Letteratura/Legge/14

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Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

14. LA CHIESA.

1. IL SIGNIFICATO DELL’ANZIANATO

Poche uffici si sono deteriorati più radicalmente di quello dell’anziano. Il suo scopo originale è stato oscurato, la sua funzione perduta, e il suo scopo alterato.

Per comprendere il significato dell’ufficio di anziano, è necessario ricordare che l’ufficio non fu creato dalla chiesa ma è stato preso dalle usanze d’Israele. Come ha scritto Morris:

I primi cristiani erano tutti giudei, ed è una deduzione ragionevole che abbiano preso l’ufficio di anziano dal giudaismo con cui erano familiari. Di conseguenza saremo ricompensati se daremo un po’ d’attenzione agli anziani giudaici.

Questi uomini erano ufficiali responsabili dell’amministrazione della vita in comune dei giudei. Avevano responsabilità in ambedue quelli che oggi chiameremmo affari civili ed ecclesiastici. Probabilmente non fecero distinzioni chiare e semplici tra i due perché la loro legge era la legge di Mosè che tratta imparzialmente con ambedue. Inoltre, la loro unità organizzativa era la congregazione della sinagoga, e la sinagoga, oltre ad essere un luogo di culto era un luogo d’istruzione: una scuola. I Rabbini trattavano con ogni sorta di soggetti. Non rimanevano confinati in ciò che noi chiameremmo questioni religiose, ma dettavano anche le regole per la conduzione delle questioni civili.

Gli anziani venivano eletti dalla comunità e mantenevano l’ufficio a vita. Venivano ammessi alle loro funzioni con un rito solenne, che in tempi neotestamentari sembra fosse una cerimonia di intronizzazione. L’imposizione delle mani non sembra essere stata praticata a quel tempo, e probabilmente non fece la sua comparsa fino alla guerra di Bar Kochbe o successivamente. … A quanto pare, la funzione dell’anziano era centrata sulla legge. Essi dovevano studiarla, spiegarla e trattare con persone che l’avevano trasgredita.
Ci sono ovvie corrispondenze tra questo ufficio e quello dei primi anziani cristiani. L’importanza di queste corrispondenze si accentua quando riflettiamo che la chiesa cristiana risulta essere stata considerata all’inizio una branca del giudaismo. Le sue assemblee sembra siano state modellate sulla forma della sinagoga. Dieci maschi giudei qualsiasi potevano formare una sinagoga. Ed è probabile che le prime assemblee di cristiani fossero organizzate come sinagoghe. Di fatto una è chiamata proprio con questo nome in Giacomo 2:2 e ci sono prove che “La congregazione cristiana in Palestina continuò per lungo tempo ad essere designata con questo nome” (J. B. Lightfoot, Saint Paul Epistle to the Philippians, p. 192). … Costoro avrebbero sovrinteso gli affari della nuova società nello stesso modo in cui gli anziani giudei badavano alla sinagoga [1].

Per poter comprendere il retroterra ebraico dell’ufficio è importante riconoscere le sue origini nella famiglia e nella struttura tribale d’Israele. L’anziano era, per prima cosa, ciò che il nome indicava, un uomo attempato in una posizione d’autorità. Il termine anziano era comparativo perciò poteva significare un uomo che governava la sua casa. Questo capofamiglia, o di un gruppo di famiglie, sovrintendeva la disciplina e la giustizia all’interno della propria famiglia, la sua educazione, culto e sostegno economico; era anche responsabile della loro difesa contro i nemici. In questo modo, molto chiaramente, legge e ordine erano funzioni basilari dell’anziano, ma molto più che in un senso poliziesco, per il fatto che era dovere dell’anziano addestrare chi gli era affidato in uno stie di vita. L’interesse dell’anziano era dunque religioso, civile, educazionale e vocazionale. Provvedeva anche per il welfare della sua casa.

Secondo, gli anziani formavano la base del governo civile. Poiché uomini che governavano in modo così esteso le loro proprie case erano i meglio addestrati a governare, Mosè si rivolse agli anziani, su comando di Dio, per formare un gruppo di settanta per governare Israele (Nu. 11:16). Questi uomini governavano sotto Mosè e lo aiutarono nell’istruire il popolo nelle implicazioni della legge (De. 27:1). Il governo locale era nelle mani di anziani (De. 19:12; 21:2; 22:15; 25:7; Gs. 25:4; Gc. 8:14; Ru. 4:2). A questi anziani è fatto riferimento anche nei vangeli (Mt. 16:21; 26:47; Lu. 7:3). Nell’era del Nuovo Testamento alcuni anziani governavano nel Sinedrio ed erano esperti della legge, altri governavano a livello locale [2].

Terzo, gli anziani governavano le sinagoghe, come ha indicato il Morris. All’interno della sinagoga l’anziano era l’insegnante, l’esecutore, e lo studente esperto della legge.

Il fatto che gli anziani governassero in chiesa, stato e famiglia nell’epoca del Vecchio Testamento non fece di quest’ufficio una istituzione. Il fattore unitario non provenne dall’assorbimento di un’istituzione dentro a un’altra, ma nella loro comune subordinazione alla legge e al loro comune uso della legge.

Il fatto che la chiesa abbia rilevato l’ufficio di anziano da Israele è un aspetto della sua affermazione d’essere il nuovo e vero Israele di Dio. La chiesa era ora la vera sinagoga di Dio, e il suo popolo il nuovo Israele. Lo scopo dell’ufficio fu creare una nuova società: il Regno di Dio, istituire la nuova creazione mediante la disciplina della sua parola-legge. Il suggello dell’approvazione di Dio sulla chiesa come il nuovo Israele, e degli anziani come i nuovi funzionari della legge di Dio fu l’imposizione delle mani e l’implicita unzione dello Spirito santo (1 Ti. 4:14).

L’ufficio di anziano ha, tra le sue qualifiche, la capacità d’insegnare, e la capacità di governare (1 Ti. 3:2-5). Significativamente, il legame con l’origine dell’ufficio rimane. L’anziano era in origine e sempre un uomo che governava una famiglia; ecco perché in Israele un governante (e tutti i governanti erano in un senso reale degli anziani) doveva essere un uomo sposato, un uomo già messo alla prova in autorità e governo. San Paolo riafferma questa qualifica come fatto imprescindibile: “Ma se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?” (1Ti. 3:5). L’ufficio di anziano richiede una società centrata sulla famiglia.

Il governo della nuova società cristiana fu complicato dal fatto della persecuzione. Gli uffici di diaconi e vedove, creati per funzionare sotto gli anziani, avevano per funzione il governo, il sollievo ai bisognosi, ministrare ai più giovani, l’istruzione, ecc. L’anziano in quanto insegnante nella prima chiesa funzionava pertanto in una sfera dopo l’altra, nella chiesa, in famiglia, nell’area del welfare per delega e supervisione, in educazione e, per il fatto che evitavano i tribunali civili, come governo civile.

Precisamente perché i tribunali romani erano “ingiusti” (1 Co. 6:1), gli anziani servivano come tribunale per giudicare controversie tra cristiani (1 Co. 6:1-3). Se un membro di chiesa rifiutava di dare ascolto alla correzione (Mt. 18:15-17), a quel punto poteva essere trattato come “un pagano e un pubblicano” e portato, se necessario, in un tribunale civile. Normalmente, il tribunale empio è da evitarsi perfino se ciò costerà un sacrificio (Mt. 5:40). Nell’Antico testamento non esistevano restrizioni all’uso dei tribunali perché i tribunali o erano nelle mani di anziani o ne riflettevano l’influenza. Le corti di giustizia americane, malgrado la loro corruzione, non hanno perso il loro carattere cristiano o il retaggio di legge biblica.

Paolo, in 1 Corinzi 6:2, dichiara: “Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo?”. Taluni, a causa del riferimento ad angeli nel verso 3 riferiscono questo giudizio al mondo a venire, ma il suo vero significato ha riferimento al tempo e all’eternità. La parola giudicare qui ha il senso veterotestamentario di governare. Moffat lo traduce con gestireGestire effettivamente trasmette il senso di un continuo governo da parte dei santi sul Regno di Dio nel tempo e nell’eternità.

Una delle conseguenze di esistere in un mondo ostile fu che la chiesa dovette assumere per i suoi membri la funzione di una totale società. Gli anziani o presbiteri erano centrali a questa funzione. L’ufficio di anziano cominciava con la famiglia. Mantenne non solo l’ufficio ma anche il concetto di famiglia nella nuova società di Cristo. Tutti i veri credenti erano membri della famiglia di Cristo. Una congregazione e una comunità di credenti si prendeva dunque cura dei suoi, poiché “se uno ha dei beni di questo mondo e vede il proprio fratello che è nel bisogno e gli chiude le sue viscere, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1Gv. 3:17). La letteratura della prima chiesa evidenzia questa posizione. Allo stesso tempo, l’indolenza non era tollerata: “se qualcuno non vuol lavorare neppure mangi” (2Te. 3:10). Inoltre, “Ma se uno non provvede ai suoi e principalmente a quelli di casa sua, egli ha rinnegato la fede ed è peggiore di un non credente” (1 Ti. 5:8). L’obbiettivo degli anziani e del loro insegnamento era pertanto di creare una comunità di credenti responsabili, responsabili per se stessi, per la loro famiglia e per i loro compagni credenti.

Ma questo non è tutto. Poiché i santi erano chiamati a gestire governare il mondo, molto rapidamente divenne loro proposito d’inserirsi in posizioni d’autorità e di potere. Le lettere di san Paolo mostrano chiaramente che prominenti romani furono convertiti. I saluti includono quelli “che sono della casa di Cesare” (Fl. 4:22). Nell’epoca Puritana, la pressione dei santi su ogni tipo d’ufficio in chiesa, stato, scuola, e commercio fu molto estesa.

Legge equivale a governo o regno: è l’espressione di un governo o di un regno e dell’applicazione di una sovranità sull’area di giurisdizione. Gli anziani, come ufficiali di una legge, della legge di Dio, sono pertanto chiamati ad applicare la legge di Dio in ogni sfera di vita. È dovere della casa cristiana, della scuola e della chiesa, formare anziani che applicheranno la legge di Dio a tutto il mondo. L’anziano non è governato dalla chiesa come un ufficiale subordinato che è mandato fuori nel mondo come un agente imperiale. Anzi, l’anziano governa nella sua sfera, come la chiesa nella sua, ciascuno come agenti imperiali di Cristo il Re. Su certi punti l’anziano è sotto l’autorità della chiesa, su altri è indipendente da essa.

La chiesa chiama e ordina i suoi anziani, ma non c’è ragione per limitare l’ufficio alla chiesa. Cristiani coinvolti in educazione, governo civile, scienze, giurisprudenza, ed altre professioni possono costituirsi come corpi cristiani ed esaminare ed ordinare uomini che faranno progredire la legge e il governo di Dio nella loro sfera. L’anzianato è una vocazione data da Dio e la chiesa è una delle agenzie nella quale la vocazione è adempiuta. Questa era la forma dell’ufficio in Israele e non c’è evidenza di cambiamenti nella natura dell’ufficio nel Nuovo Testamento. Il fatto che lo stesso nome dell’ufficio “anziano” sia stato mantenuto evidenzia la continuità.

In Apocalisse, inoltre, incontriamo “ventiquattro anziani” che simboleggiano la pienezza della chiesa di ambedue il Vecchio e il Nuovo Testamento. Anche la prassi giudaica d’intronare gli anziani vi è echeggiata, nel fatto che questi anziani “gettano le loro corone davanti al trono” (Ap. 4:10), indicando la suprema regalità di Dio. Gli anziani venivano intronati, come reminiscenza della vocazione originale di Adamo di essere sacerdote, profeta e re sulla creazione sotto Dio. La restaurazione di quel governo regale sotto Cristo è la funzione dell’anziano, ed è una vocazione in ogni ambito di vita.

Il concetto di anzianato o ministero fu fortemente rivitalizzato da Lutero in relazione alle università e i professori. La cattedra del professore era l’erede della cattedra dell’anziano della sinagoga e c’era un intronamento paragonabile. Ancora oggi, molti professori vengono insediati in una dotata “cattedra” senza che si rendano conto del significato del termine. Rosenstock-Huessy evidenziò che “Le università rappresentarono la vita dello Spirito santo nella nazione tedesca” [3].  L’opera dello Spirito santo attraverso l’ufficio e il ministero degli anziani fu visto come manifestato mediante il professore.

Comunque, il significato dell’anzianato sarà pienamente realizzato solo quando ogni vocazione legittima sarà vista come un’ambito di potenziale anzianato e sarà portata sotto il governo della parola-legge di Dio per mezzo di anziani o presbiteri che servono Dio.

Note:

1 Leon Morris, Ministers of God; London: Inter-Varsity Fellowship, 1964, p. 70 s.
2 W. E. Vine, Expository Dictionary of N. T. Words, p. 20 s; J. A. Selbie, “Elder (in O.T.)”, in James 'Hastings, Dictionary of the Bible, I, 676 s.

3 Eugen Rosenstock-Huessy, Out of Revolution, Autobiography of Western Man; New York: William Morrow, 1938, p. 395.

 

14. LA CHIESA.

1. IL SIGNIFICATO DELL’ANZIANATO

Poche uffici si sono deteriorati più radicalmente di quello dell’anziano. Il suo scopo originale è stato oscurato, la sua funzione perduta, e il suo scopo alterato.

Per comprendere il significato dell’ufficio di anziano, è necessario ricordare che l’ufficio non fu creato dalla chiesa ma è stato preso dalle usanze d’Israele. Come ha scritto Morris:

I primi cristiani erano tutti giudei, ed è una deduzione ragionevole che abbiano preso l’ufficio di anziano dal giudaismo con cui erano familiari. Di conseguenza saremo ricompensati se daremo un po’ d’attenzione agli anziani giudaici.

Questi uomini erano ufficiali responsabili dell’amministrazione della vita in comune dei giudei. Avevano responsabilità in ambedue quelli che oggi chiameremmo affari civili ed ecclesiastici. Probabilmente non fecero distinzioni chiare e semplici tra i due perché la loro legge era la legge di Mosè che tratta imparzialmente con ambedue. Inoltre, la loro unità organizzativa era la congregazione della sinagoga, e la sinagoga, oltre ad essere un luogo di culto era un luogo d’istruzione: una scuola. I Rabbini trattavano con ogni sorta di soggetti. Non rimanevano confinati in ciò che noi chiameremmo questioni religiose, ma dettavano anche le regole per la conduzione delle questioni civili.

