventesimo secolo, il riposo di sabato si fonda principalmente sulla tradizione e sul sindacato; dove queste restrizioni siano superate, la coscienza è la sola barriera contro la violazione dell’applicazione veterotestamentaria del principio del sabato. Uomini che valutino l’agio meno che altre forme di reddito tenderanno a cercare impiego nel sabato, specialmente se il mercato restringe, per l’una o l’altra ragione, l’ingresso di operai in competizione. Il pagamento di “straordinarie” aggiunge incentivo.

Se accettiamo il principio che sia sbagliato per noi assumere un’altra persona per commettere un crimine per nostro beneficio e suo profitto, ne conseguono certe implicazioni. Le violazioni del sabato sono reati capitali. Se i rigorosi sabbatari considerano vincolanti i provvedimenti del Vecchio Testamento, allora è sbagliato assumere un uomo per violare il sabato quanto assumere qualcuno da Omicidi S.r.l. per uccidere un vicino. L’esecuzione del crimine e la colpa di chi commissiona il lavoro sono eguali in entrambi i casi. I crimini capitali sono di capitale importanza. Se il sabato ebraico è moralmente vincolante oggi, lo sono pari pari anche le sue implicazioni e applicazioni.

Ho udito dei cristiani accusare dei confratelli cristiani di aver violato il sabato perché quest’ultimi hanno osato andare a mangiare al ristorante dopo le funzioni religiose. Si suppone che lo stesso valga per quelli che acquistano cibo al supermercato nel sabato. Perché dovrebbe essere una violazione? Chiaramente, sulle basi che è una violazione del sabato incoraggiare la violazione di un altro pagandolo per restare aperto per affari. Se gli standard del sabato ebraico sono vincolanti, entrare in un luogo di mercato di sabato è moralmente un crimine capitale e un’abominazione agli occhi di Dio. Pertanto, pastori ed anziani devono dire al loro gregge di astenersi dal fare acquisti di qualsiasi sorta nel sabato [15]. Se un uomo desidera prendere gli standard perfino della Confessione di Fede di Westminster (un documento pre-industriale, bisognerebbe sottolinearlo) in tutto il suo rigore pre- industriale, allora dovrebbe incoraggiare i suoi anziani ad attuare i provvedimenti. Naturalmente, i provvedimenti della Confessione non si avvicinano nemmeno ai requisiti di Numeri 15, vale a dire ai veri standard biblici agli occhi di un coerente sabbatario, ma almeno sono qualcosa. Se i credi sono validi nella loro interpretazione del 1646, allora i criteri di applicazione del 1646 devono essere applicati. Se tali standard non sono applicati, ciò costituisce una chiara ammissione che la chiesa non riconosce più come valida la definizione di sabato del 1646.

Seguiamo con rigore la pista dall’accusa contro “quelli che vanno al ristorante”. Quelle stesse persone che formulano l’accusa si gloriano della loro osservanza del sabato perché loro non vanno al ristorante nel sabato. Loro non fanno la spesa nei supermercati. Loro hanno ammassato le provviste per mangiare a casa assai correttamente, perché se uno è un sabbatario, è proprio l’essenza dell’osservanza del sabato che ammassi le provviste prima del sabato. Ma il Vecchio Testamento richiedeva più che il mero ammassare del cibo. Il passo a cui abbiamo fatto riferimento, Numeri 15, esplicita che non solo il cibo doveva essere ammassato ma anche il combustibile doveva essere ammassato in anticipo; il combustibile per riscaldare la casa, cuocere i pasti, e illuminare la stanza, doveva essere provveduto in anticipo. Agli occhi di un Dio giusto e santo era un crimine capitale raccogliere legna — combustibile— nel suo sabato. Il moderno sabbatario pensa che la sua sia la via del santo patto di Dio semplicemente perché acquista il suo cibo in anticipo; suppone che il suo fratello in Cristo sia un abbietto peccatore perché ha mancato di fare così. Ma sotto i provvedimenti di Numeri 15, sono entrambi soggetti a morte perché entrambi hanno pagato produttori di combustibili specializzati per lavorare di sabato. C’è questa differenza però: l’uomo che entra al ristorante non si sente giusto in sé circa la propria supposta osservanza del sabato, e non ha lanciato accuse contro i suoi consimili cristiani. Ha indubbiamente violato i provvedimenti per il sabato di Numeri 15, ma quella è la misura della sua colpa. I moderni sabbatari che ho incontrato troppo spesso violano sia il sabato sia il comandamento contro la maldicenza, o quantomeno indulgono nel “giudizio del sopracciglio alzato e della lingua rumorosa”. Trascurano l’avvertimento di Cristo: “Non giudicate, affinché non siate giudicati. Perché sarete giudicati secondo il giudizio col quale giudicate” (Mt. 7:1, 2a).

La stessa architettura delle nostra chiese è una permanente testimonianza della riluttanza dei cristiani contemporanei d’accettare le implicazioni del sabato. Noi riempiamo tutti i nostri edifici con ogni sorta di apparecchiature elettriche; riscaldiamo e raffreddiamo le stanze a un confortevole 21 gradi, estate e inverno. Spesso ci gloriamo dell’efficenza della tecnologia moderna, dimenticando che molti uomini e donne devono andare a lavorare e far funzionare le macchine che provvedono l’energia — il combustibile — per i nostri dispositivi. Questi lavoratori stanno commettendo crimini sabbatari capitali ogni domenica, e ogni cristiano sabbatario che utilizzi questi dispositivi, salvo per qualche legittima emergenza, sta mandando la gente all’inferno ogni domenica, mattina e sera, quando siede nella comodità della sua chiesa con l’aria condizionata. Se i credi dei sabbatari sono corretti, allora i sabbatari condannano settimanalmente altri alle fiamme del tormento eterno, solo per potersi sedere nella comodità dei loro 21 gradi.

Naturalmente, i sabbatari possono sempre difendere una temperatura di 21 gradi nel nome di un’emergenza vitale. Può essere visto da qualcuno come l’equivalente di un bue che è caduto nel fosso. Chiese gelate allontanerebbero non credenti d’inverno; chiese soffocanti lo farebbero d’estate. Forse quest’argomento è legittimo, se quella è realmente la ragione per cui riscaldiamo le nostra chiese. O forse i nostri corpi realmente non riuscirebbero a sopportare ciò che i nostri antenati puritani sopportarono per stabilire il culto riformato in America; forse non riusciremmo a sopportare chiese talmente fredde che il pane della comunione indurirebbe congelato. Magari moriremmo se le nostre presenti comodità tecnologiche ci fossero tolte (come gli apocalittici pessimisti hanno asserito essere una prospettiva del futuro prossimo). Ma se la mera comodità è la nostra difesa per i nostri sistemi di riscaldamento che consumano energia elettrica, allora non stiamo dando molto peso ai nostri credi sabbatari. È diventato nel complesso troppo di moda adattare le interpretazioni del sabato ad ogni nuova scoperta tecnologica; I sabbatari stanno religiosamente aggrappati a standard scritti secoli fa, mentre violano regolarmente i termini di quei credi. È schizofrenico. La dicitura dei credi dovrebbe essere alterata altrimenti i sabbatari dovrebbero alterare la loro facile accettazione di tecnologie radicalmente non-sabbatarie.