Gli anziani venivano eletti dalla comunità e mantenevano l’ufficio a vita. Venivano ammessi alle loro funzioni con un rito solenne, che in tempi neotestamentari sembra fosse una cerimonia di intronizzazione. L’imposizione delle mani non sembra essere stata praticata a quel tempo, e probabilmente non fece la sua comparsa fino alla guerra di Bar Kochbe o successivamente. … A quanto pare, la funzione dell’anziano era centrata sulla legge. Essi dovevano studiarla, spiegarla e trattare con persone che l’avevano trasgredita.
Ci sono ovvie corrispondenze tra questo ufficio e quello dei primi anziani cristiani. L’importanza di queste corrispondenze si accentua quando riflettiamo che la chiesa cristiana risulta essere stata considerata all’inizio una branca del giudaismo. Le sue assemblee sembra siano state modellate sulla forma della sinagoga. Dieci maschi giudei qualsiasi potevano formare una sinagoga. Ed è probabile che le prime assemblee di cristiani fossero organizzate come sinagoghe. Di fatto una è chiamata proprio con questo nome in Giacomo 2:2 e ci sono prove che “La congregazione cristiana in Palestina continuò per lungo tempo ad essere designata con questo nome” (J. B. Lightfoot, Saint Paul Epistle to the Philippians, p. 192). … Costoro avrebbero sovrinteso gli affari della nuova società nello stesso modo in cui gli anziani giudei badavano alla sinagoga [1].

Per poter comprendere il retroterra ebraico dell’ufficio è importante riconoscere le sue origini nella famiglia e nella struttura tribale d’Israele. L’anziano era, per prima cosa, ciò che il nome indicava, un uomo attempato in una posizione d’autorità. Il termine anziano era comparativo perciò poteva significare un uomo che governava la sua casa. Questo capofamiglia, o di un gruppo di famiglie, sovrintendeva la disciplina e la giustizia all’interno della propria famiglia, la sua educazione, culto e sostegno economico; era anche responsabile della loro difesa contro i nemici. In questo modo, molto chiaramente, legge e ordine erano funzioni basilari dell’anziano, ma molto più che in un senso poliziesco, per il fatto che era dovere dell’anziano addestrare chi gli era affidato in uno stie di vita. L’interesse dell’anziano era dunque religioso, civile, educazionale e vocazionale. Provvedeva anche per il welfare della sua casa.

Secondo, gli anziani formavano la base del governo civile. Poiché uomini che governavano in modo così esteso le loro proprie case erano i meglio addestrati a governare, Mosè si rivolse agli anziani, su comando di Dio, per formare un gruppo di settanta per governare Israele (Nu. 11:16). Questi uomini governavano sotto Mosè e lo aiutarono nell’istruire il popolo nelle implicazioni della legge (De. 27:1). Il governo locale era nelle mani di anziani (De. 19:12; 21:2; 22:15; 25:7; Gs. 25:4; Gc. 8:14; Ru. 4:2). A questi anziani è fatto riferimento anche nei vangeli (Mt. 16:21; 26:47; Lu. 7:3). Nell’era del Nuovo Testamento alcuni anziani governavano nel Sinedrio ed erano esperti della legge, altri governavano a livello locale [2].

Terzo, gli anziani governavano le sinagoghe, come ha indicato il Morris. All’interno della sinagoga l’anziano era l’insegnante, l’esecutore, e lo studente esperto della legge.

Il fatto che gli anziani governassero in chiesa, stato e famiglia nell’epoca del Vecchio Testamento non fece di quest’ufficio una istituzione. Il fattore unitario non provenne dall’assorbimento di un’istituzione dentro a un’altra, ma nella loro comune subordinazione alla legge e al loro comune uso della legge.

Il fatto che la chiesa abbia rilevato l’ufficio di anziano da Israele è un aspetto della sua affermazione d’essere il nuovo e vero Israele di Dio. La chiesa era ora la vera sinagoga di Dio, e il suo popolo il nuovo Israele. Lo scopo dell’ufficio fu creare una nuova società: il Regno di Dio, istituire la nuova creazione mediante la disciplina della sua parola-legge. Il suggello dell’approvazione di Dio sulla chiesa come il nuovo Israele, e degli anziani come i nuovi funzionari della legge di Dio fu l’imposizione delle mani e l’implicita unzione dello Spirito santo (1 Ti. 4:14).

L’ufficio di anziano ha, tra le sue qualifiche, la capacità d’insegnare, e la capacità di governare (1 Ti. 3:2-5). Significativamente, il legame con l’origine dell’ufficio rimane. L’anziano era in origine e sempre un uomo che governava una famiglia; ecco perché in Israele un governante (e tutti i governanti erano in un senso reale degli anziani) doveva essere un uomo sposato, un uomo già messo alla prova in autorità e governo. San Paolo riafferma questa qualifica come fatto imprescindibile: “Ma se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?” (1Ti. 3:5). L’ufficio di anziano richiede una società centrata sulla famiglia.

Il governo della nuova società cristiana fu complicato dal fatto della persecuzione. Gli uffici di diaconi e vedove, creati per funzionare sotto gli anziani, avevano per funzione il governo, il sollievo ai bisognosi, ministrare ai più giovani, l’istruzione, ecc. L’anziano in quanto insegnante nella prima chiesa funzionava pertanto in una sfera dopo l’altra, nella chiesa, in famiglia, nell’area del welfare per delega e supervisione, in educazione e, per il fatto che evitavano i tribunali civili, come governo civile.

Precisamente perché i tribunali romani erano “ingiusti” (1 Co. 6:1), gli anziani servivano come tribunale per giudicare controversie tra cristiani (1 Co. 6:1-3). Se un membro di chiesa rifiutava di dare ascolto alla correzione (Mt. 18:15-17), a quel punto poteva essere trattato come “un pagano e un pubblicano” e portato, se necessario, in un tribunale civile. Normalmente, il tribunale empio è da evitarsi perfino se ciò costerà un sacrificio (Mt. 5:40). Nell’Antico testamento non esistevano restrizioni all’uso dei tribunali perché i tribunali o erano nelle mani di anziani o ne riflettevano l’influenza. Le corti di giustizia americane, malgrado la loro corruzione, non hanno perso il loro carattere cristiano o il retaggio di legge biblica.

Paolo, in 1 Corinzi 6:2, dichiara: “Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo?”. Taluni, a causa del riferimento ad angeli nel verso 3 riferiscono questo giudizio al mondo a venire, ma il suo vero significato ha riferimento al tempo e all’eternità. La parola giudicare qui ha il senso veterotestamentario di governare. Moffat lo traduce con gestireGestire effettivamente trasmette il senso di un continuo governo da parte dei santi sul Regno di Dio nel tempo e nell’eternità.

Una delle conseguenze di esistere in un mondo ostile fu che la chiesa dovette assumere per i suoi membri la funzione di una totale società. Gli anziani o presbiteri erano centrali a questa funzione. L’ufficio di anziano cominciava con la famiglia. Mantenne non solo l’ufficio ma anche il concetto di famiglia nella nuova società di Cristo. Tutti i veri credenti erano membri della famiglia di Cristo. Una congregazione e una comunità di credenti si prendeva dunque cura dei suoi, poiché “se uno ha dei beni di questo mondo e vede il proprio fratello che è nel bisogno e gli chiude le sue viscere, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1Gv. 3:17). La letteratura della prima chiesa evidenzia questa posizione. Allo stesso tempo, l’indolenza non era tollerata: “se qualcuno non vuol lavorare neppure mangi” (2Te. 3:10). Inoltre, “Ma se uno non provvede ai suoi e principalmente a quelli di casa sua, egli ha rinnegato la fede ed è peggiore di un non credente” (1 Ti. 5:8). L’obbiettivo degli anziani e del loro insegnamento era pertanto di creare una comunità di credenti responsabili, responsabili per se stessi, per la loro famiglia e per i loro compagni credenti.

Ma questo non è tutto. Poiché i santi erano chiamati a gestire governare il mondo, molto rapidamente divenne loro proposito d’inserirsi in posizioni d’autorità e di potere. Le lettere di san Paolo mostrano chiaramente che prominenti romani furono convertiti. I saluti includono quelli “che sono della casa di Cesare” (Fl. 4:22). Nell’epoca Puritana, la pressione dei santi su ogni tipo d’ufficio in chiesa, stato, scuola, e commercio fu molto estesa.

Legge equivale a governo o regno: è l’espressione di un governo o di un regno e dell’applicazione di una sovranità sull’area di giurisdizione. Gli anziani, come ufficiali di una legge, della legge di Dio, sono pertanto chiamati ad applicare la legge di Dio in ogni sfera di vita. È dovere della casa cristiana, della scuola e della chiesa, formare anziani che applicheranno la legge di Dio a tutto il mondo. L’anziano non è governato dalla chiesa come un ufficiale subordinato che è mandato fuori nel mondo come un agente imperiale. Anzi, l’anziano governa nella sua sfera, come la chiesa nella sua, ciascuno come agenti imperiali di Cristo il Re. Su certi punti l’anziano è sotto l’autorità della chiesa, su altri è indipendente da essa.

La chiesa chiama e ordina i suoi anziani, ma non c’è ragione per limitare l’ufficio alla chiesa. Cristiani coinvolti in educazione, governo civile, scienze, giurisprudenza, ed altre professioni possono costituirsi come corpi cristiani ed esaminare ed ordinare uomini che faranno progredire la legge e il governo di Dio nella loro sfera. L’anzianato è una vocazione data da Dio e la chiesa è una delle agenzie nella quale la vocazione è adempiuta. Questa era la forma dell’ufficio in Israele e non c’è evidenza di cambiamenti nella natura dell’ufficio nel Nuovo Testamento. Il fatto che lo stesso nome dell’ufficio “anziano” sia stato mantenuto evidenzia la continuità.

In Apocalisse, inoltre, incontriamo “ventiquattro anziani” che simboleggiano la pienezza della chiesa di ambedue il Vecchio e il Nuovo Testamento. Anche la prassi giudaica d’intronare gli anziani vi è echeggiata, nel fatto che questi anziani “gettano le loro corone davanti al trono” (Ap. 4:10), indicando la suprema regalità di Dio. Gli anziani venivano intronati, come reminiscenza della vocazione originale di Adamo di essere sacerdote, profeta e re sulla creazione sotto Dio. La restaurazione di quel governo regale sotto Cristo è la funzione dell’anziano, ed è una vocazione in ogni ambito di vita.

Il concetto di anzianato o ministero fu fortemente rivitalizzato da Lutero in relazione alle università e i professori. La cattedra del professore era l’erede della cattedra dell’anziano della sinagoga e c’era un intronamento paragonabile. Ancora oggi, molti professori vengono insediati in una dotata “cattedra” senza che si rendano conto del significato del termine. Rosenstock-Huessy evidenziò che “Le università rappresentarono la vita dello Spirito santo nella nazione tedesca” [3].  L’opera dello Spirito santo attraverso l’ufficio e il ministero degli anziani fu visto come manifestato mediante il professore.

Comunque, il significato dell’anzianato sarà pienamente realizzato solo quando ogni vocazione legittima sarà vista come un’ambito di potenziale anzianato e sarà portata sotto il governo della parola-legge di Dio per mezzo di anziani o presbiteri che servono Dio.

Note:

1 Leon Morris, Ministers of God; London: Inter-Varsity Fellowship, 1964, p. 70 s.
2 W. E. Vine, Expository Dictionary of N. T. Words, p. 20 s; J. A. Selbie, “Elder (in O.T.)”, in James 'Hastings, Dictionary of the Bible, I, 676 s.

3 Eugen Rosenstock-Huessy, Out of Revolution, Autobiography of Western Man; New York: William Morrow, 1938, p. 395.

 

3. LA PASQUA CRISTIANA

Uno dei fatti più ovvi dell’Ultima Cena è che fu celebrata al pasto pasquale. La continuità del patto rinnovato o nuovo con quello vecchio fu marcata dalla coincidenza dei due riti. Il fatto che Gesù avesse selezionato dodici discepoli rese chiaro che la sua comunità era il nuovo Israele di Dio. Non è possibile comprendere il Nuovo Testamento se la sua continuità col vecchio sia negata o sottovalutata.

Mentre stavano mangiando la pasqua, Gesù richiamò l’attenzione al pianificato tradimento di Giuda e poi mandò fuori Giuda (Mt. 26:21; Gv. 13:30). Poi, “mentre mangiavano” (Mt. 26:26; Mr. 14:22), Gesù istituì la pasqua cristiana nel suo corpo e nel suo sangue.

Per comprendere la pasqua cristiana è imperativo analizzare la pasqua ebraica. Di conseguenza certi aspetti della pasqua originale richiedono attenzione.

Prima di tutto, la pasqua celebrava la liberazione dall’Egitto e dalla decima piaga, la morte dei primogeniti. Si trattava pertanto della salvezza del Vecchio Testamento, e marcava l’inizio dei sabati, il giorno di riposo del Signore che commemorava la salvezza (De. 5:15; Es. 12:12, 13). Il primo giorno della festività cade il 15 di Nisan (marzo-aprile) festività che dura otto giorni. Il rituale della pasqua, se inizia in un giorno feriale, comincia così:

Benedetto tu sei, o Eterno, nostro Dio, Re dell’universo, Creatore del frutto della vigna.
Benedetto tu sei, o Eterno, nostro Dio, Re dell’universo, che ci ha scelti tra tutti i popoli e ci ha esaltati tra le nazioni, e ci ha santificati con i suoi comandamenti. E Tu, o Eterno, nostro Dio, ci hai dato (giorni di sabato per i riposo e) giorni di festa per la gioia, (questo sabato e i giorni di) questa festa dei pani azzimi, il tempo della nostra liberazione (in amore) rimembranza della partenza dall’Egitto. Infatti, noi hai tu scelto e santificato tra tutte le nazioni, e hai fatto sì che ereditassimo il tuo santo (sabato e) i tuoi giorni di festa (in amore e favore). Benedetto tu sei, o Eterno, che benedici (il sabato e) Israele e i giorni della festa.

Queste parole rendono evidente il fatto dell’elezione e il fatto che la santificazione è mediante la legge: “ci ha santificati con i suoi comandamenti”. Il servizio ortodosso pertanto riflette ancora la corretta dottrina: giustificazione per grazia elettiva e santificazione per legge. I capitoli 12 e 13 di Esodo testimoniano del fatto della grazia e citano la richiesta di obbedienza alla legge (13:9).

Allo stesso modo, la pasqua cristiana celebra il giorno cristiano della salvezza, la vittoria di Cristo sul peccato e la morte, e quindi il giorno della resurrezione marca l’inizio del sabato cristiano. Nella maggior parte delle liturgie del sacramento, la lettura della legge: i Dieci Comandamenti, è fondamentale. Nel libro delle Common Prayer, la legge viene letta all’inizio del servizio, benché possa essere omessa se letta almeno una domenica ogni mese. Se omessa, viene letto il sommario della legge. Nell’ultimo ordine per il servizio della comunione di Calvino, e in quello di Knox per la prima comunione in Scozia, la legge non veniva letta, ma compariva nelle liturgie nella forma della scomunica pronunciata specialmente contro tutti i trasgressori della legge.

Secondo, la pasqua ebraica è un servizio svolto in famiglia, e Dio ordinò che il figlio non solo faccia la domanda di rito ma che il servizio sia rivolto a lui (Es. 13:14). Il figlio più giovane quindi normalmente fa la domanda circa il significato del servizio, e lo scopo delle parole del padre- sacerdote è di fargli conoscere il significato della pasqua. Il più giovane presente fa le “quattro domande” che investigano il significato del rito notturno. Allora il capo famiglia e altri partecipanti raccontano la storia della liberazione dall’Egitto e il suo significato.

La pasqua cristiana è anch’essa una celebrazione fatta dalla famiglia di Cristo. Di conseguenza, i bambini partecipavano degli elementi. La prima chiesa s’incontrava nelle case, usualmente di notte visto che il primo giorno della settimana era allora un giorno lavorativo. Il sacramento veniva celebrato come un’agape, una festa dell’amore, una cena comune di tutti i membri. I bambini condividevano il pasto. Niente è più chiaro del fatto che gli infanti venivano battezzati, confermati, e partecipavano degli elementi per forse i primi nove o dieci secoli dell’era cristiana.

La forma ebraica della legge del Vecchio Testamento era molto forte nella chiesa. (Ancora oggi, un messale Cattolico Romano nota, nel suo ordine per la messa, ad un punto: “Celebrazione della Parola”, “Questo è stato preso dal servizio della sinagoga d’Israele”) [1].  Di conseguenza, scostarsi dalla pratica di battezzare nell’ottavo giorno richiedeva l’azione di un concilio di chiesa. Fidus, un vescovo africano aveva sollevato la questione riguardo a “se gli infanti dovessero essere battezzati, se la necessità lo richiedesse, appena nati, o non invece aspettando l’ottavo giorno, secondo la regola data nel caso della circoncisione?”. La risposta sinodale di san Cipriano e di un concilio di sessantasei vescovi fu questa:

Riguardo al caso degli infanti, nel quale tu giudichi che non debbano essere battezzati entro due o tre giorni dalla nascita; e che si debba osservare la regola della circoncisione, talché nessuno dovrebbe essere battezzato e santificato prima dell’ottavo giorno dopo la nascita, nel nostro concilio noi fummo tutti dell’opinione contraria. È stata nostra risoluzione e unanime giudizio che la misericordia e la grazia di Dio non debba essere negata a nessuno non appena sia nato [2] .

L’ovvia intenzione di questa decisione fu di permettere il battesimo di neonati che sarebbero potuti morire prima dell’ottavo giorno e che sarebbero pertanto rimasti senza battesimo. Apparentemente prevaleva quel timore che a tali bambini sarebbe stata negata la salvezza pattizia perché privi del rito del patto. In essenza, il requisito veterotestamentario dell’ottavo giorno fu riconosciuto e fu accantonato solamente per supplire alle emergenze. Non è qui nostro scopo analizzare la visione del battesimo sostenuta dal concilio ma semplicemente di richiamare l’attenzione sul persistere della forma veterotestamentaria. Tornando al servizio della comunione, è chiara l’evidenza “che la comunione stessa era data agli infanti, e ciò immediatamente a partire dal loro battesimo”. Come notava il Bingham, questo fatto “è menzionato con frequenza da Cipriano, Austino, Innocenzo e Gennadio, scrittori che vanno dal terzo a quinto secolo. Maldonat confessa che è stata nella chiesa per seicento anni e alcune delle autorità dimostrano che è continuata per altri due o tre secoli, e che è stata pratica comune oltre il tempo di Carlomagno” [3].  Questo fatto rappresentò il persistere della forma veterotestamentaria, molto chiaramente. Non può essere fornita nessuna prova biblica per eliminare i bambini dal sacramento. Il senso della vita pattizia è distrutta e la legge di Dio violata dalla loro esclusione. La ragione per la loro esclusione è trovata in 1 Corinzi: 11:28, la richiesta dell’auto- esame, esattamente come la limitazione del pasto a un atto simbolico è basato sui versi 22 e 34. Ci può essere del fondamento per quest’ultimo fatto benché non possa esserci limitazione del sacramento al solo atto simbolico. In ogni caso, l’auto-esame era parte della cerimonia ebraica.

Questo ci porta al terzo punto d’importanza, l’aspetto della preparazione per la pasqua. Nella dimora ebraica, il 13° di Nisan, la sera, il capofamiglia perquisiva la casa con una candela accesa per eliminare ogni lievito incluso tutto il pane fatto con pasta lievitata di frumento, orzo, farro, avena e segale [4]. Poi. Durante il Seder, i primi due giorni della festività pasquale “l’enfasi sulla partecipazione dei bambini” era pronunciata [5].  Come si riconciliano questi due fatti col requisito della preparazione e dell’auto- esame? Come si possono includere i bambini?

Il rito di perquisire la casa per eliminare ogni lievito era un simbolo messo in scena della necessità d’eliminare la corruzione dalla vita della famiglia e dall’individuo. In quanto tale, era un vivido segno a tutti i bambini fin dalla più tenera età della necessità dell’auto-esame, la necessità di eliminare dalle loro vite ogni influenza e abitudine corruttiva. Il bambino, in quanto membro del patto, fin dalle sue prime memorie veniva dunque istruito nel significato di partecipazione nel patto. I primi cristiani ne spinsero le implicazioni più avanti di quanto facessero gli ebrei perché i bambini in braccio ricevevano gli elementi che venivano posti nelle loro bocche; più di qualche credenza superstiziosa potrebbe essere entrata in questa pratica. Ciò non elimina il requisito biblico che il servizio includa tutti i bambini in grado di fare la domanda concernente il significato del servizio. In più, Il servizio è tanto una celebrazione che un servizio d’insegnamento, per istruire tutti i presenti nel fatto della salvezza e del suo significato.

Quarto, la pasqua commemorava una vittoria e guardava avanti a ulteriore vittoria. La parola salvezza, può essere tradotta anche vittoria. Il servizio giudaico ortodosso ad un certo punto dice: “Possa Colui che è il più misericordioso spezzare il giogo della nostra cattività dal nostro collo, e condurci in sicurezza nella nostra terra”. Questa è una fede orientata al futuro, una che si aspetta la vittoria, e poi guarda alla venuta di Elia come suo araldo.

Similmente, la pasqua cristiana ha il suo scopo dichiarato da san Paolo: “Poiché ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Co. 11:26). Secondo Hodge, il significato di questo verso è che:

Come la pasqua era una commemorazione perpetua della liberazione dall’Egitto, e una predizione della venuta e della morte dell’Agnello di Dio, che avrebbe portato i peccati del mondo; così la cena del Signore è insieme una commemorazione della morte di Cristo e una caparra della sua venuta la seconda volta senza peccato per la salvezza [6].

Più che vero, ma è questo tutto il suo significato? Calvino commentò:

La Cena dunque è (per così dire) un tipo di memoriale che deve sempre rimanere nella chiesa fino alla venta finale di Cristo; ed è stata ordinata per questo scopo: che Cristo ci possa mettere in mente il beneficio della sua morte in modo che noi lo riconosciamo davanti agli uomini. Ecco perché si chiama Eucarestia (da avendo dato grazie) [7].

Questo è migliore, perché Calvino parlò “dei benefici della sua (di Cristo) morte”. Il significato della morte del Signore è la morte del peccato e della morte: significa salvezza o vittoria. La pasqua cristiana deve dichiarare la vittoria di Dio e del popolo di Dio. “I mansueti possederanno la terra e godranno di una grande pace” (Sl. 37:11).

La dimensione di vittoria è così basilare al sacramento che osservarlo senza una dichiarazione di quella vittoria è negare il sacramento. La pasqua del Vecchio Testamento, che è un retaggio di tutti i cristiani, vide l’uccisione di tutti i primogeniti d’Egitto e il popolo di Dio liberato dalla schiavitù. La pasqua del Nuovo Testamento ha visto il popolo di Dio, in se stessi peccatori, liberati per la morte del primogenito di Dio nel quale hanno la vittoria.

Quinto, la morte del primogenito è basilare alla pasqua. Nella pasqua del Vecchio Testamento, i primogeniti d’Egitto furono uccisi; la richiesta ad Israele fu: “Consacrami ogni primogenito, quello che apre il grembo tra i figli d’Israele, tanto di uomini che di animali; esso mi appartiene” (Es. 13:13) La pasqua è vita e vittoria per coloro i quali sono fedeli al patto: porta alla terra promessa.

Nella pasqua cristiana, la sentenza di morte sui primogeniti del patto, che sono tutti peccatori, è assunta dal primogenito di Dio, Gesù Cristo, il nuovo Adamo. La sentenza di morte è infine applicata a tutti gli altri. Per il popolo del patto di Cristo, la pasqua significa liberazione e passaggio nella terra promessa. Questa è vittoria nel tempo e nell’eternità. I giudei, da tempo immemore hanno celebrato la loro pasqua dichiarando: L’anno prossimo a Gerusalemme. Tale spirito echeggia la vittoria della pasqua originale. La vittoria della pasqua cristiana è ben più grande. Un’osservanza della Mensa del Signore che sia priva di questa nota di vittoria è un negare il sacramento.

La pasqua cristiana significa dunque che tutti gli uomini fuori dal patto sono sotto la decima piaga. Solo quelli al suo interno sono coperti dal sangue dell’Agnello e certi della vittoria e del passaggio alla terra promessa, la nuova creazione di Dio. San Paolo fece riferimento ad ambedue, l’auto- esame (purificare la dimora dal lievito), e la vittoria su tutti i nemici, quando scrisse: “Togliete via dunque il vecchio lievito affinché siate una nuova pasta, come ben siete senza lievito, la nostra pasqua infatti, cioè Cristo, è stata immolata per noi. Celebriamo perciò la festa …” (1 Co. 5:7-8).

Note:

The New Saint Andrew Bible Missal; New York: Benzinger Brothers, 1966, p. 903. Preparato da una Commissione per il Messale dell’Abbazia di Saint Andrew.

2 Joseph Bingham, The Antiquities of the Christian Church; London: Bohn, 1850, I, 495; libro XI, cap. IV, 11.

Ibid, p. 545; libro XII, cap. I, 3.
4 W. J. Moulton, “Passover” in Hastings, Dictionary of the Bible, III, 691.

5 “Seder” in David Bridges, Samuel Wolk, The New Jewish Encyclopedia; New York: Berhman, 1962, p. 436.

6 Charles Hodge, Commentary on the First Epistle to the Corinthians; Grand Rapids: Eerdmans, 1950, in ristampa, p. 229 s.

7 John Calvin, Commentary on the Epistles of Paul the Apostle to the Corinthians; Grand Rapids: Eerdmans, 1948, I, 384.

 

4. CIRCONCISIONE E BATTESIMO

La correlazione tra circoncisione e battesimo, l’uno che succede all’altra come segno del patto, era così stretta che, come abbiamo visto, ai giorni di Cipriano ci volle l’azione di un concilio della chiesa per permettere il battesimo prima dell’ottavo giorno. Poiché la legge della circoncisione richiedeva che il rito si svolgesse l’ottavo giorno (Ge. 17:12; Le. 12:3), si credeva che il battesimo non dovesse precedere l’ottavo giorno e l’azione del concilio fu necessaria per alterare questa convinzione. La prima chiesa pertanto non solo riconobbe che il battesimo fosse il successore della circoncisione come segno del patto, ma anche che le medesime leggi li governavano ambedue. Precisamente perché questo fatto fu sempre riconosciuto, il battesimo degli infanti fu inevitabilmente una realtà nella prima chiesa [1].

La circoncisione, come segno del patto, rendeva una testimonianza riguardo alla natura decaduta dell’uomo e del bisogno di una nuova natura nel patto di Dio. Come notò Vos:

La circoncisione ha qualcosa a che fare con il processo della procreazione, non nel senso che l’atto in sé sia peccaminoso, perché non esiste traccia di questa idea in nessuna parte dell’Antico Testamento; non è l’atto, ma il prodotto, cioè la natura umana, ad essere impura, ad avere bisogno di purificazione e di rinnovamento. Quindi la circoncisione non è, come per i pagani, praticata sui giovani divenuti adulti, ma sui neonati di otto giorni d’età. La natura umana è impura e inadeguata fin dalla sua origine. Il peccato, di conseguenza, non è solo una questione individuale, ma di razza. Nell’Antico Testamento, il bisogno di una modificazione dovette essere posto in particolare rilievo. A quel tempo, le promesse di Dio avevano un immediato riferimento a cose naturali e temporali, quindi c’era il pericolo di ritenere che la discendenza naturale avesse il diritto alla grazia di Dio. La circoncisione insegna che la discendenza fisica di Abrahamo non è sufficiente per fare dei veri Israeliti: devono essere rimosse l’impurità e l’inadeguatezza della natura. Dogmaticamente parlando, pertanto, la circoncisione rappresenta la giustificazione e la rigenerazione, più la santificazione (Romani 4:9-12; Colossesi 2:11-13) [2] .

La circoncisione, con una simbolica recisione sull’organo delle generazione dichiarava che non c’è speranza nella generazione, ma solo nella rigenerazione; l’uomo può solamente riprodurre la sua natura decaduta; non la può trascendere.

Simbolicamente la circoncisione rappresenta una forma di morte, un taglio della vita. Rappresenta anche la rimozione di un impedimento; in Esodo 6:12, 30, è usata metaforicamente “per rimuovere l’incapacità di parlare”. Ripetutamente si parla di un cuore non-rigenerato come di un cuore incirconciso (Le. 26:41; De. 10:16; 30:6; Gr. 4:4; 6:10 parlano dell’orecchio; 9:25, 26; Ez. 44:7; Ro. 2:25-29; Fl. 3:3; Cl. 2:11-13) [3].

La circoncisione come un segno di morte puntava alla morte di Cristo come rappresentante dall’uomo. Trumbull ha notato che “nel rito della circoncisione era Abrahamo e i suoi discendenti che fornivano il sangue del patto, mentre nel sacrificio pasquale fu il Signore a comandare il sangue sostitutivo come caparra del suo fare patto mediante il sangue” [4].