Quest’appello non dovrebbe essere considerato qualcosa di nuovo. Fu fatto da uno dei più coerenti sabbatari nella storia della chiesa Protestante post-riforma: Robert Murray McCheyne. Egli non ha usato mezzi termini nella sua condanna dei suoi colleghi cristiani:

Non sapete voi, e tutto il sofismo dell’inferno non lo può confutare, che lo stesso Dio che ha detto “Non ucciderai” ha detto anche “Ricordati il giorno di sabato per santificarlo”? L’assassino che è trascinato sul patibolo, e l’affabile trasgressore del sabato sono uno agli occhi di Dio.

Andrew Bonar ha preservato gli insegnamenti di McCheyne sulla questione del sabato nelle sue Memoires of McCheyne, e chi si auto-proclama rigido sabbatario farebbe bene a ponderare ciò che McCheyne scrisse. Se gli standard di Numeri 15 sono ancora in vigore, come può un uomo che proclama il sabato sfuggire alla forza delle parole di McCheyne? McCheyne vide chiaramente ciò che avrebbe significato la rivoluzione industriale. Egli sfidò il diritto delle ferrovie di funzionare la domenica ma non fu seguito dai suoi colleghi sabbatari in Scozia. Essi scelsero, come da allora i sabbatari hanno scelto, di voltare le spalle alle implicazioni del loro credo, mentre proclamano vanamente la validità di quel credo. McCheyne ha qualcosa da dire a quelli che oggi godono dell’avere altri al lavoro per provvedere loro combustibile a prezzi ragionevoli:

Uomini colpevoli, che sotto Satana, state portando avanti la profonda, tenebrosa falange dei trasgressori del sabato, la vostra è una posizione solenne. Voi siete ladri. Voi derubate Dio del suo santo giorno. Voi siete omicidi. Voi uccidete le anime dei vostri servitori. Dio ha detto: “Non farai in esso alcun lavoro, né tu, né il tuo servo”; ma voi obbligate i vostri servi a trasgredire la legge di Dio, e a vendere le loro anime per guadagno.

I sabbatari dovrebbero dare ascolto all’avvertimento di McCheyne. Quelli che si sentono orgogliosi a motivo della loro posizione sabbataria devono considerare le implicazioni di quella posizione. Non ci si può beffare di Dio!

Quando i provvedimenti della Confessione di Fede di Westminster vengano rigorosamente fatti osservare, allora il dibattito sul sabato può assumere un qualche significato altro dal fare giochetti teologici. Allora, e solo allora, le questioni saranno delineate chiaramente e onestamente. Quando gli anziani della chiesa cominciano a casa a seguire gli standard sabbatari del Vecchio Testamento, e quando impongono tali standard alle loro mogli recalcitranti le quali amano le loro cucine a gas, la loro acqua corrente, la loro aria condizionata, allora i non-sabbatari rimarranno impressionati. Spengano le loro apparecchiature elettriche, o acquistino un generatore per provvedere l’elettricità. Spengano il gas naturale o acquistino in anticipo del butano. Smettano di telefonare ai loro amici per “comunione cristiana”, in modo che le linee siano lasciate libere per le chiamate di vera emergenza. Smettano d’usare le poste il venerdì, sabato e domenica, in modo che i postini e i cernitori non debbano perdere la loro osservanza del sabato. In breve, chiudano gli occhi alle trasgressioni di altri fintantoché la chiesa, come forza disciplinante, comincia a far osservare requisiti più rigorosi a tutti i membri, cominciando dal vertice della gerarchia e da lì a ricaduta. Ogni giustizia autonoma sia abbandonata finché le piene implicazioni dell’economia dall’osservanza del sabato sono affrontate a viso aperto. Finché non viene quel momento, i non-sabbatari continueranno ad essere simultaneamente divertiti ed inorriditi dal meschino modo di pensare e dalla confidenza nella propria giustizia di quelli che ipocritamente chiamano se stessi rigidi sabbatari ma che sono infedeli a quegli stessi standard che cercano d’imporre agli altri. Somigliano molto ai giudaizzanti dalla mente doppia di Galati 6:12, 13. Il non-sabbatario non riuscirà a prendere sul serio i rigorosi sabbatari fintantoché questi non imporranno a se stessi i considerevoli costi economici dell’osservanza del sabato. Fino ad allora, il dibattito sul sabato rimarrà ben che vada una farsa, mal che vada un imbarazzo per la chiesa di Cristo.

Ripensare la questione del sabato implicherà un ripensamento dell’intera civiltà occidentale industrializzata. Per certo implicherà la messa in discussione dei due ultimi secoli di rapida crescita economica. I rigorosi sabbatari dovrebbero almeno essere consapevoli dei possibili affetti delle loro proposte. Se il mondo dovrebbe essere fatto conformare agli standard cristiani della legge biblica, e se gli standard delle pratiche sabbatiche ebraiche sono, di fatto, ancora la regola per la dispensazione cristiana, come si imporrebbero questi standard alla popolazione più ampia? Non renderebbe impossibile la nostra versione di società industriale specializzata? In altre parole, se tali standard fossero stati implementati nei due secoli scorsi, questa civiltà, che la maggior parte dei cristiani moderni accetta per quanto concerne le sue comodità tecnologiche, sarebbe venuta all’esistenza? Quanto della tecnologia domenicale economicamente vantaggiosa, efficiente, saremmo costretti a distruggere? [16]. Ho il sospetto che i costi sarebbero considerevoli. È ora che i rigorosi sabbatari calcolino quei costi.

Note:

1 Su Gouge, vedi Richard Schlatter, The Social Ideas of Religious Leaders, 1660-1688. London: Oxford University Press, 1940, pp. 129, 137.

2 La Confessione di Fede di Westminster, cap. xxi; Catechismo Maggiore, domande 115-121.

3 M. M. Knappen, Tudor Puritanism; Chicago: University of Chicago Press, [1939] 1965, pp.444-445.

4 Su Agostino e Ireneo, vedi Knappen, ibid., p. 443. Il punto di vista di Calvino si può vedere nel suo Commentario su Ebrei, cap. 4; cfr., Tracts and Tratises; Grand Rapids: Eerdmans, 3 Vols., 1958, II, 61-62. La sua ambivalenza in Tracts è in contrasto con la sua più rigida esegesi di Esodo 20:8 s.

5 Christopher Hill, Society and Puritanism in Pre-Revolutionaty England; New York: Schocken, 1967, p. 155s.

6 Knappen, Tudor Puritanism, p. 447.

7 Ibid., p. 448.

8 Hill, Society and Puritanism, pp. 168-170.

9 Nathaniel B. Shurtleff, editore, Records of the Governor and Company of the Massachusetts Bay in New England; Boston: Commonwealth of Massachusetts, 1854, vol. IV, pt. I, p. 366.

10 Hill, Society and Puritanism, p. 159.

11 Hill erroneamente attribuisce la posizione tardo-Puritana sul sabbatarsimo a Calvino, malgrado sia costretto ad ammettere che la disposizione di Calvino di giocare a bocce la domenica preoccupava i sabbatari più zelanti. Diversamente da Knappen, mostra poche evidenze d’aver letto gli scritti dello stesso Calvino sul sabato. Egli scrive in una nota a piè della stessa pagina che “[Richard] Baxter era anch’egli un po’ a disagio nel suo tentativo di dare spiegazioni soddisfacenti sulla lassismo di Calvino e Beza”. (Hill, Ibid., p. 170). È probabilmente comprensibile che Hill, come studioso marxista, specializzato in storia inglese del diciassettesimo secolo, non sia stato famigliare con gli scritti di Calvino. Non c’è giustificazione per la dichiarazione del Professore John Murray di Westminster Seminary, in un disperato tentativo di evitare la forza della visione del sabato di Calvino, che i concetti di Calvino erano semplicemente stati male interpretati. Il retaggio scozzese di Murray semplicemente non si sarebbe conformato all’insegnamento “lassista” di Calvino perciò ha scelto di riscrivere Calvino. Vedi la lettera di Murray all’editore: The Presbyterian Guardian, giugno 1969. Sul fantasioso, ridicolo rigore dei sabbatari scozzesi del diciassettesimo secolo, vedi Hill, p. 183.