Poiché Cristo venne come vero uomo da vero uomo e vero Dio da vero Dio, egli fornì il sangue del patto, morendo come vero uomo per la violazione del patto fatta dall’uomo e, come vero Dio, a morire come nostro immacolato sostituto e perfetto adempitore della legge, il quale, con la sua morte spezzò il dominio del peccato e della morte. Il sangue della circoncisione e quello dell’agnello pasquale tipizzavano l’opera di Cristo. Siccome la sua opera sulla croce è stata compiuta, il sangue ha cessato d’essere un aspetto dei riti pattizi fatta eccezione per un senso commemorativo. Nella pasqua cristiana, il vitalizzante e rinfrescante vino lo sostituisce come segno del suo sangue sparso. I vecchi riti guardavano innanzi a Cristo e indietro ad Adamo e ad Abrahamo e alla pasqua in Egitto. I nuovi riti del patto guardano indietro ad Abrahamo e Adamo, alla morte e resurrezione di Cristo; guardano avanti alla sua vittoria e riconquista della terra, e a una nuova creazione. Il vecchio patto fu inaugurato con sangue subito dopo la Caduta e con Abrahamo; guardava avanti al sangue espiatorio di Cristo tipizzato nel sangue degli animali sacrificali. Il rinnovato patto in Cristo cominciò nel suo sangue ma guarda avanti al glorioso regno del Re in un reame di pace, come predetto da Isaia. Di conseguenza, per questo motivo, il sangue ha cessato d’essere un aspetto dei riti pattizi.

Il battesimo esprime la nostra morte e resurrezione in Cristo, la nostra rigenerazione, adozione, incorporamento nel patto di grazia. Testimonia della grazia più che essere esso stesso grazia. Come notò sant’Agostino è “il sacramento della grazia, e il sacramento dell’assoluzione, piuttosto che grazia e assoluzione in sé” [5].  La prima chiesa vide l’illuminazione come un aspetto del battesimo, la nuova comprensione di un cuore rinnovato; il battesimo fu chiamato anche “il marchio regale del carattere”, e “il carattere del Signore” [6].  Consapevoli della sua correlazione col rito del Vecchio Testamento, alcuni padri della chiesa parlarono del battesimo come “la grande circoncisione”[7].  In obbedienza a Matteo 28:19, fu fin dal principio considerato valido solo se fatto nel nome della Trinità.

Certe classi di persone erano precluse dal battesimo a meno che non abbandonassero la loro professione: aurighi, gladiatori, corridori, curatori delle gare comuni, partecipanti alle gare olimpiche, musicisti, cantinieri ed altri, cioè tutte le persone la cui vocazione lavorativa era parte delle cerimonie religiose pagane. Erano inoltre esclusi in qualsiasi circostanza astrologi, maghi, indovini, streghe e simili. Essendo teatro e circo aspetti di paganesimo particolarmente depravati, a chi li frequentava era rifiutato il battesimo. Lo stesso valeva per i poligami.

Poiché il battesimo significava in parte la morte del credente e la sua rinascita e resurrezione in Cristo, fu molto presto associato col periodo pasquale, benché non in modo esclusivo. Questo stesso aspetto, la rinascita, portò ad un’usanza interessante che sopravvisse per alcuni secoli come basilare al battesimo, vale a dire il battesimo, usualmente per immersione, da nudi. Aspersione e immersione erano ambedue usati dalla chiesa, che riconobbe l’aspersione, seguendo Ezechiele 36:25, come segno del nuovo patto. L’aspersione fu inoltre una pratica comune molto presto. L’enfasi sulla morte e la rinascita portò a sottolineare l’immersione come rappresentare simbolicamente questo fatto. Le persone erano nate nude; di conseguenza erano rinate nude nel battesimo. Nessuna opera dell’uomo non rigenerato poteva essere portata in cielo; pertanto, il candidato si spogliava simbolicamente di ogni vestiario per indicare di non possedere nulla eccetto la grazia di Dio. In alcune chiese, per alcune generazioni, ci furono due battisteri perché uomini e donne venivano battezzati separatamente. Romani 6:4 e Colossesi 2:12 erano passi citati per confermare questa pratica del simbolismo della sepoltura e della resurrezione. Questa pratica del battesimo nudi indica quanto seriamente fu preso dalla prima chiesa il simbolismo biblico; niente fu evitato, e talvolta ne risultarono applicazioni eccessivamente alla lettera.

Un aspetto del simbolismo della nudità era il paragone con Adamo:

San Crisostomo, parlando del battesimo dice: Gli uomini erano nudi come Adamo in Paradiso; ma con questa differenza: Adamo era nudo perché aveva peccato, ma nel battesimo, un uomo era nudo per poter essere liberato dal peccato; l’uno fu svestito della sua gloria che un tempo aveva, ma l’altro s’è tolto l’uomo vecchio, cosa che fece con la stessa facilità con cui si tolse i vestiti. Sant’Ambrogio dice: Gli uomini vengono alla fonte battesimali nudi come quando sono venuti al mondo; e da questo egli trae un argomento mediante un’allusione ai ricchi, dicendo loro quanto assurdo fosse che un uomo che è nato nudo da sua madre, e ricevuto nudo nella chiesa, potesse pensare di andare ricco in paradiso. Cirillo di Gerusalemme prende nota della circostanza insieme con la ragione per essa quando si rivolge così alla persona appena battezzata: non appena sei giunto in prossimità del battistero ti sei tolto i vestiti che sono un emblema del deporre il vecchio uomo con le sue opere, ed essendo in questo modo svestito, sei rimasto nudo, imitando Cristo che stette nudo sulla croce, e che con la sua nudità ha spogliato principati e potenze trionfando su di loro sulla croce. Oh, cosa stupenda! Fosti nudo davanti agli uomini e non ne avesti vergogna, in ciò imitando realmente il primo Adamo, che fu nudo in Paradiso e non ne provò vergogna. Così anche Amphilochius, nella Vita di san Basilio, parlando del suo battesimo, dice: Si alzò con timore, si tolse i vestiti, e con essi il vecchio uomo. … Atanasio, nelle sue invettive contro gli Ariani, tra le altre cose, li accusò di questo, che da loro persuasi alcuni giudei e gentili irruppero nel battistero, e fecero sui catecumeni che stavano per battezzarsi nudi, abusi tali che sarebbe vergognoso e abominevole raccontare [8].

Il battesimo, come abbiamo visto, è citato da san Paolo tipizzare, tra le altre cose, la nostra morte e rinascita in Cristo (Ro. 6:4; Cl. 2:12). Questo era un’aspetto anche della circoncisione. La circoncisione non solo significava nuova vita nel Signore del patto, ma, per chi lo trasgrediva o rinnegava significava anche la morte. Come ha indicato Kline:

Le considerazioni generali e specifiche tutte insieme puntano alla conclusione che la circoncisione era il segno della imprecazione/ maledizione della ratificazione pattizia. Nel taglio del prepuzio era simbolizzato il giudizio di escissione dalla relazione pattizia [9].

Il sacrificio pattizio di Genesi 15:9 ss. Come pure il marchio della circoncisione testificano la maledizione sul trasgressore del patto, ovvero che sarà tagliato via.

Kline ha ragione nel richiamare l’attenzione sullo stesso aspetto di giudizio nel battesimo.

Paolo descrisse l’ordalia di Israele nel Mar Rosso come un essere battezzati (1 Co. 10:2) e Pietro in effetti definisce l’ordalia noachide del diluvio: un battesimo (1 Pi. 3:21). … Ma su questo punto è di particolare rilevanza il fatto che Giovanni Battista stesso usò il verbo baptizo per l’incombente prova in cui l’Uno più forte di lui avrebbe brandito il ventilabro per separare dal regno pattizio coloro la cui circoncisione, per mancanza della fede abramica, era diventata incirconcisione e che dovevano perciò essere tagliati via dalla congregazione d’Israele ed essere destinati al fuoco inestinguibile. Facendo riferimento a questa prova giudizialmente discriminante, col suo duplice destino di raccolta nel granaio e Genna, Giovanni dichiarò: “Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco” (Mt. 3:11s.; Lu. 3:16s.; cfr. Mr. 1:8) [10].

Mancare di fedeltà al patto significava essere tagliati via, spazzati via dal diluvio del giudizio, distrutti dal fuoco dell’ira di Dio. In questo modo, gli stessi segni del patto sono anche segni del certo giudizio di Dio sui trasgressori del patto dall’inizio della storia. Tutti gli uomini sono trasgressori del patto, ma i circoncisi della chiesa del Vecchio Testamento (ed è stata chiamata una chiesa in Atti 7:38) e i battezzati del Nuovo, lo sono doppiamente. Questa consapevolezza può aver contribuito al procrastinare il battesimo nella prima chiesa con molti che lo rimandavano al punto di morte: tale pratica era, ovviamente, un peccato contro il patto. Il commento di Kline sul battesimo di Gesù esprime chiaramente l’aspetto di giudizio:

Gesù che riceve il battesimo da Giovanni può essere compreso più facilmente con questo approccio. In quanto servo pattizio, Gesù si sottomise simbolicamente al giudizio del Dio del patto nell’acqua del battesimo. Ma per Gesù in quanto Agnello di Dio, sottomettersi al simbolo del giudizio era offrire se stesso alla maledizione del patto. Col suo battesimo Gesù si stava consacrando alla sua morte sacrificale nell’ordalia giudiziale della croce. Tale comprensione del suo battesimo è riflessa nel riferimento di Gesù stesso alla sua prossima passione come di un battesimo: “Io ho un battesimo di cui devo essere battezzato” (Lu. 12:50; cfr. Mr. 10:38). Il simbolico battesimo di Gesù per il giudizio si concluse appropriatamente con un verdetto divino, il verdetto di giustificazione pronunciato dalla voce celeste e suggellato dall’unzione dello Spirito, la caparra al Messia dell’eredità del regno (Mt. 3:16, 17; Mr. 1:10, 11; Lu. 3:22; cfr. Gv. 1:32, 33; Sl. 2:7 s.). Questo verdetto di figliolanza fu contestato da Satana, e questo portò all’ordalia mediante combattimento tra Gesù e Satana, che cominciò con la tentazione nel deserto immediatamente dopo il battesimo di Gesù, e culminò con la crocifissione e la resurrezione/conferma del Cristo vittorioso, il preludio alla sua ricezione di tutti i regni del mondo (la questione oggetto di disputa nell’ordalia; cfr, spec. Mt. 4:8 ss.; Lu. 4:5 ss.) [11].

Il segno del patto colloca quindi chi lo riceve sotto le particolari benedizioni e maledizioni di Dio. Come uomo non-rigenerato, egli è già sotto la maledizione. Nel ricevere il segno del patto, un uomo è sotto la duplice minaccia di giudizio se viola quel patto. Fu per questa ragione che Mosè correva il pericolo della maledizione quando si stava imbarcando nella vocazione pattizia di Dio senza circoncidere suo figlio (Es. 4:24-26). Per questa ragione pure “il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio” (1 Pi. 4:17) sia per la doppia offesa che per purificare la razza pattizia di Dio. Tutti quelli che ricevono il marchio di Dio devono vincolare quelli sotto di essi alla legge di Dio, e il giudizio di Cristo sulla sua chiesa è l’esercizio della sua autorità in quanto il battezzato di Dio, il nuovo Adamo.

Il battesimo di Gesù ci dice altro ancora del significato del battesimo: “E Gesù, appena fu battezzato uscì fuori dall’acqua; ed ecco i cieli gli si aprirono, ed egli vide lo Spirito di DIO scendere come una colomba e venire su di lui” (Mt. 3:16). Vos offre un’importante prospettiva su quest’aspetto del battesimo:

Mai l’Antico Testamento paragona lo Spirito ad una colomba, però lo rappresenta come se si librasse, covasse sulla acque del caos per produrre vita dalla materia primordiale. Questo potrebbe risultare suggestivo se si pensa che l’opera del Messia costituiva una seconda creazione, congiunta alla prima mediante la funzione dello Spirito ad essa collegata [12].

In questo modo il battesimo è l’ingresso nella nuova creazione, il cui Re è il nuovo Adamo, Gesù Cristo. È il segno pattizio del nuovo paradiso di Dio e dei relativi cittadini.

In un documento della prima chiesa, si legge: “Ora, la rigenerazione è per acqua e spirito, come fu per tutta la creazione” (Ge. 1: 2). E per questa ragione il Salvatore fu battezzato, benché egli stesso non ne avesse bisogno, in modo da poter consacrare tutta l’acqua per quelli che sarebbero stati rigenerati” 13. Il battesimo era pertanto visto enfaticamente come un sacramento della nuova creazione, col quale il vecchio è purificato e ricreato. Ambedue lo Spirito e l’acqua significano agenti di purificazione.

VIII. “Le acque sopra i cieli”. Poiché il battesimo è eseguito con acqua e con lo Spirito come una protezione contro il duplice fuoco, quello che s’impossessa di ciò ch’è visibile, e quello che s’impossessa di ciò ch’è invisibile; e necessariamente, essendoci un elemento immateriale dell’acqua e uno materiale, è una protezione contro il duplice fuoco. E l’acqua terrena lava il corpo, ma l’acqua celeste, in ragione del suo essere immateriale e invisibile, è un’emblema dello Spirito santo, che è il purificatore di ciò ch’è invisibile come l’acqua dello Spirito, come l’altra lo è del corpo [14].

Malgrado gli accenni di dualismo piuttosto involuti e strani in questo passo, ciò ch’è chiaro è che il battesimo era visto, nei suoi aspetti interiore ed esteriore, come una ri-creazione del mondo materiale e spirituale per mezzo della ri-creazione dell’uomo intero.

Le promesse al popolo pattizio nel Vecchio Testamento sono considerevoli; queste non sono ritirate nel Nuovo, ma anzi espanse. Come ha così abilmente osservato Murray:

Infine, non possiamo credere che l’economia del Nuovo Testamento abbia meno benefici di quanti ne avesse il Vecchio. È invece il caso che il Nuovo Testamento dà un orizzonte più abbondante alla benedizione del patto di Dio. Non siamo perciò portati ad aspettarci una ritrattazione; siamo portati ad aspettarci espansione ed estensione. Non si accorderebbe col genio della nuova economia supporre che ci sia l’abrogazione di un metodo così cardinale di svelare e applicare la grazia che risiede al cuore dell’amministrazione pattizia di Dio [15].

Le acque del battesimo echeggiano il giudizio del diluvio e dell’attraversata del Mar Rosso; promettono anche un nuovo mondo, una terra promessa in Cristo. Puntano alla pienezza di benedizione tanto sicuramente quanto riflettono il giudizio di Dio sulla vecchia umanità, l’Adamo caduto che c’è in tutti noi.

Note:

1 Per uno sviluppo delle evidenze bibliche a favore del battesimo dei bambini, vedi la capace esposizione di John Murray: Christian Baptism; Philadelphia: Commettee on Christian Education. The Orthodox Presbyterian Church, 1952; Presbyterian and Reformed Publishing Cp., 1972.