12 Questa è stata la mia accusa basilare ai Neo-Dooyeweerdiani sia d’Olanda che della comunità calvinista di lingua inglese. Per questioni specifiche vedi il mio saggio, “Social Antinomianism”, International Reformed Bulletin, Ott. 1967.

13 C’è qualche prova che le traduzioni della King James delle parole greche ed ebraiche per “mese” furono incorrettamente tradotte “luna” in un numero limitato di casi, incluso Colossesi 2:16. Su questo punto, vedi Curtis Clair Ewing, Israel’s Calendar and the True Sabbath; Los Angeles: The National Message Ministry, 1958, pp. 7-8.

14 Hill, Society and Puritanism, p. 155 s.

15 La totale confusione di molti pastori sabbatari si nota nella loro proibizione di pagare qualsiasi libro acquistato dal colportore di chiesa di domenica. Il libri si possono prtare a csa ma non pagati fino a lunedì o più tardi. Una transazione economica fatta a credito non è considerata transazione economica se riguarda il coportore. Però, un acquisto di combustibile o di qualsiasi altro bene comperato a credito di domenica è considerato dagli stessi pastori una flagrante violazione del sabato. Chiunque possa trarre un senso da queste due posizioni è un rivale dei teologi della scolastica medievale.

16 Un ovvio esempio è l’industria metallurgica. I costi di spegnere un impianto e poi farlo ripartire sono proibitivi. L’acciaio non potrebbe essere prodotto in tali condizioni. L’energia necessaria per portare a regime una fonderia, senza calcolare le ore di lavoro perse, costringerebbe i produttori a cessare la produzione. Ancora una volta, i rigidi sabbatari sarebbero costretti a considerare la produzione d’acciaio come un caso d’emergenza. Di fatto, qualsiasi cosa che implicherebbe maggiore scomodità di quanta i sabbatari di ogni generazione siano abituati a sopportare è gettato in quella classificazione polivalente in continua crescita: “servizio d’emergenza”.

 

5. IN DIFESA DELLA CORRUZIONE CRISTIANA DI GARY NORTH

Le tre eresie: umanismo, moralismo, e legalismo si manifestano spesso simultaneamente, anche in circoli che si suppongono cristiani. Tutte e tre sono centrate sull’uomo. Il presupposto principale dell’umanismo è che l’uomo (i suoi obbiettivi, necessità, desideri, standard) è il punto centrale della vita. Dice che l’uomo non è meramente il vice-reggente di Dio sulla creazione, all’opera per ottenere il dominio sulla terra alla gloria di Dio, ma piuttosto che la la terra deve essere soggiogata “dal popolo, per il popolo” come se la creazione fosse “del popolo”. Il moralismo poggia sulla dottrina che l’uomo è capace di dimostrare il proprio valore davanti a Dio con azioni di carità e di abnegazione. I moralisti mirano all’ “essere buoni” per mezzo di azioni di bontà inerente. Il legalismo è usualmente un credo parallelo al moralismo. Dio è visto come vincolato dalle stesse leggi che vincolano l’umanità; Dio, come la sua creazione, è sotto legge e deve perciò conformarsi ai desideri e alle richieste degli uomini che agiscono nei termini della sua legge. Il legalismo è un fratello di sangue della magia, infatti anche il mago cerca di manipolare la realtà mediante rigidi incantesimi e abnegazione, costringendo le potenze segrete a comportarsi secondo le formule prescritte. Il legalismo deve assumere la validità del moralismo, ed ambedue sono essenzialmente umanistici: la salvezza dell’uomo è compiuta dalle opere dell’uomo.

Il cristianesimo ortodosso, per definizione, nega tutte tre le posizioni. Contro l’umanismo, il cristianesimo afferma la sovranità di Dio. L’intera creazione deve dare a Dio tutta la gloria poiché quella è la sua funzione (Is. 45:22, 23; Ro. 14:11; Fl. 2:10, 11). Contro il moralismo, il cristianesimo dice che non c’è niente nell’uomo che possa mai meritare favore agli occhi di Dio: l’uomo è totalmente depravato. Tutta la nostra giustizia è come panni sporchi (Is. 64:6). La santificazione è perciò un dono di Dio nella stessa misura della giustificazione. “Il cuore dell’uomo programma la sua via, ma l’Eterno dirige i suoi passi” (Pr. 16:9). In breve, il moralismo è fallace perché afferma il valore intrinseco dell’uomo. Infine, il cristianesimo rigetta il legalismo proprio come rigetta la magia. Dio sta al di sopra della propria creazione, la legge sta sotto Dio, non sopra di lui. Dio fa patto con l’uomo, certo, ma la perversione e ribellione dell’uomo portano invariabilmente ad una situazione nella quale le benedizioni pattizie vengono concesse solo a motivo della giustizia ultima di Gesù Cristo; l’uomo riceve una benedizione solo in ragione della sua partecipazione nel patto mediante la fede, o, mancando della fede salvifica, solo perché vive in un universo temporaneamente protetto dall’ira di Dio per il rispetto che Dio ha per Cristo, per il popolo di Cristo, e per l’opera di Cristo nel tempo (Calvino: Ist. II, 7, 4). Dio non è in nessun modo obbligato dai flebili tentativi che il legalista fa per essere giusto o dalla manipolazione dei maghi affinché rispetti le suppliche dell’uomo. Dio può resistere le 'manipolazioni legalistiche degli uomini. Un mancato riconoscimento di questo fatto basilare portò Giobbe, e i suoi tre confortatori, a una peccaminosa, cattiva interpretazione del piano sovrano di Dio (Gb. 32-41). Il cristianesimo ortodosso dichiara che Dio è totalmente sovrano sulla sua creazione: può farne quello che gli piace, conferendo ira o grazia come gli sembra meglio. Può fare tenebre e luce, fare il benessere e creare la calamità (Is. 45:7), e nessuno può accusarlo di peccato o errore (Ro. 9:19 s.). Gli scopi della legge di Dio sono invariabilmente teocentrici, non umanistici.

Qualsiasi cristiano che tacitamente approvi in principio ciò ch’è stato detto fin qui può mettersi alla prova nei termini di diversi particolari biblici. È la legge veramente teocentrica? La nostra obbedienza dovrebbe essere nei termini di una cornice pattizia che punti solamente alla gloria di Dio? Se è così, in che modo dovremmo considerare le attività di Rahab?