2 Geerhardus Vos; Teologia Biblica, Antico e Nuovo Testamento; Caltanissetta, IT: Alfa & Omega, 2005, pp. 153-154.

Ibid., p. 153.
4 H. Clay Trumbull, The Blood of the Covenant, A primitive Rite and its Bearing on Scripture; Philadelphia: John D. Wattles, 1893, p. 351.
5 Bingham, Antiquities, I, libro XI, cap. 1, sez. 2, p. 473. 6 Ibid., I, libro XI, 1, 7; p. 476.
Ibid., I, libro XI, 1, 10; p. 477.
Ibid., I, libro XI, 11, 1; p. 536.

9 Meredith G. Kline, By Oath Consigned, A Reinterpretation of the Covenant Signs of Circumcision and Baptism; Grand Rapids: Eerdmans, 1968, p. 43.

10 Ibid., p. 57.

11 Ibid., p. 58 s.

12 Geerhardus Vos; Teologia Biblica, Antico e Nuovo Testamento; Caltanissetta, IT: Alfa & Omega, 2005, p. 465.

13 “Selection from Prophetic Scriptures”, in Ante-Nicene Christian Library, vol. XXIV Early Liturgies and Other Documents; Edimburgo: T & T. Clark, 1892, p. 118s.

14 Ibid., p. 119.
15 John Murray, Christian Baptism, p. 53.

 

5. IL SACERDOZIO DI TUTTI I CREDENTI

Che “il sacerdozio di tutti i credenti” sia una “dottrina del Nuovo Testamento” che è venuta alla luce con la Riforma è una fallacia protestante. La dottrina è infatti un articolo di fede del Vecchio Testamento, come rende chiaro Esodo 19:5-6 e molti altri passi:

Or dunque, se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia.
E sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa. Queste sono le parole che dirai ai figli d’Israele.

Prima di tutto, queste parole precedono la promulgazione della legge, talché il requisito di Dio: (“se darete attentamente ascolto alla mia voce e osserverete il mio patto”) si riferisce alla legge pattizia, i Dieci Comandamenti e le leggi subordinate. Senza obbedienza alla legge di Dio, non può esserci nessun valido sacerdozio. Il sacerdozio davanti a Dio è quindi condizionale all’obbedienza della legge pattizia di Dio.

Secondo, il popolo di Dio sarà un “regno di sacerdoti”. Il reame è il Regno di Dio; il sacerdozio dei credenti ha pertanto riferimento a quel regno. Non si tratta di un sacerdozio rituale o sacrificale. Ciò appare chiaro non solo nel Vecchio Testamento dove l’opera di offrire sacrifici nel tabernacolo era limitata alla linea di Aaronne, ma anche nel Nuovo Testamento, dove la parola hierus, sacerdote nel senso di chi offre un sacrificio, non è mai applicata a credenti [1].  Il sacerdozio basilare, quello di tutti i credenti, è sempre con riferimento al regno di Dio. Il suo scopo è dunque lo stabilimento dell’ordine di Dio, e la legge è data per quel fine. I “sacrifici” di questo sacerdozio sono “spirituali”, ovvero un servizio obbediente e fedele nello Spirito santo; essi sono chiamati ad essere “un regale sacerdozio, una nazione santa, un popolo peculiare (o unico)” (1 Pi. 2:5, 9). L’obbiettivo di questo sacerdozio è di “regnare sulla terra” (Ap. 5:10; 20:6); lo strumento o governo di questo regno è la legge di Dio. L’opera di effettuare il sacrificio che apparteneva al sacerdozio di Aaronne fu portato al suo completamento e scopo dal sacrificio di Cristo. I credenti sacerdoti del Vecchio Testamento ebbero sempre il dovere d’offrire sacrifici di servizio, lode e ringraziamento (anziché espiazione), e questo dovere continua nel credente sacerdote della chiesa (Ro. 12.1; Eb. 13:15).

Terzo, il credente sacerdote del Vecchio Testamento serviva come sacerdote di governo sulla propria casa e la propria vocazione lavorativa. La stessa responsabilità rimane col sacerdote-di-governo cristiano. La sua famiglia e la sua vocazione lavorativa sono aree entro le quali deve essere messa in atto la parola-legge di Dio e deve essere esercitato il dominio di Dio.

Era il credente-sacerdote del Vecchio Testamento che stabiliva la sinagoga come strumento per far progredire l’insegnamento della legge e l’adorazione di Dio. Deve essere enfatizzato che l’adorazione non può essere limitata alla sinagoga o alla chiesa: è un aspetto della vita quotidiana dell’uomo. La preghiera prima del pasto è una forma di adorazione come lo sono altre forme come lo studio in famiglia della parola di Dio e la lode. L’adorazione collegata al lavoro è ed è stata comune. La chiesa ha il ministero della parola (benché non in modo esclusivo) e dei sacramenti; mentre l’adorazione è un aspetto della vita della chiesa, l’adorazione non è prerogativa esclusiva della chiesa.

Il mandato biblico per la sinagoga si trovava in Esodo 18:20: “Insegna loro gli statuti e le leggi e mostra loro la via per la quale devono camminare e ciò che devono fare”. L’origine della sinagoga si ebbe probabilmente durante l’esilio babilonese. La sinagoga non era solamente un luogo d’adorazione ma anche una scuola elementare. Era considerata anche una sorta di scuola per adulti; era un luogo in cui si tenevano lezioni e anche il seggio di decisioni giuridiche [2].

Nel giudaismo è diventato un requisito che siano necessari dieci uomini per organizzare una sinagoga. Ancor più importante di questo numero è il fatto che, dall’antichità, è il credente sacerdote a organizzare la sinagoga, non una gerarchia religiosa. La sinagoga veniva dunque creata da credenti sacerdoti in quanto questo era uno degli aspetti della loro responsabilità sacerdotale.

Nel Nuovo Testamento, la chiesa, o “assemblea”, è anche chiamata nel greco originale una sinagoga (Gm. 2:2). La chiesa è la sinagoga cristiana avendo gli stessi ufficiali (anziani) e la stessa funzione basilare portata alla sua pienezza in Cristo. La chiesa nel Nuovo Testamento fu creata nello stesso modo della sinagoga. I missionari apostolici portarono i convertiti a Cristo; i convertiti poi organizzarono una chiesa, eleggendo anziani o governanti quando gli apostoli diedero istruzioni riguardo alle loro qualifiche (1 Ti. 3). L’elezione degli ufficiali fu una funzione della congregazione locale, non degli apostoli, i quali poterono però dichiarare la parola-legge di Dio riguardo non solo agli ufficiali ma anche ai membri e alla loro disciplina (1 Co. 5:4-5). Questo potere del missionario sorvegliante era soggetto alla parola di Dio tanto che san Paolo trovò necessario dichiarare i fondamenti giuridici biblici per i suoi giudizi (1 Co. 5:1-13; 7:1-40; 8:1-13, ecc.).

La chiesa locale fu pertanto “piantata” da missionari, ma furono i credenti locali a stabilire e governare la chiesa. Il loro auto-governo locale non significava autonomia, ma neppure la loro subordinazione alla chiesa in senso ampio ebbe alcun peso o potere vincolante separatamente dalla Scrittura. Essendo ogni autorità fondata sulla Scrittura fu perciò limitata dalla Scrittura.

Quarto, il sacerdozio di tutti i credenti significa ciò che il reverendo V. Robert Nilson, in un sermone a Long Beach, California, nel 1970, lo definì: “un ministero costituito da ogni credente”. San Paolo, in Efesini 4:7, dichiarò: “Ma a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”. Ad ogni credente è data una matura responsabilità nei termini del regno di Cristo. In Efesini 4:11, san Paolo cita alcuni degli uffici di quel ministero; non tutti sono chiamati a questi altissimi e particolari uffici, ma “ciascuno di noi” è comunque chiamato a servire Dio in una particolare vocazione sacerdotale. Abbiamo il dovere di trarre profitto dal ministero di altri e di crescere: “affinché non siamo più bambini sballottati e trasportati da ogni vento di dottrina, per la frode degli uomini, per la loro astuzia, mediante gli inganni dell’errore” (vs. 14), ma, come uomini maturi (vs. 13), adempiere alle nostre responsabilità ed esercitare il dominio negli ambiti cui siamo stati designati.

La formazione di tali uomini maturi è funzione della chiesa. Lo scopo della chiesa non dovrebbe essere portare uomini in soggezione alla chiesa, ma piuttosto formarli a diventare un regale sacerdozio capace di portare il mondo in soggezione a Cristo il Re. La chiesa è il punto di reclutamento, il campo d’addestramento, e l’arsenale per l’esercito di sacerdoti regali di Cristo. È un’istituzione funzionale, non una finale.

La chiesa ha largamente dedicato al sacerdozio di tutti i credenti solo belle parole perché la sua gerarchia non si è fidata delle implicazioni della dottrina e perché ha visto la chiesa come un fine in se stessa, non come uno strumento.

Quinto, siccome il sacerdozio di tutti i credenti ha uno scopo pratico, lo stesso vale anche per la chiesa. Limitare la fedeltà della chiesa a una professione di fede è sbagliato quanto limitare la fedeltà del credente ad una professione di fede. Tale professione è necessaria, ma non è sufficiente. “Tu credi che c’è un solo Dio. Fai bene; anche i demoni credono e tremano. Ma vuoi renderti conto, o insensato, che la fede senza le opere è morta?” (Gm. 2:19-20). Molto prima che i discepoli fossero pienamente consapevoli della vera natura e della vocazione di nostro Signore, dei demoni confessarono che Gesù era il Cristo e il Figlio di Dio (Mt. 8:29; Mr. 1:24; 3:11; 5:7; Lu. 4:34; cfr. At. 19:15). Un buon albero produce buon frutto; pertanto è dai loro frutti che li riconosceremo (Mt. 7:16-20). La vera fede si rivela in buone opere.

È quindi grandemente sbagliato per gli uomini argomentare che sia errato secedere da una chiesa perché la sua professione di fede formale è ancora ortodossa. La maggior parte delle chiesa moderniste mantengono ancora credi e confessioni ortodosse. L’affermazione che “Secedere da una denominazione che è ancora ufficialmente dottrinalmente sana è, per certo, un affare molto serio”[3] è assurda. Ogni ladro di professione è formalmente un uomo onesto; non si pubblicizza come ladro. Virtualmente ogni chiesa apostata o derelitta nega di essere nient’altro che una vera chiesa, talché essere “ufficialmente dottrinalmente sani” è privo di significato. È piuttosto dottrinalmente sana nei fatti come nei pensieri, nella sua professione come nella sua pratica?

Sesto, il sacerdozio di tutti i credenti è, come abbiamo visto, un “regale sacerdozio”, e fa riferimento al Regno di Dio. Come ha evidenziato Van Til: “il regno di Dio è il summum bonum dell’uomo”.

Col termine regno di Dio noi intendiamo il realizzato programma di Dio per l’uomo. Vorremmo pensare dell’uomo come (a) che adotti per sé stesso questo programma di Dio come proprio ideale, e come (b) che metta e mantenga in moto i suoi poteri per poter raggiungere quell’obbiettivo che gli è stato determinato e che si è determinato per se stesso. Proponiamo di considerare brevemente questo programma che Dio ha determinato per l’uomo e che l’uomo dovrebbe determinare per se stesso.

L’aspetto più importante di questo programma è sicuramente che l’uomo dovrebbe realizzarsi come vice-reggente di Dio nella storia. L’uomo fu creato vice-reggente di Dio ed egli deve realizzare se stesso come tale. Non c’è contraddizione tra queste due affermazioni. L’uomo fu creato con un certo carattere e tuttavia doveva formarsi sempre più in quel carattere. Perciò possiamo dire che l’uomo fu creato un re in modo che potesse diventare più re di quanto già fosse [4].

Lo scopo della vocazione dell’uomo come sacerdote è pertanto di realizzarsi come vice-reggente di Dio e di dedicare se stesso, il suo ambito di dominio, e la sua vocazione, a Dio e al servizio del Regno di Dio. L’auto-realizzazione dell’uomo è possibile solo quando compie la sua vocazione sacerdotale.

La tendenza delle istituzioni: chiesa, stato e scuola, e delle vocazioni lavorative, è di assolutizzare se stesse e assumere il ruolo di Dio nella vita degli uomini. La “democrazia” è diventata la risposta dell’uomo a questo problema. La democrazia, però, aggrava solamente la centralizzazione del potere nelle mani istituzionali perché non ha soluzione al problema della depravazione umana e spesso manca perfino di ammettere il problema.

La dottrina del sacerdozio di tutti i credenti, quando correttamente sviluppata, offre al problema una risposta cristiana. La centralizzazione del potere istituzionale non può prosperare dove prospera il sacerdozio. L’applicazione pratica del concetto di sacerdozio portò lungo i secoli il giudaismo a creare uno stato nello stato e una società dentro le società. La dottrina del sacerdozio di tutti i credenti, dove vi sia adesione ad essa, è un programma non solo per la sopravvivenza ma anche per la vittoria. Il moderno concetto di democrazia è una triste parodia di questa dottrina.

Note:

1 J. Denney. “Priest in N.T.” in James Hastings, editore, A Dictionary of the Bible, IV, 100.

2 W. Bacher, “Synagogue”, in Ibid., IV, 636-642.

3 John Vender Ploeg, “Secession Is a Serious Business”, Torch and Trumpet, vol. 20, n° 11 (Novembre 1970) p. 6.

4 Cornelius Van Til, The Christian Theistic Ethics; Nutley, N. J.: Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1971, p. 44 (vol. III di In Defense of the Faith).

 

6. DISCIPLINA

Un aspetto importante e basilare della legge ecclesiastica è la disciplina; è anche un soggetto molto travisato nella vita di chiesa, scuola e famiglia. Per illustrare questo travisamento, si può citare il caso di una pia coppia con una figlia vagabonda e seriamente delinquente. Nel lamentarsi a causa del suo comportamento, della sua condizione di nubile e gravida, e del suo disprezzo della loro autorità, i genitori insistettero che l’avevano “disciplinata” regolarmente, che era stata privata di vari privilegi ed era stata frequentemente sculacciata da giovane. Tutto questo era vero, ma il fatto rimaneva che la figlia era cresciuta radicalmente indisciplinata. I genitori avevano confuso, come fanno fin troppe persone, il castigo o punizione con la disciplina, e i due sono marcatamente differenti. La disciplina è educazione sistematica e sottomissione all’autorità, ed è il risultato di tale educazione. Il castigo o la punizione sono la pena o la battitura amministrata per la rottura con l’autorità. È chiaro che disciplina e castigo sono soggetti correlati, ma è altrettanto chiaro che sono distinti.

Ciò che le chiese intendono quando si vantano d’avere una “rigida disciplina” è usualmente nient’affatto disciplina, ma rigida punizione. Ad ogni modo, una chiesa che è continuamente implicata in questioni di punizione è anche assai probabilmente una chiesa indisciplinata. La stessa osservazione vale per scuole e famiglie. Nel caso della figlia delinquente menzionata sopra il caso era decisamente così. La ragazza, quasi ventenne, era incinta e in cattiva compagnia, dedita a sperimentare droghe e molto altro, ma non era capace di cucinare, cucire studiare o lavorare, o obbedire un semplice ordine. I suoi genitori s’erano infuriati con lei e lei con loro, e l’avevano punita, ma la disciplina era stata radicalmente mancante in quella casa. Dove non c’è disciplina, il castigo è inefficace e si avvicina più all’abuso che alla correzione.

La mancata comprensione di questa distinzione tra la disciplina e la punizione è responsabile per molto del disordine che c’è in chiesa. In quasi ogni chiesa, dove si parli di disciplina, in realtà s’intende punizione. Nella confusione tra le due usualmente è la disciplina ad andare perduta. Così, il “Libro della Disciplina” della Orthodox Presbyterian Church è, tipicamente, un libro sulle procedure giuridiche per accertare e punire peccato e cattivo comportamento. Non dice niente della vera disciplina. Lo stesso vale per una chiesa dopo l’altra.

Cos’è la disciplina in essenza? Abbiamo usato la definizione del dizionario, ovvero che la disciplina è educazione sistematica e sottomissione all’autorità, ed è il risultato di tale educazione. Bisognerebbe aggiungere che disciplina proviene da discepolo, che è la parola latina discipulus, a sua volta derivata da disco: apprendere. Essere un discepolo ed essere sotto disciplina è essere uno sotto istruzione in un procedimento di apprendimento. Se non c’è apprendimento, e non c’è crescita nell’apprendimento, non c’è disciplina.

Primo, e più importante nel considerare la disciplina della chiesa è il fatto che l’apprendimento o disciplina avviene mediante la parola di Dio, mediante la Scrittura. Una chiesa indisciplinata è una in cui c’è una mancanza nella proclamazione e insegnamento della Scrittura. Una chiesa che nega la parola non può avere disciplina. Una chiesa che predica semplicemente per conversioni ma non per crescita non può avere disciplina. Una chiesa che sia antinomiana ha negato la premessa della crescita e pertanto non può avere disciplina. San Paolo ha dichiarato che “la fede vien dall’udire e l’udire viene dalla parola di Dio” (Ro. 10:17). La rigenerazione è inseparabile dalla parola di Dio. Una chiesa vivente è una chiesa che ascolta la parola, cresce nei suoi termini, ed è pertanto da essa disciplinata.

Secondo, la punizione ecclesiale, per quanto necessaria e scritturale, non può sostituire la parola di Dio come strumento di disciplina. Poiché la parola è sempre accompagnata dalla potenza di Dio, ha una capacità di disciplinare o d’insegnare che è completamente mancante in qualsiasi atto di sinodi o concilii senza la parola. La parola di Dio raggiunge il suo scopo senza fallire, ci è assicurato:

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, in modo da dare il seme al seminatore e pane da mangiare,

così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l’ho mandata (Is. 55:10-11).

Alexander identifica qui “parola” come “qualsiasi cosa Dio pronunci tanto in via di predizione che di comando” 1].  Plumptre identifica “parola” con “il proposito di Dio” [2].  Calvino riconobbe l’identicità di questa parola con la Scrittura, e col “potere ed efficacia della predicazione” quando è pienamente fedele alla Scrittura: condannerà il malvagio e salverà e rafforzerà l’eletto nei termini del proposito di Dio [3].

Per una chiesa riporre la propria confidenza nel potere disciplinare della propria parola e nel proprio potere punitivo è aggirare il potere d’istruzione della parola di Dio, è abbandonare la vera disciplina e andare verso l’anarchia. C’è un insegnamento soprannaturale o potere disciplinante inerente la parola del Dio soprannaturale che manca nelle parole e nelle azioni degli uomini. Ovunque la chiesa abbandona, trascura o limita la parola, lì la chiesa abbandona anche il potere divino della parola di Dio per un insegnamento puramente umanistico. Non sorprende, perciò, che le chiese antinomiane abbiano prodotto cristiani impotenti e umanistici e che il mondo intorno ad esse sia costantemente collassato dentro all’umanesimo.

Terzo, nella vera disciplina, il processo d’apprendimento è guidato e fatto avanzare dallo Spirito santo che è dato agli eletti affinché possano conoscere le cose che sono da Dio. Come lo ha dichiarato san Paolo:

Ma come sta scritto: “Le cose che occhio non ha visto e che orecchio non ha udito e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per quelli che lo amano”.

Dio però le ha rivelate a noi per mezzo del suo Spirito, perché lo Spirito investiga ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Chi tra gli uomini, infatti conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Cosí pure nessuno conosce le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio.

Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, affinché conosciamo le cose che ci sono state donate da Dio (1 Co. 2:9-12).

Volgendoci ora al castigo della chiesa, il passo centrale si trova in Matteo 18:15-20, che usualmente  si suppone essere la base della disciplina. In realtà, la procedura delineata determina semplicemente se il malfattore sia arrendevole al castigo, cioè se ci sia qualche disciplina della parola nella sua vita. Il presupposto è che ci sia un’effettiva trasgressione da parte di un membro o di un ufficiale della chiesa. Il primo passo (vs. 15) è confrontare le persone con la trasgressione nei termini della legge di Dio. Conoscono la legge di Dio, e sono pronti a sottomettervisi? Se si sottomettono a quella legge di Dio, allora essi sono di fatto un “fratello” nel Signore.

Secondo, se trascurano la parola e rifiutano d’ascoltarla, il loro rifiuto deve essere confermato dalla bocca di almeno un altro testimone in modo che almeno due testimoni possano testimoniare della loro apostasia e/o incredulità (vs. 16). Qui il riferimento è ancora una volta alla legge di Dio, un reato contro di essa, un rimprovero nei termini della legge, e la mancata accettazione di quella legge.

Il terzo passo consiste nel dichiarare alla chiesa il rifiuto della parte colpevole “se poi rifiuta di ascoltare la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano” (vs. 17). Il solo procedimento giudiziale possibile che può avvenire in questa terza fase è se la parte accusata nega che la accuse siano vere. Un’udienza può determinare se se la accuse siano vere o false, cioè se la legge di Dio sia stata trasgredita. Il rifiuto di qualsiasi parte di accettare la legge di Dio deve portare ad una rottura con lui/lei: alla scomunica. Deve essere considerato un pagano e un pubblicano.

La premessa e il fondamento dell’autorità dell’individuo che confronta la parte colpevole, e della chiesa nel suo potere di scomunicare, è la parola-legge di Dio. Ove gli uomini “leghino” sulla terra le coscienze degli uomini in fedeltà a quella parola, le loro azioni sono valide in cielo. Ove in fedeltà a quella parola perdonino uomini su pentimento e restituzione, ciò che sciolgono sulla terra è sciolto in cielo (vss. 18, 19). Questa autorità è ministeriale, non legislativa, ovvero: l’uomo è legato alla parola di Dio, non Dio a quella dell’uomo.  Ove l’uomo agisce in fedeltà alla parola di Dio, lì può aspettarsi pienamente la fedeltà supportiva di Dio. “Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (vs. 20). Il riferimento primario qui è all’azione giudiziale di castigo e perdono, ma il riferimento è pure generale, di modo che, qualsiasi cosa credenti e chiese facciano in fedeltà alla parola-legge di Dio, possono contare sulla presenza e sul potere di sostenere e di revocare del Signore in persona.

Matteo 18:15-20 fa riferimento e si basa su leggi date nel Vecchio Testamento: Levitico 19:17 richiede la riprensione; Deuteronomio 17:6 e 19:15 richiedono almeno due testimoni. Cristo riaffermò questa legge, e le epistole apostoliche la confermano ripetutamente: in Luca 17:3; Giacomo 5:20; 1 Pietro 3:1; Giovanni 8:17; 2 Corinzi 13:1; Ebrei 10:28; 1 Timoteo 5:19-20; Romani 16:17; 1 Corinzi 5:9; 2 Tessalonicesi 3:6, 14; 2 Giovanni 10; Matteo 16:19; Giovanni 20:23; 1 Corinzi 5:4-5; Matteo 5:24; Giacomo 5:16; 1 Giovanni 3:22; 5:14. Tutti questi versetti confermano chiaramente la piena validità delle leggi dell’Antico Testamento. In Giacomo 5:16 e in 1 Giovanni 3:22; 5:14 la relazione tra l’obbedienza alla legge e la preghiera efficace è fortemente evidenziata.

Pertanto, non può esserci vera disciplina in una chiesa, o scuola o casa, se non ci sia anche una piena e fedele predicazione della parola-legge di Dio. L’antinomismo non può produrre disciplina.

Si deve aggiungere, comunque, che come la disciplina non può essere eguagliata al castigo, neppure può essere eguagliata all’ordine. L’ordine per così dire può anche essere il risultato della stagnazione e della morte, il cimitero di solito è un luogo ordinato, molto più ordinato della migliore delle città, ma il suo è un ordine di vita scarsamente encomiabile. Il falso ordine è estraneo alla disciplina quanto il disordine. L’espressione comune: “Legge e ordine” riassume la questione. Il vero ordine è il prodotto della vera legge. Solamente la disciplina della parola-legge di Dio è produttiva del vero ordine.

Bisognerebbe aggiungere che in alcuni casi c’è un’alternativa al castigo. Si tratta della separazione. In Atti 15:36-41, leggiamo di un serio disaccordo tra Paolo e Barnaba. La risposta a questo conflitto non fu Matteo 18:15-20 seguito da processi ecclesiastici ed appelli. Se Paolo e Barnaba avessero scelto questo corso, nessuno dei due sarebbe stato in grado di portare a termine gran che. Paolo sarebbe stato immobilizzato da infiniti appelli e processi dall’accusa di aver calunniato Giovanni Marco, oppure egli avrebbe potuto accusare Barnaba d’aver mancato di punire Marco per negligenza del suo dovere.  Se i moderni uomini di chiesa avessero ottenuto la loro via, al posto del vangelo di Marco e delle lettere di Paolo avremmo ricevuto infiniti documenti giuridici da ambedue. Invece,  Paolo e Barnaba si separarono, e ambedue portarono a compimento molto nei loro percorsi separati.

Note:

1. J. A. Alexander, Isaiah, p. 332.

2. E. H. Plumptre, “Isaiah” in Ellicott, IV, 554.

3. John Calvin, Commentary on the Book of the Prophet Isaiah; Grand Rapids: Eerdmans, 1956, IV, 172.

 

7. RIPRENSIONI E SCOMUNICA

In 1 Timoteo 5:1-16 san Paolo discute la riprensione di membri di chiesa. Gli uomini anziani devono prima essere esortati “come un padre”, i giovani devono essere ripresi come “fratelli”, “le donne anziane come madri e le giovani come sorelle”. Vedovi, uomini e donne, le oziose e quelle che vanno in giro per le case, sono tutti menzionati da san Paolo nella sua dichiarazione sulla riprensione. La riprensione è la prima fase nel castigo e fa riferimento a Matteo 18:15; si riferisce ad un reato ovvio e risaputo che è portato all’attenzione del colpevole dal pastore o da un membro della chiesa alla luce della Scrittura; può anche costituire l’ultimo passo in alcune questioni che richiedano una riprensione pubblica (1 Ti. 5:20).

In questa epistola, san Paolo si occupa chiaramente della legge (1 Ti. 1:3-11).  Le aree d’interesse per la riprensione sono poi citate nei termini di problemi di chiesa: sono essenzialmente questioni di fede e moralità, di autorità e legge. L’obbiettivo di tale azione non è la chiesa ma il regno di Dio, non un’istituzione ma il regno di Dio. Alcune delle aree citate da san Paolo, benché non tutte sono: prima di tutto l’autorità. Gli uomini devono assumere la guida nelle questioni di fede come in quelle di casa, e le donne non devono sconfinare dai limiti della loro posizione (1 Ti. 2:8-15). San Paolo, partendo da questa dichiarazione sull’autorità, procede a trattare dell’autorità, nei termini delle qualifiche, di un vescovo o un presbitero. L’autorità viene data solo a uomini che sono in grado d’esercitarla: la cui capacità di disciplinare se stessi e la propria casa è provata (1 Ti. 3:1-13).

Secondo, sono discusse aree di dottrina e di falsi insegnamenti riguardanti dottrina e moralità (1 Ti. 4:1-16). L’ascetismo e il celibato sacerdotale sono condannati. Non abbiamo qui una nuova legge ma è affermata la legge biblica nella sua interezza e la fede biblica nella sua interezza. Nessuna nuova dispensazione ha reso obsolete la concezione del Vecchio Testamento su cibi e matrimonio.

Terzo, alcune aree di moralità sono citate come ambiti di riprensione. È obbligo dei genitori insegnare ai loro figli la devozione. Esaminiamo nello specifico cosa dice san Paolo. In 1 Timoteo 5:3 comandò “Onora le vedove che sono veramente vedove”. Moffat parafrasò accuratamente il verso con: “La vedove in reale bisogno devono essere sostenute coi fondi della chiesa”. Il significato di onorare il padre e la madre implica chiaramente il sostegno economico. Le vedove escluse dal sostegno della chiesa sono, come ha riassunto Lenski: “quelle che hanno parenti e quelle che si danno alla vita allegra” [1].  Le vedove meritevoli, in cambio del loro sostegno, lavorano per la chiesa.

Poi sono citate le vedove con famiglia. Queste hanno una funzione educativa, come ce l’ha la chiesa, in relazione ai loro figli e nipoti:

Quando una vedova ha dei figli o dei nipoti, questi (i figli e i nipoti) imparino che il primo dovere della religione è verso la loro casa, e che dovrebbero rendere qualche contraccambio a quelli che li hanno allevati. Agli occhi di Dio questo è infatti lodevole (1 Ti. 5:4 Moffat).

Mancare di prendersi cura dei membri della propria famiglia costituisce una violazione del quinto comandamento; è una violazione anche dell’ottavo perché è una forma di furto. Questo stesso punto, il dovere di provvedere per la propria famiglia è riaffermato al verso 8:

Chiunque non provvede ai suoi parenti e in particolare alla propria famiglia, ha ripudiato la fede: è peggio di un infedele (Moffat).