È doveroso sottolineare come la bibbia sia risoluta nella sua lode di Rahab. Tanto l’autore di Ebrei (11:31) quanto Giacomo (2:25) testificano della sua saggezza nel decidere di proteggere le spie ebree, e nessuna critica viene fatta al suo metodo di agire. Ci è detto specificamente che per le sue azioni ricevette una ricompensa (Gs. 6:25). Ella fece un patto con i due rappresentanti della nazione ebraica (Gs. 2:12 s.) e, implicitamente, col Dio degli ebrei. Per fede fu giustificata, dimostrando la sua fede con le sue opere; questo è il messaggio di Rahab lungo i secoli. La prostituta che fu innestata nella linea pattizia di Cristo (Mt. 1:5), assieme alla sua famiglia la sola sopravvissuta della caduta di Gerico, fu chiaramente favorita da Dio. Non c’è il minimo indizio da qualsiasi parte della bibbia che un qualsiasi aspetto della sua difesa delle spie ebree sia in qualche modo sospetto. I calvinisti, incluso Calvino, si sono avventati in terreno che gli angeli temono di calcare: il legalismo scorre profondo nei cuori ribelli degli uomini.

Rahab, scopriamo, dovette fare affidamento alla menzogna per proteggere i suoi visitatori (Gs. 2:3 s.). Nella sua spiegazione del verso 4 Calvino scrisse del suo tradimento nell’abbandonare il proprio popolo che “non c’era criminalità nell’abbandonarli”. Però, la sua bugia, non è liquidata così facilmente:

Per quanto concerne la falsità, dobbiamo ammettere che, benché sia stata fatta per un buon proposito, non fu priva di errore. Infatti quelli che sostengono che ciò che è chiamata una menzogna doverosa sia completamente scusabile, non considerano sufficientemente quanto la verità sia preziosa agli occhi di Dio. … Tuttavia l’errore particolare non depriva totalmente l’azione del merito del santo zelo; infatti per la bontà di Dio il male è soppresso e non è messo in conto. Rahab fece male quando dichiarò falsamente che i messaggeri erano partiti, tuttavia l’azione principale fu amabile per Dio, perché il male mescolato al bene non fu imputato [1].

Calvino costituì il precedente, e i commentatori calvinisti hanno avuto la tendenza di seguire il suo esempio. Molto poco spazio è dedicato al crimine di tradimento di Rahab, ma la bugia che usò per commettere tradimento è finita sotto attento scrutinio. Mattew Pole, il commentatore puritano del diciassettesimo secolo, non fece giri di parole: “Non sapevo di dove fossero: la sua risposta, contenuta in queste parole e quelle successive, era palpabilmente falsa, e perciò indubbiamente peccaminosa; in ogni modo, la sua intenzione era buona: vedi Romani iii. 8” [2]. Tuttavia, è un moderno commentatore a portare il legalismo calvinista al suo punto più alto nel trattamento di Rahab, benché negherebbe d’essere un legalista come precedentemente definito. Costui è così disperato d’evitare le ovvie implicazioni dell’esempio di Rahab: che in qualche caso mentire è legittimo e che Dio può essere glorificato in una bugia, che fa ricorso alla più imbarazzante delle contorsioni esegetiche:

La difesa del deliberato non-vero (untruth) sotto certune circostanze riceve il sostegno più plausibile dal caso di Rahab la prostituta. Che Rahab abbia espresso un’esplicita falsità è evidente. … Come può il suo comportamento in riferimento alle spie essere così commendato, potremmo dire, se il non-vero con cui ella li protesse era esso stesso sbagliato?

Non dovrebbe passare inosservato che le Scritture del Nuovo Testamento che commendano Rahab per la sua fede fanno allusione solo al fatto che accolse le spie e le mandò via per un altra strada. Non si possono sollevare domande sulla correttezza di queste azioni o sul nascondere le spie dagli emissari del re di Gerico. E l’approvazione di queste azioni non porta con sé per via logica o per analogia fornita dalle Scritture, l’approvazione dello specifico non-vero detto al re di Gerico. È strana quella teologia che insisterà che l’approvazione della sua fede e opere nel ricevere le spie e nell’aiutarle a fuggire debba abbracciare l’approvazione di tutte le azioni associate con la sua condotta lodevole. E se si obietti che non si sarebbe potuta compiere la preservazione delle spie e il seguito del mandarle via per un’altra strada senza il non-vero detto e che il non-vero è parte integrale della riuscita della sua azione bisogna tenere a mente tre cose. (1) Stiamo presumendo troppo in riferimento alla provvidenza di Dio quando diciamo che il non-vero fu indispensabile alla riuscita della sua azione di credente. (2) Concedendo che, nella provvidenza de facto di Dio, il non-vero fu uno dei mezzi mediante il quale le spie sfuggirono, non ne consegue che Rahab fu moralmente giustificata nell’usare questo metodo. Dio porta a compimento la sua santa, decretiva volontà mediante le nostre empie azioni. … [Il punto tre paragona la bugia di Giacobbe ad Isacco e la benedizione che ne risultò: la benedizione fu giustificata, la bugia fu sbagliata.] Noi vediamo, perciò, che né le Scritture in sé né i riferimenti teologici derivati dalle Scritture ci forniscono alcuna legittimazione per difendere il non-vero di Rahab e questo episodio, conseguentemente, non sostiene la posizione che in certe circostanze noi si possa giustificabilmente dire una bugia [3].

Al contrario, ciò che vediamo è la difficoltà d’imporre al racconto di Rahab le limitazioni legaliste di un’esegesi artificiosa. La grande fede e le opere di Rahab fanno schiattare questi limiti legalistici così completamente come Sansone fece schiattare le corde che lo imprigionavano. Questa iper-cauta esegesi semplicemente rifiuta di venire a termini col chiaro insegnamento delle Scritture: Rahab fu giustificata davanti a Dio e non c’è nelle Scritture una singola parola che alluda a qualche cattiva azione da parte sua. E si consideri l’affermazione dell’autore: “Non si possono sollevare domande sulla correttezza di queste azioni o sul nascondere le spie dagli emissari del re di Gerico”. In breve, il tradimento, date le circostanze, era perfettamente normale, totalmente ragionevole. Ma il peccato di mentire — che orribile! Il legalismo filtra il moscerino etico e ne ingoia il cammello. Per tornare alla stessa frecciata dell’autore, questa è sicuramente “una strana teologia”. L’autore sembra non comprendere la misura in cui è dedito proprio a quel legalismo che la sua stessa teologia della grazia in principio nega.

“Se solo non avesse mentito!” Sembrano dire i nostri commentatori. Allora sarebbe stata veramente santa! Santa sì; sarebbe stata più santa di quanto Dio le richiese, che è l’obbiettivo ultimo di ogni legalismo coerentemente applicato. La sua bugia, per tutti gli standard del mondo antico, la implicò nel tradimento contro gli dèi della sua città. Il patto col Dio d’Israele significò inevitabilmente blasfemia e tradimento contro gli dèi della cultura in essere, un fatto reso inevitabilmente chiaro ai cristiani nell’impero romano [4]. Perfino i legalisti più dedicati non possono sfuggire a questo fatto, perciò i legalisti non criticano Rahab per tradimento (perché il tradimento fu necessario per definizione), ma solo per la sua bugia (che in “qualche modo” non era necessaria). Il crimine capitale di tradimento è a volte legittimo, ammette il legalista; il peccato di dire una bugia è sempre iniquo. Il mondo del legalismo è un universo sottosopra. Dovremmo aspettarcelo, perché tutte le forme di umanismo rovesciano l’ordine della creazione.