Il commento di Lenski su questo verso è veramente puntuale:

Ciò è affermato nella forma più decisa. … Nel verso 4 è: “Imparino!”. Qui il senso è: “Se uno non vuole imparare, questo è il verdetto che deve essere pronunciato su di lui”. Ma al verso 4 abbiamo il caso di una sola vedova; qui è una questione di qualsiasi e di tutti quelli che dipendono da lui. Il riferimento a “chiunque” (“uno” nelle trad. it) è perfettamente chiara: è la persona che ha una casa, il cui dovere è di provvedere per i membri di quella casa. Il verbo (provvedere) significa “pensarci anzitempo” e quindi (intensificato) eseguire il suo pensiero cioè di “provvedere”. Paolo lo dichiara nel modo più inclusivo “provvedere ai suoi e specialmente ai membri della sua famiglia”. La versione da preferire ha un solo articolo perché Paolo non si riferisce a due distinti gruppi di persone. …”I suoi” sono tutti quelli che appartengono al capo della casa, servitori e membri della famiglia. …Qui c’è un argomento forte che concerne il sostegno di una madre o di una nonna vedova; uno deve provvedere perfino per i suoi servi, quanto più allora per sua madre o per sua nonna. Ma tutti i dipendenti della famiglia sono inclusi: padre, madre se sono dipendenti, moglie e figli, anche altri parenti quali nipoti rimasti orfani.

Questo è l’insegnamento cristiano. Ora se uno non è fedele a queste cose “ha rinnegato la fede” ecc. …

In modo da chiarire l’enormità di tale comportamento, Paolo aggiunge in via esplicativa: “è  peggiore di un non credente”, cioè di uno che non ha mai creduto e non ha mai professato di credere. Il concetto non è che un non credente provveda sempre per i membri della sua famiglia e dei suoi servi, molti non lo fanno; ma quando non lo fa un non credente, per quanto questo sia un male, per quanto malvagio sia questo comportamento, non è male quanto possedere il vero insegnamento e palesemente rinnegarlo. Ciò che la congregazione dovrebbe fare con un membro di questo tipo non necessita menzione. Il verdetto è scritto qui [2].

Coloro i quali non provvedano per i loro devono prima essere ripresi e poi scomunicati.

Ove sia coinvolta della falsa dottrina, ci è richiesto di “evitare” tali persone (Ro. 16:17), di fatto “rigettarli” dopo una prima e una seconda ammonizione”. Non dobbiamo ricevere tali persone a casa nostra, e neppure salutarle, farlo è partecipare alle loro opere malvagie (2 Gv. 10, 11).

Ove sia implicata l’immoralità, del tipo di quella del mancato mantenimento, anche tali persone devono essere rigettate. Lo stesso vale per fornicatori non pentiti che siano membri di chiesa; devono essere scomunicati (1 Co. 5:9-11).

Proprio come “onorare” significa più che un rispetto verbale e include il sostegno, così “contraccambiare” e “provvedere” significano più che sostegno finanziario. Provvedere per i propri figli include un’istruzione cristiana perché è necessario provvedere per ambedue il corpo e la mente di un figlio. Collocare i figli in una scuola pubblica o in una scuola ateista è mancare di provvedere per loro adeguatamente.

Si dovrebbe notare che la chiesa apostolica, e per secoli successivi la chiesa cristiana, provvide per vedove, orfani e malati, per tutte le persone bisognose, come parte del suo dovere. In 1 Timoteo 5:10 è fatto riferimento all’ospitare forestieri, ed altrove all’ospitalità (1 Ti. 3:2). A quei tempi, fuori dalla Palestina, gli alberghi erano usualmente anche case di prostituzione e quindi non luoghi frequentabili da un cristiano. Di conseguenza, il dovere di prendersi cura di cristiani in viaggio era importante. La prima chiesa era pertanto un’estesa area di governo, e ha continuato ad esserlo quasi fino al ventesimo secolo.

È importante riaffermare qui che il significato di governo nel suo senso storico biblico. Il governo basilare dell’uomo è l’autogoverno dell’uomo cristiano. Anche la famiglia è un’importante area di governo e quella basilare. La chiesa è un’area di governo, e la scuola un’altra ancora, La vocazione lavorativa di un uomo è un’area di governo e la società in senso ampio governa gli uomini con i suoi standard e opinioni, Lo stato è pertanto un governo tra molti; è il governo civile, e non gli può essere permesso di usurpare o reclamare aree che non gli appartengono.

A motivo di come la bibbia intende il governo esistono molte sfere di legge, e ciascuna ha la propria autorità interna, la propria disciplina e i propri requisiti. Queste sfere sono separate ma interconnesse. Lo stato deve pertanto richiedere che i figli sostengano i propri genitori, ma la chiesa, che lo stato agisca o meno, ha il dovere d’insegnare e di castigare o scomunicare i propri membri in questa stessa questione. Similmente, alla famiglia è richiesto d’insegnare questo sostegno (1 Ti. 5:4) e di trattare con i propri membri in caso di mancata obbedienza.

Un’altra area di moralità citata da san Paolo concerne i salari. Il principio, già considerato in precedenza in relazione a Deuteronomio 25:4 “Non metterai la museruola al bue che trebbia” è che “l’operaio è degno del suo salario” (1 Ti. 5:18). Le considerazioni economiche non sono accantonate da questo requisito ma anzi rinforzate. L’uomo saggio è un buon amministratore non solo di denaro e di materiali ma anche di uomini. L’uomo che paghi i propri operai il meno possibile è in ultima analisi un perdente agli occhi di Dio.

È pertanto chiaro che la punizione inflitta dalla chiesa ha riferimento primario al comportamento dell’uomo davanti a Dio e davanti agli uomini; la riduzione di molta della disciplina della chiesa a reati contro la chiesa è una perversione delle Scritture e una limitazione della giurisdizione della chiesa.

Note:

1.  R. C. H. Lenski, The Interpretation of St. Paul’s Epistles to the Colossians, to the Thessalonians, to Timothy, to Titus, and to Philemon; Columbus, Ohio: The Wartburg Press, 1937, 1946, p. 655.

2. Ibid., p. 663 s.

 

8. POTERE E AUTORITÀ

San Paolo, nel rammentare ai Corinzi il loro destino, disse: “Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo? E se il mondo è giudicato da voi, siete voi indegni di giudicare dei piccoli problemi?” (1 Co. 6:2). Moffat lo rende con: “non sapete voi che i santi dovranno gestire il mondo?” Un significato di cui dobbiamo ricordarci. Il governo di chiesa è un preludio al governo del mondo, non da parte della chiesa ma da parte de “i santi”. Nel cercare di stabilire il necessario governo di chiesa orientato a questo fine, l’appello costante di Paolo fu, non alla forma di governo della chiesa o ai membri, ma alla legge di Dio e alla crescita dei santi nei termini di questa legge (1 Co. 6:15-9:27). Giudicare, governare o gestire il mondo è nei termini della legge di Dio.

Quando san Paolo esprime indignazione all’idea che i cristiani si rivolgessero a una corte romana stava parlando da buon giudeo, nella tradizione della legge (1 Co. 6:1). In Israele, in circostanze normali, affidarsi ad una corte esterna per problemi tra giudei era proibito. In simili istanze si faceva ricorso a corti giudaiche, una tradizione giuridica ancora mantenuta in molti circoli. Similmente, san Paolo sentì che, tra credenti, le autorità ecclesiastiche costituissero il corpo di governo. Tra un giudeo e un gentile, o tra un cristiano e un non-cristiano, ci poteva essere un uso legittimo di tribunali esterni o civili. Questi tribunali, non essendo governati dalla legge di Dio, erano pertanto agenzie di giustizia inaffidabili.

Andiamo ora all’Odissea di Omero. Ulisse ritornò a casa dopo molti anni di peripezie. Durante questo tempo non gli venne in mente che la castità gli fosse richiesta benché se l’aspettasse da sua moglie e dalle sue schiave. I corteggiatori di sua moglie, poiché presumevano che Ulisse fosse morto, fecero violenza ad alcune di queste ragazze schiave. Ulisse stesso lo riconobbe: “Voi cani, avete detto nel vostro cuore che non sarei mai tornato a casa dalla terra dei Troiani, perché avete dissipato la mia casa, e vi siete coricati con la forza con le serve, e avete proditoriamente fatto la corte a mia moglie mentre ero ancora vivo”. La balia Euriclea disse che dodici delle sue cinquanta ragazze schiave erano coinvolte: “Di queste, dodici in tutto hanno scelto la strada della vergogna e non hanno onorato né me né la loro signora Penelope”. Dopo aver ucciso i pretendenti, Ulisse e suo figlio Telemaco, ed altri, si volsero contro le ragazze per giustiziarle. Telemaco le impiccò tutte dodici ad una corda. Il motivo dell’esecuzione fu dichiarato da Telemaco: “Queste … hanno versato disonore sul mio capo e su quello di mia madre, e si sono coricate con i corteggiatori” [1].  Il crimine delle ragazze non era contro Dio: era contro Ulisse e Telemaco. Il coinvolgimento di queste ragazze con gli uomini che le avevano violentate, o magari sedotte, non era importante quanto il “disonore” che Ulisse e Telemaco percepivano. Per loro la legge non andava al di la di se stessi. “Le ragazze erano proprietà. Disporre della proprietà era allora, come oggi, una questione di opportunismo, non di giusto o sbagliato” [2].

Lo stesso valeva nella prima Roma. Il padre aveva il potere sui figli: erano proprietà. La legge non trascendeva l’uomo, ed era essenzialmente limitata alla famiglia dell’uomo. Susseguentemente lo stato assorbì i poteri della famiglia e si fece padre del suo popolo e fonte della legge.

In ciascun caso la legge era essenzialmente umanistica e centrata sull’uomo. Siccome l’uomo come capofamiglia o come capo di stato emetteva la legge, la legge era totale. Questo compariva molto chiaramente in Leggi di Platone:

La cosa principale è che nessuno, uomo o donna, dovrebbe mai essere senza un ufficiale posto su di lui/lei, e che nessuno dovrebbe prendere l’abitudine mentale di fare alcun passo, sul serio o per scherzo, sulla propria responsabilità individuale … in una parola, dobbiamo addestrare la mente a non considerare d’agire come individuo o di sapere come farlo [3].

Se non esiste nessuna legge di Dio, le alternative umanistiche dell’uomo, se spinte alla loro conclusione logica, significano o anarchia o statalismo totalitario. A questo punto è significativo il commento di Brophy sul caso Leopold e Loeb:

Ciò che emerge dalla lettura di un resoconto del caso è un fallimento, o piuttosto, una confusione da parte della società, la quale, in tutte le sue relazioni con Leopold e Loeb, nella loro istruzione, e in ciò che ha costituito la loro ulteriore educazione: il loro processo, non ha mai offerto loro una ragione per cui non dovessero ammazzare o per cui dovessero provare rimorso.

Ciò che la società ha offerto loro è stato Dio, ed essi se ne fecero una ragione: “Egli abbandonò l’idea che Dio esista” dichiara una delle relazioni mediche su Leopold, “dicendo che se un Dio esiste qualche pre-Dio deve averlo creato”. In questa linea di pensiero egli ragiona per analogia. … Essendogli stato insegnato che la legge morale trae le proprie sanzioni da Dio, i giovani uomini erano semplicemente logici nel concludere che disfarsi di Dio era disfarsi anche della legge morale. Infatti, egli ha ragionato che agli occhi della società questo fu il loro crimine, o comunque il crimine di Leopold, il più intelligente dei due. Ed avendo definito la sua posizione mediante la ragione, non poteva essere indotto a cambiarla sotto la pressione emotiva della minaccia di morte. Come registra la relazione medica: “Egli ha dichiarato che la coerenza è sempre stata una sorta di Dio per lui”.

La società non sapeva che farsene di Leopold se non classificarlo come anormale, termine col quale ha inteso che era un non-conformista, nei suoi gusti sessuali, nella sua immaginazione stessa… [4].

Anarchia o totalitarismo, queste sono le alternative. O, seguendo la speranza di Platone, che la gente “non consideri d’agire come individuo o di sapere come farlo”, o individui che sono una legge assoluta a se stessi — queste sono le alternative che l’umanesimo offre all’uomo.

Ma i santi devono governare il mondo nei termini della legge di Dio, che significa che quella legge la devono conoscere. Pertanto, un requisito fondamentale per una sana vita di chiesa è uno studio costante della legge di Dio, delle sue implicazioni e delle sue applicazioni.

In senso biblico la questione dell’autorità è inseparabile dalla legge. Un significato primario di autorità è: “Il diritto di comandare e di costringere all’obbedienza; il diritto di agire ufficialmente”. Autorità proviene da una parola latina: augeo, aumentare. L’autorità ha in sé un aumento naturale. La vera autorità prospera e abbonda. Potere e autorità non sono parole identiche. Il potere è potenza o forza; il potere può esiste e spesso esiste senza autorità. Il potere di Ulisse e Telemaco, e il potere dell’impero romano, erano poteri reali ma, nei termini della legge di Dio erano privi d’autorità, sebbene avessero un’autorità formale meramente come governi legittimi nella loro società. Come ha evidenziato Denis de Rougemont: “Uno non diventa padre rubando un bambino. Uno può rubare un bambino, non la paternità. Uno può rubare potere, non autorità”[5].

La chiesa, con la sua fedeltà alla parola-legge di Dio, deve stabilire, rafforzare e aumentare la propria autorità. Il suo potere aumenterà, ha indicato san Paolo ai Corinzi, quando i cristiani obbediscono la legge di Dio e quando la chiesa l’applica ai suoi affari interni, e quando chiama i suoi membri ad applicarla al mondo intorno a loro.

Il fondamento di questo aumento è il Signore Gesù Cristo, il quale ha dichiarato: “Ogni potestà mi è stata data in cielo e sulla terra” (Mt. 28:18). In quanto assoluto possessore di ogni potere, Egli è la scaturigine predestinante di tutto il potere attuale. Egli è anche la perfetta coincidenza di potere e autorità. Alla scuola della storia, la chiesa è trattenuta, ripresa, e umiliata ogni qual volta il suo potere cessa di essere fondato sull’autorità della parola-legge di Cristo, od ovunque la sua autorità cerchi sostegno in signori altri da Gesù Cristo. Alla chiesa è richiesto che ammaestri tutti gli uomini e le nazioni “a osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Or, ecco, io con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Amen” (Mt. 28:20). La sua presenza e il suo potere sostengono e favoriscono tutti quelli che insegnano ad osservare tutte le cose che comanda.

Il potere, quando divorziato dall’autorità pia diventa progressivamente demonico. L’autorità può essere legittima in un senso umano, poggiando su successione o su elezioni, e al contempo essere immorale e ostile all’ordine di dio. Ecco che l’autorità di Nerone era in qualche modo legittima, e ai cristiani era richiesto che l’obbedissero, ma la sua autorità era empia ed implicitamente ed esplicitamente satanica nel suo sviluppo. Il vero ordine richiede che tanto il potere che l’autorità siano pii nella loro natura e nella loro applicazione.