C’è chi obietterà che una simile esegesi di Rahab come quella rappresentata dall’esempio citato non sia legalista secondo la definizione offerta all’inizio della trattazione. Non c’è affermazione esplicita che Dio sia vincolato da certe leggi e che l’uomo possa manipolare Dio in qualche modo. Vero quanto basta; non c’è affermazione esplicita di questo tipo. Ma è chiaramente dichiarato che: “Stiamo presumendo troppo in riferimento alla provvidenza di Dio quando diciamo che il non-vero fu indispensabile alla riuscita della sua azione di credente”. I critici della bugia di Rahab sembrano pensare che il suo caso sia analogo all’adulterio di Davide con Bath-Sheba, un’unione che alla fin fine produsse Salomone. Non siamo obbligati, ovviamente, a lodare l’azione di Davide semplicemente perché il regno di Salomone produsse molti risultati desiderabili (quali la costruzione del tempio). Ci è specificamente detto che l’adulterio di Davide fu detestabile agli occhi di Dio; non veniamo informati in questo modo riguardo le azioni di Rahab. È pericoloso esegeticamente leggere dentro la storia di Rahab un peccato che non è esplicitamente mostrato esserci, specialmente di fronte a una tale schiacciante lode biblica delle sue azioni. Così, troviamo i critici di Rahab argomentare che in qualche modo non dichiarato, ella avrebbe potuto rispondere dicendo la verità o rimanere zitta, mentre simultaneamente avrebbe preservato la vita delle spie. Dio semplicemente doveva aver avuto qualche piano alternativo da mettere in atto! Se ella non avesse mentito agli uomini del re, sarebbe in qualche modo sopravvissuta lo stesso, le spie sarebbero riuscite a fuggire, e Gerico sarebbe caduta. In altre parole: poiché l’uomo fa il bene, Dio deve fare in modo che il suo piano produca il bene. Dio perciò è vincolato ad onorare il positivo responso dell’uomo, indipendentemente da ciò che le conseguenze di quella buona azione possano essere (ad es. la morte di tutti i coinvolti, decretata dal re di Gerico). Ciò implica una sorta di manipolazione di Dio e del suo piano da parte dell’uomo. Non viene mai detto ciò che Rahab avrebbe dovuto fare, ma il tradimento con bugie, diversamente dal tradimento senza bugie, è malvagio. I legalisti non lo vogliono vedere in nessun’altra luce.

Se l’esegesi imposta dal legalismo fosse valida, dovremmo aspettarci di trovare la più grande lode biblica riversata sui traditori — ma con la bocca chiusa — delle Scritture: il traditore di Giudici 1:24-26 o il regicida di Giudici 3:12 s. Chi può contendere dalla prospettiva legalista, col fatto che in quest’ultimo esempio: “I figli d’Israele mandarono un regalo a Eglon re di Moab” (3:15b)? Il “regalo” avrebbe potuto essere un coltello nella pancia, ma nessuno protesta che Ehud abbia guadagnato l’accesso alla camera del re promettendo di consegnare questo regalo. “Sta tutto in come definiamo una cosa. Rahab disse una bugia, che fu sbagliato; Ehud consegnò un regalo affilato, che fu perfettamente onesto”. Ma la bibbia non riserva le lodi più grandi per questi uomini; Rahab è l’esempio ricorrente di una pia obbedienza. Questo fatto dovrebbe metterci in guardia contro le conseguenze della manipolazione esegetica della chiara verità delle Scritture. Per i criteri di Gerico, Rahab fu una prostituta traditrice. La bibbia la considera una santa obbediente. I legalisti la vedono come una cattiva ragazza: ha detto una bugia pietosa. Il legalismo manca le questioni implicate, tanto dalla prospettiva delle autorità di Gerico quanto dalla prospettiva della storia pattizia del popolo di Dio. Il legalismo si gingilla con le cose periferiche della vita mentre gli uomini vivono e muoiono in termini di crisi. Dove fiorisce il legalismo il cristianesimo cresce eticamente troppo prudente e culturalmente impotente.

Con questo sullo sfondo veniamo al cuore di questa trattazione. La corruzione è un peccato, se lo è, di impatto ben inferiore al tradimento, benché bisogna ammettere che è molto più pericolosa del dire “bugie pietose”. Un pastore in un pulpito americano predicherebbe mai sulla legittimità che un cristiano offra un “dono” ad un funzionario statale in certune circostanze? Lo consiglierebbe in privato? Probabilmente nessun pastore penserebbe mai d’offrire un simile consiglio, quantomeno non finché non giunga qualche crisi — e anche allora si sentirebbe senza dubbio in colpa. Pertanto, i principi del legalismo esegetico devono essere concentrati sull’enorme compito di spiegare i versi che seguono in modo da eliminarli: “Un regalo è una pietra preziosa agli occhi di chi lo possiede; dovunque si volge, egli riesce” (Pr. 17:8), e “Un dono fatto in segreto placa la collera e un regalo sottomano calma l’ira violenta” (Pr. 21:14). L’autore di questi proverbi ci ha offerto il suo consiglio, ma pochi pastori saranno disposti a seguirlo nei suoi passi. Questo dimostra quanto profondamente il legalismo sia incorporato dentro al cristianesimo contemporaneo. È meglio non prosperare, così sembra, che pagare una bustarella; meglio non pacificare l’ira di qualche funzionario corrotto piuttosto che pagare per allontanarlo: questa è l’inevitabile serie di conclusioni che un’esegesi legalista coerente deve produrre. Fa pensare a perché Salomone si sia preoccupato d’inserire queste righe; sembra che l’abbia fatto solo per procurare incubi ai commentatori legalisti. La congregazione che ascolta la predicazione del legalismo potrebbe un giorno trovarsi minacciata da uno stato apostata dedito a perseguitare i cristiani, e tutta quella congregazione sarà inerme. Sicuramente morirà come sarebbero morte le due spie se Rahab non fosse stata così “cattiva”. Gratta un legalista e sotto troverai uno struzzo bigotto. Il legalismo indura i cuori e rammollisce la mente. Risulta in impotenza culturale.

Ciò che la bibbia condanna è prendere “regali” perché in essa si assume che gli uomini pii implementeranno la legge di Dio senza bustarelle. Una bustarella non può essere accettata per il proprio profitto personale e per pervertire la giustizia o per amministrarla con giustizia. Ma la bibbia non condanna da nessuna parte il dare un “regalo” in modo da impedire il progresso di governi apostati. La “corruzione” in sé non è condannata più del “tradimento” in sé; dipende tutto dalle leggi di chi o di quale nazione si stiano sfidando. Non ci può essere un’applicazione neutrale, universale di una parola come “corruzione”, perché, per formulare una tale definizione universale, bisognerebbe assumere l’esistenza di qualche codice legale universale, neutrale e totalmente accettato. Quello è il presupposto basilare dell’umanismo, ma il cristianesimo nega tale neutralità. La neutralità non esiste. Tutto deve essere interpretato nei termini di ciò che Dio ha rivelato. L’obbiettivo umanistico di un linguaggio neutrale (e perciò di una legge neutrale) fu rovesciato alla Torre di Babele. Le nostre definizioni devono essere nei termini della rivelazione biblica. La resistenza a leggi ingiuste non è anarchia, la resistenza a leggi giuste è anarchia. Rahab aveva ragione, malgrado il suo stato apostata l’avrebbe considerata una traditrice; Giuda Iscariota fu nel torto, benché uno stato apostata abbia considerato esemplari e sue azioni e l’abbia ricompensato bene. Non esiste definizione universale di un concetto come il tradimento. La legge di Dio e la sua guida specificano cosa sia o non sia tradimento o anarchia. Rahab fu la santa e Giuda fu il traditore. L’esegesi del legalismo inevitabilmente forza i suoi seguaci a concludere che la chiesa sotterranea ufficialmente disobbediente dei giorni di Hitler o nella Cina rossa oggi sia realmente nella stessa posizione dell’ufficialmente disobbediente Partito delle Pantere Nere o delle sette sataniche contemporanee; senza dubbio verrebbe citato Romani 13 e completamente ignorato Atti 5:29. “Quel che vale per l’uno, vale anche per l’altro” afferma il legalismo e altre forme d’umanesimo. Il cristianesimo lo nega: non possono esserci principi di legge, di lingua o di cultura universali, neutrali.

La richiesta che Dio ha fatto agli uomini è che sottomettano la terra nei termini della sua (di Dio) struttura giuridica rivelata, e che lo facciano alla sua gloria. Questo significa che ogniqualvolta uomini cristiani siano in posizione d’autorità in qualsiasi governo: famigliare, civile, educazionale, finanziario, ecclesiastico, devono rendere giudizio nei termini degli standard di Dio. (Questo può aiutare a spiegare perché le chiese cristiane primitive abbiano spesso proibito che i loro membri servissero in posizioni di alta responsabilità nel governo civile; solo dopo l’assunzione del dominio dell’impero da parte di Costantino cominciò a diventare appropriato servire come alto funzionario civile.) Dio pertanto rese chiaro ai governanti ebrei che prendere qualsiasi “regalo” era illegale nei termini della sua legge. Nel governo civile gli uomini dovevano governare in modo giusto e per la sua gloria. L’arricchimento personale mediante “regali” era illegittimo. Si assumeva, nella santa confederazione ebraica, che tutti i casi in cui uno riceveva un “regalo” fossero motivati dal desiderio di pervertire il giudizio di Dio a favore di un profitto personale. Quando si esaminino i vari passi che si trovano nella legge che trattano la corruttela, si scopre che i regali erano collegati con giudizi ingiusti. La formula basilare che tratta col prendere regali si trova in Esodo 23:8: “Non accetterai alcun regalo, perché il regalo acceca chi vede e perverte le parole dei giusti”. Un passo parallelo e perfino più esplicito è Deuteronomio 16:18, 19. I governanti devono essere “degli uomini capaci che temano DIO, degli uomini fidati, che detestino il guadagno ingiusto …” (Es. 18:21). Pervertire il giudizio di Dio per guadagno personale è ciò ch’è condannato, e non dovrebbe sorprendere che solo alcune frasi più in là dell’appoggio di Salomone del dare un “regalo” (Pr. 17:8) si trovi questo avvertimento: “L’empio accetta regali di nascosto per pervertire le vie della giustizia” (Pr. 17:23). Questa stessa perversione del giudizio era il peccato dei figli di Samuele (1 Sa. 8:3). Era il peccato catalogato in Isaia 1:23, Amos 5:12, Salmo 26:10, e 1 Samuele 12:3.

La critica di Dio è chiara: gli uomini sono malvagi se prendono “regali” per pervertire il giusto giudizio. Le leggi di Dio sono il nostro solo standard; dobbiamo seguire la sua guida nel modo appropriato, nel modo in cui devono seguire le creature — analogamente: “Perciò ora il timore dell’Eterno sia su di voi. Fate attenzione a ciò che fate, perché nell’Eterno, il nostro DIO, non c ‘è alcuna ingiustizia, né parzialità, né accettazione di doni” (2 Cr. 19:7). Eppure ci viene detto che Dio i doni li prende in questo stesso libro, 32:23. Perciò dobbiamo vedere il male del prendere doni come il male associato con giudizi ingiusti e l’avere rispetto di persone; non è il prendere doni in sé ad essere malvagio. Nelle Scritture prendere un “dono” è sinonimo di pervertire la giustizia; è proibito nelle questioni di giustizia civile. L’esempio del padre che accetta un dono da suo figlio è analogo all’accettazione dei doni da parte di Dio in 2 Cronache 32:23: non deve favorire il figlio con giudizi contrari alla legge di Dio dovuti per rispetto per il dono.

La cornice in cui Dio ha dettato la sua legge era una in cui si stava stabilendo un regno civile terreno. Nei tempi del Nuovo Testamento, i poteri civili erano stati trasferiti ad un governatore pagano. Il cambio di cornice implicava una diversa enfasi sulle responsabilità di quelli che sono governati. La parabola di Gesù del giudice iniquo è tipica. Il giudice, prima di tutto: “Non temeva Dio e non aveva rispetto per alcun uomo” (Lu. 18:2). La vedova viene da lui per avere giustizia del suo avversario, ed ella importunava il giudice continuamente. Infine costui non ne può più. In disperazione annuncia: “Anche se non temo Dio e non ho rispetto per alcun uomo, tuttavia, poiché questa vedova continua a infastidirmi, le farò giustizia perché a forza di venire, alla fine non mi esaurisca” (vv. 4, 5). È eticamente corretto per una vedova con una causa giusta tormentare un giudice iniquo se crede che facendolo riceverà un giusto giudizio. Questo non sancisce in alcun modo il diritto di una donna corrotta di disturbare la pace di un giusto giudice che sia effettivamente troppo impegnato per dare attenzione immediata al suo caso. In un senso molto reale, la donna della parabola offre al giudice un “regalo”: se rende giudizio, lei gli offre la pace.

Il legalista è usualmente basito dalle implicazioni di certe porzioni del Sermone sul Monte. Gesù offre alcune rimarchevoli osservazioni per il comportamento nella vita di ogni giorno: rimarchevoli dal punto di vista del legalista. Ciò che Gesù stava dando ai suoi discepoli era una serie di raccomandazioni per il comportamento etico di un popolo in cattività. Per esempio: “Fa’ presto un accordo amichevole con il tuo avversario, mentre sei sulla via con lui, che talora il tuo avversario non ti dia in mano del giudice e il giudice ti consegni alla guardia e tu sia messo prigione” (Mt. 2:25). Quella era una regola saggia nelle terre della Giudea durante il tempo dell’Impero Romano. Non dovrebbe portarci a credere che l’atteggiamento di un cristiano verso il nemico di Dio debba essere di perpetuo perdono e infinita tolleranza quando i cristiani abbiano il potere e l’autorità di procedere legalmente nei suoi confronti e di farlo condannare. Se a cristiani, come popolo di Dio, dovesse essere dato il potere della spada, allora gli avversari di Dio dovrebbero prendere sul serio l’avvertimento di Matteo 5:25: si mettano loro presto d’accordo col cristiano, che talora per la loro evidente illegalità nel discordare, il cristiano non faccia sì che il giusto giudizio sia applicato in un processo civile, e gli avversari siano puniti severamente.

D’altro lato, nella misura in cui la posizione di qualsiasi cristiano in qualchessia periodo di tempo dovesse somigliare alla difficile situazione dei cristiani sotto il governo romano, allora sia lui a stare attento. Sotto il governo di un Hitler o di uno Stalin, il comportamento appropriato del cristiano è di asservimento esteriore. Dovrebbe corrompere gli ufficiali del dittatore, mentire se necessario, unirsi a movimenti cristiani sotterranei, guadagnare libertà d’azione mediante menzogne e “regali” per continuare a predicare e pubblicare. E se, come nel caso di Ehud, i cristiani siano di fronte ad un malvagio, trionfante, esercito invasore (come i cristiani in Olanda ed altre nazioni dovettero affrontare nella seconda Guerra Mondiale), il successo nell’eliminazione fisica del tiranno invasore potrebbe essere il giusto corso d’azione. Gli sia dato il suo “dono”; se lo merita.