Alcuni degli aspetti di questo problema possono essere illustrati meglio col racconto di un abile e attento cristiano il quale si rese improvvisamente conto che i suoi sogni erano probabilmente satanici. Egli sognava di avere abbastanza potere da eliminare per esecuzione tutti i traditori e i comunisti, e di far miracolosamente convertire tutti gli americani. Nel suo pensiero, dava assenso a Cristo; nella sua immaginazione stava chiedendo che Cristo si sottomettesse alla tentazione di Satana. Voleva indurre la fede mediante miracoli (Mt. 4:5-7), e provvedere sicurezza dai problemi miracolosamente (Mt. 4:1-4).

Poi sollevò una domanda molto profonda: Che l’alternativa sia meramente la via della conversione e dell’amore, senza alcun ordine giuridico e coercizione e senza miracoli, o i miracoli, leggi e coercizione hanno in qualche modo un ruolo?

Per rispondere a questa domanda, prendiamo prima visione di Matteo 13:58, che ci dice che “nella sua patria”, Nazareth (Mt. 13:54), Gesù “non fece lì molte opere potenti a causa della loro incredulità”. È un serio errore dire che il potere di Gesù di fare miracoli fosse condizionato dalla fede della persona o degli uditori. Il suo potere proveniva interamente da se medesimo, per virtù della sua divinità, non dipendeva in alcun senso dal responso della gente. Ci dovette essere dunque un’altra ragione per il numero limitato di miracoli fatti a Nazareth. Ne furono fatti alcuni, sebbene apparentemente non in pubblico, perché ci è detto che “non fece lì molte opere potenti”, il che implica che alcune furono fatte. I miracoli non furono mai fatti per convertire persone; la richiesta degli scribi e dei farisei che facesse un “segno” appositamente per obbligarli a credere o, piuttosto, a rendere non necessaria la fede a causa della visione, fu rifiutato da Gesù (Mt. 12:38, 45; 16:1-5).

Lo scopo dei miracoli era glorificare Dio e la reazione di fede serviva lo stesso scopo (Mr. 2:12). C’è dunque un posto molto importante nella vita del convertito per l’aiuto miracoloso e provvidenziale di Dio perché questo è un aspetto della cura con cui ci governa .

Similmente, c’è un posto per la coercizione. La giustizia e la legge la richiedono. Esse sono futili, però, senza una base in un popolo di fede che possa mantenere e sviluppare un ordine sociale. Se domani, tutti i nemici interni ed esterni degli Stati Uniti fossero miracolosamente distrutti, il risultato più importante sarebbe un ulteriore declino e decadenza della vita americana; a quel punto ci sarebbe la libertà di peccare con impunità per quanto riguarda le conseguenze storiche. Se tutti o quasi tutti gli americani fossero miracolosamente convertiti nello stesso momento, il male verrebbe moltiplicato. Il punto del sogno ad occhi aperti era umanista: il suo scopo era pace e libertà nazionali. Se fosse stato pace e libertà internazionali il suo umanesimo non sarebbe stato meno reale. Il fine ultimo di tale sogno è l’ordine umano e la pace dell’uomo. È pertanto una variazione del vangelo sociale.

Lo scopo principale della conversione è che l’uomo sia riconciliato con Dio; la riconciliazione con i suoi consimili e con se stesso è un aspetto secondario di questo fatto, un effetto collaterale necessario ma comunque un effetto collaterale. Lo scopo della rigenerazione è che l’uomo ricostruisca tutte le cose in conformità all’ordine di Dio, non nei termini del desiderio di pace dell’uomo. Questo scopo e missione implicano legge e coercizione.

La rigenerazione è l’atto sovrano di Dio nei termini dei suoi propositi sovrani. È coercitivo nel fatto che è un’azione di Dio, e tuttavia, poiché l’uomo stesso è un’azione di Dio, la rigenerazione non è coercitiva in quanto giunge come apice dell’opera di Dio nel cuore dell’uomo. Nè le conversioni né i miracoli sono opera dell’uomo. Che l’uomo cerchi conversioni forzate o miracoli nei termini delle proprie speranze è sbagliato; l’uomo può richiedere obbedienza alla legge di Dio, ma non può assumere il ruolo di Dio.

Ove potere e vera autorità siano insieme, lì l’uomo non sta assumendo il ruolo di Dio; serve Dio nei termini della sua legge e prega Dio. Potere e autorità vengono usati per far avanzare l’ordine pio, non le speranza umane di ordine. L’ordine di Dio richiese la caduta di Roma, non la sua pace. Molti cristiani pregarono per Roma, e giustamente; ma peccarono quando limitarono l’opera di Dio alla cornice dell’impero.

Note:

1 Omero, Odissea, libro XXII.
2 Aldo Leopold, A Sand County Almanac; New York: Sierra Club/Ballantine Book, [1949], 1970, p. 237.
Leggi, 942 AB
4 Brigid Brophy, Black Ship to Hell; New York: Harcourt, Brace and World, 1962, p. 30 s.

5 Denis de Rougemont, The Devil’s Share; Washington, D. C.: Bollingen Series II, 1944, p. 31.

 

9. LA PACE

Un proposito centrale del piano di Dio per l’uomo e per la terra è lo stabilimento della sua pace. Questa pace è spesso descritta simbolicamente come una pace, non solo con Dio, ma tra uomo e uomo e tra l’uomo e la natura. Pertanto è scritto che:

Il lupo abiterà con l’agnello e il leone giacerà col capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno insieme e un bambino li guiderà. La vacca pascolerà con l’orse, i loro piccoli giaceranno insieme, e il leone si nutrirà di paglia come il bue. Il lattante giocherà sulla buca dell’aspide,  e il bambino divezzato metterà la sua mano nel covo della vipera. Non si farà né male né distruzione su tutto il mio monte santo, poiché il paese sarà ripieno della conoscenza dell’Eterno, come le acque ricoprono il mare (Is. 11:6-9).

Un altro simbolo, egualmente famigliare, è quello della vite e del fico, ambedue simboli, non solo di pace, ma anche di fertilità e prosperità. Lo s’incontra ripetutamente nelle Scritture (2 Re 18:31; Is. 36:16), ma le sue espressioni meglio conosciute sono le seguenti:

Egli sarà giudice fra molti popoli e farà da arbitro fra nazioni potenti e lontane. Con le loro spade forgeranno vomeri, e con le loro lance falci; una nazione non leverà più la spada contro l’altra e non saranno più addestrate per la guerra. Siederanno ciascuno sotto la propria vite e sotto il proprio fico, e più nessuno li spaventerà, perché la bocca dell’Eterno degli eserciti ha parlato (Mi. 4:3-4).

Giuda ed Israele, da Dan fino a Beer-Sceba, vissero al sicuro, ognuno sotto la sua vite e il suo fico, tutto il tempo che regnò Salomone (1 Re 4:25).  

In quel giorno, dice l’Eterno degli eserciti, ognuno di voi inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico (Za. 3:10).

Di queste, Michea 4:3-4 e Zaccaria 3:10 sono profezie messianiche che descrivono il culminare del regno del Messia.

Gesù ha parlato di se stesso come la fonte di questa pace, e la vera vite, dichiarando: “Io sono la vera vite” (Gv. 15:1). Ancor più direttamente disse: “Io vi lascio la pace, vi dò la mia pace, io ve la dò, non come la dà il mondo; il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi” (Gv. 14:27). Quando Gesù maledì il fico (Mt. 21:19s.; Mr. 11:13-14), fu la pace d’Israele ad essere maledetta da Colui che è la vera pace.

Prima della caduta, in Eden viveva in pace non solo l’uomo ma anche la terra e gli animali. La loro pace fu rotta dal peccato dell’uomo ed ora, san Paolo dice che “l’intera creazione” sta spettando con intensa bramosia che la liberazione e la restaurazione siano operate per mezzo di Cristo e dei figli di Dio (Ro. 8:19-23).

La restaurazione di quella pace comincia con il ripristino dell’uomo alla vita mediante l’opera di rigenerazione di Gesù Cristo. L’uomo diventa allora una nuova creazione (Moffat, 2 Co. 5:14: “C’è una nuova creazione ogni qual volta un uomo giunge ad essere in Cristo; ciò ch’è vecchio è andato, il nuovo è arrivato”.)

Il concetto della pace che è l’eredità di ogni uomo in Cristo è una parte della dottrina del sabato, del riposo dell’uomo nel suo Signore. È richiesto che alla terra stessa siano dati il suo riposo e la sua pace, perché la terra è del Signore.

Questo concetto della pace ebba una profonda influenza sulla legge. Il commento di Keaton sulla dottrina medievale della pace in Inghilterra è molto istruttiva:

Un altro fattore importante che influenzò la crescita della legge penale nel primo secolo dopo la Conquista fu il concetto della pace del Re. Nella legge sassone ogni uomo libero possiede una pace. Così anche ce l’aveva la chiesa, e la pace di Dio governava tutti i giorni santi (festivi). Per infrazioni della pace di una persona, ad es. la commissione di un crimine in quella pace, deve essere pagata una compensazione e una compensazione anche all vittima o ai suoi parenti. Al di sopra di tutte le paci c’era quella del Re, e anche nel periodo sassone si sa di sforzi fatti da re forti per preservarla, in particolare sulla “Strada Regia”. Nelle mani degli amministratori reali dopo la conquista questo si dimostrò essere un concetto dinamico e, come l’ha espresso una volta Maitland, alla fine la pace del re assorbì la pace di tutti gli altri. Ciò avvenne in due maniere. Gradualmente i pagamenti in denaro riferiti alle infrazioni della pace di altre persone smisero di essere esatti, mentre il concetto di pace del Re fu estesa all’intero reame. In questo modo, ogni serio reato era un’infrazione della pace del Re, e un crimine. Già al tempo di Bracton, nel tredicesimo secolo, è divenuta una  forma comune incriminare un accusato nei termini seguenti: “Mentre il suddetto B stava nella pace di Dio e di nostro signore il Re, sopraggiunse il qui presente N. criminalmente come un criminale”, ecc. Ancora oggi, una persona accusata di un crimine è accusato di aver agito: “criminosamente e contrariamente alla pace della nostra sovrana signora, la regina”, ecc.

Era caratteristica dei fuorilegge essersi posti al di fuori della pace del Re talché la mano di ogni uomo era contro di essi. Inoltre, la pace del Re fu dapprincipio compresa esistere fintanto che il Re era vivo [1].

L’affermazione di Maitland è ben formulata: “alla fine la pace del re assorbì la pace di tutti gli altri”. La pace era vista non come un aspetto dell’ordine di Dio, ma come un prodotto della vita dello stato. Difficilmente si può esagerare la differenza tra queste due prospettive.

Il significato della parola pace in ebraico rivela il suo significato biblico. Secondo Brown:

PACE: nel Vecchio Testamento la traduzione dell’ebraico shalom (dalla radice di …”essere integrale” —“interezza”, “solidità”, quindi salute, benessere, prosperità; più particolarmente: pace come opposto di guerra, concordia come opposto di lotta. …

Il significato fondamentale di shalom è prosperità e benessere, bene di ogni tipo, un significato che ricompare nel greco eirene. … Nel senso principale di prosperità, la pace è una benedizione di cui solo Dio è l’autore (Is. 45:7…). …

Tra le benedizioni che Israele attende nel tempo messianico nessuna è enfatizzata quanto la pace. …

Il Nuovo Testamento condivide con Vecchio il concetto di pace come caratteristica del tempo messianico (Lu. 1:79; 2:14; 19:38; At. 10:36). In questo senso deve probabilmente essere compreso il saluto dei discepoli nel loro viaggio missionario (Mt. 10:12, 13; Lu. 10:5, 6). Il vangelo del Messia è espressamente chiamato un vangelo di pace (Ef. 6:15; At. 10:36). … Gesù stesso è il grande creatore-di-pace. …

Caratteristica del Nuovo Testamento è il concetto di pace come possesso attuale del cristiano …[2].

Nel senso biblico la pace è quell’ordine e prosperità che fluiscono dalla riconciliazione con Dio e un ripristino della vita sotto Dio. La vita in Eden era contrassegnata dalla pace con Dio e perciò dalla pace con l’uomo, nell’uomo, e con e nella natura. La vita in Cristo significa il progressivo ripristino di quella pace a mano a mano che l’uomo cresce in Cristo e il mondo viene portato sotto il suo dominio. La fonte della pace è la rigenerazione dell’uomo in Cristo; è più che la cessazione delle ostilità: è anche la crescita della comunione ed è la realizzazione personale in Cristo.

La pace dello stato è al massimo l’assenza delle ostilità e la soppressione delle attività criminali. Siccome lo stato non può rigenerare l’uomo non può stabilire neppure questa limitata forma di pace. Il potere dello stato è essenzialmente il potere della spada. Lo stato perciò può ordinare agli uomini che si amino gli uni gli altri e che vivano in pace, ma le sue misure repressive possono solo aggiungere un elemento di ostilità alla situazione.

In più, lo stato, nel suo sforzo per imporre sui propri cittadini una pace repressiva e armata, distrugge la pace di quei cittadini e usurpa la pace di Dio e dei liberi cittadini. Lo stato può essere uno strumento di pace solo quando è uno strumento di Dio e un ministro di Cristo. Allora i suoi sforzi sono limitati al suo reame di competenza: essere ministro di giustizia.

Chiaramente, la pace come prosperità e benessere è strettamente connessa con la salvezza, vittoria e salute. L’immagine della pace: ogni uomo sotto la sua vite e sotto il suo fico, è una di prosperità, sicurezza, contentezza e gioia. Pace e salvezza sono quindi concetti centrati in Dio, cosa che significa pure la realizzazione dell’uomo. Essendo Dio l’autore e creatore di tutte le cose, non ci può essere realizzazione per l’uomo senza di lui. Perciò: “gli empi sono come il mare agitato, che non può calmarsi e le cui acque vomitano melma e fango. ‘Non c’è pace per gli empi’, dice il mio DIO (Is. 57:20-21).

Questa pace, comunque, è più che l’assenza di ostilità: è pace con Dio. Pace con Dio significa guerra con tutti i nemici di Dio. Cristo ha detto chiaramente che la fedeltà a lui significa una spada di divisione (Mt. 10:34-36). In un mondo di peccato, qualche guerreggiare è inevitabile. Un uomo deve perciò scegliere i suoi nemici: Dio o l’uomo peccatore? Se un uomo è in pace con i peccatori, è in guerra con Dio. Pace in un settore significa guerra in un altro. Dio solamente, però, può dare la pace interiore ora, e infine la pace mondiale mediante la sua legge sovrana (Mi. 4:2).

Note:

1. George W. Keeton, The Norman Conquest and the Common Law; London: Ernest Benn Ltd.; New York: Barnes & Noble, 1966, p. 175.

2. W. Adams Brown, “Peace” in Hastings, Dictionary of the Bible, III, 733.