Cristo avverte il suo popolo esplicitamente: “E se uno vuol farti causa per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due” (Mt. 5:40, 41). Cristo perciò informa i suoi seguaci che dovrebbero dare a quelli in autorità su di loro (cioè se qualcuno ti costringe) un’ulteriore quantità di beni e servizi in più della richiesta originale. Se tale dono fosse volontario, chiameremo una tale azione una mancia o una elemosina. Cosa dovremmo dunque chiamarla in condizioni che implicano la coercizione esterna? C’è una parola per definirla, ovviamente, ma i legalisti se ne distanzierebbero. Ciò che Gesù propugna è che i cristiani corrompano il funzionario lesivo. Una bustarella è un dono in più di ciò che è legalmente richiesto o preteso — un dono che incoraggerà la parte lesiva a lasciare in pace il cristiano e la chiesa. Permette al cristiano di sfuggire alla piena forza dell’ira che, in principio, un pagano coerente imporrebbe ai cristiani se realizza quanto completamente in guerra Cristo e il suo regno siano contro satana e il suo regno. In altre parole, la bustarella pacifica chi la riceve, proprio come Salomone ha detto che fa. L’etica del Sermone sul Monte è fondata sul principio che una pia bustarella (di beni o servizi) è talvolta il modo migliore che dei cristiani hanno per comperare pace e libertà temporanee per se stessi e per la chiesa, assumendo che i nemici di Dio abbiano schiacciante potere temporale. Tale “regalo”deve essere dato in buona coscienza in modo da raggiungere uno giusto fine. A cittadini o servitori cristiani non è con ciò riconosciuta una licenza d’offrire bustarelle ai governanti per raggiungere fini ingiusti. Tuttavia, questo preciso fatto dovrebbe essere evidente: offrire l’altra guancia è una bustarella. È una valida forma d’azione solo per quando il cristiano sia impotente politicamente o militarmente. Porgendo l’altra guancia, il cristiano procura al malvagio coartatore più pace e meno pericolo temporale di quanto meriti. Per definizione economica, una tale azione implica un dono: è un extra all’individuo coartatore che viene dato solo in rispetto del suo potere. Se si toglie il suo potere, costui merita una punizione: occhio per occhio, dente per dente. Si tolga il suo potere e il martoriato cristiano dovrebbe o scazzottarlo sulle mascelle o portarlo davanti al magistrato, e se possibile entrambi.

È solo in un periodo d’impotenza civile che i cristiani sono sotto la regola di “non resistere il male” (Mt. 5:39). Quando ai cristiani sia dato il potere negli affari civili, la situazione è diversa, e un’altra regola è imposta: “Sottomettetevi dunque a Dio, resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi” (Gm. 4:7). La stessa cosa vale per i discepoli del diavolo. Una volta Martin Lutero vide il diavolo, o qualcosa che pensò fosse il diavolo, e gli tirò un calamaio. Egli ebbe anche altri suggerimenti, anche più terreni, su come dovremmo trattare il diavolo. Quello dovrebbe essere l’atteggiamento di tutti i cristiani che possiedono autorità. Noi paghiamo la bustarella fino al giorno in cui gli avversari di Dio perdono potere, ma non un giorno di più.

Note:

1 John Calvin, Commentaries on the Book of Joshua; Grand Rapids: Eerdmans, 1949, pp. 47-48.

2 Mattew Poole, A Commentary on the Whole Bible; London : Banner of Truth Trust, [1685] 1962, I, 411. Questa esegesi non rappresentava in alcun modo il pensiero Puritano sulla questione le legittimo mentire. I casuisti puritani più importanti, William Perkins e William Ames, ambedue accettavano la validità del dolus bonum (buon imbroglio), e su questo furono seguiti dal maggior casuista anglicano, Jeremy Taylor. Sulle svariate posizioni dei puritani riguardo all’accettazione del mentirem specialmente da parte del magistrato, vedi lo studio di George L. Mosse, The Holy Pretense; Oxford: Basil Blackwell, 1957. Il passo chiave del Nuovo Testamento che riguarda l’utilizzo che Dio nel suo piano fa dell’illusione è 2 Tessalonicesi 2:10-12. Quelli che sono ingiusti sono costretti da Dio a credere una menzogna.

3 John Murray, Principles of Conduct; Grand Rapids: Eerdmans, 1957, pp. 138-139.

4 Su questo punto, vedi Ethelbert Stauffer, Christ and the Caesars; Philadelphia: Westminster Press, 1955. Sulla stretta correlazione tra gli dèi dell’antica città-stato, vedi Fustel de Coulanges, The Ancient City; Garden City, N.Y. Doubleday, [1864] 1936. Per una panoramica del combattimento teologico tra la prima cristianità e l’umanesimo dell’antica città-stato, vedi R.J. Rushdoony, The Foundation of Social Order; Nutley, N.J.: The Craig Press, 1968.

 


 

6. SOVVERSIONE E LA DECIMA

Durante l’Undicesimo secolo, idee manichee si sparsero rapidamente in Nord-Italia e Sud della Francia, provenienti dal Nord-Africa, Bisanzio e Bulgaria. In Europa, la sede centrale di questo movimento si stabilì in Bosnia, dalla quale si dice che un capo o “pope” abbia governato i suoi seguaci. La maggior parte di questi seguaci divennero noti come catari. I catari attaccarono la chiesa cristiana in quanto chiesa di Satana, deridevano il battesimo dei bambini, la comunione e la dottrina ortodossa. Sostenevano che il mondo materiale fosse stato creato da Satana, un apostata figlio di Dio, mentre le anime degli uomini appartenevano al vero regno dei cieli.

In particolare, i catari colpirono la cristianità nelle sue fondamenta, parlando contro la decima e sollecitando la gente a non pagarla. Questo fatto da solo “attrasse aderenti in molte località” [1].

Questo fatto, inoltre, contribuì al cambio d’atteggiamento della chiesa nei confronti di questi gruppi e diede inizio alla soppressione di tutti tali movimenti. Runeberg vede un collegamento tra il movimento cataro, che divenne sotterraneo, e l’insorgenza della magia [2].  Sembra che i catari si siano alleati con le antiche pratiche e superstizioni religiose dei popoli rurali e abbia dato loro uno sviluppo manicheo. In questo modo, un paganesimo antico e morente fu convertito in un’eresia aggressiva che stava colpendo le fondamenta della cristianità attaccando la decima.

Era dunque in corso un duplice movimento: primo un attacco alla cristianità per mezzo di un attacco alla sua colonna portante materiale: la decima e, secondo, un tentativo di legare la decima troppo strettamente alla chiesa, che tagliò alla base anche la vitalità del rinnovamento cristiano. Finché la decima fluisce liberamente alle agenzie di riforma, il rinnovamento è costante. Quando sia legata alla chiesa, viene accresciuto il potere della chiesa, non la vitalità della cristianità.

In Inghilterra, comunque, le fondazioni monastiche secolarizzarono [3] le decime dal clero parrocchiale, che per tanto tempo aveva dato seria attenzione alla decima per i poveri. A mano a mano che le fondazioni monastiche persero interesse per i poveri, ci furono proteste in parlamento contro queste secolarizzazioni. Malgrado tutto ciò, le parrocchie fecero ancora molto per ministrare i poveri [4].  La spietata appropriazione di proprietà monastiche da parte di Enrico VIII furono in parte rese possibili da questo retroterra. L’inflazione monetaria dei regimi dei Tudor operarono poi la distruzione della capacità della chiesa parrocchiale di ministrare i poveri con i propri fondi, e il clero stesso divenne bisognoso [5].

La decima può dunque essere sovvertita in più di una maniera. Può essere sovvertita con un attacco alla legge che la regola. Può essere minata per mezzo dell’appropriazione da parte della chiesa (o stato) togliendola all’opera del Signore direttamente dal popolo di Dio. Può essere annullata dall’inflazione monetaria, per la quale dotazioni di fondi possono essere ridotte a un’inezia, e provvigioni a lungo termine rese inefficaci.

Senza la decima, la necessità di finanziamento sociale rimane, e pertanto le tasse statali hanno il sopravvento insieme alla corruzione statale e alla sua malversazione. Uno stato limitato senza una decima è un’impossibilità, e i politici conservatori che sognano un tale ordine sono sciocchi e sognatori quanto gli anarchici che sognano un’esistenza completamente senza stato. Una società fortemente familista e una società che dà la decima può creare una varietà di istituzioni, scuole, e agenzie che possono assumere le funzioni basilari di chiesa, scuola, salute, e welfare e con ciò restringere lo stato alla giusta dimensione. Il finanziamento sociale è necessario: o lo fa il popolo di Dio, o lo farà lo stato.

Note:

Sociatas Scientiarum Fennica, Commentationes Humanarum Litterarum XIV, 4, Arne Runeberg, Witches, Demons, and Fertility Cults; Helsingfors, 1947, p. 21.

Ibid., p. 22 s.
3 “Impropriation” cedere in proprietà o concessione a laici. (N.d. T.)

4 W. K. Jordan, Philanthropy in England, 1480-1660; New York: Russel Sage Foundation, [1959] 1964, pp. 80-83.

Ibid., pp. 308-310.

 

7. NOTE

1. Una domanda importante riguardo all’omosessualità è sollevata da 1 Corinzi 6:9-11. Romani 1:24-32 cita l’omosessualità come il culminare dell’apostasia e il consumarsi bruciando dell’uomo, mentre 1 Corinzi 6:9-11 sembra aprire la porta della salvezza ad “abusanti di se stessi con l’umanità”. In questo passo Paolo elenca dieci forme rappresentative di ingiustizia che precludono l’uomo dal regno di Dio, a meno che la grazia di Dio non intervenga in alcuni casi. Una di queste, gli “effeminati” si riferisce ai voluttuosi [1]. Il catalogo di peccati copre “falsa religione e irreligione, … vizi sessuali, peccati contro la proprietà, e peccati della lingua” [2].  San Paolo stava dicendo ai Corinzi i tipi di offese che separavano gli uomini da Dio. Non stava accusando i Corinzi di commettere tutte quelle offese. Tutti erano peccatori redenti, ma “alcuni di voi”, ricorda loro san Paolo, erano colpevoli dei peccati più schifosi prima della loro conversione. Secondo Hodge, sul verso 11: “e tali eravate alcuni”, “la spiegazione naturale è che l’apostolo intenzionalmente evitò di addebitare le grossolane immoralità appena menzionate a tutti i cristiani Corinzi nella loro condizione precedente” [3].  Questo verso non ci dice pertanto che ci fossero ex omosessuali tra i redenti nella chiesa di Corinto. Si può notare, comunque, che, nell’educazione greca, i giovani venivano comunemente sedotti a pratiche omosessuali dai loro tutori e insegnanti, un’accusa fatta molto tempo prima e giustamente a Socrate. Il consumarsi bruciando dell’uomo descritto in Romani non deve essere confuso con i peccati di alcuni corinzi in gioventù per mano di insegnanti degenerati. Forse 1 Corinzi 6:9-11 copre persone sedotte a questo immorale tipo di pratica ed esperienza e quindi apre alla loro redenzione, mentre Romani 1:26-32 presenta l’omosessuale come la mente bruciata e reproba in azione, e come culmine dell’apostasia e della riprovazione.

2.   Nel luglio 1562, il Concilio di Trento considerò la questione dei bambini e la comunione ed emise una dichiarazione, uno di quattro punti sul sacramento, con quattro anatema. Questo quarto punto, e tutti quattro gli anatema dicono quanto segue:

IV. Finalmente insegna che i fanciulli, inanzi l’uso della raggione, non sono ubligati alla communione sacramentale, non potendo in quella età perder la grazia, non condannando però l’antichità del contrario costume in qualche luoghi servato, dovendosi senza dubio credere che non abbiano fatto ciò per necessità di salute, ma per altra causa probabile.

In conformità di questa dottrina furono letti 4 anatematismi:

1 Contra chi dirà che tutti i fedeli sono tenuti per precetto divino o per necessità di salute a ricever tutte due le specie dell’eucaristia.

2 Che la Chiesa catolica non abbia avuto giuste cause di communicar li laici e non celebranti con la sola specie del pane, overo in ciò abbia errato.

3 Contra chi negherà che sotto la sola specie del pane tutto Cristo, fonte et autore di tutte le grazie, sia ricevuto.

4 Contra chi dirà la communione della eucaristia esser necessaria a’ fanciulli inanzi l’uso della raggione [4].

È significativo che Trento riconobbe che la comunione dei bambini fu una pratica antica e “preservata in qualche luogo e da non condannare”. Calvino, che in un punto oppose la pratica, lasciò posto per essa nel suo ultimo servizio di santa cena, con un’esortazione a proteggere la tavola, però, da “tutti quelli che sono ribelli contro padri e madri” [5].

3. La crescente domanda civile di restituzione alle vittime di crimini ha guadagnato attenzione giuridica e poca applicazione. L’edizione di Maggio/ Giugno 1972 di Trial (vol. 8, n°3), la rivista giuridica pubblicata dall’Associazione Americana degli Avvocati, fu ampiamente dedicata alla compensazione. L’dea di base, comunque, è compensazione da parte dello stato alla vittima, anziché restituzione da parte del criminale alla sua vittima.

4. Samuel Willard, reverendo puritano nel New England, è un esempio della prospettiva Puritana sulla legge. Egli sosteneva che la norma della santificazione sia la legge di Dio e oppose la prospettiva antinomiana della legge. Vedi Seymour Van Dyken, Samuel Willard, 1640-1707: Preacher of Orthodoxy in an Era of Change; Grand rapids: Eerdmans, 1972, p. 131.

 

Note:

1 R. C. H. Lensky, The Interpretation of St. Paul’s First and Second Epistle to the Corinthians; Clumbus, Ohio, : Wartburg Press, [1937] 1946, p. 248.

2 Ibid., p. 249.
3 Charles Hodge, An Exposition of the First Epistle to the Corinthians; Grand Rapids: Eerdmans, 1950, p. 99.

4 Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, PDF , p, 445. http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/ TestiDiFilosofia/TestiPDF/Sarpi/IstorieTridentino.pdf

5 Charles W. Baird, The Presbyterian Liturgies; Grand Rapids: Baker, 1957, p. 53.